Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriali – in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 21-24 settembre 2009, depositato in cancelleria il 24 settembre 2009 ed iscritto al n. 63 del registro ricorsi 2009
SENTENZA N. 180
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriali – in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 21-24 settembre 2009, depositato in cancelleria il 24 settembre 2009 ed iscritto al n. 63 del registro ricorsi 2009.
Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi l’avvocato dello Stato Anna Lidia Caputi Iambrenghi per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Maria Chiara Lista e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso del 24 settembre 2009 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8, (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriali in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, anche in relazione agli articoli 43 e 81 del Trattato dell’Unione europea, nella parte in cui ha inserito, nella legge regionale n. 9 del 2002, l’art. 8-bis, comma 2, il quale così dispone: « i titolari di concessioni demaniali marittime di cui al decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazioni dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, potranno chiedere, entro il 31 dicembre 2009, la proroga della durata della concessione fino ad un massimo di 20 anni a partire dalla data di rilascio, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 253, della legge n. 296 del 2006 ed in conformità a quanto disposto dal presente articolo».
Riferisce il ricorrente che l’intervento legislativo della Regione Emilia-Romagna si colloca nel solco di una normativa preesistente che attiene alla disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale. Tuttavia, disponendo nei termini sopra riportati, la norma regionale impugnata violerebbe l’art. 117, primo comma, della Costituzione, per la incoerenza con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza (rispettivamente gli articoli 43 e 81 del Trattato CE) cui detto parametro offre copertura. Ed infatti la norma regionale prevede ed introduce un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, consentendo il rinnovo automatico della medesima. Detto automatismo determinerebbe una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento.
Non sono infatti previste né procedure di gara né forme idonee di pubblicità afferenti la procedura relativa al rinnovo, al fine di tutelare le esigenze concorrenziali di altre imprese presenti sul mercato, in contrapposizione al titolare della concessione scaduta o in scadenza.
Del resto – prosegue il ricorrente – la procedura selettiva è del tutto auspicabile in funzione della più proficua utilizzazione della concessione demaniale e del miglior uso della stessa nell’interesse pubblico.
A conforto della tesi sostenuta, il ricorrente fa presente che è già in corso, in danno dell’Italia, la procedura di infrazione n. 2008/4908. La Commissione, infatti, ha sollevato questioni di compatibilità con il diritto comunitario della normativa italiana in materia di concessioni del demanio marittimo, nonché delle conseguenti iniziative legislative regionali.
2. – Con memoria del 18 settembre 2009, si è costituita la Regione Emilia-Romagna, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.
Secondo la Regione resistente, la norma impugnata è dettata dal fine di dare attuazione all’art. 1, commi 251 e 253, della legge n. 296 del 2006, e dalla volontà di collegare la durata delle concessioni agli investimenti effettuati dal concessionario per la valorizzazione del bene e delle relative infrastrutture, anziché mantenere il criterio vigente nella legislazione statale, che si basa, invece, sul principio del rinnovo automatico per un periodo di sei anni, come previsto dall’art. 1 del d.l. n. 400 del 1993, del tutto svincolato da qualsivoglia adempimento, suscettibile di migliorare, ottimizzandola, la qualità dei servizi offerti alla collettività.
La norma regionale impugnata prevede la possibilità di una proroga della durata della concessione a seguito della presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene dato in concessione, che, se apprezzato dall’amministrazione di riferimento, determinerà una maggiore durata del rapporto concessorio, proporzionale alla tipologia di investimento proposto, al fine di consentire l’ammortamento dei costi e l’equa remunerazione dei capitali investiti. La ratio della norma – rileva la Regione – è dunque la stessa della direttiva 2006/123 CE del 12 dicembre 2006 sui servizi del mercato interno, al 62° “considerando”, secondo cui la durata delle concessioni deve essere tale da garantire l’ammortamento degli investimenti e l’equa remunerazione dei capitali investiti.
Non è in particolare previsto un rinnovo automatico della concessione, come lamentato dallo Stato, ma unicamente la possibilità, subordinata alla presentazione di un piano di investimenti e all’assunzione del relativo piano economico, da esercitarsi, fra l’altro, entro un arco temporale circoscritto (entro il 31 dicembre 2009), di agganciare la durata della concessione all’investimento assunto e validato dalla competente autorità comunale, per un termine, non concesso in maniera automatica e proporzionale alla tipologia dell’investimento.
Non vi sarebbe, dunque, violazione del principio di concorrenza, in quanto la norma impugnata è preordinata a tutelare il principio dell’affidamento e le legittime aspettative dei concessionari in ragione dei loro obiettivi di miglioramento delle infrastrutture serventi il bene demaniale in concessione.
3. – Con memoria del 16 febbraio 2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha rilevato che l’impugnativa attiene al solo comma 2 dell’art. 8-bis della legge regionale n. 9 del 2002, come del resto è reso palese dallo sviluppo argomentativo del ricorso.
In subordine, si rileva come la Regione Emilia-Romagna ometta di considerare che l’oggetto del giudizio è costituito dalla legittimità costituzionale di una norma regionale per incompatibilità con i parametri comunitari – artt. 43 (ora 49) e 81 (ora 101) del Trattato 7 febbraio 1992 sull’Unione europea – invocati quali elementi integrativi del parametro costituzionale di cui all’art. 117, primo comma, Cost., e pertanto risulta inconferente il richiamo al quadro normativo nazionale, cui è ancorata la difesa regionale.
3.1. – Con memoria del 16 febbraio 2010, la Regione Emilia-Romagna ribadisce che la norma impugnata non lede i principi costituzionali a tutela della concorrenza, perché aggancia la durata dei termini della concessione alla consistenza e portata dei piani di investimento e di valorizzazione del bene dato in concessione.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di Demanio marittimo e di zone di mare territoriali in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), nella parte in cui ha inserito, nella legge regionale n. 9 del 2002, l’art. 8-bis, comma 2 – il quale dispone che «I titolari di concessioni demaniali marittime di cui al d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, potranno chiedere, entro il 31 dicembre 2009, la proroga della durata della concessione fino ad un massimo di venti anni a partire dalla data di rilascio» – per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli 43 (ora 49) e 81 (ora 101) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento, dal momento che non sono previste procedure di gara al fine di tutelare le esigenze concorrenziali delle imprese non titolari di una concessione scaduta o in scadenza.
Il ricorrente ritiene che la norma limiti illegittimamente la concorrenza, mentre la Regione si difende affermando che la proroga è necessaria per garantire l’ammortamento degli investimenti effettuati dai gestori degli stabilimenti balneari e che la domanda di proroga non sarà accettata in ogni caso, ma solo se corredata di un adeguato piano di investimenti.
2. – La questione è fondata.
2.1. – La norma regionale impugnata viola l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza. Infatti la norma regionale prevede un diritto di proroga in favore del soggetto già possessore della concessione, consentendo il rinnovo automatico della medesima. Detto automatismo determina una disparità di trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di concorrenza, dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti.
Secondo la Regione Emilia-Romagna, invece, la norma impugnata si giustifica perché collega la durata delle concessioni agli investimenti effettuati dal concessionario per la valorizzazione del bene e delle relative infrastrutture. La norma regionale impugnata prevederebbe, infatti, la possibilità di una proroga della durata della concessione solo a seguito della presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene dato in concessione, che, solo se apprezzato dall’amministrazione di riferimento, determinerà una maggiore durata del rapporto concessorio, proporzionale alla tipologia di investimento proposto, al fine di consentire l’ammortamento dei costi e l’equa remunerazione dei capitali investiti. Non vi sarebbe, dunque, violazione del principio di libertà di concorrenza, in quanto la norma impugnata sarebbe preordinata a tutelare il principio dell’affidamento e le legittime aspettative dei concessionari, in ragione dei loro obiettivi di miglioramento delle infrastrutture serventi il bene demaniale in concessione.
Questo argomento, però, avrebbe un senso solo se – per ipotesi – la norma impugnata avesse lo scopo di ripristinare la durata originaria della concessione, neutralizzando gli effetti di una precedente norma che, sempre per ipotesi, avesse arbitrariamente ridotto la durata della stessa. Nel caso all’odierno esame, invece, si tratta della proroga di una concessione già scaduta, e pertanto non vi è alcun affidamento da tutelare con riguardo alla esigenza di disporre del tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute per ottenere la concessione, perché al momento del rilascio della medesima il concessionario già conosceva l’arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti, e su di esso ha potuto fare affidamento.
Al contempo, la disciplina regionale impedisce l’accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori.
La norma impugnata determina, dunque, un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, invadendo una competenza spettante allo Stato, violando il principio di parità di trattamento (detto anche “di non discriminazione”), che si ricava dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi.
La previsione di una proroga dei rapporti concessori in corso, in luogo di una procedura di rinnovo che «apra» il mercato, è del tutto contraddittoria rispetto al fine di tutela della concorrenza e di adeguamento ai principi comunitari (sentenza n. 1 del 2008).
Queste conclusioni sono del resto avvalorate dai rilievi formulati dalla Commissione europea nella suddetta procedura di infrazione, secondo cui la Repubblica italiana è venuta meno «agli obblighi che le incombono ai sensi dell’articolo 43 del Trattato CE», prevedendo un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo.
Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 8 del 2009.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica della legge regionale 31 maggio 2002 n. 9 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di Demanio marittimo e di zone di mare territoriali – in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296), nella parte in cui ha inserito nella legge regionale n. 9 del 2002 l’art. 8-bis, comma 2.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2010.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA