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Relazione

RelazioneQuesta proposta di legge regionale, sulla scia di norme già in vigore in regioni come il Veneto, l’Abruzzo, la Calabria e la provincia autonoma di Trento, cade in un contesto per cui, da un lato, la Regione Emilia-Romagna è una delle prime per numero di prodotti agroalimentari riconosciuti dall’Unione europea attraverso i marchi DOP e IGP e, dall’altro, vede, anche nella nostra regione, una tendenza, aggravata sempre più dalla crisi economica, di una diminuzione del potere di acquisto di molti cittadini che spinge verso una compressione anche della spesa alimentare, con i produttori agricoli, l’anello più debole della filiera che porta i prodotti dal campo alla tavola, soggetti ad una continua erosione del loro reddito, a causa soprattutto dello scarso potere contrattuale nei confronti della grande distribuzione organizzata. Si rischia così di veder compromesso un intero patrimonio, non solo produttivo, ma anche sociale e culturale.

La proposta di legge regionale “Norme per incentivare il consumo dei prodotti agricoli a chilometri zero” si inserisce nel quadro della crescente attenzione alla sostenibilità ambientale delle produzioni delineatosi a livello mondiale e sostenuto con forza ed in primis dalla Commissione Europea.

Si citano a tal proposito, tra gli altri:

- l’enunciato della Strategia di Lisbona (anno 2000): “costruire l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”;

- il Consiglio Europeo di Goteborg e successivi, la strategia si arricchisce con l’affermazione della parola d’ordine “sviluppo sostenibile” che la UE definisce come “lo sviluppo che soddisfa le esigenze attuali senza compromettere quelle delle generazioni future”;

- la Dir. CEE “20-20-20” del 2008, sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, la quale identifica, tra gli altri obiettivi prioritari, quello della riduzione delle emissioni di CO2 nella misura del 20% entro il 2020.

Le recenti relazioni della Commissione UE attribuiscono al settore alimentare (food & drink) circa il 23% dell’utilizzo complessivo delle risorse globali, circa il 18% delle emissioni di GHG e circa il 31% dell’acidificazione. In questo quadro, la stessa CE ha evidenziato la necessità di identificare metodologie scientifiche affidabili per il calcolo degli impatti ambientali, suscettibili di essere utilizzate con efficacia all’interno delle filiere agroalimentari. A tal fine, la Commissione UE ha recentemente istituito un tavolo di lavoro all’interno delle politiche sul consumo e sulla produzione sostenibile (Sustainable Consumpation and Production – SCP) che mira da un lato a migliorare i comportamenti dei produttori e dei consumatori, e dall’altro ad agire per migliorare le prestazioni dei prodotti attraverso strumenti adeguati per controllare e contenere l’impatto ambientale delle produzioni (LCA, Carbon Footprint, EMAS, EDP, Ecolabel e si lavora peraltro allo sviluppo di una metodologia comune basata su standard internazionali ad approccio lifecycle).

La norma regionale nasce dunque dalla necessità di recepire il generale orientamento comunitario a sostegno dei prodotti agricoli a comprovata sostenibilità ambientale, per i quali sia dimostrabile un ridotto apporto di emissioni di gas a effetto serra (GHC) rispetto ad altri prodotti equivalenti presenti sul mercato.

La proposta di legge, attraverso il criterio dei “chilometri zero”, accomuna un’ampia gamma di prodotti di qualità, tradizionali, stagionali e, comunque, a comprovata sostenibilità ambientale, caratterizzati da ridotte emissioni di gas climalteranti, o gas a effetto serra (GHG), rispetto agli analoghi prodotti agricoli e agroalimentari provenienti da filiera lunga.

Invece, i vantaggi della filiera corta sono sia economici, con prodotti di qualità ad un prezzo più economico per chi acquista e più equo per chi vende, sostenendo così l’economia locale e i prodotti del territorio; sia vantaggi per la salute, la cultura e il benessere, infatti si acquistano prodotti freschi e di stagione, spesso ottenuti con metodi biologici e integrati, di provenienza e qualità garantita, che permettono di conoscere la storia del prodotto, infine, vantaggi ambientali, legati alla riduzione del consumo di combustibili fossili per il trasporto dei prodotti, nonché per il sostegno alla biodiversità.

Analizzando brevemente il testo della proposta di legge regionale, l’art. 1, dopo aver elencato al comma 1 le tipologie di prodotti che rientrano nella categorie a “chilometri zero”, definisce le finalità della proposta, ovvero la promozione della commercializzazione e del consumo dei prodotti a “chilometri zero” stessi (comma 2). Il comma 3 dell’art. 1, inoltre, elenca gli interventi regionali volti a perseguire gli obiettivi di maggior commercializzazione e consumo.

In particolare la Regione intende:

1. garantire il rispetto della normativa in materia di presentazione ed etichettatura anche attraverso opportuni controlli;

2. favorire la diffusione di certificazioni volontarie sui prodotti a “chilometri zero”;

3. favorire la diffusione di certificazioni volontarie volte a garantire la rintracciabilità;

4. incentivare l’impiego da parte della ristorazione collettiva dei prodotti a “chilometri zero”;

5. favorire l’incremento della vendita diretta dei prodotti agricoli, anche in azienda;

6. favorire l’impiego dei prodotti a “chilometri zero” anche da parte delle imprese della ristorazione commerciale.

L’art. 1 si conclude con l’indicazione dei riferimenti normativi relativi alla modalità di calcolo delle emissioni di GHG.

L’art. 2, sempre al fine di promuovere il consumo di prodotti a “chilometri zero”, prevede che l’utilizzo di tali prodotti nella preparazione dei pasti costituisca titolo preferenziale per l’aggiudicazione degli appalti relativi alla ristorazione collettiva promossi da enti pubblici; il comma 2, al fine di informare il consumatore, prevede inoltre che sia data pubblicità dell’utilizzo dei prodotti a “chilometri zero” da parte delle aziende affidatarie di pubblici appalti nel campo della ristorazione collettiva.

L’art. 3 promuove la vendita ed il consumo di prodotti a “km zero” riservando agli imprenditori agricoli esercenti la vendita diretta almeno il 20% del totale dei posteggi previsti in eventuali nuovi mercati o dei posteggi divenuti disponibili in mercati già attivi. Il comma 2 dell’art. 3 impegna inoltre i comuni a destinare in via esclusiva agli imprenditori agricoli apposite aree per la realizzazione di “mercati degli agricoltori” o “mercati contadini” (farmers markets) e ad agire in deroga ai limiti percentuali fissati dal comma 8 dell’art. 6 della L.R. 25 giugno 1999, n. 12.

L’art. 4 prevede che la promozione del consumo dei prodotti a “chilometri zero” sia effettuata anche attraverso le imprese della ristorazione commerciale. Tali esercizi commerciali, infatti, potranno fregiarsi di un apposito logo che sarà veicolato nell’ambito delle attività promozionali della Regione Emilia-Romagna. La possibilità di fregiarsi del logo è subordinata all’acquisto, da parte degli esercizi commerciali, di un ammontare almeno pari al 30% di prodotti a “chilometri zero” sul totale in valore dei prodotti agroalimentari acquistati complessivamente.

L’art. 5 dispone che le strutture di vendita dei prodotti agricoli ed agroalimentari destinino un apposito spazio in via esclusiva ai prodotti a “chilometri zero”.

L’art. 6 prevede un censimento ed un rapporto annuale sullo stato di attuazione delle iniziative e sull’efficacia delle stesse rispetto agli obiettivi perseguiti.

L’art. 7 prevede il parere comunitario di compatibilità.

La proposta di legge presentata individua quindi nella promozione dei prodotti a “chilometri zero”, capace di ridurre l’impatto ambientale delle produzioni agricole ed agroalimentari e, più in generale, di contribuire a ridurre l’impronta ecologica (ecological footprint) delle produzioni, l’elemento conduttore di una nuova politica tesa a salvaguardare l’ambiente, ma anche a promuovere la produzione, la commercializzazione e il consumo dei prodotti locali di qualità, salvaguardando le tradizioni locali, le strutture produttive artigianali e quindi molta parte del nostro patrimonio di saperi e di sapori.

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