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Relazione

La presente legge regionale ha lo scopo di disciplinare le procedure per il riconoscimento e la quantificazione dei contributi e finanziamenti pubblici alle imprese presenti sul territorio emiliano-romagnolo, in conformità a criteri che tengano conto dell’agire “sociale”, definendo, oltre alla progressività degli stessi, meccanismi utili a contrastare il fenomeno delle delocalizzazioni produttive.

L’obiettivo è incentivare forme di contrasto dei processi di delocalizzazione utile per la difesa dell’occupazione e per la continuità produttiva di realtà altrimenti destinate in prospettiva al ridimensionamento o alla chiusura.

Sebbene consentito alla luce delle leggi del mercato in vigore, lo spostamento di attività produttive alla ricerca di manodopera a basso costo e disponibile a maggiori tassi di sfruttamento non solo non è eticamente difendibile, in quanto ha prodotto un impoverimento ed un arretramento economico su scala nazionale che non lascia immune nemmeno la nostra regione.

Attualmente, non esiste in Italia alcuno strumento utile a prevenire o evitare concretamente i rischi di delocalizzazione delle imprese: gli unici strumenti fin qui utilizzati sono stati puramente di carattere “difensivo” la cui messa in pratica avviene spesso a delocalizzazione imminente, ed ormai inevitabile, operando nell’ottica della semplice “limitazione del danno” dal punto di vista occupazionale.

In questo quadro le organizzazioni sindacali e le istituzioni il più delle volte non possono far altro che “gestire” i licenziamenti in massa di lavoratori che si trovano, loro malgrado, a dover competere sul piano economico, normativo e retributivo, con manodopera di altri Paesi, in una competizione impari e perdente che risulta essere conveniente solo alle imprese.

La delocalizzazione consiste fondamentalmente nell’apertura di nuove unità produttive, dello stesso soggetto imprenditore, in altri Paesi per mezzo della cessione di ramo d’azienda, oppure attraverso un processo di internazionalizzazione delle imprese attuato tramite joint ventures e accordi commerciali con altre imprese estere: in Italia tale fenomeno continua a crescere costantemente, come dimostrato anche dalle vertenze apertesi sul territorio regionale.

Molti sono i casi di imprese che cessano l’attività produttiva nonostante siano in attivo e nelle condizioni di proseguire, senza alcuna difficoltà, la produzione. La situazione è resa ancor più grave dal progressivo decadimento del quadro normativo italiano. Poggiando su opzioni che la legislazione nazionale stessa consente, le imprese hanno la possibilità di scegliere, in base al numero degli addetti, tra il licenziamento per giustificato motivo, il licenziamento collettivo e la cessione del ramo d’azienda (possibilità, quest’ultima, resa ancora più appetibile dalla legge 30/2003, che trasforma lo strumento giuridico in un’occasione più veloce e meno onerosa per i datori di lavoro, per esternalizzare le produzioni ed espellere i lavoratori interessati). A ciò si aggiunga; la strutturazione di un meccanismo di deroghe rispetto ai contratti collettivi nazionali, unitamente al crescente impiego di contratti a termine, pone sempre di più il drammatico dilemma fra la messa in discussione dei diritti dei lavoratori e il trasferimento delle unità produttive, dilemma che si risolve in ogni caso nell’impoverimento del territorio coinvolto da tale processo.

Attualmente le imprese italiane usufruiscono di fortissimi incentivi e finanziamenti pubblici, utilizzando un’ampia rete di strumenti regionali e nazionali come, ad esempio, la legge 488/92, i patti territoriali, gli accordi di programma senza però che a questi benefici corrisponda in modo conseguente un incremento dei livelli occupazionali ed economici.

Pare indispensabile, alla luce di quanto detto, normare le regole di erogazione dei contributi pubblici, rendendo gli stessi realmente utili allo sviluppo ed alla crescita economica, nonché produttiva, del territorio emiliano-romagnolo.

I contratti d’insediamento proposti dalla presente legge consistono nella definizione di accordi “pubblico-privato” finalizzati a riconoscere incentivi economici a quelle realtà che, fermo restando il mantenimento dei livelli occupazionali, si impegnino a stabilizzare i rapporti di lavoro in un arco di tempo predeterminato ed a non delocalizzare per almeno 25 anni, dal momento dell’erogazione dei contributi, sanzionando la violazione del patto con la restituzione dei finanziamenti ricevuti.

Ferma restando la normativa nazionale e comunitaria in materia di concorrenza, la proposta di legge interviene quindi sulle modalità di erogazione dei contributi pubblici, coerentemente con i principi di utilità sociale degli interventi e di promozione del benessere socio-economico del territorio.

La legge prevede inoltre la definizione di criteri qualitativi in merito alle forme di assunzione e di stabilizzazione dei lavoratori, all’inserimento lavorativo di soggetti vulnerabili e svantaggiato e al rispetto delle norme in materia di sicurezza e di ecosostenibilità delle produzioni; si interviene infine anche sulla destinazione d’uso delle aree produttive, formalizzando la loro esclusiva destinazione d’uso ad attività produttive ed industriali.

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