ORDINANZA 10 marzo 2008, n. 242
Ordinanza del 10 marzo 2008 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sul ricorso proposto da Comitato Bolognese Scuola e Costituzione ed altri c/Regione Emilia-Romagna
(pubblicazione disposta dal Presidente della Corte Costituzionale a
norma dell'art. 25 della Legge 11 marzo 1953, n. 87)
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L'EMILIA-ROMAGNA
BOLOGNA
SEZIONE II
Registro Ordinanze: 10/2008
Registro generale: 239/1996
Nelle persone dei signori:
Giancarlo Mozzarelli, Presidente; Bruno Lelli, cons., Ugo di
Benedetto, cons., relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nell'Udienza pubblica del 18 ottobre 2007;
visto il ricorso 239/1996 proposto da:
- Comitato Bolognese Scuola e Costituzione ed altri;
- Chiesa Cristiana Avventista del 7 giorno di Bologna;
- Comunita' Ebraica di Bologna;
- Chiesa Evangelista Metodista di Bologna;
rappresentato e difeso da:
Sorrentino avv. Federico, Mauceri avv. Corrado, Luciani avv. Massimo,
Giuliano avv. Guglielmo, con domicilio eletto in Bologna, Via Nazario
Sauro n. 24, presso Giuliano avv. Guglielmo
contro
Regione Emilia-Romagna rappresentato e difeso da: Pennesi avv. Andrea
con domicilio eletto in Bologna, Strada Maggiore n. 47, presso la sua
sede;
per l'annullamento
della deliberazione del Consiglio regionale dell'Emilia-Romagna del 28
settembre 1995, n. 97 recante l'intitolazione "L.R. 24 aprile 1995, n.
52 - Approvazione dei criteri per l'assegnazione dei contributi ai
Comuni per l'anno 1995 per l'attivazione di convenzioni per la
qualificazione e il sostegno delle scuole dell'infanzia private senza
fini di lucro o gestite da I.P.A.B." e degli atti connessi e
presupposti, in particolare della circolare dell'Assessore regionale
agli Affari sociali e familiari, associazionismo, Qualita' urbana,
prot. n. 20783 del 17 agosto 1995.
Uditi all'udienza pubblica del 18/10/2007 gli avvocati presenti come
risulta da verbale d'udienza.
Considerato quanto segue:
FATTO
La parte ricorrente impugna, chiedendone l'annullamento, gli atti
meglio indicati dianzi.
A sostegno del ricorso, essa presenta le censure seguenti:
1) Violazione di legge, in riferimento agli artt. 2, comma 1, lettera
B), quinto alinea e 10, comma 1, lett. E bis); 10, penultimo comma,
L.R. Emilia-Romagna 25 gennaio 1983, n. 6, nel testo modificato della
L.R. Emilia-Romagna 24 aprile 1985 n. 52.
Si rileva come l'art. 4, comma 1, L.R. n. 52 del 1995 ha istituito un
fondo per la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole
dell'infanzia private. A sua volta, l'art. 5. comma 1, ha disposto che
tale fondo "e' ripartito fra i Comuni che abbiano stipulato
convenzioni con scuole dell'infanzia private nelle quali siano
previsti oneri a carico dei Comuni per contributi di spesa corrente e
di investimento".
Si aggiunge che "il fondo ha la funzione di promuovere la stipulazione
di convenzioni fra Comuni e scuole dell'infanzia private, e solo fra i
Comuni che tali convenzioni abbiano stipulato il fondo deve essere
ripartito. In totale spregio della legge, la deliberazione impugnata,
invece, prevede che al riparto del fondo accedono anche i Comuni che
sono privi delle menzionate convenzioni".
Si rileva, infine, che "anche a volersi rifare allo spirito della
legge, tuttavia, le conclusioni non muterebbero. Intenzione del
legislatore era infatti garantire un sostegno finanziario ai Comuni
che avessero effettivamente stipulato convenzioni con istituti
scolastici privati (. . .).
Soltanto limitando il sostegno finanziario ai Comuni dotati di
convenzione, del resto, era possibile incentivare i Comuni a dotarsi
dello strumento convenzionale. Ritenere, come si fa nelle Premesse
alla proposta della Giunta regionale (integralmente recepita dalla
deliberazione impugnata), che la stipula di ulteriori convenzioni si
possa promuovere e sollecitare attraverso il grazioso finanziamento
anche e proprio dei Comuni che non hanno stipulato convenzioni e' un
controsenso che non abbisogna di commenti".
2) Violazione di legge in riferimento agli artt. 3, 33, commi 1 e 3, e
128 della Costituzione e agli artt. 2, comma 1, lettera B), quinto
alinea, e 10, penultimo comma, della L. reg. Emilia Romagna 25 gennaio
1983 n. 6, nel testo modificato dalla L. reg. Emilia Romagna 24 aprile
1995 n. 52.
Si osserva come la deliberazione impugnata dispone che, per i Comuni
della fascia A), ai fini della determinazione dei contributi, verra'
considerata, fra l'altro (punto 1.2.) "la congruenza dei contenuti
delle convenzioni adottate a livello locale rispetto al Protocollo
d'intesa tra Regione e FISM regionale (. . .), in particolare rispetto
ai seguenti elementi: accesso degli utenti, modalita' di
partecipazione delle famiglie, equita' di trattamento economico,
orientamenti educativi (con riferimento al D.M. 3 giugno 1991)
organizzazione del servizio, personale e coordinamento tecnico,
raccordo con altre agenzie educative, adeguamento strutturale, servizi
per l'accesso, criteri di valutazione/verifica".
Ne discende che "il computo della misura dei contributi da erogarsi in
favore dei Comuni viene effettuato assumendo quale criterio
determinante, accanto a quelli del numero delle sezioni delle scuole
materne convenzionate (punto 1.1) e dell'ampiezza demografica dei
Comuni (punto 1.3) la congruenza rispetto al (e quindi il rispetto
del) Protocollo d'intesa tra Regione e FISM regionale.
In questo modo (. . .) la fruibilita' concreta dei contributi
regionali e' rigidamente subordinata al rispetto di un protocollo
d'intesa fra l'Amministrazione regionale e una comune associazione
privata. Per quanto rappresentativa questa possa essere, un simile
trattamento e' del tutto ingiustificato. Invero, non esiste nella
legislazione regionale alcun elemento che la isoli e la differenzi
rispetto alle altre associazioni private operanti nel mondo della
scuola. Aver assunto un accordo stipulato con detta associazione quale
stregua cui commisurare le convenzioni stipulate dai vari Comuni e'
dunque scelta che non trova alcun supporto normativo".
Si aggiunge che manifestamente violate, poi, sono le predette
disposizioni della L.R. n. 6 del 1983 (nel testo modificato dalla L.R.
n. 52 del 1995).
Esse, infatti, si limitano a prevedere che le risorse del "fondo per
la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole dell'infanzia
private" siano ripartite tra i Comuni che abbiano stipulato
convenzioni con istituzioni scolastiche private, senza
differenziare affatto all'interno di tale categoria.
Spettava dunque alla Giunta regionale determinare i criteri per la
concreta ripartizione delle risorse, ma e' evidente che cio' avrebbe
dovuto avvenire sulla base di parametri il piu' possibile oggettivi e
in riferimento alle effettive esigenze dei Comuni in ordine alla
prestazione del servizio scolastico.
Ancorando l'erogazione delle risorse al rispetto di un accordo tra la
Regione e un'associazione privata, la deliberazione impugnata
stravolge il senso della previsione legislativa, sostituendo la
volonta' soggettiva dei firmatari del Protocollo all'oggettivita' dei
fatti e dei bisogni.
E' chiaro, altresi', che per questo aspetto il provvedimento impugnato
viola il principio di eguaglianza.
La FISM, infatti, e' stata arbitrariamente preferita ad ogni altra
associazione privata operante nel mondo scolastico, senza alcuna
apertura pluralistica alle altre realta' del settore. Questo,
oltretutto, in un ambito, come quello dell'istruzione, nel quale le
esigenze dell'uguaglianza fra i cittadini sono al centro
dell'attenzione della Carta Costituzionale.
Per giunta, la FISM e' stata addirittura investita di una funzione
condizionante nei confronti dei Comuni, nel momento in cui la si e'
chiamata a stipulare con la Regione un Protocollo al quale e' stato
conferito valore paradigmatico in sede di assegnazione delle risorse
gestite nell'ambito del "fondo per la promozione delle convenzioni fra
Comuni e scuole dell'infanzia private". In questo modo, subordinando
l'autonomia comunale all'autonomia privata, si e' arrecato un
gravissimo vulnus all'autonomia degli Enti locali garantita dall'art.
128 Cost, a tenor del quale i Comuni "sono enti autonomi nell'ambito
dei principi fissati da leggi generali della Repubblica". Il
riconoscimento costituzionale dell'autonomia dei Comuni ha l'evidente
funzione di garantire, da un lato, l'autogoverno e la partecipazione
delle popolazioni locali (in questo stesso senso, del resto, proprio
l'art. 53 dello Statuto della Regione Emilia-Romagna); dall'altro, di
assicurare un apprezzamento del pubblico interesse in ragione
dell'adeguata considerazione delle esigenze locali, di volta in volta
diverse. L'una e l'altra funzione della garanzia costituzionale sono
frustrate dalla deliberazione impugnata, che subordina l'autonomia
degli enti locali (che possono accedere ai finanziamenti solo nella
misura in cui si conformano al Protocollo) all'autonomia privata di un
soggetto particolare come la FISM. Il tutto, in una materia in cui le
funzioni amministrative, ai sensi dell'art. 45, comma 1, del DPR n.
616 del 1977, "sono attribuite ai Comuni".
Gravemente vulnerate, poi, sono la liberta' di insegnamento e la
liberta' di istituire scuole che sono garantite dall'art. 33, commi 1
e 3, Cost. E' infatti evidente che qualunque istituzione scolastica
privata, se vorra' accedere al sostegno previsto dalla L. reg. n. 52
del 1995, dovra' necessariamente conformarsi alle previsioni dettate
dal menzionato Protocollo. Esso, pero', incide profondamente
sull'autonomia didattica, sull'organizzazione dei servizi, sullo
stesso rapporto di impiego dei dipendenti, condizionando cosi' in modo
inaccettabile le libere scelte di chi voglia operare nel settore
scolastico per l'infanzia. Per soprammercato, tale condizionamento
e' determinato da un atto (il Protocollo) che recepisce, oltre alla
volonta' dell'Ente regionale, la privata volonta' della FISM, e cioe'
di una associazione privata, che possiede una specifica connotazione
ideale e culturale. Come nell'orwelliana fattoria degli animali,
dunque, anche se formalmente tutti sono eguali, sostanzialmente alcuni
operatori scolastici finiscono per essere piu' eguali degli altri.
3) Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in
riferimento agli artt. 3 e 128 della Costituzione.
Si rileva come "nella denegata ipotesi che la prima parte della
ricostruzione prospettata al paragrafo precedente venisse respinta,
ritenendosi che la deliberazione impugnata non sia violativa della
menzionata normativa regionale, i vizi di illegittimita' lamentati nei
confronti della deliberazione dovrebbero pienamente trasferirsi su
quest'ultima, nella parte in cui consente all'Amministrazione
Regionale di assumere provvedimenti cosi' clamorosamente contrastanti
con il principio di eguaglianza fra i privati e con il principio
dell'autonomia degli Enti locali".
4) Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in
riferimento agli artt. 33, e 117 comma 1 della Costituzione.
Si rileva che "un vizio ancor piu' radicale affligge, pero', il
provvedimento impugnato. Esso risulta infatti (ancorche'
legittimamente (. . .) ) attuativo di una legge regionale (la 1. reg.
n. 52 dei 1995) della quale e' evidente l'illegittimita'
costituzionale. Fra le materie di competenza regionale di cui all'art.
117 Cost., infatti, sono ricomprese l'istruzione artigiana e
professionale e l'assistenza scolastica.
La materia "istruzione" in generale, invece, non e' menzionata. A sua
volta il d.lgs. n. 616/1997 non consente che si faccia confusione tra
istruzione e assistenza scolastica".
Si osserva come "appare chiaro che il legislatore regionale ha inteso,
in violazione del dettato costituzionale, disciplinare proprio la
materia istruzione, fuoriuscendo dai limiti ad esso assegnati, ed in
particolare andando ben al di la' della semplice "assistenza
scolastica".
Gia' la modificazione del titolo originario della 1. reg. n. 6 del
1983 e' rivelatrice.
Mentre (. . .) tale legge si intitolava semplicemente "Diritto allo
studio", il nuovo titolo e' "Diritto allo studio e qualificazione del
sistema integrato pubblico-privato delle scuole dell'infanzia". Come
risulta da tale formulazione letterale, il legislatore regionale ha
inteso andare ben oltre il campo (. . .) della garanzia del diritto
allo studio, invadendo quello della disciplina generale
dell'istruzione. Tanto, oltretutto, con ambizioni di altissimo
profilo: l'obiettivo e' (. . .) la realizzazione di un sistema
integrato delle scuole dell'infanzia basato sul progressivo
coordinamento e sulla collaborazione fra le diverse offerte
educative", e il legislatore regionale mira alla qualificazione di
tali offerte, per "valorizzare competenze, risorse e soggetti pubblici
e privati (art. 1, comma 2, punto 2 bis, della 1. reg. n. 6 del 1989,
nel testo introdotto dalla 1. reg. n. 52 del 1995). Le enormi
ambizioni del legislatore regionale sono, comunque, ulteriormente (. .
.) disvelate proprio dalle Premesse della proposta della Giunta
regionale recepita dall'atto di Protocollo d'intesa con la FISM e
della risoluzione n. 5172/5362, adottata dal Consiglio regionale in
data 6 ottobre 1994. In quest'ultima, in particolare, il Consiglio
regionale valuta indifferibile un riordino strutturale e culturale
che, ragionando in termini di "sistema", abbia come obiettivi
l'aumento dell'efficacia formativa e della scolarita' come risorsa
individuale e sociale, e impegna la Giunta ad adottare interventi di
qualificazione dell'intero sistema delle scuole dell'infanzia, etc.
Cosa tutto questo abbia a che vedere con la materia "assistenza
scolastica" non e' dato comprendere.
Tutto l'impianto della legge n. 52 del 1995, comunque, e' radicalmente
illegittimo, perche' tutti gli interventi ivi previsti sono
funzionalizzati al raggiungimento di tali obiettivi. E' dunque questo
un caso di illegittimita' costituzionale di un intero testo
legislativo, ipotesi che (. . .) secondo la giurisprudenza
costituzionale, ricorre tutte le volte in cui il legame della legge
sia tanto stretto che le singole norme risultano non autonome le une
rispetto alle altre.
Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in
riferimento all'art. 33, commi 1 e 3 della Costituzione.
Si rileva come "ulteriormente viziata da illegittimita' costituzionale
risulta peraltro la n. 52 del 1995 e con essa la deliberazione
impugnata, per violazione dell'art. 33, c. 3 della Costituzione a
tenor del quale Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed
istituti di educazione senza oneri per lo Stato", in combinato
disposto con il comma 1 del medesimo art. 33.
(. . .) e' attualmente assai accesa la discussione sulle modalita' di
un possibile sostegno pubblico che favorisca la frequenza della scuola
privata, senza modificare l'art.33, comma 4, Cost. (. . .) comunque,
non si e' andati oltre la proposta di un sostegno indiretto per le
famiglie che indirizzino i propri figli alla scuola privata attraverso
la detassazione delle loro spese scolastiche (cfr. ad es. l'art. 9 del
p.d.l. Camera, n. 142), oppure quella di agevolazioni fiscali per il
settore scolastico (cfr. ad es. l'art. 8 p.d.l. del Senato, n. 1339 o
l'art. 8 del p.d.l. Camera, n. 2404).
Per la sua evidente contrarieta' all'art. 33, comma 3, Cost., invece,
la proposta di finanziamenti diretti alla scuola privata non e' stata
avanzata in sede parlamentare.
In effetti, il dettato costituzionale non si presta ad equivoci. Come
ha osservato la piu' autorevole dottrina costituzionalistica, l'art.
33, comma 3, Cost. esclude "nei termini piu' larghi" che l'esercizio
della (pur indiscutibile) liberta' di istituire e gestire scuole
private possa gravare sul bilancio dello Stato (. . .). Il divieto,
peraltro, non riguarda solo lo Stato ma anche gli altri Enti pubblici
(. . .) fra i quali ovviamente le Regioni. La logica della
disposizione costituzionale e' infatti quella che l'iniziativa privata
nel settore scolastico non debba (. . .) essere compressa, ma non
possa neppure essere sostentata da pubbliche risorse, che altrimenti
si stornerebbero fondi da impiegarsi per il necessario e
imprescindibile intervento pubblico in materia, che e' cosi' vasto che
lo Stato e' tenuto ad istituire proprie scuole "per ogni ordine e
grado" (artt. 33, comma 2. Cost.).
Questo regime, del resto, e' coerente con il principio di liberta' che
ispira tutta la normativa costituzionale in materia di scuola. Tale
principio illumina tutto il settore: liberta' di istituire scuole
private; liberta' di insegnamento; liberta' degli studenti di formarsi
i propri autonomi convincimenti, etc.
La preclusione del finanziamento pubblico non comprime, ma addirittura
esalta la liberta', che (. . .) e' inevitabilmente assoggettata a
limiti e controlli quando la mano pubblica interviene per sostenerla
finanziariamente (e la cosa, qui, si e' puntualmente verificata, con
il sistema degli "impegni" che le scuole private debbono assumere in
sede di convenzione per poter poi godere del pubblico sostegno). Il
divieto di finanziamento con pubblico danaro delle scuole private non
e' un limite, ma una vera e propria garanzia per la liberta'
(fondamentale) di istituirle.
Tutto questo e' stato completamente dimenticato dal legislatore
regionale, che ha tranquillamente previsto che i Comuni possano
contribuire alla gestione delle scuole private, addossandosi "oneri
per contributi di spesa corrente e di investimento" (art. 10 penultimo
comma, della 1. reg. n. 6 del 1983, nel testo introdotto dalla 1. reg.
n. 52 del 1995) e che essi possano attivarsi per il "sostegno" delle
scuole private (art. 2, comma 1, lett. B) della 1. reg. n. 6 del 1983,
nel testo introdotto dalla 1. reg. n. 52 del 1995). Come si riconosce
espressamente nel provvedimento impugnato (v. la parte dell'All. nella
quale si definisce la fascia dei Comuni "B"), gli oneri finanziari che
la legge regionale consente ai Comuni di assumere in materia
scolastica sono diretti in favore delle scuole private. In questo
modo, e in considerazione dell'enorme vastita' degli obiettivi degli
interventi di sostegno (cio' che si evince dall'ampiezza dei temi
oggetto della convenzione-tipo), si chiarisce che il finanziamento
pubblico non riguarda i soli studenti (o le loro famiglie) per
consentire che tutti, anche coloro che si rivolgono, alla scuola
privata siano posti in condizioni di godere effettivamente del diritto
allo studio. Esso si rivolge invece (addirittura primariamente) agli
istituiti privati, e vale a sostenere direttamente la loro
"gestione".
La parte ricorrente ha conclusivamente richiesto l'annullamento degli
atti impugnati, "eventualmente sollevando in via pregiudiziale
questione incidentale di legittimita' costituzionale della 1. reg.
Emilia-Romagna n. 6 del 1983, per come modificata dalla 1. reg. n. 52
del 1995, in riferimento agli artt. 3, 33, commi 1 e 3; 34; 117, comma
1, e 128 della Costituzione".
L'Amministrazione regionale ha eccepito l'inammissibilita' del ricorso
sotto diversi profili (mancata notifica alla controinteressata
Federazione Italiana Scuole Materne - Emilia-Romagna; carenza di
interesse).
Con sentenza parziale 1/4/1997, n. 191 questa Sezione ha in parte
accolto il ricorso (con riferimento alla prima censura), in parte
dichiarato inammissibile il medesimo, con riferimento alla seconda e
terza censura, per mancata notifica alla FISM Emilia-Romagna quale
controinteressata unicamente in relazione a tali specifici profili di
gravame) ed infine rinviato alla Corte Costituzionale, con separata
ordinanza, la questione di legittimita' costituzionale della L.R.
28/9/1995, n. 52 in relazione agli artt. 33. secondo e terzo comma, e
117, primo comma, della Costituzione (quarta e quinta censura).
Con ordinanza 17/3/1998, n. 67, la Corte Costituzionale ha dichiarato
la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita'
costituzionale dianzi indicata, sotto il profilo della carenza di
motivazione sulla rilevanza della questione medesima.
Con successive memorie in data 3 e 9/10/1998 le parti hanno
ulteriormente delineato le rispettive argomentazioni.
La Sezione ha nuovamente rinviato alla Corte Costituzionale, con
ordinanza n. l del 21/4/2000 la questione di legittimita'
costituzionale della legge regionale n. 52 del 1995 per contrasto con
gli artt. 33, primo, secondo e terzo comma e 117, primo comma della
Costituzione, sospendendo nelle more del giudizio incidentale di
costituzionalita' ogni definitiva decisione nel merito.
La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 346 del 5/11/2001, ha
dichiarato nuovamente la manifesta inammissibilita' della questione di
legittimita' costituzionale rimessa al suo esame.
Successivamente il Consiglio di Stato con sentenza n. 880 del
14/2/2002 ha accolto l'appello proposto dalla Regione Emilia-Romagna
ed ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado con
riferimento alla prima censura dedotta che era stata accolta dal
T.A.R. con la sentenza di primo grado n. 191 del 1997 appellata,
rilevando che rimane impregiudicato l'ulteriore corso del giudizio
avuto riguardo al quarto e quinto motivo del ricorso originario.
La causa e' stata nuovamente trattenuta in decisione all'odierna
udienza del 18/10/2007.
DIRITTO
La complessa vicenda processuale assume una nuova configurazione a
seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 880 del 14/2/2002.
Per effetto di detta decisione risultano definiti, con la forza e gli
effetti del giudicato, alcuni aspetti del contendere.
In primo luogo va osservato che permane un concreto interesse alla
decisione finale.
Come rilevato dal Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 880 del
14/2/2002 "anche se l'erogazione dei contributi in contestazione si
riferisce all'anno scolastico 1995, l'Amministrazione ha interesse a
che si riconosca la legittimita' del proprio operato onde evitare, da
un lato il recupero delle somme indebitamente erogate ed il connesso
contenzioso, dall'altro di dover mutare, per il futuro, i propri
indirizzi di politica legislativa".
Il T.A.R. con la sentenza n. 191 dell'1/7/1997, aveva dichiarato
inammissibile la seconda e terza censura ed il Consiglio di Stato ha
confermato la sentenza per questo aspetto.
Il T.A.R. con la sentenza n. 191 dell'1/7/1997 aveva accolto la prima
censura dedotta, rivolta contro la deliberazione regionale n. 97 del
1995, ravvisandone il contrasto con l'art. 5 della legge regionale n.
52 del 1995 e sollevato, con separata ordinanza, la questione di
legittimita' costituzionale sulle norme di legge regionale che
prevedono la possibilita' di erogare finanziamenti alle scuole
private, rilevante con riferimento al quarto e quinto motivo di
ricorso.
Per quanto concerne la prima censura il Consiglio di Stato con la
citata decisione n. 880/2002, in riforma della sentenza del
T.A.R. 19/1/1997, ha rilevato l'inammissibilita' dell'impugnativa
proposta. Il Consiglio di Stato ha rilevato che l'interesse principale
dei ricorrenti e' quello di paralizzare ab imis la possibilita' di
finanziamento alle scuole private e, pertanto, i ricorrenti,
costituiti da alcune confessioni religiose e da un comitato cittadino,
si trovano in una situazione di indifferenza per quanto concerne la
prima censura che riguarda la contestazione sulle concrete modalita'
di riparto dei fondi.
Per quanto concerne, invece, la quarta e quinta censura dedotta, con
le quali si prospetta l'illegittimita' costituzionale della legge
regionale applicata con gli atti impugnati, il Consiglio di Stato con
la sentenza n. 880 del 2002, ha definitivamente accertato la
legittimazione ad agire dei ricorrenti "in quanto gli atti impugnati
ledono in via immediata e diretta la loro sfera giuridica".
In definitiva, come precisato anche dalla sentenza del Consiglio di
Stato n. 880/2002, il presente giudizio va definito avuto riguardo al
quarto e quinto motivo del ricorso originario, essendo preclusa ogni
ulteriore questione con riferimento ai primi tre motivi di ricorso.
Cio' premesso va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata
la questione di legittimita' costituzionale della legge regionale
dell'Emilia Romagna n. 52 del 24/4/1995.
Vero e' che per due volte la Corte Costituzionale con ordinanza n. 67
del 17/3/1998 e con ordinanza n. 346 del 2001 ha dichiarato
inammissibile la questione di legittimita' costituzionale gia'
sollevata sotto il profilo esclusivo della carenza di motivazione in
ordine alla rilevanza della questione medesima ai fini della decisione
della presente controversia.
Tuttavia, le predette pronunce della Corte Costituzionale hanno
entrambe una valenza meramente processuale e non di merito e,
pertanto, non precludono, per la loro natura non specificamente
decisoria, la riproposizione della suindicata questione di
legittimita' costituzionale (in tal senso vedi, per tutte, Corte Cost.
dec. 19-27 luglio 1989, n. 451).
Del resto proprio l'ordinanza n. 346 del 2001 avendo dichiarato
manifestamente inammissibile la questione per difetto di motivazione
dell'ordinanza di rimessione per quanto concerne la rilevanza della
stessa nel giudizio a quo, ne ha logicamente presupposto la sua
astratta riproponibilita'.
Nel concreto, poi, la questione di legittimita' costituzionale della
citata legge regionale n. 52 del 24/4/1995 e' divenuta rilevante al
fine di decidere la presente controversia, per effetto della citata
sentenza del Consiglio di Stato n. 880/2002.
Infatti, come sopra evidenziato il ricorso introduttivo era costituito
da cinque censure.
La seconda e la terza sono state dichiarate inammissibili con la
sentenza di questo TAR n. 191 del 1997, confermata sul punto dal
Consiglio di Stato, mentre la prima censura dedotta, accolta in primo
grado, e' stata dichiarata inammissibile in sede di appello dal
Consiglio di Stato. Quindi, le prime tre censure, per effetto delle
citate sentenze sono state dichiarate inammissibili con decisioni
passate in giudicato.
Come evidenziato anche dal Consiglio di Stato al punto 6 della citata
sentenza n. 880/2002 "rimane impregiudicato l'ulteriore corso del
giudizio di primo grado avuto riguardo al quarto e quinto motivo di
ricorso".
In definitiva il ricorso in parola e' oggi pendente soltanto con
riferimento alla quarta e quinta censura dedotte con il ricorso
originario ed in entrambe si prospettano soltanto, sia pure per
profili diversi, questioni di legittimita' costituzionale della legge
regionale n. 52 del 1995.
Pertanto, o la legge regionale suddetta e' conforme alla Costituzione
ed allora il ricorso dovra' essere automaticamente respinto o la
questione di legittimita' costituzionale e' fondata ed allora il
ricorso sara' automaticamente accolto.
Vero e' che la Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 346 del 5-6
novembre 2001 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale della legge regionale 52 del 1995, gia' sollevata nel
presente giudizio, tuttavia detta pronuncia di puro rito si basava
sulla circostanza che il ricorso di primo grado era gia' stato accolto
con riferimento alla prima censura dedotta e che il giudice a quo
"avrebbe dovuto dar conto del fatto che non si fosse ormai esaurito il
suo potere decisorio, rimanendo come unico oggetto del giudizio le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti".
Orbene, avendo il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 880
del 2002, in riforma della sentenza di questo T.A.R. n. 191 del 1997,
dichiarato inammissibile anche l'impugnativa della prima censura si e'
ora processualmente verificato proprio quanto rilevato dalla stessa
ordinanza della Corte Costituzionale n. 346 del 2001.
Infatti, il presente giudizio non puo' che essere definito sulla base
della questione di legittimita' costituzionale prospettata nella
quarta e quinta censura del ricorso introduttivo.
Cio' e' confermato, in via definitiva, dalla stessa sentenza del
Consiglio di Stato n. 880 del 2002 la quale al punto 6 ha precisato
che "rimane impregiudicato l'ulteriore corso del giudizio di primo
grado avuto riguardo al quarto e quinto motivo di ricorso originario"
statuendo, pertanto che non si e' esaurito il potere decisorio di
questo giudice il cui concreto esercizio, in senso favorevole o
sfavorevole ai ricorrenti, dipendera' esclusivamente dalla fondatezza
o meno della questione di legittimita' costituzionale prospettata con
la quarta e quinta censura.
Pertanto la questione di legittimita' costituzionale della legge
regionale n. 52 del 1995 e' rilevante al fine di decidere
definitivamente la presente controversia.
Quanto alla non manifesta infondatezza va osservato che la parte
ricorrente delinea, con la quarta e quinta censura, la illegittimita'
derivata dell'impugnata delibera per l'asserita incostituzionalita'
della L.R. n. 52 del 1995 nel suo complesso a causa dello stretto
legame intercorrente tra le norme della stessa, per violazione degli
artt. 33 e 117 primo comma della Costituzione, nel testo vigente prima
della riforma del titolo V della Costituzione.
Si afferma, in particolare, che il legislatore regionale -
fuoriuscendo dall'ambito della competenza assegnatagli dalla
Costituzione, che limita il suo intervento all'assistenza scolastica
ed airistruzione artigiana e professionale - ha inteso disciplinare la
materia dell'istruzione. Di cio' si avrebbe conferma dallo stesso
titolo della legge in esame ("Diritto allo studio e qualificazione del
sistema integrato pubblico-privato delle scuole dell'infanzia")
sostitutivo del precedente titolo della L.R. n. 6/1983 ("diritto allo
studio") di cui la prima costituisce integrazione ed ampliamento.
Il legislatore regionale inoltre - mediante il riconoscimento di
contributi di spesa corrente e di investimento a sostegno diretto
delle scuole private d'infanzia e della loro gestione - avrebbe
manifestamente violato la disposizione di cui all'art. 33, terzo
comma, della Costituzione che riconosce bensi' ad enti e privati il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, purche' senza
oneri per lo Stato.
Il Collegio ritiene che tale questione di legittimita' costituzionale
non sia manifestamente infondata in entrambi i profili dianzi
indicati, per le considerazioni che seguono.
Quanto al profilo relativo all'asserita illegittimita' costituzionale
della legislazione regionale di riferimento per violazione dell'art.
117, primo comma, della Costituzione, va preliminarmente rilevato che
quest'ultima norma include fra le materie di competenza legislativa
regionale, tra le altre, l'istruzione artigiana e professionale e
l'assistenza scolastica. Cio' posto, appare evidente come la materia
in esame non riguardi ne' l'uno ne' l'altro comparto. In particolare,
per quanto attiene al comparto dell'assistenza scolastica, il D.P.R.
24 luglio 1977, n. 616 - all'art. 42 - stabilisce che "le funzioni
amministrative relative alla materia (. . .) concernono tutte le
strutture, i servizi e le attivita' destinate a facilitare mediante
erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o
collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche
o private, (. . .) l'assolvimento dell'obbligo scolastico nonche', per
gli studenti capaci e meritevoli ancorche' privi di mezzi, la
prosecuzione degli studi". Ne discende che l'assistenza scolastica e'
materia distinta, ancorche' collegata strettamente a quella
dell'istruzione, poiche' essa attiene all'insieme di misure e
provvidenze dirette a facilitare, per poterlo rendere effettivo, il
diritto allo studio nel suo fondamento materiale (Corte
Costituzionale, dec. 22 gennaio 1982, n. 36. in motivazione: Id., dec.
1 febbraio 1967 n. 7; Id. dec. 2 luglio 1968 n. 106). Essa, pertanto,
riguarda esclusivamente l'erogazione di sussidi e provvidenze
direttamente a favore degli alunni, mentre invece nel caso in esame la
Legge regionale n. 52/1995 prevede l'erogazione di un sostegno
finanziario, mediante contributi di spesa corrente e di investimento,
direttamente a favore delle scuole private d'infanzia (art. 3 e 5 L.
cit.).
Ne' le provvidenze ed i sussidi previsti dalla Legge regionale in
esame potrebbero rientrare - diversamente da quel che opina
l'Amministrazione resistente (v. allegato n. 2 alla memoria 3/10/1998)
- nell'ambito della materia della beneficenza pubblica, anch'essa
ricompresa dall'art. 117, primo comma, tra le materie di competenza
legislativa regionale. Il D.P.R. 24 luglio 1997 n. 616 - all'art. 22 -
stabilisce infatti che "le funzioni amministrative relative alla
materia (. . .) concernono tutte le attivita' che attengono, nel
quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione ed erogazione dei
servizi gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche, sia in
denaro che in natura, a favore dei singoli, o di gruppi, qualunque sia
il titolo in base al quale sono individuati i destinatari, anche
quando si tratti di forme di assistenza a categorie determinate" e -
nel successivo art. 23 ("specificazione") - precisa che "sono comprese
nelle funzioni amministrative di cui all'articolo precedente le
attivita' relative: a) all'assistenza economica in favore delle
famiglie bisognose dei defunti e delle vittime del delitto: b)
all'assistenza post-penitenziaria; c) agli interventi in favore di
minorenni soggetti a provvedimenti delle autorita' giudiziarie
minorili nell'ambito della competenza amministrativa e civile; d) agli
interventi di protezione speciale di cui agli artt. 8 e ss. della
legge 20 febbraio 1958, n. 75".
Ne discende che la materia predetta ha direttamente per destinatari
persone fische - come singoli o per gruppi e categorie - in condizioni
di rilevante disagio sociale ed ha conseguentemente caratteri
costitutivi fortemente differenziati rispetto ad un intervento
legislativo regionale - quale quello in esame - diretto ad assicurare
invece sostegno finanziario in via continuativa sotto forma di
contributi di spesa corrente e di investimento a favore delle scuole
private d'infanzia e comunque indipendentemente dalle condizioni di
bilancio di queste ultime.
Va anche aggiunto che lo stesso Statuto della Regione Emilia-Romagna,
vigente al momento di emanazione della legge n. 52 del 1995, collegava
le residuali competenze regionali in materia scolastica alla finalita'
esclusiva di"rendere effettivo il diritto allo studio ed alla cultura
fino ai livelli piu' alti (art. 2, comma 3, lett. e).
Il Colletto rileva, pertanto, che l'intervento legislativo regionale
in oggetto non appare rientrare in alcuna delle materie riservate
alla competenza regionale dall'art. 117, primo comma della
Costituzione, nel testo vigente prima della riforma del titolo V della
stessa.
Ma vi e' di piu'. Tale intervento legislativo - nel perseguire
espressamente "l'obiettivo di realizzare un sistema integrato delle
scuole dell'infanzia basato sul progressivo coordinamento e sulla
collaborazione fra le diverse offerte educative, in una logica di
qualificazione delle stesse che sappia valorizzare competenze, risorse
e soggetti pubblici e privati" (art. 2, L. R. 52/1995) - attiene
specificamente alla materia dell'istruzione che era preclusa alla
competenza regionale (ad eccezione dell'istruzione artigiana e
professionale) dall'art. 117, primo comma, della Costituzione ed
era invece riservata allo Stato (a cui spetta dettare le norme
generali sull'istruzione) dall'art. 33, secondo comma, della
Costituzione.
Che la disciplina concernente le scuole dell'infanzia attenga
specificamente alla materia dell'istruzione, appare discendere - ad
avviso del Collegio - da una molteplicita' univoca di elementi di
valutazione.
Sin dalla L. 24 luglio 1962 n. 1073 (avente ad oggetto "Provvedimenti
per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962 al 1965") si fa
espressamente menzione - al titolo II, artt. 31 e ss. - "di
provvidenze per lo sviluppo di particolari istituzioni scolastiche",
includendovi il complesso delle scuole materne statali e non (art. 31)
oltre che altri istituti scolastici come le scuole speciali per
minorati psicofisici e per la rieducazione sociale e le classi
differenziali presso le scuole comuni (art. 32,) i corsi della scuola
popolare contro l'analfabetismo e per l'educazione degli adulti (art.
36). ecc.
Successivamente, la L. 18 marzo 1968 n. 444 (in tema di "ordinamento
della scuola materna statale") prescrive che tale scuola "si propone
fini di educazione, di sviluppo della personalita' infantile, di
assistenza e di preparazione alla frequenza della scuola dell'obbligo,
integrando l'opera della famiglia" (art. l, secondo comma) e che "gli
orientamenti dell'attivita' educativa nelle scuole materne statali
sono emanati (. . .) su proposta del Ministro della Pubblica
Istruzione, sentita la terza sezione del Consiglio superiore della
pubblica istruzione" (art. 2 cpv); inoltre "e' garantita ad ogni
insegnante piena liberta' didattica nell'ambito degli orientamenti
educativi previsti dal precedente comma" (art. 2. secondo comma).
Ed ancora il D.lgs. 16 aprile 1994 n. 297 (in tema di "approvazione
del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di
istruzione, relative alle scuole di ogni grado") nel confermare le
disposizioni generali dianzi indicate, include espressamente il
titolo relativo alla scuola materna (artt. 99 e ss.) nell'ambito della
parte II relativa all'ordinamento scolastico, su proposta del
Ministero della Pubblica Istruzione ed acquisito il parere delle
competenti Commissioni permanenti della Camera dei Deputati e del
Senato.
Infine, il D.M. 3 giugno 1991 - adottato dal Ministro della Pubblica
Istruzione, udito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione -
nel definire gli orientamenti dell'attivita' educativa nelle scuole
materne statali, rileva nella premessa come "la legge n. 444/1968 ha
consentito (. . .) una piu' definita consapevolezza delle funzioni
della scuola materna, che si configura ormai come il primo grado del
sistema scolastico" e nella parte II ("il bambino e la sua scuola")
riconosce che "la scuola dell'infanzia concorre, nell'ambito del
sistema scolastico, a promuovere la formazione integrale della
personalita' dei bambini dai tre ai sei anni, nella prospettiva della
formazione di soggetti liberi, responsabili ed attivamente
partecipi".
Conclusivamente sul punto, ritiene dunque il Collegio che la finalita'
costitutiva di formazione della personalita' degli allievi, la
connessa liberta' di insegnamento dei docenti e la stessa definizione
degli orientamenti educativi da parte degli organi interni del
Ministero funzionalmente competente in materia concorrano univocamente
al riconoscimento che qualsiasi normativa direttamente attinente
all'attivita' e gestione delle scuole dell'infanzia si configura
necessariamente come normativa in materia di istruzione, come tale
preclusa (nel comparto in esame) alla competenza legislativa regionale
dall'art. 117 primo comma della Costituzione, antecedentemente alla
riforma del titolo V della Costituzione.
Quanto, infine, al profilo relativo all'asserita illegittimita'
costituzionale della legislazione regionale di riferimento per
violazione degli artt 33, primo e terzo comma della Costituzione, va
preliminarmente rilevato che tali disposizioni stabiliscono da un lato
il principio della liberta' di insegnamento e dall'altro il principio
della liberta' di istituzione di scuole ed istituti di educazione
senza oneri per lo Stato.
Cio' posto, ritiene il Collegio che - rientrando le scuole d'infanzia
nell'amplissima nozione costituzionale dianzi indicata e relativa al
complesso sia delle scuole sia degli istituti di educazione, per le
considerazioni sopra indicate e per la connotazione specificamente
formativa della personalita', e quindi educativa, che le scuole
d'infanzia necessariamente possiedono - la previsione di un sostegno
finanziario direttamente a favore delle scuole d'infanzia private per
contributi di spesa corrente e di investimento, come previsto dagli
artt. 3 e 5 L. r. n. 52/1995, appaia in contrasto con il divieto
costituzionale di oneri finanziari in materia a carico del bilancio
pubblico. Un divieto che - secondo l'orientamento della Corte
Costituzionale (dec. 20 dicembre 1994 n. 454 in motivazione) -
non risulta violato unicamente nell'ipotesi in cui la prestazione
pubblica di sostegno abbia come destinatari diretti gli alunni e non
le scuole private.
Inoltre ritiene il Collegio che ogni contribuzione pubblica - ove
rivolta direttamente a favore della gestione di scuole ed istituti di
educazione privati - contenga il rischio elevato di una ingerenza
sull'organizzazione della scuola stessa.
E piu' la contribuzione concessa e' significativa - nel caso in esame
l'impugnata delibera regionale prevede uno stanziamento annuale a tal
fine di Lire 3.000.000.000 (tre miliardi) - tanto maggiore sara' il
rischio sopraindicato, nel senso che il necessario controllo sulle
concrete modalita' d'uso delle risorse pubbliche assegnate, ancorche'
formalmente rivolto a profili estranei all'insegnamento puo' nella
sostanza condizionare, ove particolarmente penetrante, anche
quest'ultimo, come gia' rilevato nelle precedenti ordinanze di
rimessione 1/4/1997 n. l e 21/4/2000, n. l di questa Sezione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna - Sede di
Bologna, Sezione Seconda, dichiara rilevante e non manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 33. primo, secondo e terzo comma e
117, primo comma, della Costituzione, quest'ultima nel testo vigente
anteriormente alla riforma del titolo V della Costituzione operato con
la legge costituzionale n. 3/2001, la questione di legittimita'
costituzionale della Legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 52 del 24
aprile 1995. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte
Costituzionale, e dispone che - a cura della Segreteria della Sezione
- la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al
Presidente della Giunta regionale dell'Emilia-Romagna, al Presidente
del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Consiglio
regionale della medesima Regione e ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento.
Cosi' deciso in Bologna, il giorno 18/10/2007
IL PRESIDENTE
G. Mozzarelli
CONSIGLIERE REL. EST.
U. Di Benedetto
Depositata in Segreteria ai sensi dell'art. 55, L. 18/4/1982, n. 186.