Testo
L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
Premesso che
da parte di migliaia di singoli operatori del settore, delle associazioni di categoria, come la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (CNA), e delle organizzazioni sindacali Feneal-Uil, Filca-Cisl e FiIlea-Cgil, si lamenta l’incongruità e l’incoerenza delle nuove prescrizioni relative ai requisiti necessari per il riconoscimento della qualifica di restauratore, previste dall’art. 182 del c.d. “Codice del restauro”.
Per effetto delle nuove prescrizioni alcune migliaia di persone verrebbero escluse dalla possibilità di accesso al titolo e, conseguentemente, migliaia di imprese verrebbero escluse dalla possibilità di accedere alla qualificazione necessaria per partecipare alle procedure di affidamento di appalti pubblici per l’esecuzione di lavori di restauro, depauperandosi, in tal modo, un patrimonio enorme di piccole e piccolissime imprese, oggi attive nel settore e cancellando in un colpo solo un’intera generazione di restauratori.
Rilevato che
la professione di restauratore e l’esercizio imprenditoriale delle attività di restauro costituiscono un patrimonio di sapere e di eccellenza inestimabile, garantiscono all’Italia uno stabile primato mondiale nell’attività di restauro, conservazione e tutela del patrimonio storico-artistico, non solo nazionale, e rappresentano inoltre uno dei cardini della trasmissione della tradizione e del saper fare tipico degli antichi mestieri.
Il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 30 marzo 2009, n. 53 ed il documento di “Disciplina transitoria degli operatori del restauro”, hanno introdotto norme attuative relative allo status di restauratore e di collaboratore.
Il citato documento sulla Disciplina transitoria degli operatori del restauro indica che ad oggi non esiste ancora nel nostro ordinamento una compiuta disciplina delle relative figure professionali e che è generale la convinzione che la capacità professionale dei singoli operatori assuma ruolo strategico insostituibile per assicurare la qualità degli interventi conservativi.
Sino ad ora la verifica di tale idoneità è stata per lungo tempo risolta all’interno di una prassi che vedeva il ricorso pressoché generalizzato ad affidamenti di carattere fiduciario.
Tale prassi impone oggi l’esigenza di verificare su basi oggettive la capacità professionale degli operatori, per cui la circolare ministeriale prevede l’attribuzione della qualifica a coloro che hanno conseguito un diploma presso una scuola di restauro riconosciuta.
Sottolineato che
ad oggi sono solo tre gli istituti riconosciuti in Italia: l’Opificio delle pietre dure, l’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro e l’Istituto centrale di patologia del libro; scuole che si aggiungono a quelle di livello regionale le quali risultano essere state le più frequentate dai restauratori.
Sovente, la frequenza di queste scuole ha avuto luogo quando non erano ancora accreditate, con la conseguenza che moltissimi restauratori qualificati sono in possesso di un diploma non coerente con le indicazioni fornite dal Ministero con i provvedimenti emanati a ridosso dell’estate 2009.
Per di più, dal momento che la documentazione richiesta dal Ministero per i beni e le attività culturali per l’accesso alla prova di idoneità si riferisce ad un periodo temporale anteriore all’anno 2000, questo è per la maggior parte degli operatori del settore impossibile da reperire.
Infatti, a causa di una diffusa negligenza delle stazioni appaltanti nella redazione dei certificati di esecuzione dei lavori (come è stato anche evidenziato nella determinazione n. 6 del 3 aprile 2002 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici), il certificato è stato introdotto solo nel 2000.
Quindi per i candidati alla prova di idoneità, ai quali è richiesto di avere svolto attività di restauro per almeno quattro anni alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale n. 420 del 2001, è sostanzialmente impossibile documentare la propria attività mediante tale certificato.
Evidenziato che
è un fatto gravissimo che il Governo lo scorso 17 dicembre 2009 si sia rifiutato di recarsi in Commissione, alla Camera dei Deputati, per la risoluzione sulla questione dei restauratori e abbia, di fatto, così impedito che la discussione potesse avere luogo. L’assenza del Governo è particolarmente grave vista anche l’ampia convergenza tra maggioranza e opposizione che si sta registrando sulla vicenda dei restauratori e vista l’urgenza della questione che per effetto delle nuove norme rischia di vedere esclusi migliaia di professionisti dalla possibilità di accesso al titolo di restauratore, depauperando il settore della forza lavoro oggi attiva nel settore e cancellando in un colpo solo un’intera generazione di restauratori.
Anche altre assemblee elettive regionali, come la vicina Toscana, si siano unanimemente espresse per la modifica delle norme per il riconoscimento della qualifica di restauratore.
Impegna la Giunta
ad operare nei confronti del Governo, in tutte le sede istituzionali, per la sospensione dell’applicazione dei provvedimenti, affinché vi sia l’apertura immediata di un tavolo di confronto con gli operatori del settore.
A perseguire l’obiettivo di creare un quadro normativo capace di integrare insieme le esigenze di qualificazione, professionalità e tutela dell’occupazione nel settore.
Ad attivarsi presso il Governo perché assuma iniziative di carattere normativo volte a modificare l’articolo 182 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, consentendo la possibilità di valutare l’attività svolta alla data attuale e non limitarla al 24 ottobre 2001, data di entrata in vigore del decreto ministeriale n. 420 del 2001.
Approvata a maggioranza nella seduta pomeridiana dell’8 febbraio 2010