CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA 6 FEBBRAIO 2006, N. 49

Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 26, comma 4; 29, comma 2 (e ivi richiamato art. 8, comma 3); 32; 33, commi 1, 2, 3 (eccettuata lettera d) e 4; 34, commi 1 e 2, lettera a), della Legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all'articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326); promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri

In nome del popolo italiano la Corte Costituzionale composta dai
signori:
Franco Bile, Presidente; Giovanni Maria Flick, Francesco Amirante, Ugo
De Siervo, Romano Vaccarella, Paolo Maddalena, Alfio Finocchiaro,
Alfonso Quaranta, Franco Gallo, Luigi Mazzella, Gaetano Silvestri,
Sabino Cassese, Maria Rita Saulle, Giuseppe Tesauro, giudici
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 26, comma 4;
29, comma 2 (e ivi richiamato art. 8, comma 3); 32; 33, commi 1, 2, 3
(eccettuata lettera d) e 4; 34, commi 1 e 2, lettera a), della legge
della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e
controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa
statale di cui all'articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito con modifiche dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326);
dell'articolo 2, commi 1, 2, 5, lettera c), e 6, della legge della
Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria
edilizia straordinaria); dell'articolo 3, commi 1, 2 e 3, della legge
della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria
degli abusi edilizi); degli articoli 1, comma 1, limitatamente alle
parole "salvo quanto disposto dalla presente legge", 2, commi 1 e 2;
3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31
(Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi); dell'articolo
3, commi 1, lettera a) e c), e 3, della legge della Regione Veneto 5
novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio);
degli articoli 19; 20, comma 1, lettera a) e c); 21, comma 1, lettere
c), d), e) ed h), e 27, comma 4, della legge della Regione Umbria 3
novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilita', sanzioni
e sanatoria in materia edilizia); e degli articoli 1; 3 (eccettuate le
lettere b) e d) del comma 2); 4; 6, commi 1, 2 e 5; 8, della legge
della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria
degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269,
articolo 32 cosi' come modificato dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326
di conversione e successive modifiche ed integrazioni), promossi con
ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri, notificati il 20,
il 27, il 29 dicembre 2004, il 7 e il 13 gennaio 2005 e depositati in
Cancelleria il 23, il 30 dicembre 2004 e il 7, l'11 e il 19 gennaio
2005 ed iscritti ai nn. 114 e 115 del registro ricorsi 2004 e ai nn.
2, 3, 7, 8 e 9 del registro ricorsi 2005.
Visti gli atti di costituzione delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana,
Marche, Lombardia, Veneto, Umbria e Campania;
udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 2005 il Giudice relatore
Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei
Ministri, Giandomenico Falcon e Fabio Dani per la Regione
Emilia-Romagna, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana,
Stefano Grassi per la Regione Marche, Beniamino Caravita di Toritto
per la Regione Lombardia, Bruno Barel per la Regione Veneto, Giovanni
Tarantini per la Regione Umbria e Vincenzo Cocozza per la Regione
Campania.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso n. 114 del 2004, notificato il 20 dicembre 2004 e
depositato il 23 dicembre 2004, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
ha impugnato alcune disposizioni della legge regionale
dell'Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo
dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui
all'articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con
modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), e segnatamente l'art.
26, comma 4, l'art. 29, comma 2 (e, per quanto ivi richiamato, l'art.
8, comma 3), l'art. 32, l'art. 33, commi da 1 a 4 (eccettuata, nel
comma 3, la lettera d), l'art. 34, commi 1 e 2 (con esclusione delle
lettere b, c, ed e del comma 2).
Con ricorso n. 115 del 2004, notificato il 27 dicembre 2004 e
depositato il 30 dicembre 2004, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato l'art. 2, commi 1, 2, 5 (limitatamente alla
lettera c) e 6, della Legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n.
53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria).
Con ricorso n. 2 del 2005, notificato il 29 dicembre 2004 e depositato
il 7 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato l'art. 3 (eccettuato il comma 4) della Legge della Regione
Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi
edilizi).
Con ricorso n. 3 del 2005, notificato il 29 dicembre 2004 e depositato
il 7 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato l'art. 1, comma 1 (limitatamente alle parole "salvo quanto
disposto dalla presente legge"), l'art. 2, commi 1 e 2, e l'art. 3,
comma 1, della Legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31
(Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi).
Con ricorso n. 7 del 2005, notificato il 7 gennaio 2005 e depositato
in data 11 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato l'art 3, commi 1, lettera a) e c), e 3, della Legge della
Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di
condono edilizio).
Con ricorso n. 8 del 2005, notificato il 7 gennaio 2005 e depositato
in data 11 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato la legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme
sulla vigilanza, responsabilita', sanzioni e sanatoria in materia
edilizia), limitatamente all'art. 20, comma 1, lettere a) e c);
all'art. 21, comma 1, lettere c), d) e) ed h); agli artt. 19 e 27,
comma 4 (tali ultime due disposizioni sono impugnate in virtu' della
loro asserita "connessione" con le altre).
Con ricorso n. 9 del 2005, notificato il 13 gennaio 2005 e depositato
il 19 gennaio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato l'art. 1, l'art. 3 (eccettuate le lettere b e d del comma
2), l'art. 4, l'art. 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e l'art. 8 della
legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla
sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269, articolo 32, cosi' come modificato dalla Legge 24
novembre 2003, n. 326, di conversione e successive modifiche ed
integrazioni).
Le disposizioni impugnate, nella prospettazione del ricorrente,
incorrerebbero nella violazione degli artt. 3 (sotto diversificati
profili), 42, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e), 1), s), 117,
terzo comma, 119 della Costituzione, nonche' del principio di
autonomia degli enti locali.
Inoltre, per cio' che riguarda tutte le disposizioni impugnate della
legge n. 10 del 2004 della Regione Campania, il ricorrente rileva che
questa legge sarebbe stata emanata il 18 novembre 2004, e dunque
quando era oramai scaduto il termine del 12 novembre 2004 stabilito
dall'art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168
(Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica),
convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191.
Pertanto si dovrebbe verificare la legittimita' costituzionale di
tutte le disposizioni impugnate alla luce dell'art. 117, terzo comma,
Cost. e del principio di "leale collaborazione".
2. In particolare, in relazione alla legge regionale
dell'Emilia-Romagna n. 23 del 2004, l'Avvocatura generale dello Stato
afferma la illegittimita' costituzionale:
a) dell'art. 26, comma 4, il quale dispone che "le opere edilizie
autorizzate e realizzate in data antecedente all'entrata in vigore
della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilita' dei
suoli), che presentino difformita' eseguite nel corso dell'attuazione
del titolo edilizio originario, si ritengono sanate, fermo restando il
rispetto dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza", poiche'
violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., dal momento che
introdurrebbe - peraltro in contrasto con la tendenza alla riduzione
dell'ambito applicativo della sanatoria propria di altre norme della
stessa legge regionale - "una sanatoria straordinaria gratuita ed ope
legis non sorretta da alcun principio fondamentale determinato dallo
Stato, e contrastante con le esigenze della finanza pubblica"; inoltre
la medesima norma violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe
una discriminazione tra i proprietari basata sulla diversa
collocazione temporale degli illeciti, consentendo la sanatoria ex
lege solo per quelli piu' risalenti nel tempo;
b) e
c) dell'art. 29, comma 2, il quale stabilisce che "qualora in sede di
definizione della domanda di sanatoria o di controlli successivi alla
stessa sia accertato che la asseverazione del professionista
abilitato" contenga dichiarazioni non veritiere, rilevanti ai fini del
conseguimento del titolo, "trova applicazione quanto disposto
dall'articolo 8, comma 3", nonche' dell'art. 8, comma 3, per quanto
richiamato dall'art. 29, secondo il quale "nel caso in cui il titolo
abilitativo contenga dichiarazioni non veritiere del progettista
necessarie ai fini del conseguimento del titolo stesso,
l'Amministrazione comunale ne da' notizia all'Autorita' giudiziaria
nonche' al competente Ordine professionale, ai fini dell'irrogazione
delle sanzioni disciplinari", in quanto entrambe le summenzionate
disposizioni violerebbero l'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in relazione alla materia dell'"ordinamento civile e penale",
nonche' dell'art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbero
con la competenza statale concorrente in materia di "professioni";
d) dell'art. 32, il quale disciplina in linea generale gli interventi
non ammessi a sanatoria, aggiungendo a quelli ritenuti tali dalla
normativa statale di principio, anche gli interventi e le opere "per
la cui realizzazione siano stati utilizzati contributi pubblici
erogati successivamente al 1995 a qualunque titolo dallo Stato, dalla
Regione e dagli enti locali", nonche' gli interventi realizzati su
unita' abitative gia' oggetto di titolo in sanatoria, ai sensi dei
Capi IV e V della Legge n. 47 del 1985 o dell'art. 39 della Legge n.
724 del 1994, "per la regolarizzazione amministrativa di interventi di
nuova costruzione o di ristrutturazione nonche' interventi di
ampliamento o soprelevazione che abbiano comportato nuove unita'
immobiliari". Tale disposizione violerebbe gli artt. 3, primo comma,
42, 117 e 119 Cost., in quanto la previsione di ulteriori (rispetto a
quelle previste dalla legislazione statale) condizioni ostative
all'ammissibilita' della sanatoria contrasterebbe con la normativa
statale di principio, con il principio di uguaglianza e con la
disciplina costituzionale della proprieta' privata, determinando una
irragionevole discriminazione "tra proprietari di edifici ed anche tra
autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi";
e) dell'art. 33, comma 1, il quale dispone che "in tutto il territorio
della Regione non e' ammesso il rilascio dei titoli in sanatoria per
la costruzione di nuovi manufatti edilizi fuori terra o interrati
realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con le
prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31
marzo 2003". Tale disposizione violerebbe l'art. 117, terzo comma,
Cost., perche', escludendo dalla assoggettabilita' al condono edilizio
i nuovi manufatti, contrasterebbe con la norma statale di principio di
cui all'art. 32, comma 25, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici), convcrtito, con modificazioni,
dall'art. 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo la quale
non puo' essere esclusa - ma, eventualmente, soltanto delimitata - la
sanabilita' delle nuove costruzioni residenziali di modeste dimensioni
realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici. Contrasterebbe,
inoltre, con l'art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost.., in
quanto inciderebbe nelle materie -affidate alla competenza esclusiva
dello Stato - "dei rapporti con l'Unione europea", della "moneta" e
"del sistema tributario e contabile dello Stato", nonche' con l'art.
117, terzo comma, con l'art. 119 Cost. e la potesta' statale di
coordinamento della finanza pubblica, con l'art. 81 Cost. in quanto
inciderebbe negativamente sulla copertura finanziaria di molte leggi
di spesa che "fanno affidamento sul gettito del condono edilizio",
determinando una "indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del
Paese nel suo insieme"; con l'art. 3, Cost., in quanto la restrizione
dell'ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio
comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza; con l'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. relativamente alla competenza
statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal
momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe
nella Regione, per effetto dell'applicazione della norma impugnata, un
diverso trattamento giudiziario;
f) dell'art. 33, commi 2 e 3, nella parte in cui riduce in modo
sostanziale l'ammissibilita' della sanatoria per gli ampliamenti e le
sopraelevazioni, discostandosi dai limiti previsti dall'art. 32, comma
25, decreto-legge n. 269 del 2003. Tale disposizione violerebbe l'art.
117, terzo comma, Cost., perche', riducendo irrazionalmente e
irragionevolmente l'ambito degli interventi ammessi al condono
edilizio, contrasterebbe con l'art. 32, comma 25, del decreto-legge n.
269 del 2003, l'art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), l'art. 117,
terzo comma, nonche' l'art. 119 Cost., in quanto ridurrebbe il gettito
finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in
tal modo incidendo su materie di competenza statale esclusiva
("rapporti dello Stato con l'Unione Europea", "moneta") e concorrente
("coordinamento della finanza pubblica"); l'art. 81 Cost. in quanto
avrebbe effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa
che "fanno affidamento sul gettito del condono edilizio", determinando
una "indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del Paese nel suo
insieme"; l'art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell'ambito
applicativo della disciplina statale del condono edilizio
comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza; l'art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost. in relazione alla competenza statale
esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che
la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe, per effetto
dell'applicazione della norma impugnata, un diverso trattamento
giudiziario; l'art. 3 Cost. nella parte in cui introduce, per gli
edifici bifamiliari (art. 32, comma 3, lettera b), un limite (100
metri cubi) irragionevolmente piu' severo rispetto a quello (cento
metri quadrati) "che segna il confine tra la nozione di variazione
essenziale e quella di parziale difformita' (per l'Emilia-Romagna,
art. 23 della legge reg. 25 novembre 2002, n. 31)";
g) dell'art. 33, comma 3 (ad eccezione della lettera d), concernente
gli ampliamenti e le sopraelevazioni di manufatti esistenti, e
dell'art. 34, comma 2, concernente gli interventi di ristrutturazione
edilizia, nella parte in cui ammettono (soltanto) la sanatoria
straordinaria di interventi edilizi "che siano conformi alla
legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli
strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003", poiche'
violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
contrasterebbero con la normativa statale di principio relativa alla
individuazione degli interventi ammissibili a sanatoria, non essendo
chiara la portata del requisito della conformita' alla legislazione
urbanistica e potendo esso determinare una ridottissima possibilita'
di applicazione del condono, anche in relazione ad abusi minori;
h) dell'art. 33, comma 4, il quale stabilisce che "qualora gli
ampliamenti di cui al comma 3, lettera a), punto 1), riguardino
edifici con originaria funzione diversa da quella abitativa, tali
immobili sono obbligati a mantenere una destinazione d'uso non
abitativa nei venti anni successivi alla data di entrata in vigore
della presente legge", nella parte in cui vincola per venti anni la
destinazione d'uso degli immobili condonati, poiche' violerebbe gli
artt. 3,117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma,
119, 81 Cost., "l'autonomia degli enti locali in relazione
all'esercizio della potesta' urbanistica", l'art. 42 Cost. e la
disciplina costituzionale della proprieta' privata;
i) e
l) dell'art. 34, comma 1, il quale esclude dalla sanatoria gli
interventi di ristrutturazione edilizia "realizzati in contrasto con
la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003, fatto salvo quanto
disposto dal comma 2", senza "distinguere tra ristrutturazioni per le
quali e' necessario permesso di costruire e ristrutturazioni a
volumetria e superficie utile lorda invariate" (che non comportano, di
regola, alterazioni del carico urbanistico, e dunque non implicano
oneri per la riqualificazione urbana a carico delle comunita' locali),
nonche' dell'art. 34, comma 2, il quale ammette a sanatoria gli
interventi di ristrutturazione purche' ricorrano le condizioni
elencate e siano conformi alla legislazione urbanistica, ed in
particolare, la lettera a), la quale ammette a sanatoria gli
interventi di ristrutturazione edilizia che "non comportino aumento
delle unita' immobiliari, fatte salve quelle ottenute attraverso il
recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali
bifamiliari e monofamiliari", poiche' violerebbero l'art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di
principio che non prevede tali limitazioni.
3. - Con riguardo alla legge regionale della Toscana n. 53 del 2004,
l'Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
a) dell'art. 2, comma 1, nella parte in cui ammette alla sanatoria
edilizia soltanto "le opere e gli interventi (. . .) realizzati con
variazioni essenziali dal titolo abilitativo o comunque in difformita'
rispetto ad esso", escludendo dall'ambito di applicazione del condono
gli immobili realizzati in assenza di permesso di costruire, ed
inoltre, nella parte in cui subordina la sanabilita' al "rispetto dei
limiti indicati dal comma 2". Tale disposizione violerebbe l'art. 117,
terzo comma, Cost., in quanto, nel circoscrivere i limiti di
volumetria e nell'escludere del tutto tipologie di abusi dall'ambito
degli interventi ammessi alla sanatoria, contrasterebbe con il
principio fondamentale posto dalle norme statali concernenti il
condono edilizio che consente alle Regioni soltanto la possibilita' di
"specificare i limiti (quantitativi e - non) della sanabilita'",
nonche' di "limare entro margini di ragionevole tollerabilita' (. . .)
le volumetrie massime previste dal legislatore statale"; l'art. 117,
secondo comma, lettere a) ed e), Cost, in quanto inciderebbe nelle
materie - affidate alla competenza esclusiva dello Stato - dei
"rapporti con l'Unione europea", della "moneta" e del "sistema
tributario e contabile dello Stato"; l'art. 117, terzo comma, e l'art.
119 Cost. e la potesta' statale di coordinamento della finanza
pubblica; l'art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe il gettito
derivante dal condono edilizio sul quale piu' leggi del Parlamento
farebbero affidamento, ledendo "le potesta' statali di governo della
finanza pubblica", e potendo "essere considerato indebita turbativa
dell'equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme"; l'art. 3 Cost.
ed il principio di eguaglianza; l'art. 117, comma 2, lettera l),
Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale in esso prevista
nelle materie dell'ordinamento civile e penale, in ragione della
"asistematicita'" delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni
sarebbero chiamati a rendere in applicazione della normativa
impugnata;
b) dell'art. 2, comma 2, che individua gli interventi non suscettibili
di sanatoria, poiche' violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost. in
quanto si discosterebbe "eccessivamente" e "irrazionalmente", dai
"limiti quantitativi" alla sanabilita' di ampliamenti e
ristrutturazioni, previsti dall'art. 32, comma 25, del decreto-legge
n. 269 del 2003; violerebbe, altresi', l'art. 117, secondo comma,
lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie -
affidate alla competenza esclusiva dello Stato - dei "rapporti con
l'Unione europea", della "moneta" e del "sistema tributario e
contabile dello Stato"; l'art. 117, terzo comma, e l'art. 119 Cost. e
la potesta' statale di coordinamento della finanza pubblica; l'art. 81
Cost., in quanto comprimerebbe il gettito derivante dal condono
edilizio sul quale piu' leggi del Parlamento farebbero affidamento,
ledendo "le potesta' statali di governo della finanza pubblica", e
potendo "essere considerato indebita turbativa dell'equilibrio
finanziario del Paese nel suo insieme"; l'art. 3 Cost. ed il principio
di eguaglianza; l'art. 117, comma 2, lettera l), Cost., in relazione
alla competenza esclusiva statale in esso prevista nelle materie
dell'ordinamento civile e penale, in ragione della "asistematicita'"
delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero
chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata;
c) dell'art. 2, comma 5, lettera c), il quale esclude del tutto dalla
sanatoria "le opere e gli interventi in contrasto con le destinazioni
d'uso ammesse, nella zona interessata, dagli strumenti urbanistici
vigenti al momento dell'entrata in vigore" della medesima legge,
poiche' violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost, introducendo "un
limite non sorretto da (un) principio determinato dal legislatore
statale", nonche' in quanto consentirebbe, "nella concreta
applicazione" della normativa, "discrezionalita' non compatibili con
la 'meccanica' di un condono edilizio";
d) dell'art. 2, comma 6, ai sensi del quale, "qualora i vincoli di cui
al comma 4 e al comma 5, lettera a), siano istituiti dopo l'entrata in
vigore della presente legge, si applica quanto previsto dall'articolo
32 della Legge 47/85. Si applica ugualmente l'articolo 32 della Legge
47/85 per la sanatoria delle opere di cui al comma 5, lettera a),
conformi agli strumenti urbanistici", laddove sembra attribuire ai
vincoli istituiti dopo l'entrata in vigore della legge de qua "la
forza di impedire la sanatoria straordinaria", poiche' violerebbe gli
artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost; l'art. 3 Cost., in
quanto il principio di eguaglianza sarebbe "irrazionalmente leso dalla
facolta' (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo
discrezionale l'affidamento del cittadino che autodenuncia l'abuso
edilizio"; l'art. 97 Cost. ed i principi di imparzialita' e buon
andamento dell'amministrazione.
4. - In relazione alla legge regionale della Regione Marche n. 23 del
2004, l'Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
a) dell'art. 3, commi 1 e 3, nella parte in cui introduce limiti
quantitativi all'ambito degli interventi ammessi alla sanatoria
straordinaria, riducendo le volumetrie massime assentibili ed
escludendo quasi del tutto la sanatoria per le nuove costruzioni
residenziali, in tal modo ponendosi in contrasto con i principi
stabiliti dalla legislazione statale, poiche' violerebbe gli artt. 81,
117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost.
(per le medesime ragioni invocate nei ricorsi n. 114 e n. 115 del
2004), nonche' l'art. 3 Cost. in quanto alterna in modo "poco
razionale" "misure di volumetria a misure di superficie", senza
specificare se si tratta di superficie utile lorda o netta, ed in
quanto sopprime "la essenziale distinzione tra nuove costruzioni e
ampliamenti" ed inoltre per aver "fatto ricorso soltanto a limiti
massimi espressi in cifre assolute";
b) dell'art. 3, nella parte in cui - per effetto della soppressione
del limite del 30 per cento della volumetria e del limite di 3.000
metri cubi previsti dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003,
nonche' a causa della mancata differenziazione delle nuove costruzioni
non residenziali - estende l'ambito della sanabilita', in quanto
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale
attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia dello
"ordinamento civile e penale".
5. Con riguardo alla legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004,
l'Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
a), b), c) e d)
dell'art. 2, comma 1, nella parte in cui esclude dalla sanatoria
straordinaria le "nuove costruzioni, residenziali e non, qualora
realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi
agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in
vigore della presente legge"; della medesima disposizione, nella parte
in cui appare escludere anche le opere realizzate in totale
difformita' dal titolo o con variazioni essenziali; ancora dell'art.
2, comma 1, nella parte in cui riduce - in relazione agli ampliamenti
- i limiti massimi di volumetria aggiuntiva ammessi a sanatoria
straordinaria, consentendoli solo ove contenuti entro il "20 per cento
della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, di
500 metri cubi"; dell'art. 2, comma 2, il quale, nello stabilire che
"non sono suscettibili di sanatoria i mutamenti di destinazione d'uso,
qualora superiori a 500 metri cubi per singola unita' immobiliare e
non conformi alle previsioni urbanistiche comunali vigenti alla data
di entrata in vigore della presente legge", pone due differenti
limiti, ulteriori a quelli stabiliti dalla normativa statale, alla
sanabilita' dei mutamenti di destinazione d'uso, "senza distinguere
tra mutamenti implicanti opere ed altri mutamenti e tra mutamenti
incidenti sui carichi urbanistici ed altri mutamenti".
Le indicate disposizioni, secondo il ricorrente, violerebbero gli
artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo
comma, e 119 Cost. per le medesime ragioni invocate nei ricorsi nn.
114 e 115 del 2004;
e) dell'art. 3, comma 1, ove "considerato esaustivo ed a se stante"
rispetto alla legislazione statale, e dunque, "interpretabile a
contrario" nel senso di consentire un ampliamento dell'ambito della
sanatoria, poiche' violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto sarebbe contrastante "con il principio posto dall'art. 32,
comma 27, lettera d)", del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e
l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto invaderebbe
l'ambito della competenza statale esclusiva in materia di "ordinamento
civile e penale".
6. - In relazione alla legge della Regione Veneto n. 21 del 2004,
l'Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
a) dell'art. 3, comma 1, lettera a), il quale ammette a sanatoria "le
tipologie di opere di cui all'allegato 1 della legge sul condono" a
condizione che "gli ampliamenti di costruzioni a destinazione
industriale, artigianale e agricolo-produttiva non superino il 20 per
cento della superficie coperta fino ad un massimo di 450 metri
quadrati di superficie lorda di pavimento", poiche' violerebbe l'art.
117, terzo comma, Cost, in quanto, individuando i limiti quantitativi
degli abusi sanabili con riferimento alla superficie e non al volume,
renderebbe possibile il superamento del limite di 750 metri cubi
fissato dall'art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, in
contrasto con i principi fondamentali della materia "governo del
territorio" individuati dalla sentenza di questa Corte n. 196 del 2004
nella disciplina statale posta dall'art. 32 del decreto-legge n. 269
del 2003, ed in particolare con il limite massimo delle volumetrie
sanabili ivi indicato; nonche' l'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in quanto, estendendo l'ambito della sanabilita',
determinerebbe una palese invasione della competenza statale in
materia di "ordinamento civile e penale";
b) dell'art. 3, comma 1, lettera e), il quale, nella parte in cui
dispone che "le tipologie di opere di cui all'Allegato 1 della legge
sul condono sono suscettibili di sanatoria edilizia a condizione che
(. . .) c) le nuove costruzioni siano pertinenze di fabbricati
residenziali prive di funzionalita' autonoma, fino ad un massimo di
300 metri cubi", esclude dal condono edilizio le "nuove costruzioni
residenziali" diverse da quelle pertinenziali e aventi volumetria non
superiore a 300 metri cubi, poiche' violerebbe l'art. 117, terzo
comma, Cost, in quanto contrasterebbe con "un principio determinato
dal legislatore statale" nonche' con la "configurabilita'" - che
sarebbe stata ammessa anche dalla Corte Costituzionale - "di una
sanatoria straordinaria di illeciti urbanistici"; violerebbe, inoltre,
l'art. 117, terzo comma, l'art. 119 Cost. e la competenza statale in
materia di coordinamento della finanza pubblica; l'art. 117, secondo
comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe sulla competenza
esclusiva statale in materia di "rapporti con l'Unione Europea",
"moneta", "ordinamento civile e penale"; l'art. 81 Cost., per
contrasto con il principio di copertura finanziaria; l'art. 3, Cost. e
il principio di eguaglianza ivi sancito; l'art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. in quanto invaderebbe l'ambito della competenza
statale esclusiva in materia di "ordinamento civile e penale";
c) dell'art. 3, comma 3, il quale dispone che "ad integrazione di
quanto previsto dall'articolo 32, commi 26 e 27, della legge sul
condono, nelle aree assoggettate ai vincoli di cui all'articolo 32"
della Legge n. 47 del 1985 e successive modificazioni, "sono
suscettibili di sanatoria edilizia, a condizione che l'intervento non
sia precluso dalla disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i
seguenti interventi, ancorche' eseguiti in epoca successiva alla
imposizione del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione
d'uso, con o senza opere, qualora la nuova destinazione d'uso sia
residenziale e non comporti ampliamento dell'immobile; b) le opere o
modalita' di esecuzione non valutabili in termini di volume". Tale
disposizione, nella misura in cui farebbe riferimento ad interventi
non incidenti sulla volumetria, ma solo sulla "superficie utile",
escludendo dalla sanatoria "ogni altro intervento abusivo", violerebbe
gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le
medesime ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004), nonche'
l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. sia in quanto sarebbe
riservata al legislatore statale "la tutela dei valori (ad esempio
ambientali) presidiati" dai vincoli di cui all'art. 32 della Legge n.
47 del 1985, sia in quanto possa in concreto consentire la sanatoria
che sarebbe invece esclusa in via assoluta dall'art. 33 della Legge n.
47 del 1985.
7. In relazione alla legge della Regione Umbria n. 21 del 2004,
l'Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
a) dell'art. 20, comma 1, lettera a), il quale, nel disciplinare la
sanabilita' degli ampliamenti di fabbricati esistenti introducendo
limiti quantitativamente diversi rispetto a quelli previsti dall'art.
32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, discrimina tra unita'
immobiliari destinate ad attivita' produttive ed altre unita'
immobiliari e determina tali limiti in "metri quadri di superficie
utile coperta", anziche' in termini di volume, cosi' violando gli
artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime
ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004);
b)  dell'art. 20, comma 1, lettera c), il quale ammette la sanatoria
delle "opere riconducibili alle seguenti tipologie di illecito
edilizio indicate con i numeri 3, 4, 5 e 6 dell'Allegato 1" al
decreto-legge n. 269 del 2003, anche con eventuale modifica delle
destinazioni d'uso le quali "siano esse realizzate in conformita' o in
difformita' dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli
strumenti urbanistici alla data del 2 ottobre 2003", poiche'
violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, ove la data del
2 ottobre 2003 fosse riferita alla realizzazione delle opere,
contrasterebbe "con il fondamentale principio posto dall'art. 32,
comma 25, del citato decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, il quale
fa riferimento alle opere realizzate entro il 31 marzo 2003"; l'art.
117, secondo comma, lettera l), in quanto invade la competenza
esclusiva dello Stato in materia di "ordinamento civile e penale";
c) dell'art. 21, comma 1, lettera c), nella parte in cui esclude la
sanabilita' di opere abusive che comportino "utilizzo di aree in zona
agricola per usi del suolo diversi da quello agricolo", potendo
determinare la preclusione della sanatoria nelle zone agricole,
oltretutto in contraddizione con il precedente art. 20, comma 1,
lettera a), numero 3, ove viene espressamente menzionata la "zona E",
poiche' violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119
Cost, in quanto determinerebbe una irragionevole diminuzione
dell'ambito degli interventi condonabili;
d) dell'art. 21, comma 1, lettera d), il quale, escludendo dal condono
edilizio straordinario i "nuovi edifici, salvo quanto previsto
dall'art. 20, comma 1, lettera b)", della medesima legge regionale,
ridurrebbe l'ambito delle fattispecie passibili di sanatoria, in
contrasto con i principi fondamentali posti dall'art. 32, comma 25,
del decreto-legge n. 269 del 2003, ai sensi del quale sarebbero
ammesse a sanatoria anche le "nuove costruzioni residenziali",
violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per le medesime ragioni svolte nei ricorsi n. 114 e n. 115 del
2004);
e) dell'art. 21, comma 1, lettera e), nella parte in cui esclude la
sanabilita' dell'ampliamento di edifici la cui "intera" costruzione
abbia gia' beneficiato di "precedenti condoni edilizi", poiche'
violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una disuguaglianza
non sorretta da un principio della legislazione statale; gli artt. 3 e
42 Cost., in quanto gli attuali proprietari degli edifici in questione
potrebbero essere soggetti diversi dagli autori dei precedenti abusi e
dai proprietari degli immobili all'epoca in cui essi sono stati
realizzati; l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto
tale discriminazione sarebbe invasiva della competenza esclusiva
statale in materia di "ordinamento civile e penale";
f) dell'art. 21, comma 1, lettera h), il quale - nell'escludere dalla
sanatoria gli interventi "di ampliamento nelle zone omogenee A di cui
al D.M. n. 1444/1968" ad eccezione "di quelli di cui all'articolo 20,
comma 2" - equipara "i centri storici ai 'siti archeologici' e tutti i
relativi edifici a quelli sottoposti a vincolo extraurbanistico",
cosi' determinando una irragionevole diminuzione dell'ambito degli
interventi per i quali e' ammesso il condono edilizio; tale
disposizione violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e
119 Cost. (per le medesime ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115
del 2004);
g) dell'art. 19, il quale al comma 1 afferma che "i limiti, le
condizioni e le modalita' per il rilascio del titolo abilitativo in
sanatoria (. . .) sono disciplinate dal presente titolo", mentre al
successivo comma 2 afferma che "per quanto non disposto dal presente
titolo si applicano" le normative statali del 1985 e del 1994, nonche'
i termini temporali, le modalita' e le procedure previste dalle norme
statali del 2003, "in connessione con le doglianze in precedenza
formulate"; tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo
e terzo comma, e 119 Cost., in quanto conterrebbe disposizioni poco
chiare ed inoltre, in quanto la mancata menzione delle "successive
modifiche ed integrazioni" della disciplina statale del 1985 e del
1994 potrebbe "ingenerare incertezze e controversie";
h) dell'art. 27, comma 4, il quale dispone che "l'ampliamento di cui
alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 20, per gli edifici
costituiti da piu' unita' immobiliari dello stesso avente titolo, o da
unita' immobiliari pertinenziali insistenti all'interno del lotto o
dell'area, sempre dello stesso avente titolo, e' ammesso per una sola
volta ed e' riferito alla sommatoria delle superfici di tutte le
unita' immobiliari interessate, salvo che ogni unita' immobiliare si
configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi",
laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di piu' proprietari
di unita' immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico
proprietario di piu' unita' immobiliari autonome, poiche' violerebbe
l'art. 117, terzo comma, Cost.
8. Con riguardo alla legge della Regione Campania n. 10 del 2004,
l'Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimita'
costituzionale:
a) degli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), 4, 6
(soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8, in quanto emanati quando era oramai
decorso il termine di quattro mesi (scaduto il 12 novembre 2004)
stabilito dall'ari 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n.
168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica),
convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2004, n. 191, per
l'emanazione della legge di cui al comma 26 dell'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003, cosi' violando l'art. 117, terzo comma,
Cost. e il principio di "leale collaborazione", in quanto, decorso il
termine suddetto, la potesta' normativa regionale avrebbe potuto
essere esercitata soltanto recependo la normativa statale gia'
divenuta applicabile, "senza possibilita' di contraddirla";
b), c), d) e)
dell'art. 1, comma 1, il quale dispone che "la presente legge
disciplina la possibilita', le condizioni e le modalita' per
l'ammissibilita' a sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto
Legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito in legge
dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326, articolo 1 e successive
modificazioni e integrazioni", laddove sia suscettibile di essere
interpretato nel senso di escludere "dal tessuto normativo
complessivo" le disposizioni statali in esso citate; dell'art. 3,
comma 1, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria
tutte le "opere abusive che hanno comportato la realizzazione di nuove
costruzioni difformi dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni
degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle
stesse", in contrasto con l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003,
ed inoltre nella parte in cui, irrazionalmente darebbe rilevanza a
norme e strumenti urbanistici non piu' vigenti al momento dell'entrata
in vigore della legge regionale; dell'art. 4, comma 1, lettera a), il
quale, disponendo che sono sanabili le opere abusive rientranti tra le
tipologie di cui all'Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se
le stesse "hanno comportato un ampliamento del manufatto inferiore al
quindici per cento della volumetria della costruzione originaria,
sempre che l'ampliamento non superi complessivamente i 250 metri
cubi", pone per gli ampliamenti due limiti piu' severi rispetto a
quelli previsti dalla norma statale ed inoltre tra loro cumulativi in
tal modo restringendo l'ambito della sanatoria; dell'art. 4, comma 1,
lettera b), il quale stabilisce che sono sanabili le opere abusive che
"hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni conformi alle
norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti alla data di esecuzione delle stesse e aventi una volumetria
inferiore a 250 metri cubi per singola richiesta di titolo edilizio in
sanatoria, sempre che la nuova costruzione non superi complessivamente
i 600 metri cubi".
Tutte le summenzionate disposizioni violerebbero, secondo il
ricorrente, l'art. 117, terzo comma, Cost, in quanto, introducendo
limiti quantitativi alla sanabilita' delle opere abusive
"irrazionalmente ed eccessivamente inferiori a quelli determinati
dall'art. 32, comma 25", della normativa statale, contrasterebbero con
i principi fondamentali da essa posti; l'art. 117, terzo comma, l'art.
119 Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento della
finanza pubblica; l'art. 117, secondo comma, Cost., in quanto
inciderebbero sulla competenza esclusiva statale in materia di
"rapporti con l'Unione europea", "moneta", "ordinamento civile e
penale"; l'art. 81 Cost., per contrasto con il principio di copertura
finanziaria; l'art. 3, Cost. e il principio di eguaglianza ivi
sancito;
f) dell'art. 3, comma 2, lettera a), "con i connessi commi 3 e 4", e
l'art. 4, comma 1, lettera c), nella parte in cui restringono l'ambito
degli interventi sanabili negando rilevanza al parere favorevole delle
autorita' preposte alla tutela del vincolo senza distinguere se tale
vincolo sia anteriore all'abuso ovvero successivo, poiche'
violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per le medesime ragioni di cui al punto precedente), nonche' l'art.
117, secondo comma, lettera s) Cost.;
g) dell'art. 3, comma 2, lettera a), "con i connessi commi 3 e 4", e
l'art. 4, comma 1, lettera c), nella parte in cui estendono l'ambito
degli interventi sanabili in ragione del riferimento alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti
alla data di esecuzione delle opere abusive, norme e strumenti che
potrebbero risultare meno severi di quelli vigenti alla data di
entrata in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, poiche'
violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. contrastando con i
principi fondamentali posti dalla normativa statale; l'art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invadono la competenza
statale esclusiva in materia di "ordinamento civile e penale";
h) dell'art. 3, comma 2, lettera c), il quale, disponendo che non
possono essere sanate le opere "realizzate su aree facenti parte o di
pertinenza del demanio pubblico", e non distinguendo tra demanio
statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe l'ambito delle
ipotesi di esclusione dalla sanabilita' gia' prevista dall'art. 32,
comma 14, decreto-legge n. 269 del 2003, poiche' violerebbe gli artt.
42 e 117, secondo comma, lettera g), Cost., in relazione al demanio
statale, per il quale la sanabilita' delle opere e' subordinata al
previo esplicito consenso dello Stato proprietario; l'art. 117, terzo
comma, Cost. in quanto contrasterebbe con un principio determinato
dalla normativa statale (art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269
del 2003 e art. 32, comma 6, della Legge n. 47 del 1985); l'art. 117,
terzo comma, Cost. in relazione ai beni del demanio provinciale e
comunale, in quanto la disposizione regionale non sarebbe sorretta da
alcun principio determinato dalla normativa statale;
i) dell'art. 4, comma 1, lettera d), il quale ammette alla sanatoria
gli interventi che "hanno comportato un ampliamento del manufatto,
gia' oggetto di condono ai sensi delle disposizioni di cui alla Legge
28 febbraio 1985, n. 47, Capi IV e V, o ai sensi della Legge 23
dicembre 1994, n. 724, articolo 39, inferiore al cinque per cento
della volumetria della costruzione originaria, sempre che
l'ampliamento non superi complessivamente i cento metri cubi", poiche'
violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l),
117, terzo comma, e 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle svolte
nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004), nonche' l'art. 42 Cost. e la
garanzia costituzionale della proprieta'.
9. Nel giudizio instaurato con ricorso n. 114 del 2004, la Regione
Emilia-Romagna, con atto depositato il 12 gennaio 2005, si e'
costituita in giudizio, chiedendo che le questioni proposte dal
Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o
infondate, e riservando ulteriori deduzioni ad una successiva
memoria.
10. - Nella memoria depositata in data 30 novembre 2005, la Regione
Emilia-Romagna osserva innanzitutto che l'art. 33, comma 1, avrebbe
riguardo "ad uno solo dei sette tipi di intervento che compongono il
genus 'interventi di nuova costruzione" di cui al punto g)
dell'Allegato alla legge regionale n. 31 del 2002, e all'interno di
quel tipo, si riferirebbe "solo ai nuovi manufatti, e non agli
ampliamenti". Inoltre, l'esclusione del condono per le costruzioni
edificate ex novo in modo totalmente abusivo rientrerebbe nel potere
regionale di modulare la dimensione del condono all'interno dei
principi fondamentali, come espressamente riconosciuto da questa Corte
nella sentenza n. 196 del 2004 e nella sentenza n. 71 del 2005.
Relativamente alle censure svolte nei confronti dell'art. 33, commi 2
e 3, la Regione premette che tale disposizione ammette il rilascio del
titolo in sanatoria - seppur solo in determinati casi -per gli
ampliamenti e le sopraelevazioni di manufatti esistenti conformi alla
legislazione urbanistica ma contrastanti con gli strumenti urbanistici
vigenti il 31 marzo 2003.
Per quanto riguarda i limiti quantitativi al condono, rileva la difesa
regionale che non esisterebbe alcun nesso tra l'istituto della
variazione essenziale (neppure considerato dal decreto-legge n. 269
del 2003) e quello del condono: il primo rileverebbe ai fini del tipo
di sanzione, il secondo avrebbe come risultato la regolarizzazione
dell'opera.
Per quanto riguarda l'art. 34, commi 1 e 2, il quale non ammette la
sanatoria per gli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati
in contrasto con la legislazione urbanistica o le prescrizioni degli
strumenti vigenti al 31 marzo 2003, la Regione sostiene che il condono
sarebbe escluso solo per le ristrutturazioni contrarie alla
legislazione urbanistica, mentre le altre ristrutturazioni sarebbero
condonabili anche se contrarie agli strumenti urbanistici, purche'
ricorrano le condizioni indicate.
Le censure concernenti la violazione delle potesta' statali in materia
di rapporti con l'Unione europea "e relativi stringenti 'vincoli'", di
moneta e di sistema tributario e contabile dello Stato, oltre che
inammissibili per genericita', essendo prive di argomentazione,
sarebbero altresi' "stravaganti" ed infondate. Dietro l'impropria
invocazione di tali parametri normativi, vi sarebbe il rifiuto di
prendere atto che la titolarita' del diritto di stabilire con legge le
dimensioni del condono edilizio - come chiarito dalla Corte - non
spetta in via esclusiva allo Stato, ma e' condivisa tra lo Stato e le
Regioni.
Inammissibile per genericita' sarebbe anche la censura sollevata in
relazione all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Essa sarebbe
altresi' infondata dal momento che l'art. 26, comma 2, della legge
impugnata precisa che i limiti posti non incidono sull'estinzione del
reato, che consegue al pagamento dell'oblazione.
Priva di fondamento sarebbe inoltre la asserita lesione del principio
di uguaglianza in quanto le pronunce 'asistematiche' di cui si duole
l'Avvocatura, sarebbero frutto dell'esistenza della competenza
legislativa regionale in materia di governo del territorio.
Per quanto attiene all'art. 32 legge regionale, la Regione rileva che
solo se l'unita' abitativa e' stata oggetto in passato di un rilevante
abuso (condonato) essa non e' ammessa alla nuova sanatoria.
Inoltre, l'esclusione degli interventi abusivi per la cui
realizzazione sono stati utilizzati contributi pubblici si
giustificherebbe per la riprovevolezza della condotta ed avrebbe
finalita' sia afflittiva verso il trasgressore, sia preventiva.
L'obbligo, posto dall'art. 33, comma 4, di non modificare per 20 anni
la destinazione d'uso non abitativa per gli ampliamenti abusivi che
beneficino della sanatoria, mirerebbe a non incentivare ampliamenti
abusivi di edifi'ci non residenziali. In tale prospettiva la
limitazione del diritto di proprieta' si giustificherebbe alla luce
dell'art. 42, secondo comma, Cost.
Per quanto concerne l'art. 26, comma 4, che prevede la sanatoria delle
opere edilizie autorizzate e realizzate anteriormente alla Legge n. 10
del 1977, che presentino difformita' esecutive, osserva la Regione che
la disposizione avrebbe ad oggetto una sola tipologia di abusi, e
cioe' le difformita' esecutive lievi e risalenti nel tempo e si
giustificherebbe per l'esigenza di assicurare la certezza del diritto
e la facilita' degli scambi privati. Essa inoltre, opererebbe non solo
ai fini del condono straordinario, ma anche "a regime".
Inammissibile sarebbe infine la censura proposta avverso l'art. 29,
comma 2, e l'art. 8, comma 3, per carenza di specificazione nella
delibera del Consiglio dei ministri. Tale censura sarebbe comunque
infondata, in quanto basata su una erronea lettura della norma la
quale non riguarda le asseverazioni del professionista in quanto la
norma impone semplicemente oneri di comunicazione alle competenti
autorita', delle risultanze istruttorie da cui risulta che le
asseverazioni non corrispondono al vero.
11. Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria nella
quale, oltre a ribadire le censure gia' proposte nel ricorso n. 114
del 2004, si sofferma sulle previsioni in tema di sanabilita' di
ampliamenti e sopraelevazioni, contenute nell'art. 33, commi 2 e 3,
della legge regionale emiliana. Tale disposizione, ammettendo il
condono solo per le opere che pur essendo difformi dalla legislazione
urbanistica, siano conformi alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici, contrasterebbe con il "principio-cardine di una normativa
del condono edilizio" che, per definizione opererebbe in deroga agli
strumenti urbanistici. In ordine al diverso trattamento riservato agli
edifici residenziali (art. 33, comma 3, lettera b) rispetto a quelli
non residenziali (art. 33, comma 3, lettera a), esso non troverebbe
riscontro nella normativa statale, ed inoltre, nella parte in cui
limita l'aumento di cubatura sanabile, contrasterebbe con il principio
enunciato dall'art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003. Tale
principio sarebbe violato anche dalla totale esclusione della
sanabilita' di ampliamenti e sopraelevazioni realizzati in edifici
residenziali diversi da quelli unifamiliari e bifamiliari.
12. Nel giudizio introdotto con il ricorso n. 115 del 2004, la Regione
Toscana si e' costituita in giudizio, con atto depositato il 14
gennaio 2005, chiedendo che le questioni proposte con il ricorso del
Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o
infondate, e riservando ulteriori deduzioni ad una successiva
memoria.
13. Nella memoria depositata successivamente, la difesa regionale
afferma, innanzitutto, che le disposizioni impugnate rispetterebbero i
limiti fissati dalla giurisprudenza costituzionale sul condono
edilizio, tenendo conto "della specificita' della situazione sia
normativa che territoriale della Toscana". In coerenza con la
legislazione regionale in materia di attivita' edilizie, l'art. 2
della legge impugnata esclude dal condono le edificazioni totalmente
nuove e senza titolo, nonche' le ristrutturazioni urbanistiche
anch'esse senza titolo. Invece, per tutte le restanti opere sarebbe
ammessa la sanatoria straordinaria sia se realizzate in mancanza del
titolo sia se in difformita' dal medesimo.
Infondate sarebbero le censure con cui lo Stato lamenta la violazione
della competenza statale in materia di rapporti con l'Unione europea,
moneta e di coordinamento della finanza pubblica. In particolare, ove
si trascurasse, come fa l'Avvocatura dello Stato, il contenuto
specifico della normativa, si consentirebbe sempre al legislatore
statale di interferire in ambiti di competenza regionale in nome del
"coordinamento della finanza pubblica", perche' la disciplina di tutte
le materie ha risvolti in termini finanziari.
Inammissibile sarebbe poi la censura formulata in relazione all'art. 3
Cost., in quanto generica. Essa sarebbe comunque infondata, perche' la
possibilita' per i legislatori regionali di disciplinare la sanatoria
straordinaria sarebbe stata riconosciuta come legittima dalla Corte.
Ugualmente generica, e comunque infondata, sarebbe la censurata
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. La legge
regionale infatti, non inciderebbe sulla sfera penale del condono, ma
si limiterebbe a regolarne gli effetti amministrativi e le relative
sanzioni amministrative.
Per quanto concerne i limiti posti dall'art. 2, comma 5, lettera c),
alla sanabilita' dei mutamenti di destinazione d'uso, afferma la
Regione che l'impugnazione del Governo sarebbe inammissibile perche'
si risolverebbe in un sindacato di merito. Essa sarebbe comunque
infondata, dal momento che il cambio di destinazione d'uso avrebbe
rilevanti conseguenze dal punto di vista urbanistico.
Infondata, sarebbe infine la censura mossa avverso l'art. 2, comma 6:
subordinandosi, infatti, la sanatoria delle opere, nel caso in cui i
vincoli siano stati apposti dopo l'entrata in vigore della legge, alla
valutazione dell'autorita' preposta al vincolo, si opererebbe una
"scelta ragionevole ed equilibrata nel rapporto tra le istanze e le
aspettative del privato che ha commesso l'abuso, con quelle di
salvaguardare un'area che necessita di una particolare tutela".
14. Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria nella
quale ribadisce e specifica le censure mosse avverso l'art. 2 della
legge regionale della Toscana n. 53 del 2004. Tale disposizione,
infatti, impedirebbe la sanatoria straordinaria delle nuove
costruzioni residenziali, in contrasto con il principio determinato
dal legislatore statale.
Anche la disciplina degli ampliamenti sarebbe irragionevolmente
riduttiva di quella statale a danno delle costruzioni residenziali,
mentre accettabili sarebbero i limiti previsti dall'art. 2, comma 2,
lettera c), per le costruzioni destinate ad uso non abitativo.
Secondo la difesa statale, tali previsioni sarebbero incostituzionali,
dal momento che il legislatore regionale non potrebbe negare "in
misura prevalente (rispetto al 'quantum' di volumetria ammesso a
sanatoria dalla legge statale) la sanabilita' degli abusi edilizi", in
quanto, diversamente, si vanificherebbe la cogenza dei principi
determinati dal Parlamento, degradandoli a "velleitarie esortazioni
ottative".
15. - Nel giudizio introdotto con ricorso n. 2 del 2005, con atto
depositato il 27 gennaio 2005, si e' costituita in giudizio la Regione
Marche, concludendo nel senso della inammissibilita', e comunque
dell'infondatezza, del ricorso.
In particolare, la pretesa incostituzionalita' dell'art. 3 della legge
regionale, per violazione degli artt. 117 e 119 Cost, sarebbe priva di
fondamento, in quanto la Corte Costituzionale, con la Sent. n. 196 del
2004, avrebbe riconosciuto alle Regioni un "ruolo indefettibile"
nell'attuazione del condono edilizio straordinario.
Inoltre, le dichiarazioni di incostituzionalita' da parte della
medesima sentenza dei commi 25 e 26 dell'art. 32 del decreto-legge n.
269 del 2003, nella parte in cui non prevedono che la legge regionale
possa disporre in materia di una larga discrezionalita' in questi
ambiti equivarrebbe a legittimare le leggi regionali a subordinare le
tipologie di abuso ritenute condonabili ad ulteriori limiti. Quindi,
le Regioni sarebbero state "legittimate ad ampliare l'elenco delle
opere non condonabili, stabilendo criteri e limiti, incidendo anche
sulla stessa possibilita' di conseguire il condono per determinate
categorie di opere o per determinate zone".
In relazione alla "abolizione asseritamente operata dall'art. 3 del
limite del 30% della volumetria", la difesa della Regione afferma che
la norma sarebbe pienamente legittima poiche' "il limite del 30%
(costituirebbe) parametro alternativo a quello dell'ampliamento
superiore a 750 metri cubi per l'ammissibilita' alla sanatoria secondo
espressa previsione del comma 25 dell'art. 32" della legislazione
statale.
Quanto alla affermata lesione, da parte della legge impugnata, delle
competenze statali in materia di rapporti con l'Unione europea, di
"moneta", e di coordinamento della finanza pubblica, la Regione
osserva che tali competenze non potrebbero "in ogni caso ledere quelle
costituzionalmente garantite determinandone una invasione".
Sarebbe inoltre priva di fondamento la necessita' - affermata
dall'Avvocatura dello Stato - di preservare "l'affidamento sul gettito
del condono edilizio per la copertura (art. 81 Cost.) di spese
pubbliche" laddove comporti un'indebita invasione della competenza
regionale costituzionalmente garantita tramite "l'imposizione di
dettagliati strumenti concreti". A sostegno di tale affermazione viene
anche ricordata la Sentenza n. 390 del 2004 di questa Corte.
La asserita violazione del principio di eguaglianza, nonche' dell'art.
117, comma secondo, lettera l), Cost., inoltre, sarebbe insussistente
in quanto - come proverebbe anche la stessa Sentenza n. 196 del 2004
nella parte in cui evidenzia il differente "trattamento
costituzionale" degli aspetti penalistici e di quelli
amministrativistici del condono - la competenza dello Stato in materia
penale non potrebbe essere "lesiva delle competenze costituzionali
costituzionalmente garantite", dal momento che essa, come affermato
anche dalla Sentenza n. 185 del 2004, sarebbe una competenza
"strumentale, potenzialmente incidente nei piu' diversi ambiti
materiali". Analoghe considerazioni varrebbero anche per la materia
"ordinamento civile".
16. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 30 novembre
2005, una memoria nella quale precisa che deve ritenersi escluso dalla
materia del contendere l'art. 3, comma 3, della legge della Regione
Marche, potendo la Regione ridurre la volumetria massima sanabile
rispetto a quella prevista dal legislatore statale, ed escludere la
condonabilita' "in qualche zona omogenea".
Peraltro residuerebbero le censure svolte in relazione ai commi 1 e 2
dell'art. 3: l'Avvocatura in particolare, sostiene che il legislatore
marchigiano avrebbe eluso "in modo 'poco visibile' e pero' efficace" i
principi fondamentali posti dallo Stato in materia di condono
edilizio, ponendo un limite volumetrico alla sanabilita' talmente
basso da escludere, di fatto, quasi del tutto la sanabilita' delle
nuove costruzioni residenziali. La circostanza che questa Corte abbia
riconosciuto alle Regioni la possibilita' di prevedere limiti
volumetrici inferiori a quelli stabiliti dal legislatore statale, ad
avviso dell'Avvocatura, non sarebbe risolutiva, dal momento che, in
ogni caso, non si potrebbero operare riduzioni tali da vanificare i
principi determinati dal legislatore statale.
Nella memoria si ribadisce, inoltre, che la soppressione del limite
del 30% della volumetria originaria, nonche' la mancata previsione di
un limite d'insieme complessivo, determinerebbe un illegittimo
ampliamento della sanatoria.
17. Anche la Regione Marche, in data 30 novembre 2005, ha depositato
una memoria nella quale ribadisce innanzitutto che questa Corte, nelle
Sentenze n. 196 del 2004 e n. 71 del 2005, se ha riconosciuto come
spettante allo Stato la determinazione della portata massima del
condono edilizio, ha ritenuto sussistente il potere delle Regioni di
modularne l'ampiezza entro i limiti massimi fissati dalla legge
nazionale. In quest'ambito, la Regione avrebbe esercitato l'attivita'
di controllo del territorio, in coerenza anche con la propria
precedente normativa in materia.
Per quanto concerne le singole censure, la difesa regionale osserva
come la previsione nell'art. 3 della legge impugnata di limiti
volumetrici espressi in cifre assolute, anziche' in misura
percentuale, sarebbe coerente con l'art. 32, comma 25, del
decreto-legge n. 269 del 2003, il quale prevede, per gli ampliamenti
il limite del 30% della volumetria originaria come alternativo a
quello di 750 mc.
In ordine alla censura formulata sul preteso contrasto dell'art. 3 con
l'art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost, per invasione dei
compiti attribuiti alla competenza esclusiva statale in materia di
rapporti con l'Unione europea e di "moneta", la difesa regionale
rileva come cio' che sarebbe da considerare riservato alla competenza
esclusiva dello Stato dovrebbe attenere ad una politica economica che
abbia valenza sul piano nazionale per la sua rilevanza
macroeconomica.
Infondata sarebbe altresi' la asserita violazione dell'art. 117, terzo
comma, e dell'art. 119 Cost. per invasione dei compiti attribuiti alla
competenza statale di coordinamento della finanza pubblica, dal
momento che tali competenze non potrebbero in ogni caso ledere quelle
costituzionalmente garantite alle Regioni determinandone un'indebita
invasione. La Corte avrebbe piu' volte affermato che il legislatore
statale puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle
politiche di bilancio "ma solo, con 'disciplina di principio', 'per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari'".
In ordine al preteso contrasto dell'art. 3 della legge regionale con
il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost e con la competenza
esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost., la
Regione aggiunge che nella sentenza n. 196 del 2004 "la linea di
riparto scelta dalla Corte, in tema di condono edilizio, passi per la
distinzione tra sanatoria penale (di esclusiva competenza statale) e
sanatoria amministrativa (di competenza, potrebbe dirsi, quasi
completamente regionale)".
Per quanto attiene infine alla pretesa violazione della competenza
statale esclusiva nella materia "ordinamento civile", questa Corte,
gia' nella sentenza n. 282 del 2002, avrebbe chiarito che
(nell'ipotesi specifica in materia di responsabilita' civile in
materia sanitaria), "si deve escludere che ogni disciplina, la quale
tenda a regolare e vincolare l'opera dei sanitari, e in quanto tale
sia suscettibile di produrre conseguenze in sede di accertamento delle
loro responsabilita', rientri per cio' stesso nell'area
dell'ordinamento civile, riservata al legislatore statale".
18. Nel giudizio introdotto con ricorso n. 3 del 2005, con atto
depositato in data 28 gennaio 2005 si e' costituita in giudizio la
Regione Lombardia, richiedendo che le questioni proposte dal ricorso
statale siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
Quanto alla asserita inammissibilita' delle censure statali, la
Regione Lombardia osserva che essa dipenderebbe, in primo luogo, dalla
circostanza secondo la quale esse prendono le mosse dall'"erroneo
presupposto che l'unica fonte di disciplina della materia sia
costituita dalla legge regionale, e non piuttosto - come ha
sottolineato la stessa Corte Costituzionale nella Sentenza n. 196 -
dal combinato disposto della legislazione statale e di quelle
regionali". In secondo luogo, la inammissibilita' delle censure mosse
dalla difesa erariale dipenderebbe dalla loro "indeterminatezza,
oscurita' e genericita'", che determinerebbero difficolta' nella loro
interpretazione.
Quanto agli aspetti di merito, la difesa regionale osserva anzitutto
come non sia svolta alcuna censura nei riguardi dell'art. 1, comma 1,
della legge regionale; trattasi comunque di disposizione semplicemente
finalizzata a chiarire il carattere meramente derogatorio della
disciplina regionale rispetto a quella statale, la quale, dunque, si
applicherebbe a tutti gli aspetti non regolati dalla legge regionale.
Quanto alle censure relative alla diminuzione dei limiti volumetrici
massimi alla sanabilita' delle opere ed alla esclusione della
possibilita' di sanatoria per le nuove costruzioni, la Regione
evidenzia come la Sentenza n. 196 del 2004, sia nelle motivazioni che
nel dispositivo, abbia "espressamente riconosciuto in tale ambito la
facolta' per la Regione di ridurre gli indici volumetrici condonabili
in virtu' della legge statale". Inoltre, la Regione nota come la
stessa avvocatura riconosca il potere della Regione di specificare i
limiti, anche quantitativi, della sanabilita', seppur solo nell'ambito
della "ragionevole tollerabilita'": in tali limiti la resistente
ritiene che la legge regionale si sia comunque mantenuta.
Quanto al divieto di sanatoria delle opere relative a nuove
costruzioni, la difesa della resistente nota come la legge impugnata -
lungi dal comportare "un diniego totale" di sanatoria degli illeciti
urbanistici come sostiene l'Avvocatura dello Stato - non porrebbe
alcun divieto assoluto di sanatoria, ma avrebbe semplicemente escluso
la possibilita' di condonare abusi edilizi caratterizzati da un
particolare rilievo sul piano urbanistico. Cio', peraltro, in
attuazione di quanto esplicitamente affermato dalla Corte
Costituzionale nella menzionata Sentenza n. 196 del 2004.
Piu' in particolare, la Regione evidenzia come la norma impugnata si
sia limitata a non consentire le "opere realizzate in assenza o in
difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici".
Viceversa, sarebbero suscettibili di sanatoria "tutte le altre
fattispecie di abuso non previste dalla legge regionale e contemplate
dalla legge statale".
Anche le censure mosse nei confronti dell'art. 2, comma 2, della legge
regionale n. 31 del 2004 sarebbero infondate, poiche' tale
disposizione si limita a "consentire la sanabilita' di quei mutamenti
considerati inammissibili ai sensi della vigente legge regionale n. 1
del 2001", mentre, per tutti gli altri abusi relativi ai mutamenti di
destinazione d'uso "continuera' a trovare applicazione la disciplina
statale".
Da ultimo, la Regione Lombardia espone alcune considerazioni difensive
in relazione alla pretesa incostituzionalita' dell'art. 3, comma 1,
della legge regionale impugnata, asserendo che con questa disposizione
il legislatore lombardo ha inteso semplicemente "ribadire e
consacrare, anche in un testo legislativo regionale, quanto gia'
previsto dalla legislazione statale".
19. L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 14 novembre 2005,
una memoria nella quale circoscrive e specifica l'ambito delle censure
formulate nel ricorso introduttivo n. 3 del 2005.
Innanzitutto, precisa che non e' stato impugnato l'art. 2, comma 1,
primo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004,
nella parte in cui disciplina gli ampliamenti.
Per quanto concerne la censura avente ad oggetto la medesima norma, ma
nella parte in cui in modo non specifica se fossero esclusi dalla
sanatoria solo gli interventi realizzati in assenza del titolo
abilitativo, ovvero anche quelli realizzati in totale difformita' da
esso o con variazioni essenziali, afferma il ricorrente che non vi
sarebbe piu' controversia. La Regione, infatti, nel proprio atto di
costituzione avrebbe specificato la portata della disposizione,
precisando che tali opere (realizzate in difformita' o con variazioni
essenziali) sarebbero sanabili. Tuttavia, prosegue l'Avvocatura, "non
risulta che il chiarimento sia stato portato (. . .) a conoscenza dei
comuni e - tempestivamente -della generalita' dei cittadini e che ad
esso le amministrazioni si attengano".
La Regione avrebbe circoscritto la portata anche dell'art. 2, comma 2,
riferendola ai soli mutamenti di destinazione d'uso qualificati
inammissibili dalla propria legge regionale n. 1 del 2001. Questa
interpretazione riduttiva "elimina, nel concreto una parte cospicua
della materia controversa, lasciando di essa solo la parte residua".
Anche tale interpretazione, tuttavia non sarebbe stata divulgata.
Analogamente, alla luce dell'interpretazione fornitane dalla Regione,
verrebbe meno anche la censura relativa all'art. 3, comma 1, nella
parte in cui avrebbe ampliato l'ambito degli interventi condonabili.
Pertanto, ritiene l'Avvocatura che la controversia "parrebbe
ridimensionata, sul piano pratico, per quanto concerne l'art. 2, comma
2, e l'art. 3, comma 1".
Conseguentemente, il nucleo delle censure sarebbe circoscritto
all'art. 2, comma 1, nella parte in cui esclude la sanabilita' delle
nuove costruzioni residenziali. A tale riguardo, il ricorrente
ribadisce le censure gia' svolte nell'atto introduttivo, precisando
che la Sentenza n. 196 del 2004 e il punto 2) del dispositivo,
invocato dalla Regione a giustificazione della legittimita' della
disposizione, avrebbe ampliato le possibilita' di intervento dei
legislatori regionali nell'ambito della competenza legislativa
concorrente, ma non li avrebbe liberati dal dovere di conformarsi ai
principi determinati dal Parlamento nazionale. Pertanto al legislatore
regionale sarebbe consentito apportare solo articolazioni e
specificazioni della disciplina statale.
20. Nella ulteriore memoria depositata il 30 novembre 2005, la Regione
Lombardia prende atto che, a seguito delle considerazioni svolte
dall'Avvocatura dello Stato, gli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1, della
legge impugnata non sarebbero piu' oggetto del giudizio.
Anche in relazione all'art. 2, comma 2, vi sarebbe un difetto di
interesse al ricorso, in quanto l'Avvocatura avrebbe ritenuto la
controversia 'ridimensionata' a seguito dei chiarimenti forniti dalla
difesa regionale, ma, ciononostante, avrebbe insistito per
l'annullamento della norma, affermando di non essere autorizzata ad
abbandonare il ricorso. Tale interesse non potrebbe essere ravvisato
nella asserita mancata divulgazione dell'interpretazione della legge
regionale, dal momento che la Regione avrebbe reso ai Comuni lombardi
numerosi pareri in merito e, comunque, la non corretta interpretazione
della legge regionale da parte delle amministrazioni comunali non
potrebbe costituire oggetto del sindacato di legittimita'
costituzionale.
Con riguardo alla impugnazione dell'art. 2, comma 1, la Regione
Lombardia osserva che l'Avvocatura nella memoria in cui aveva
riconosciuto che effettivamente la legge lombarda non prevedeva un
divieto assoluto di sanatoria, ha riproposto le censure ai commi 1 e 2
dell'art. 2, e per di piu' ha affermato che qualsiasi eccezione al
principio della sanabilita' degli abusi sulle nuove costruzioni
sarebbe da considerare illegittima in quanto lesiva del principio
fondamentale della sanabilita' degli illeciti realizzati sulle nuove
costruzioni. In tal modo la difesa statale avrebbe ampliato e mutato
il thema decidendum, con conseguente inammissibilita' della nuova
censura.
Nel merito, tali censure sarebbero infondate dal momento che l'art. 2,
comma 1, avrebbe escluso la sanatoria solo per gli abusi edilizi
particolarmente rilevanti sul piano urbanistico e cio' avrebbe fatto
nell'ambito dei poteri regionali, cosi' come riconosciuti da questa
Corte nelle Sentenze n. 196 del 2004 e nn. 70 e 71 del 2005.
Infondate sarebbero le censure di violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettere a), e), l), dell'art. 119 Cost., nonche' dell'art. 3
Cost., dal momento che questa Corte avrebbe ricondotto alla competenza
concorrente il potere delle Regioni di specificare, articolare e
persino derogare alla disciplina statale.
Con riguardo alle censure mosse avverso l'art. 2, comma 2, la Regione
rileva come la difesa dello Stato, dopo aver preso atto
dell'interpretazione sistematica della norma svolta nella memoria di
costituzione, ha affermato che essa avrebbe eliminato una parte
cospicua della controversia, pur lasciandone una parte residua, senza
tuttavia chiarire quale essa fosse. Tale censura sarebbe dunque
inammissibile per carenza di interesse e per mancata identificazione
della disposizione violata, nonche' per genericita' ed imprecisione
della censura.
21. Nel giudizio introdotto con ricorso n. 7 del 2005, con atto
depositato il 26 gennaio 2005, la Regione Veneto si e' costituita in
giudizio, chiedendo che le questioni proposte con il ricorso del
Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o
infondate, e riservando ad una successiva memoria.
22. Nella memoria depositata in data 30 novembre 2005, la Regione
Veneto sostiene, innanzitutto, che il ricorso dello Stato sarebbe
fondato su una lettura parziale e fuorviante della Sentenza n. 196 del
2004; significativa sarebbe anche la Sentenza n. 71 del 2005, nella
quale questa Corte avrebbe espressamente riconosciuto alle Regioni il
potere di determinare, entro i limiti fissati dalla legge statale,
tipologie ed entita' degli abusi assentibili.
Per quanto attiene alla censura mossa avverso l'art. 3, comma 1,
lettera c), della legge impugnata, il quale pone, per la sanabilita'
delle nuove costruzioni, il duplice limite che esse siano
pertinenziali a fabbricati residenziali e che abbiano una volumetria
massima di 300 metri cubi, la difesa regionale osserva come tale
disposizione avrebbe rispettato la condizione generale posta dal
legislatore nazionale, pur introducendo condizioni piu' restrittive,
sulla base della particolare "esperienza urbanistico-edilizia veneta".
Con la disposizione impugnata, pertanto, il legislatore veneto avrebbe
rispettato i limiti posti dalla normativa statale facendo un uso del
potere ad esso spettante ben piu' limitato rispetto a quanto
consentito.
Anche le censure mosse avverso l'art. 3, comma 3, sarebbero infondate.
Innanzitutto, la norma si riferirebbe alle aree assoggettate ai
vincoli di cui all'art. 32, della Legge n. 47 del 1985, ossia ai
vincoli non preclusivi in via assoluta dell'edificabilita' e pertanto
non sarebbe neppure ipotizzabile la lamentata violazione dell'art. 33
della stessa legge riguardante le aree soggette ai vincoli di
inedificabilita'.
D'altra parte, la ammissione di alcuni mutamenti di destinazione d'uso
e delle "opere o modalita' di esecuzione non valutabili in termini di
volume" escluderebbe dalla sanatoria qualsiasi altro intervento
abusivo.
A tale riguardo, si osserva come la Regione non avrebbe inteso
discostarsi dalla disciplina statale di cui all'art. 32 della Legge n.
47 del 1985 ed all'art. 32, comma 27, del decreto-legge n. 269 del
2003. Anzi, a fronte dell'incertezza interpretativa in ordine alla
portata delle disposizioni citate, il legislatore veneto si sarebbe
limitato a chiarire che la normativa statale, "anche se intesa nel
senso piu' restrittivo, non preclude la sanatoria amministrativa di
abusi che abbiano natura insignificante rispetto al vincolo
paesaggistico o ambientale". Sarebbe pertanto ammessa la sanatoria dei
mutamenti di destinazione d'uso, con o senza opere, qualora la nuova
destinazione d'uso sia residenziale e non comporti ampliamento
dell'immobile; sarebbe inoltre ammessa la sanatoria delle opere o
modalita' di esecuzione non valutabili in termini di volume. La norma
riguarderebbe, pertanto, ipotesi gia' desumibili in via
interpretativa, in quanto prive di impatto esterno, per le quali
sarebbe irrilevante la circostanza che l'area sia o meno soggetta a
vincolo paesaggistico o ambientale.
La difesa regionale eccepisce, poi, l'inammissibilita' e
l'improcedibilita' della censura, dal momento che la disposizione
impugnata sarebbe stata modificata dall'art. 19 della legge della
Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8.
La Regione contesta, da ultimo, le censure mosse all'art. 3, comma 1,
lettera a), concernente gli ampliamenti di costruzioni a destinazione
industriale, artigianale, agricolo-produttiva, ed impugnato dallo
Stato perche' consentirebbe il superamento del limite massimo fissato
dal legislatore statale. In realta', osserva la difesa regionale, con
tale disposizione si sarebbe voluto limitare l'ammissibilita' del
condono, allo stesso tempo prendendo atto che il criterio urbanistico
di riferimento utilizzato dal legislatore statale non corrisponde a
quello utilizzato dalla legislazione urbanistica veneta per
disciplinare gli edifici a destinazione produttiva. Conseguentemente,
la Regione avrebbe "convertito" il parametro dei metri cubi in quello
dei metri quadrati; avrebbe altresi' ridotto i limiti massimi di
ammissibilita' della sanatoria rispetto al "tetto" statale, limitando
l'ampliamento sanabile al 20% della superficie coperta originaria e la
superficie massima dell'ampliamento sanabile a 450 mq; avrebbe inoltre
reso, da alternative, cumulative le due condizioni sopra indicate. La
doverosita' del rispetto di ambedue i limiti non consentirebbe mai il
superamento del "tetto" statale, in quanto il 20% della superficie
coperta esistente sarebbe logicamente inferiore al 30% del volume
esistente ed inoltre, in quanto il limite dei 450 mq di superficie
coperta massima dell'ampliamento, operando "congiuntamente col limite
del 20% della superficie coperta", rileverebbe "solo se ed in quanto
comprima ulteriormente l'ampliamento sanabile, escludendo anche
ampliamenti di per se' rispettosi della soglia del 20% della
superficie coperta esistente se comunque troppo ampi".
23. L'Avvocatura dello Stato, in data 22 novembre 2005, ha depositato
una memoria nella quale ribadisce le censure svolte nel ricorso
avverso la legge regionale del Veneto n. 21 del 2004.
24. Nel giudizio introdotto con ricorso n. 8 del 2005, con atto
depositato il 4 febbraio 2005, si e' costituita in giudizio la Regione
Umbria, concludendo nel senso della inammissibilita', e comunque della
infondatezza, delle censure proposte dal ricorso statale.
La resistente, in via preliminare, afferma che per la Sentenza n. 196
del 2004 i contenuti di principio da ritenersi sottratti al
legislatore regionale sono, oltre ai profili penalistici, solo la
"previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al
comma 1 dell'art. 32, il limite temporale massimo delle opere
condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili".
Per le restanti parti, le Regioni potrebbero quindi introdurre
discipline differenti.
In riferimento alle censure mosse nei confronti dell'art. 21, comma 1,
lettera d), la difesa regionale osserva che la sentenza n. 196 del
2004 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma
25, del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte in cui non prevede
che la legge regionale di cui al successivo comma 26 possa determinare
limiti volumetrici inferiori a quelli ivi indicati. Da cio'
discenderebbe che il solo principio fondamentale desumibile dalla
disposizione in questione e' rappresentato dalla indicazione del
limite massimo di 750 metri cubi per ogni titolo abilitativo in
sanatoria. Peraltro, la Regione osserva che la disposizione impugnata
non escluderebbe il condono per gli ampliamenti delle nuove
costruzioni residenziali, ma lo circoscriverebbe soltanto.
In relazione alle censure proposte nei confronti dell'art. 20, comma
1, invece, la resistente osserva che la espressione dei limiti in
metri cubi, anziche' in metri quadri, non puo' essere considerata un
principio fondamentale della materia, stante la agevole
convertibilita' dei metri quadri in metri cubi, in base alla
considerazione dell'altezza media degli edifici del tipo di volta in
volta in questione, o la maggiore altezza, in concreto risultante. Il
legislatore regionale avrebbe altresi' contemplato l'eventualita' che
l'immobile sia particolarmente alto - in quanto, ad esempio, adibito a
scopi industriali -precisando all'art. 20, comma 3, che le "opere di
cui al comma 1, lettere a) e b), e al comma 2 non possono comunque
comportare il superamento dei limiti volumetrici massimi stabiliti
all'articolo 32, comma 25 del D.L. 269/03". Per l'ipotesi in cui
l'abuso determini solo un aumento del volume, ma non anche della
superficie (ad es. una sopraelevazione o uno scantinato), l'art. 27,
comma 2, prevede il ricorso ad una formula matematica per determinare
la superficie corrispondente e determinare quindi la compatibilita'
dell'intervento con i limiti prescritti nell'art. 20, comma 1, lettera
a).
Quanto poi alla differenziazione che la legge regionale opera tra
unita' immobiliari destinate ad abitazioni e quelle destinate ad
attivita' produttive e servizi, essa sarebbe pienamente giustificata e
comunque sarebbe il frutto di una scelta di politica
edilizio-urbanistica che competerebbe alla Regione.
Le questioni di costituzionalita' proposte dal ricorso statale
inerenti la presunta violazione della competenza statale in materia di
rapporti con l'UE, moneta e sistema tributario e contabile dello
Stato, secondo la resistente, andrebbero ritenute inammissibili per
evidente genericita'. Ancora, nessuna motivazione sorreggerebbe la
presunta violazione della competenza statale in materia di sistema
tributario e contabile dello Stato.
Nel merito, tali censure sarebbero infondate, poiche' basate
sull'erroneo presupposto secondo il quale la potesta' normativa
regionale incontrerebbe "un limite nel rispetto dell'ampiezza del
gettito finanziario stabilito unilateralmente dal Governo in tema di
condono ed altrettanto unilateralmente destinato a coprire altre spese
statali" e comunque contrastate da quanto stabilito dalla Corte
Costituzionale con la Sentenza n. 196 del 2004.
Quanto alle censure relative all'art. 21, comma 1, lettera c), la
Regione afferma come esse siano frutto di una erronea lettura della
disposizione, che invece si riferisce "esclusivamente all'utilizzo
dell'area agricola per usi diversi da quello agricolo".
I rilievi concernenti la lettera e), invece, sarebbero infondati, in
quanto la distinzione della posizione dei fabbricati interamente
condonati in precedenza non sarebbe affatto irragionevole.
La censura concernente l'art. 21, lettera h), sarebbe inammissibile, a
causa della sua genericita'; comunque, nel merito, si osserva come la
"grandissima valenza storica, artistica e culturale" dei centri delle
citta' umbre rende non irragionevole la loro assimilazione ai siti
archeologici e all'edificato civile di particolare rilievo
architettonico e paesistico.
Pretestuosi sarebbero, invece, i rilievi mossi nei confronti dell'art.
19, dal momento che le disposizioni statali espressamente richiamate
solo dal comma 2, sarebbero riferite anche al comma 1 dello stesso
art. 19.
Del pari destituite di fondamento sarebbero le censure concernenti
l'art. 27, comma 4, che distingue l'ipotesi in cui le piu' unita'
immobiliari appartenenti allo stesso proprietario si configurino come
un'unica unita' abitativa o produttiva, ovvero come distinte ed
autonome tra loro, ammettendo che solo nel secondo caso il condono
possa riguardare ciascuna unita' abitativa.
25. L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 15 novembre 2005,
una memoria nella quale, prendendo atto delle difese svolte dalla
Regione Umbria, circoscrive l'ambito delle censure, individuando i
"punti non, o non piu' controversi anche per segnalare l'utilita' - ai
fini di certezza giuridica - di esplicite specifiche puntualizzazioni
in proposito nella motivazione della emananda sentenza".
Innanzitutto il ricorrente afferma che e' "superata" la censura
relativa all'art. 20, comma 1, lettera c), dal momento che la Regione
ne ha fornito un'interpretazione conforme alla normativa statale.
Anche la questione concernente l'art. 27, comma 4, "puo' essere
superata esplicitandosi che" tale norma non deroga ai limiti posti
dall'art. 20, comma 3, della stessa legge regionale, e cioe' ai limiti
volumetrici massimi stabiliti all'articolo 32, comma 25 del
decreto-legge n. 269 del 2003.
Non piu' controverso sarebbe anche l'art. 19 del quale la Regione
avrebbe fornito un interpretazione conforme alla normativa statale,
nonche' l'art. 21, comma 1, lettera c), il quale non escluderebbe la
sanabilita' delle costruzioni realizzate in zona agricola.
Conseguentemente, il nucleo delle censure sarebbe circoscritto
all'art. 21, comma 1, lettera d), nella parte in cui esclude la
sanabilita' delle nuove costruzioni residenziali. A tale riguardo, il
ricorrente afferma che la Sentenza n. 196 del 2004 non avrebbe
liberato i legislatori regionali dal dovere di conformarsi ai principi
determinati dal Parlamento. Pertanto al legislatore regionale sarebbe
consentito apportare solo articolazioni e specificazioni della
disciplina statale.
L'Avvocatura ribadisce altresi' le censure fondate sugli artt. 81,
117, terzo comma, e 119 Cost., dal momento che i legislatori regionali
non potrebbero sottrarre risorse finanziarie essenziali al bilancio
dello Stato e turbare il difficile equilibrio della finanza pubblica
statale, dal momento che le esigenze di politica economico-finanziaria
nazionale "necessariamente pervadono tutte le materie" rientranti
nella competenza concorrente.
Il ricorrente ribadisce infine le censure relative all'art. 20, comma
1, lettera a) e all'art. 21, lettera e) della legge regionale, mentre
"reputa preferibile non insistere nella domanda di parziale
demolizione" dell'art. 21, lettera h) tenuto conto della scarsa
rilevanza pratica della questione.
26. La Regione Umbria, nella memoria depositata il 29 novembre 2005,
ribadisce che le censure svolte dallo Stato avverso la legge impugnata
non terrebbero conto della Sentenza n. 196 del 2004, la quale avrebbe
individuato, sia pure a titolo esemplificativo, i principi
fondamentali contenuti nell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003.
Non costituirebbe invece principio fondamentale la indicazione delle
quantita' sanabili in metri cubi, come invece asserito dall'Avvocatura
dello Stato. D'altra parte, la disciplina regionale si limiterebbe a
circoscrivere la sanatoria alle opere realizzate in assenza o
difformita' dal titolo abilitativo, purche' conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti
al 2 ottobre 2003.
Per quanto attiene alla lamentata lesione dell'art. 117, secondo
comma, lettere a) ed e), Cost., la difesa regionale rileva che tali
censure sarebbero immotivate. Qualora esse dovessero essere lette come
sostegno alla asserita violazione della materia del coordinamento
della finanza pubblica, sarebbero infondate. La imposizione di un
vincolo, "per di piu' di entrata", alla autonomia di bilancio non
sarebbe, infatti, principio generale di coordinamento della finanza
pubblica.
L'esclusione dalla sanatoria degli immobili che abbiano beneficiato di
precedenti condoni edilizi (art. 21, comma 1, lettera e) rientrerebbe
nella potesta' riconosciuta al legislatore regionale di introdurre
esclusioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla disciplina
statale, e giustificata dalla tutela di finalita' generali, come il
contrasto della recidiva e dell'abitualita' nella commissione degli
abusi.
La limitazione alla condonabilita' degli abusi realizzati nei centri
storici, censurata dallo Stato, si giustificherebbe se inquadrata
nella valenza storica e artistica dei centri urbani della Regione
Umbria.
La resistente precisa, altresi', come le limitazioni alla sanatoria
poste dai legislatori regionali inciderebbero, a differenza di quanto
mostra di ritenere l'Avvocatura dello Stato, solo sul rilascio del
titolo abilitativo in sanatoria e non sulla estinzione del reato, di
modo che, quand'anche l'abuso non fosse sanabile sotto il profilo
amministrativo in base ad una previsione regionale restrittiva, il suo
autore potrebbe comunque beneficiare dell'effetto estintivo del
reato.
La difesa regionale precisa, infine, come l'art. 27, comma 4, si
riferisca chiaramente alle ipotesi di piu' unita' immobiliari dello
stesso proprietario comprese in un unico edificio e non autonome.
27. - Nel giudizio introdotto con ricorso n. 9 del 2005, con atto
depositato il 4 febbraio 2005, la Regione Campania si e' costituita in
giudizio, contestando l'ammissibilita' e la fondatezza del ricorso
statale.
La difesa regionale innanzitutto afferma che il termine di quattro
mesi non decorrerebbe dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge n. 168 del 2004, bensi' dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione, e cioe' dal 1 agosto 2004, che ha
apportato emendamenti sul punto specifico.
La difesa regionale eccepisce comunque l'inammissibilita' delle
censure prospettate con riguardo al mancato rispetto del termine, in
quanto sollevate in modo dubitativo.
Nel merito contesta che tale termine sia e possa essere qualificato
come perentorio. In ogni caso, esso sarebbe del tutto sganciato
dall'impianto concettuale utilizzato dalla Corte nella Sentenza n. 196
del 2004, la quale, nel disporre che la legge statale dovesse fissare
un congruo termine per l'emanazione delle leggi regionali, collegava
tale previsione al principio di leale cooperazione.
La Regione eccepisce come ulteriore profilo di inammissibilita' del
ricorso, l'impugnativa di alcune soltanto delle norme contenute nella
legge regionale, in tal modo operando una non consentita
frammentazione di un unitario intervento regionale. Quanto poi alle
censure relative alle singole disposizioni, la Regione ne eccepisce
innanzitutto l'inammissibilita', per carenza dell'argomentazione
nonche' per genericita' dei parametri evocati.
Nel merito tali censure sarebbero infondate in quanto la Regione
avrebbe esercitato l'autonomia di scelta riconosciutale dalla Corte in
ordine alla delimitazione della possibilita', delle condizioni e delle
modalita' della sanatoria straordinaria.
Anche la previsione della esclusione dalla sanabilita' delle opere
ricadenti sul demanio pubblico rientrerebbe tra le scelte che la Corte
ha attribuito alla Regione, laddove ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale della legge statale che non ha previsto
l'applicabilita' della disciplina regionale anche al demanio statale.
In via subordinata, la difesa regionale chiede che ove la Corte
ritenga che il termine per l'emanazione della legge regionale
decorresse dal 12 luglio 2004, sollevi avanti a se' la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n.
168 del 2004, "nella parte in cui limita a soli quattro mesi il
termine per l'esercizio della potesta' legislativa regionale",
trattandosi di termine incongruo rispetto alla pluralita' di contenuti
e alla complessita' delle scelte che il legislatore regionale doveva
operare, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. e del
principio di leale collaborazione.
28. La Regione Campania ha depositato una memoria difensiva in data 8
ottobre 2005, nella quale insiste perche' la Corte Costituzionale
dichiari inammissibile, e comunque infondato, il ricorso statale.
In particolare, la resistente contesta la configurazione del termine
posto all'esercizio della potesta' legislativa regionale come
perentorio. Si tratterebbe, invece, di un termine posto a presidiare
la "effettiva reciproca collaborazione fra i livelli di governo, al
fine di consentire la operativita' della scelta del condono".
Peraltro, la Regione ribadisce la incongruita' del termine in concreto
stabilito dalla legge statale, e dunque la sua illegittimita'
costituzionale.
Le doglianze espresse nel ricorso statale circa il merito delle scelte
operate con la legge regionale, inoltre, sarebbero infondate, in
quanto "sul piano urbanistico-amministrativo" la Corte Costituzionale
avrebbe gia' "definitivamente riconosciuto alle Regioni una ampia
discrezionalita'".
29. L'Avvocatura dello Stato ha depositato, in data 5 novembre, una
memoria nella quale, anzitutto, contesta che l'impugnazione di alcune
soltanto delle norme contenute nella legge regionale campana determini
l'inammissibilita' del ricorso.
Ribadisce inoltre l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni
censurate "per inottemperanza, in quanto tardivamente prodotte, alle
indicazioni date" dalla Corte nella Sentenza n. 196 del 2004 e per
conseguente inosservanza del principio di leale collaborazione e
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Tale censura, ove ritenuta fondata, sarebbe assorbente rispetto alle
doglianze specifiche prospettate nel ricorso "in via logicamente
subordinata".
L'Avvocatura infine contesta il carattere generico delle difese svolte
dalla Regione.
In tutti i ricorsi sopra menzionati il Presidente del Consiglio dei
ministri precisa inoltre che la declaratoria di illegittimita'
costituzionale delle disposizioni impugnate non produrrebbe alcuna
lacuna, posto che da essa deriverebbe "il riespandersi della normativa
statale".
30. Nel corso dell'udienza pubblica il rappresentante dell'Avvocatura
generale dello Stato ha insistito per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale di tutte le norme impugnate, non essendo
stato autorizzato a rinunziare ad alcuna di esse.
Considerato in diritto
1. II Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato numerose
disposizioni di sette leggi regionali: gli artt. 26, comma 4; 29 comma
2 (e, per quanto ivi richiamato, l'art. 8, comma 3); 32; 33, commi da
1 a 4 (eccettuata, nel comma 3, la lettera d); 34, commi 1 e 2 (con
esclusione delle lettere b, c, d ed e del comma 2), della legge della
Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo
dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui
all'articolo 32 del D.L 30 settembre 2003, n. 269, convertito con
modifiche dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326); l'art. 2, commi 1, 2,
5 (limitatamente alla lettera c), e 6, della legge della Regione
Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia
straordinaria); l'art. 3 (eccettuato il comma 4) della legge della
Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli
abusi edilizi); gli artt. 1, comma 1 (limitatamente alle parole "salvo
quanto disposto dalla presente legge"); 2, commi 1 e 2; 3, comma 1,
della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31
(Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi); gli artt. 3,
commi 1 (eccettuata la lettera b) e 3, della legge della Regione
Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono
edilizio); gli artt. 19; 20, comma 1, lettere a) e c); 21, comma 1,
lettere c) d), e) ed h); 27, comma 4 (tali ultime due disposizioni
sono impugnate in virtu' della loro asserita "connessione" con le
altre), della legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme
sulla vigilanza, responsabilita', sanzioni e sanatoria in materia
edilizia); gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2);
4; 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione
Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi
edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32
cosi' come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, di
conversione e successive modifiche ed integrazioni).
I parametri costituzionali che, sotto differenziati profili, si
assumono violati sono gli artt. 3; 42; 81; 97; 117, secondo comma,
lettere a), e), l), s); 117, terzo comma; 119 Cost, nonche' i principi
di autonomia degli enti locali e di leale collaborazione fra Stato e
Regioni.
2. Considerata la sostanziale identita' della materia, nonche'
l'analogia di gran parte delle questioni prospettate, i giudizi
possono essere riuniti per essere affrontati congiuntamente e decisi
con unica sentenza.
3. Le molteplici questioni di costituzionalita' sollevate nei ricorsi
del Presidente del Consiglio dei ministri possono essere sintetizzate
nei termini seguenti.
I) L'art. 26, comma 4, della legge regionale dell'Emilia- Romagna n.
23 del 2004, il quale dispone che "le opere edilizie autorizzate e
realizzate in data antecedente all'entrata in vigore della legge 28
gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilita' dei suoli), che
presentino difformita' eseguite nel corso dell'attuazione del titolo
edilizio originario, si ritengono sanate, fermo restando il rispetto
dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza", violerebbe l'art.
117, terzo comma, Cost., dal momento che introdurrebbe - peraltro in
contrasto con la tendenza alla riduzione dell'ambito applicativo della
sanatoria propria di altre norme della stessa legge regionale - "una
sanatoria straordinaria gratuita ed ope legis non sorretta da alcun
principio fondamentale determinato dallo Stato, e contrastante con le
esigenze della finanza pubblica"; inoltre, la medesima norma
violerebbe l'art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una discriminazione
tra i proprietari basata sulla diversa collocazione temporale degli
illeciti, consentendo la sanatoria ex lege solo per quelli piu'
risalenti nel tempo.
II e III) L'art. 29, comma 2, della legge regionale
dell'Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale stabilisce che "qualora
in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli
successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione del
professionista abilitato" contenga dichiarazioni non veritiere,
rilevanti ai fini del conseguimento del titolo, "trova applicazione
quanto disposto dall'articolo 8, comma 3", nonche' l'art. 8, comma 3,
della medesima legge, per quanto richiamato dall'art. 29, secondo il
quale "nel caso in cui il titolo abilitativo contenga dichiarazioni
non veritiere del progettista necessarie ai fini del conseguimento del
titolo stesso, l'Amministrazione comunale ne da' notizia all'Autorita'
giudiziaria nonche' al competente Ordine professionale, ai fini
dell'irrogazione delle sanzioni disciplinari", violerebbero l'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost, in relazione alla materia
dell'"ordinamento civile e penale", nonche' dell'art. 117, terzo
comma, Cost. in quanto contrasterebbe con la competenza statale
concorrente in materia di "professioni".
IV) L'art. 32, della legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 23 del
2004, che disciplina in linea generale gli interventi non ammessi a
sanatoria, aggiungendo a quelli ritenuti tali dalla normativa statale
di principio anche gli interventi e le opere "per la cui realizzazione
siano stati utilizzati contributi pubblici erogati successivamente al
1995 a qualunque titolo dallo Stato, dalla Regione e dagli enti
locali", nonche' gli interventi realizzati su "unita' abitative gia'
oggetto di titolo in sanatoria, ai sensi dei Capi IV e V della Legge
28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita'
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie), o dell'art. 39 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica), per la regolarizzazione
amministrativa di interventi di nuova costruzione o di
ristrutturazione nonche' interventi di ampliamento o soprelevazione
che abbiano comportato nuove unita' immobiliari", violerebbe gli artt.
3, primo comma, 42, 117 e 119 Cost., in quanto la previsione di
ulteriori (rispetto a quelle previste dalla legislazione statale)
condizioni ostative all'ammissibilita' della sanatoria contrasterebbe
con la normativa statale di principio, con il principio di uguaglianza
e la disciplina costituzionale della proprieta' privata, determinando
una irragionevole discriminazione "tra proprietari di edifici ed anche
tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi".
V) L'art. 33, comma 1, della legge regionale dell'Emilia- Romagna n.
23 del 2004, il quale dispone che "in tutto il territorio della
Regione non e' ammesso il rilascio dei titoli in sanatoria per la
costruzione di nuovi manufatti edilizi fuori terra o interrati
realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con le
prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31
marzo 2003", violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., perche',
escludendo dalla assoggettabilita' al condono edilizio i nuovi
manufatti, contrasterebbe con la norma statale di principio di cui
all'art. 32, comma 25, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1 della Legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo la quale non
puo' essere esclusa - ma, eventualmente, soltanto delimitata - la
sanabilita' delle nuove costruzioni residenziali di modeste dimensioni
realizzate in contrasto con gli strumenti urbanistici; contrasterebbe,
inoltre, con l'art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in
quanto inciderebbe nelle materie - affidate alla competenza esclusiva
dello Stato - dei "rapporti con l'Unione Europea", della "moneta" e
del "sistema tributario e contabile dello Stato", nonche' con l'art.
117, terzo comma, l'art. 119 Cost. e la potesta' statale di
coordinamento della finanza pubblica; con l'art. 81 Cost., in quanto
inciderebbe negativamente sulla copertura finanziaria di molte leggi
di spesa che "fanno affidamento sul gettito del condono edilizio",
determinando una "indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del
Paese nel suo insieme"; violerebbe altresi' l'art. 3, Cost., in quanto
la restrizione dell'ambito applicativo della disciplina statale del
condono edilizio comporterebbe una violazione del principio di
uguaglianza; violerebbe, infine, l'art. 117, secondo comma, lettera
1), Cost. relativamente alla competenza statale esclusiva in materia
di ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia
di illecito urbanistico riceverebbe nella Regione, per effetto
dell'applicazione della norma impugnata, un diverso trattamento
giudiziario.
VI) L'art. 33, commi 2 e 3, della legge regionale dell'Emilia-Romagna
n. 23 del 2004, nella parte in cui limita in modo sostanziale
l'ammissibilita' della sanatoria per gli ampliamenti e le
sopraelevazioni, discostandosi dai limiti previsti dall'art. 32, comma
25, del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe l'art. 117, terzo
comma, Cost., perche' ridurrebbe irrazionalmente e irragionevolmente
l'ambito degli interventi ammessi al condono edilizio dalla normativa
statale; l'art. 117, secondo comma, lettere a) ed e) l'art. 117, terzo
comma, nonche' l'art. 119 Cost., in quanto ridurrebbe il gettito
finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in
tal modo incidendo su materie di competenza statale esclusiva
("rapporti dello Stato con l'Unione Europea", "moneta") e concorrente
("coordinamento della finanza pubblica"); l'art. 81 Cost., in quanto
avrebbe effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa
che "fanno affidamento sul gettito del condono edilizio", determinando
una "indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del Paese nel suo
insieme"; l'art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell'ambito
applicativo della disciplina statale del condono edilizio
comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza; l'art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla competenza statale
esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che
la medesima tipologia di illecito urbanistico riceverebbe, per effetto
dell'applicazione della norma impugnata, un diverso trattamento
giudiziario; l'art. 3 Cost., nella parte in cui introduce, per gli
edifici bifamiliari (art. 32, comma 3, lettera b), un limite (100
metri cubi) irragionevolmente piu' severo rispetto a quello (cento
metri quadrati) "che segna il confine tra la nozione di variazione
essenziale e quella di parziale difformita' (per l'Emilia-Romagna,
art. 23 della legge reg. 25 novembre 2002, n. 31)".
VII) L'art. 33, comma 3 (ad eccezione della lettera d), della legge
regionale dell'Emilia-Romagna n. 23 del 2004, concernente gli
ampliamenti e sopraelevazioni di manufatti esistenti, e l'art. 34,
comma 2, concernente gli interventi di ristrutturazione edilizia,
nella parte in cui ammettono la sanatoria straordinaria (soltanto) di
interventi edilizi "che siano conformi alla legislazione urbanistica
ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti alla data del 31 marzo 2003", violerebbero l'art. 117, terzo
comma, Cost, in quanto contrasterebbero con la normativa statale di
principio relativa alla individuazione degli interventi ammissibili a
sanatoria, non essendo chiara la portata del requisito della
conformita' alla legislazione urbanistica e potendo esso determinare
una ridottissima possibilita' di applicazione del condono, anche in
relazione ad abusi minori.
VIII) L'art. 33, comma 4, della legge regionale dell'Emilia-Romagna n.
23 del 2004, il quale stabilisce che "qualora gli ampliamenti di cui
al comma 3, lettera a), punto 1), riguardino edifici con originaria
funzione diversa da quella abitativa, tali immobili sono obbligati a
mantenere una destinazione d'uso non abitativa nei venti anni
successivi alla data di entrata in vigore della presente legge", nella
parte in cui vincola per venti anni la destinazione d'uso degli
immobili condonati, violerebbe gli artt. 3, 117, secondo comma,
lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119, 81 Cost, "l'autonomia
degli enti locali" in relazione all'esercizio della potesta'
urbanistica, nonche' l'art. 42 Cost. e la garanzia costituzionale
della proprieta'.
IX e X) L'art. 34, comma 1, della legge regionale dell'Emilia-Romagna
n. 23 del 2004, il quale esclude dalla sanatoria gli interventi di
ristrutturazione edilizia "realizzati in contrasto con la legislazione
urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti
alla data del 31 marzo 2003, fatto salvo quanto disposto dal comma 2",
senza "distinguere tra ristrutturazioni per le quali e' necessario
permesso di costruire e ristrutturazioni a volumetria e superficie
utile lorda invariate" (che non comportano, di regola, alterazioni del
carico urbanistico, e dunque non implicano oneri per la
riqualificazione urbana a carico delle comunita' locali), nonche'
l'art. 34, comma 2, lettere a) e d) della medesima legge, il quale
ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione purche'
ricorrano le condizioni elencate e siano conformi alla legislazione
urbanistica, ed in particolare la lettera a), la quale ammette a
sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia che "non
comportino aumento delle unita' immobiliari, fatte salve quelle
ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in
edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari", violerebbero l'art.
117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa
statale di principio che non prevede tali limitazioni.
XI) L'art. 2, comma 1, della legge regionale della Toscana n. 53 del
2004, nella parte in cui ammette alla sanatoria edilizia soltanto "le
opere e gli interventi (. . .) realizzati con variazioni essenziali
dal titolo abilitativo o, comunque, in difformita' rispetto ad esso"
(lettera a), escludendo dall'ambito di applicazione del condono gli
immobili realizzati in assenza di permesso di costruire, ed inoltre,
nella parte in cui subordina la sanabilita' al "rispetto dei limiti
indicati dal comma 2", violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto, nel circoscrivere i limiti di volumetria e nell'escludere del
tutto tipologie di abusi dall'ambito degli interventi ammessi alla
sanatoria, contrasterebbe con il principio fondamentale posto dalle
norme statali concernenti il condono edilizio che consente alle
Regioni soltanto la possibilita' di "specificare i limiti
(quantitativi e non) della sanabilita'", nonche' di "'limare' entro
margini di ragionevole tollerabilita' (. . .) le volumetrie massime
previste dal legislatore statale"; l'art. 117, secondo comma, lettere
a) ed e), Cost, in quanto inciderebbe nelle materie - affidate alla
competenza esclusiva dello Stato - dei "rapporti con l'Unione
europea", della "moneta" e del "sistema tributario e contabile dello
Stato"; l'art. 117, terzo comma, l'art. 119 Cost. e la potesta'
statale di coordinamento della finanza pubblica; l'art. 81 Cost., in
quanto comprimerebbe il gettito derivante dal condono edilizio sul
quale piu' leggi del Parlamento farebbero affidamento, ledendo "le
potesta' statali di governo della finanza pubblica", e potendo "essere
considerato indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del Paese
nel suo insieme"; l'art. 3 Cost. ed il principio di eguaglianza;
l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla
competenza esclusiva statale in esso prevista nelle materie
dell'ordinamento civile e penale, in ragione della "asistematicita'"
delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero
chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata.
XII) L'art. 2, comma 2, della legge regionale della Toscana n. 53 del
2004, che individua gli interventi non suscettibili di sanatoria,
violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto si discosterebbe
"eccessivamente" e "irrazionalmente", dai "limiti quantitativi" alla
sanabilita' di ampliamenti e ristrutturazioni, previsti dall'art. 32,
comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003; violerebbe, altresi', gli
artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 119 Cost. (per
ragioni identiche a quelle indicate per le questioni sub VI e XI).
XIII) L'art. 2, comma 5, lettera c), della legge regionale della
Toscana n. 53 del 2004, il quale esclude del tutto dalla sanatoria "le
opere e gli interventi in contrasto con le destinazioni d'uso ammesse,
nella zona interessata, dagli strumenti urbanistici vigenti al momento
dell'entrata in vigore" della medesima legge, violerebbe l'art. 117,
terzo comma, Cost, perche' introdurrebbe "un limite non sorretto da
(un) principio determinato dal legislatore statale", nonche' in quanto
consentirebbe, "nella concreta applicazione" della normativa,
"discrezionalita' non compatibili con la 'meccanica' di un condono
edilizio".
XIV) L'art. 2, comma 6, della legge regionale della Toscana n. 53 del
2004, ai sensi del quale, "qualora i vincoli di cui al comma 4 e al
comma 5, lettera a), siano istituiti dopo l'entrata in vigore della
presente legge, si applica quanto previsto dall'articolo 32 della
Legge 47/85. Si applica ugualmente l'articolo 32 della Legge 47/85 per
la sanatoria delle opere di cui al comma 5, lettera a), conformi agli
strumenti urbanistici", laddove sembra attribuire ai vincoli istituiti
dopo l'entrata in vigore della legge de qua "la forza di impedire la
sanatoria straordinaria", violerebbe gli artt. 81, 117, secondo e
terzo comma, e 119 Cost.; l'art. 3 Cost., in quanto il principio di
eguaglianza sarebbe "irrazionalmente leso dalla facolta' (e dalla
attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo discrezionale
l'affidamento del cittadino che autodenuncia l'abuso edilizio"; l'art.
97 Cost. ed i principi di imparzialita' e buon andamento
dell'amministrazione.
XV) L'art. 3, commi 1 e 3, della legge regionale della Regione Marche
n. 23 del 2004, nella parte in cui introduce limiti quantitativi
all'ambito degli interventi ammessi alla sanatoria straordinaria,
riducendo le volumetrie massime assentibili ed escludendo quasi del
tutto la sanatoria per le nuove costruzioni residenziali, in tal modo
ponendosi in contrasto con i principi stabiliti dalla legislazione
statale, violerebbe gli artt. 81, 117, secondo comma, lettere a), e)
ed 1), 117, terzo comma, 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a
quelle indicate per le questioni sub VI e XI), nonche' l'art. 3 Cost.,
in quanto alterna in modo "poco razionale" "misure di volumetria a
misure di superficie", senza specificare se si tratta di superficie
utile lorda o netta, ed in quanto sopprime "la essenziale distinzione
tra nuove costruzioni e ampliamenti" ed inoltre in quanto fa "ricorso
soltanto a limiti massimi espressi in cifre assolute".
XVI) L'art. 3 della legge regionale della Regione Marche n. 23 del
2004, nella parte in cui - per effetto della soppressione del limite
del 30 per cento della volumetria e del limite di 3.000 metri cubi
previsti dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nonche' a
causa della mancata differenziazione delle nuove costruzioni non
residenziali - estende l'ambito della sanabilita', violerebbe l'art.
117, terzo comma, Cost., nonche', piu' specificamente, l'art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., il quale attribuisce alla competenza
esclusiva dello Stato la materia dello "ordinamento civile e penale".
XVII, XVIII, XIX, XX) L'art. 2, comma 1, della legge della Regione
Lombardia n. 31 del 2004, nella parte in cui esclude dalla sanatoria
straordinaria le "nuove costruzioni, residenziali e non, qualora
realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi
agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in
vigore della presente legge"; nonche' nella parte in cui appare
escludere anche le opere realizzate in totale difformita' dal titolo o
con variazioni essenziali; ed infine, nella parte in cui riduce - in
relazione agli ampliamenti - i limiti massimi di volumetria aggiuntiva
ammessi a sanatoria straordinaria, consentendoli solo ove contenuti
entro il "20 per cento della volumetria della costruzione originaria
o, in alternativa, di 500 metri cubi"; l'art. 2, comma 2, della
medesima legge, il quale, nello stabilire che "non sono suscettibili
di sanatoria i mutamenti di destinazione d'uso, qualora superiori a
500 metri cubi per singola unita' immobiliare e non conformi alle
previsioni urbanistiche comunali vigenti alla data di entrata in
vigore della presente legge", pone due differenti limiti, ulteriori a
quelli stabiliti dalla normativa statale, alla sanabilita' dei
mutamenti di destinazione d'uso, "senza distinguere tra mutamenti
implicanti opere ed altri mutamenti e tra mutamenti incidenti sui
carichi urbanistici ed altri mutamenti", violerebbero gli artt. 3, 81,
117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost.
(per ragioni identiche a quelle indicate per le questioni sub VI e
XI).
XXI) L'art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del
2004, ove "considerato esaustivo ed a se stante" rispetto alla
legislazione statale, e dunque, "interpretabile a contrario" nel senso
di consentire un ampliamento dell'ambito della sanatoria, violerebbe
l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto sarebbe contrastante "con il
principio posto dall'art. 32, comma 27, lettera d)", del decreto-legge
30 settembre 2003, n. 269; violerebbe altresi' l'art. 117, secondo
comma, lettera 1), Cost, in quanto invaderebbe l'ambito della
competenza statale esclusiva in materia di "ordinamento civile e
penale".
XXII) L'art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Veneto
n. 21 del 2004, il quale ammette a sanatoria "le tipologie di opera di
cui all'Allegato 1 della legge sul condono" a condizione che "gli
ampliamenti di costruzioni a destinazione industriale, artigianale e
agricolo-produttiva non superino il 20 per cento della superficie
coperta fino ad un massimo di 450 metri quadrati di superficie lorda
di pavimento", violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost, in quanto,
individuando i limiti quantitativi degli abusi sanabili con
riferimento alla superficie e non al volume, renderebbe possibile il
superamento del limite di 750 metri cubi fissato dall'art. 32, comma
25, del decreto-legge n. 269 del 2003, in contrasto con i principi
fondamentali della materia "governo del territorio" individuati dalla
Sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 nella disciplina statale
posta dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed in
particolare con il limite massimo delle volumetrie sanabili ivi
indicato, nonche' l'art. 117, secondo comma, lettera l) Cost., in
quanto, estendendo l'ambito della sanabilita', determinerebbe una
palese invasione della competenza statale in materia di "ordinamento
civile e penale".
XXIII) L'art. 3, comma 1, lettera c), della legge della Regione Veneto
n. 21 del 2004, il quale, nella parte in cui dispone che "le tipologie
di opera di cui all'Allegato 1 della legge sul condono" sono
suscettibili di sanatoria edilizia a condizione che "le nuove
costruzioni siano pertinenze di fabbricati residenziali prive di
funzionalita' autonoma, fino ad un massimo di 300 metri cubi", esclude
dal condono edilizio le "nuove costruzioni residenziali" diverse da
quelle pertinenziali e aventi volumetria non superiore a 300 metri
cubi, violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
contrasterebbe con "un principio determinato dal legislatore statale",
nonche' con la "configurabilita'" - che sarebbe stata ammessa anche da
questa Corte - "di una sanatoria straordinaria di illeciti
urbanistici"; l'art. 117, terzo comma, l'art. 119 Cost. e la
competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica;
l'art. 117, secondo comma, lettere a), e) ed l) Cost., in quanto
inciderebbe sulla competenza esclusiva statale in materia di "rapporti
con l'Unione Europea", "moneta", "ordinamento civile e penale"; l'art.
81 Cost., per contrasto con il principio di copertura finanziaria,
l'art. 3, Cost. e il principio di eguaglianza ivi sancito.
XXIV) L'art. 3, comma 3, della legge della Regione Veneto n. 21 del
2004 - il quale dispone che "ad integrazione di quanto previsto
dall'articolo 32, commi 26 e 27, della legge sul condono, nelle aree
assoggettate ai vincoli di cui all'articolo 32" della Legge n. 47 del
1985 e successive modificazioni, "sono suscettibili di sanatoria
edilizia, a condizione che l'intervento non sia precluso dalla
disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i seguenti
interventi, ancorche' eseguiti in epoca successiva alla imposizione
del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione d'uso, con o
senza opere, qualora la nuova destinazione d'uso sia residenziale e
non comporti ampliamento dell'immobile; b) le opere o modalita' di
esecuzione non valutabili in termini di volume", nella misura in cui
farebbe riferimento ad interventi non incidenti sulla volumetria, ma
solo sulla "superficie utile", escludendo dalla sanatoria "ogni altro
intervento abusivo", violerebbe gli artt. 117, secondo e terzo comma,
81, 119 e 3 Cost. (per le medesime ragioni svolte sub VI e XI),
nonche' l'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost, sia in quanto
sarebbe riservata al legislatore statale "la tutela dei valori (ad
esempio ambientali) presidiati" dai vincoli di cui all'art. 32 della
Legge n. 47 del 1985, sia in quanto possa in concreto consentire la
sanatoria che sarebbe invece esclusa in via assoluta dall'art. 33
della Legge n. 47 del 1985.
XXV) L'art. 20, comma 1, lettera a), della legge della Regione Umbria
n. 21 del 2004, il quale nel disciplinare la sanabilita' degli
ampliamenti di fabbricati esistenti, introduce limiti
quantitativamente diversi rispetto a quelli previsti dall'art. 32,
comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, discrimina tra unita'
immobiliari destinate ad attivita' produttive o a servizi e altre
unita' immobiliari, determina tali limiti in "metri quadri di
superficie utile coperta", anziche' in termini di volume, in
violazione degli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
(per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub
VI, XI).
XXVI) L'art. 20, comma 1, lettera c) della legge della Regione Umbria
n. 21 del 2004, il quale ammette la sanatoria delle "opere
riconducibili alle seguenti tipologie di illecito edilizio indicate
con i numeri 3, 4, 5 e 6 dell'Allegato 1 al decreto-legge medesimo,
anche con eventuale modifica delle destinazioni d'uso" le quali "siano
esse realizzate in conformita' o in difformita' dalle norme
urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla
data del 2 ottobre 2003", violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost.,
in quanto, ove la data del 2 ottobre 2003 fosse riferita alla
realizzazione delle opere, contrasterebbe "con il fondamentale
principio posto dall'art. 32, comma 25, del citato decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269", il quale fa riferimento alle opere realizzate
entro il 31 marzo 2003; l'art. 117, secondo comma, lettera l) Cost.,
in quanto invaderebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia
di "ordinamento civile e penale".
XXVII) L'art. 21, comma 1, lettera c) della legge della Regione Umbria
n. 21 del 2004, nella parte in cui esclude la sanabilita' di opere
abusive che comportino "utilizzo di aree in zona agricola per usi del
suolo diversi da quello agricolo", potendo determinare la preclusione
della sanatoria nelle zone agricole, oltretutto in contraddizione con
il precedente art. 20, comma 1, lettera a), numero 3, ove viene
espressamente menzionata la "zona E", determinerebbe una irragionevole
diminuzione dell'ambito degli interventi condonabili, cosi' violando
gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per
identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e
XI).
XXVIII) L'art. 21, comma 1, lettera d), della legge della Regione
Umbria n. 21 del 2004, il quale, escludendo dal condono edilizio
straordinario i "nuovi edifici, salvo quanto previsto dall'art. 20,
comma 1, lettera b)", della medesima legge regionale, ridurrebbe
l'ambito delle fattispecie passibili di sanatoria, in contrasto con i
principi fondamentali posti dall'art. 32, comma 25, del decreto-legge
n. 269 del 2003, ai sensi del quale sarebbero ammesse a sanatoria
anche le "nuove costruzioni residenziali", in violazione degli artt.
3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per identiche ragioni
rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).
XXIX) L' art. 21, comma 1, lettera e), della legge della Regione
Umbria n. 21 del 2004, nella parte in cui esclude la sanabilita'
dell'ampliamento di edifici la cui "intera" costruzione abbia gia'
beneficiato di "precedenti condoni edilizi", violerebbe l'art. 3
Cost., in quanto introdurrebbe una disuguaglianza non sorretta da un
principio della legislazione statale; gli artt. 3 e 42 Cost., in
quanto discriminerebbe gli attuali proprietari degli edifici in
questione che potrebbero essere soggetti diversi dagli autori dei
precedenti abusi e dai proprietari degli immobili all'epoca in cui
essi sono stati realizzati; l'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in quanto la discriminazione tra proprieta' edilizie e relativi
proprietari sarebbe invasiva della competenza esclusiva statale in
materia di "ordinamento civile e penale".
XXX) L'art. 21, comma 1, lettera h), della legge della Regione Umbria
n. 21 del 2004, il quale - nell'escludere dalla sanatoria gli
interventi "di ampliamento nelle zone omogenee A di cui al D.M. n.
1444/1968, nonche' nei centri storici", ad eccezione "di quelli di cui
all'articolo 20, comma 2" - equipara "i centri storici ai 'siti
archeologici' e tutti i relativi edifici a quelli sottoposti a vincolo
extraurbanistico", determinando una irragionevole diminuzione
dell'ambito degli interventi per i quali e' ammesso il condono
edilizio, violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e
119 Cost., (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle
questioni sub VI e XI).
XXXI) L'art. 19 della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il
quale al comma 1 afferma che "i limiti, le condizioni e le modalita'
per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (. . .) sono
disciplinate dal presente titolo", mentre al successivo comma 2
afferma che "per quanto non disposto dal presente titolo si applicano"
le normative statali del 1985 e del 1994, nonche' i termini temporali,
le modalita' e le procedure previste dalle norme statali del 2003, "in
connessione con le doglianze in precedenza formulate", violerebbe gli
artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., in quanto
conterrebbe disposizioni poco chiare ed inoltre, in quanto la mancata
menzione delle "successive modifiche ed integrazioni" della disciplina
statale del 1985 e del 1994 potrebbe "ingenerare incertezze e
controversie".
XXXII) L'art. 27, comma 4, della legge della Regione Umbria n. 21 del
2004, il quale dispone che "l'ampliamento di cui alla lettera a) del
comma 1 dell'articolo 20, per gli edifici costituiti da piu' unita'
immobiliari dello stesso avente titolo, o da unita' immobiliari
pertinenziali insistenti all'interno del lotto o dell'area, sempre
dello stesso avente titolo, e' ammesso per una sola volta ed e'
riferito alla sommatoria delle superfici di tutte le unita'
immobiliari interessate, salvo che ogni unita' immobiliare si
configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi",
laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di piu' proprietari
di unita' immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico
proprietario di piu' unita' immobiliari autonome, violerebbe l'art.
117, terzo comma, Cost.
XXXIII) Gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), 4, 6
(soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione Campania n.
10 del 2004, in quanto emanati quando era oramai decorso il termine di
quattro mesi (scaduto il 12 novembre 2004) stabilito dall'art. 5,
comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (interventi urgenti
per il contenimento della spesa pubblica), convcrtito con
modificazioni nella Legge 30 luglio 2004, n. 191, per l'emanazione
della legge di cui al comma 26 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269
del 2003, violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. e il principio
di 'leale collaborazione', in quanto, decorso il termine suddetto, la
potesta' normativa regionale avrebbe potuto essere esercitata soltanto
recependo la normativa statale gia' divenuta applicabile, "senza
possibilita' di contraddirla".
XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII) L'art. 1, comma 1, della legge della
Regione Campania n. 10 del 2004, il quale dispone che "la presente
legge disciplina la possibilita', le condizioni e le modalita' per
l'ammissibilita' a sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto
legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito in legge
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, articolo 1 e successive
modificazioni e integrazioni", laddove sia suscettibile di essere
interpretato nel senso di escludere "dal tessuto normativo
complessivo" le disposizioni statali in esso citate; l'art. 3, comma
1, della medesima legge, nella parte in cui esclude dalla sanatoria
straordinaria tutte le "opere abusive che hanno comportato la
realizzazione di nuove costruzioni difformi dalle norme urbanistiche e
dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di
esecuzione delle stesse", in contrasto con l'art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003, ed inoltre nella parte in cui, irrazionalmente
darebbe rilevanza a norme e strumenti urbanistici non piu' in vigore
al momento dell'entrata in vigore della legge regionale; l'art. 4,
comma 1, lettera a), della medesima legge, il quale, disponendo che
sono sanabili le opere abusive rientranti tra le tipologie di cui
all'Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se le stesse "hanno
comportato un ampliamento del manufatto inferiore al quindici per
cento della volumetria della costruzione originaria, sempre che
l'ampliamento non superi complessivamente i 250 metri cubi", pone per
gli ampliamenti due limiti piu' severi rispetto a quelli previsti
dalla norma statale ed inoltre tra loro cumulativi, in tal modo
restringendo l'ambito della sanatoria; l'art. 4, comma 1, lettera b),
della medesima legge, che disponendo che sono sanabili le opere
abusive che "hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni
conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse e aventi una
volumetria inferiore a 250 metri cubi per singola richiesta di titolo
edilizio in sanatoria, sempre che la nuova costruzione non superi
complessivamente i 600 metri cubi", violerebbero gli artt. 3, 81, 117,
secondo e terzo comma, e 119 Cost., (per ragioni identiche rispetto a
quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).
XXXVIII) L'art. 3, comma 2, lettera a), "con i connessi commi 3 e 4",
e l'art. 4, comma 1, lettera c), della legge della Regione Campania n.
10 del 2004, nella parte in cui restringono l'ambito degli interventi
sanabili negando rilevanza al parere favorevole delle autorita'
preposte alla tutela del vincolo, senza distinguere se tale vincolo
sia anteriore all'abuso ovvero successivo, violerebbero gli artt. 3,
81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni
di cui alle questioni sub VI e XI), nonche' l'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
XXXIX) L'art. 3, comma 2, lettera a), "con i connessi commi 3 e 4", e
l'art. 4, comma 1, lettera c), della legge della Regione Campania n.
10 del 2004, nella parte in cui estendono l'ambito degli interventi
sanabili in ragione del riferimento alle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di
esecuzione  delle opere abusive, norme e strumenti che potrebbero
risultare meno severi di quelli vigenti alla data di entrata in vigore
del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbero l'art. 117, terzo
comma, Cost. ponendosi in contrasto con i principi fondamentali posti
dalla normativa statale, nonche' l'art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., in quanto invaderebbero la competenza statale esclusiva in
materia di "ordinamento civile e penale".
XL) L'art. 3, comma 2, lettera c), della legge della Regione Campania
n. 10 del 2004, nella parte in cui, disponendo che non possono essere
sanate le opere "realizzate su aree facenti parte o di pertinenza del
demanio pubblico", e non distinguendo tra demanio statale e demanio
provinciale e comunale, estenderebbe l'ambito delle ipotesi di
esclusione dalla sanabilita' gia' prevista dall'art. 32, comma 14, del
decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe gli artt. 42 e 117, secondo
comma, lettera g), Cost., in relazione al demanio statale, per il
quale la sanabilita' delle opere e' subordinata al previo esplicito
consenso dello Stato proprietario; l'art. 117, terzo comma, Cost. in
quanto contrasterebbe con un principio determinato dalla normativa
statale (art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003 e art.
32, comma 6, della Legge n. 47 del 1985); l'art. 117, terzo comma,
Cost., in relazione ai beni del demanio provinciale e comunale, in
quanto la disposizione regionale non sarebbe sorretta da alcun
principio determinato dalla normativa statale.
XLI) L'art. 4, comma 1, lettera d), della legge della Regione Campania
n. 10 del 2004, il quale ammette alla sanatoria gli interventi che
"hanno comportato un ampliamento del manufatto, gia' oggetto di
condono ai sensi delle disposizioni di cui alla Legge 28 febbraio
1985, n. 47, Capi IV e V, o ai sensi della Legge 23 dicembre 1994, n.
724, articolo 39, inferiore al cinque per cento della volumetria della
costruzione originaria, sempre che l'ampliamento non superi
complessivamente i cento metri cubi", violerebbe gli artt. 3, 81, 117,
secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni di cui
alle questioni questioni sub VI e XI), nonche' l'art. 42 Cost. e la
garanzia costituzionale della proprieta'.
4. Le censure prospettate dall'Avvocatura dello Stato sono nella loro
grande maggioranza riconducibili a pochi macrogruppi omogenei.
Questi macrogruppi possono essere cosi' individuati.
1) Questioni in cui si contesta la riduzione dell'ambito della
sanatoria straordinaria mediante l'esclusione dal condono sul versante
amministrativo di talune tipologie di abusi edilizi: a tale gruppo
sono riconducibili le questioni ,sub V, VI, IX, XI (in parte), XVII,
XVIII, XXIII, XXIV (in parte), XXVIII, XXX, XXXV;
2) questioni in cui si contesta la riduzione dell'ambito della
sanatoria straordinaria mediante la riduzione dei limiti quantitativi
delle volumetrie condonabili: a tale gruppo sono riconducibili le
questioni sub XI (in parte), XII, XV, XIX, XXV, XXXVI, XXXVII, XLI;
3) questioni in cui si contesta la riduzione dell'ambito della
sanatoria straordinaria mediante l'introduzione, ai fini della
condonabilita' di taluni interventi, di ulteriori condizioni rispetto
a quelle previste dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003: a
tale gruppo sono riconducibili le questioni sub IV, VII, VIII, X,
XIII, XIV, XX, XXVII, XXIX, XXXII, XXXVIII, XL;
4) questioni in cui si contesta l'ampliamento degli interventi ammessi
alla sanatoria amministrativa: a tale gruppo sono riconducibili le
questioni sub I, XVI, XXI, XXII, XXIV (in parte), XXXIX;
5) questioni in cui si contesta il mancato rispetto del termine
previsto per l'emanazione della legge regionale di cui all'art. 32,
comma 26, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla Legge n.
326 del 2003, da parte dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 168
del 2004, convertito dalla Legge n. 191 del 2004: questioni sub
XXXIII.
Estranee a queste categorie, in quanto sostanzialmente eterogenee,
risultano le sole questioni sub II, III, XXVI, XXXI, XXXIV.
5. In via preliminare, deve essere dichiarata la inammissibilita' di
alcune delle questioni sollevate dalla Avvocatura dello Stato
relativamente a disposizioni legislative che non risultano individuate
nelle corrispondenti delibere del Governo e nei relativi allegati.
Come, infatti, questa Corte ha piu' volte affermato, la delibera del
Consiglio dei Ministri o la relazione ministeriale a cui questa rinvii
devono necessariamente indicare le specifiche disposizioni che si
ritiene di impugnare (si vedano, explurimis, le Sentenze n. 300 del
2005; n. 43 e n. 134 del 2004, n. 315 del 2003, n. 533 del 2002).
La deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004
contiene una generica determinazione di impugnare la legge della
Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21, e la allegata relazione del
Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra le diverse
norme da impugnare, dell'art. 3, comma 1, lettera a), ne' dell'art. 3,
comma 3. Sono pertanto inammissibili le questioni sub XXII e XXIV.
Analogamente, la deliberazione del Consiglio dei ministri del 23
dicembre 2004 contiene una generica determinazione di impugnare la
legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21, e la allegata
relazione del Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra
le diverse norme da impugnare, dell'art. 19 e dell'art. 27, comma 4.
L'Avvocatura, nel ricorso, motiva laconicamente l'impugnazione di tali
disposizioni sostenendo che esisterebbe una "connessione con le
doglianze fin qui formulate"; in realta', si tratta semplicemente di
un'affermazione del tutto generica, tale da non giustificare la
censura di norme non specificamente individuate nella deliberazione
dell'organo politico. Pertanto, anche le questioni sub XXXI e XXXII
sono inammissibili.
Infine, la deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 dicembre
2004 contiene una generica determinazione di impugnare la legge della
Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10, e la allegata relazione del
Ministro per gli affari regionali non fa menzione, fra le diverse
norme da impugnare, dell'art. 1, comma 1. Pertanto e' inammissibile la
questione sub XXXIV.
5.1. Deve essere dichiarata, altresi', inammissibile l'impugnazione
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del
2005, che il ricorrente effettua limitatamente alle parole "salvo
quanto disposto dalla presente legge".
L'Avvocatura si limita infatti ad indicare, nell'epigrafe del ricorso,
tale disposizione tra quelle oggetto di impugnazione, omettendo pero'
di svolgere alcuna argomentazione al riguardo. La censura manca
pertanto dei requisiti minimi che, secondo il costante orientamento di
questa Corte, gli atti introduttivi del giudizio in via principale
devono presentare (Sentenze n. 423 e n. 286 del 2004).
6. Tutte le disposizioni regionali impugnate hanno ad oggetto la
disciplina del condono edilizio straordinario del 2003, e sono state
emanate ai sensi dell'art. 32, commi 26 e 33, del decreto-legge n. 269
del 2003, cosi' come modificato dalla legge di conversione n. 326 del
2003, come risultante a seguito della pronuncia di parziale
illegittimita' costituzionale operata con la Sentenza n. 196 del 2004
di questa Corte; Sentenza cui ha dato esplicitamente esecuzione l'art.
5 del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla Legge n. 191 del
2004.
Dal momento che larga parte delle questioni di costituzionalita'
sollevate dal ricorrente e delle argomentazioni svolte dalle difese
regionali si fondano su differenziate, se non contrapposte,
interpretazioni della giurisprudenza di questa Corte su questa
legislazione relativa al recente condono edilizio straordinario,
appare necessario richiamarne alcuni fondamentali contenuti.
Nella citata Sentenza n. 196 del 2004, questa Corte ha affermato
esplicitamente che nella disciplina del condono edilizio di tipo
straordinario convergono la competenza legislativa esclusiva dello
Stato per quanto riguarda la esenzione dalla sanzionabilita' penale
(con la correlativa disciplina strumentale della piena collaborazione
dei Comuni con gli organi giurisdizionali quindi chiamati ad applicare
la legge sul condono) e la competenza legislativa di tipo concorrente
delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di "governo del
territorio", nonche' di "valorizzazione dei beni culturali ed
ambientali", oltre a varie altre competenze innominate riconducibili
al quarto comma dell'art. 117 Cost. (ad esempio, commercio, turismo,
insediamenti produttivi). Al tempo stesso, non si puo' sottovalutare
la tradizionale titolarita' da parte dei Comuni dei fondamentali
poteri di gestione dell'assetto urbanistico ed edilizio del
territorio, ivi compreso l'ordinario e limitato potere di sanatoria
edilizia, poteri che certamente potrebbero risultare anche
radicalmente vulnerati dall'imposizione di uniformi condoni
straordinari, che non tengano in adeguata considerazione le diverse
legislazioni urbanistiche regionali e le stesse condizioni
urbanistiche ed edilizie dei diversi territori. Da cio' la conclusione
"che, in riferimento alla disciplina del condono edilizio (per la
parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al
legislatore regionale, ivi compresa - come gia' affermato in
precedenza - la collaborazione al procedimento delle amministrazioni
comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa
legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilita' dei
legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al
nuovo art. 117 Cost. (ad esempio certamente la previsione del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell'art. 32, il
limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la
determinazione delle volumetrie massime condonabili). Per tutti i
restanti profili e' invece necessario riconoscere al legislatore
regionale un ruolo rilevante - piu' ampio che nel periodo precedente -
di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal
legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo"
(paragrafo 20 del Considerato in diritto).
D'altra parte, nella medesima sentenza sono state superate le censure
fondate sull'asserita irrimediabile violazione dei primari valori
della tutela dei beni ambientali e paesaggistici di cui all'art. 9
Cost, solo con la affermazione che "la tutela di un fondamentale
valore costituzionale sara' tanto piu' effettiva quanto piu' risulti
garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione
affida poteri legislativi ed amministrativi siano chiamati a
contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco. E il
doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo
specificativo -all'interno delle scelte riservate al legislatore
nazionale - delle norme in tema di condono contribuisce senza dubbio a
rafforzare la piu' attenta e specifica considerazione di quegli
interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che
sono - per loro natura - i piu' esposti a rischio di compromissione da
parte delle legislazioni sui condoni edilizi". Ne' si dimentichi che,
sempre nella Sentenza n. 196 del 2004, questa Corte ha potuto
dichiarare infondate le censure relative all'adozione di un nuovo
condono straordinario in relazione alla presunta violazione del
principio di ragionevolezza (a causa della asserita mancanza di
circostanze eccezionali che potessero giustificare la ulteriore
reiterazione di un provvedimento certamente lesivo della certezza del
diritto) solo dando al comma 2 dell'art. 32 del citato decreto-legge
n. 269 del 2003 il significato di individuare la giustificazione del
condono da esso previsto "nelle contingenze particolari della recente
entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia
edilizia (. . .), nonche' dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V
della seconda parte della Costituzione, che consolida ulteriormente
nelle Regioni e negli enti locali la politica di gestione del
territorio".
Su questa base, le numerose dichiarazioni di parziale illegittimita'
dell'art. 32 erano esplicitamente finalizzate ad eliminare le
limitazioni che "escludono il legislatore regionale da ambiti
materiali che invece ad esso spettano", pur nel pieno rispetto delle
esclusive responsabilita' della legge statale sul versante delle
sanzioni penali. In particolare, per cio' che concerne l'ampiezza
della discrezionalita' riconosciuta al legislatore regionale in
materia di condono sul versante della disciplina amministrativa, nella
Sentenza n. 196 questa Corte ha "dichiarato costituzionalmente
illegittimo anzitutto il comma 26 dell'art. 32, nella parte in cui non
prevede che la legge regionale possa determinare la possibilita', le
condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di tutte le
tipologie di abuso edilizio di cui all'Allegato 1 del decreto-legge n.
269 del 2003 ". Analoga dichiarazione di illegittimita' costituzionale
ha pronunziato in relazione al "comma 25 dell'art. 32, nella parte in
cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa
determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella
medesima disposizione".
Del tutto uniformemente, seppur in termini sintetici, la successiva
Sentenza n. 71 del 2005 ha affermato "che, a seguito della citata
Sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta nell'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale modificazione,
soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di
modulare l'ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantita' e
alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al
legislatore statale della potesta' di individuare la portata massima
del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia
delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite
temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle
volumetrie massime sanabili" (analogamente si vedano le Sentenze nn.
70 e 304 del 2005).
Al tempo stesso, la Sentenza n. 70 del 2005 ha chiaramente ribadito
che cio' che esula dalla potesta' delle Regioni e' il "potere di
rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal
legislatore statale".
Su un diverso piano, la Sentenza n. 196 del 2004, in considerazione
della evidente interdipendenza fra la legislazione esclusiva statale
sul condono edilizio per quanto riguarda le conseguenze penali e
quella regionale sul condono edilizio per cio' che riguarda il
versante amministrativo (sia nell'interesse delle diverse istituzioni
pubbliche, che dei vari possibili interessati), ha affermato che
"l'adozione della legislazione da parte delle Regioni appare non solo
opportuna, ma doverosa e da esercitare entro il termine determinato
dal legislatore nazionale; nell'ipotesi limite che una Regione o
Provincia autonoma non eserciti il proprio potere legislativo in
materia nel termine massimo prescritto, a prescindere dalla
considerazione se cio' costituisca, nel caso concreto, un'ipotesi di
grave violazione della leale cooperazione che deve caratterizzare i
rapporti fra Regioni e Stato, non potra' che trovare applicazione la
disciplina dell'art. 32 e dell'Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del
2003".
7. - Cosi' richiamati i confini tra competenza legislativa statale e
competenza legislativa regionale gia' individuati nella giurisprudenza
di questa Corte, si possono esaminare nel merito le censure
prospettate nei ricorsi.
Logicamente preliminari sono le questioni sub XXXIII, aventi ad
oggetto l'art. 1, l'art. 3, eccettuate le lettere b e d del comma 2,
l'art. 4, l'art. 6, commi 1, 2 e 5, e l'art. 8 della legge della
Regione Campania n. 10 del 2004. Tali disposizioni sono impugnate in
quanto sarebbero state adottate oltre il termine di quattro mesi dalla
data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168 del 2004, cosi'
come convertito nella Legge n. 191 del 2004, secondo quanto prescritto
dall'art. 5, comma 1, del suddetto decreto.
Le questioni, pur relative solo ad alcune disposizioni della legge
regionale n. 10 del 2004, sono senz'altro ammissibili, malgrado
l'eccezione prospettata dalla difesa regionale secondo la quale,
lamentandosi la sussistenza di un vizio formale, le censure avrebbero
dovuto semmai riguardare l'intera legge; al contrario, va osservato
che il limite temporale all'esercizio del potere legislativo da parte
delle Regioni in questa particolare materia concerne esclusivamente le
disposizioni che, specificando l'ambito degli interventi condonabili
sul versante amministrativo, si discostano dalle previsioni dell'art.
32 del decreto-legge n. 269 del 2003, cosi' come modificato dalla
legge di conversione n. 326 del 2003, e come risultante a seguito
della dichiarazione di parziale illegittimita' costituzionale ad opera
della Sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte. Non incontra, invece,
limiti temporali del genere il potere legislativo regionale che si
svolga in conformita' dell'art. 32 o nell'ambito di una qualsiasi
ordinaria materia legislativa di competenza della Regione.
Nel merito le questioni sono fondate.
La prescrizione del termine di quattro mesi da parte dell'art. 5,
comma 1, del decreto legge n. 168 del 2004 da' attuazione a quanto
espressamente statuito al punto 7 del dispositivo della Sentenza n.
196 del 2004, il quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo
l'art. 32, decreto-legge n. 269 del 2003 "nella parte in cui non
prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata
entro un congruo termine da stabilirsi dalla legge statale". Peraltro,
nella motivazione di tale pronuncia, questa Corte ha configurato tale
termine come perentorio, tanto da prevedere addirittura che, ove le
Regioni non esercitino il proprio potere entro il termine prescritto
"non potra' che trovare applicazione la disciplina dell'art. 32 e
dell'Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, cosi' come
convertito in legge".
Privo di pregio e' il tentativo della difesa regionale di sostenere
che il termine di quattro mesi decorrerebbe non gia' dalla data di
entrata in vigore del decreto legge n. 168, bensi' dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione n. 191, sulla base
dell'argomentazione che appunto la legge di conversione ha integrato
il testo del comma 1 dell'art. 5, aggiungendo ad esso il secondo
periodo: a prescindere dal fatto che quest'ultimo periodo non fa che
parafrasare il contenuto della Sentenza n. 196 del 2004 (prima citato)
a proposito della applicabilita' della normativa statale in caso di
mancato esercizio nel termine del potere legislativo regionale, il
riferimento al termine di quattro mesi e' contenuto nel primo periodo
del comma 1 dell'art. 5 e individua in modo espresso, come dies a quo,
la "data di entrata in vigore del presente decreto".
Quanto alla richiesta, formulata in via subordinata dalla difesa
regionale, che questa Corte sollevi avanti a se' la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n.
168 del 2004, "nella parte in cui limita a soli quattro mesi il
termine per l'esercizio della potesta' legislativa regionale",
trattandosi di termine incongruo rispetto alla pluralita' di contenuti
e alla complessita' delle scelte che il legislatore regionale doveva
operare, sembra sufficiente, ai fini della dichiarazione di manifesta
infondatezza di questa richiesta, rilevare che numerose Regioni hanno
adottato questa legislazione entro il termine prescritto, senza che
emergessero problemi particolari.
Deve pertanto essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, dell'art. 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2),
dell'art. 4, dell'art. 6, commi 1, 2 e 5, e dell'art. 8, della legge
della Regione Campania n. 10 del 2004. Restano conseguentemente
assorbite le ulteriori questioni concernenti le disposizioni della
legge della Regione Campania individuate sub XXXV, XXXVI, XXXVII,
XXXVIII, XXXIX, XL e XLI.
8. Possono essere trattate unitariamente le numerose questioni - di
cui ai macrogruppi nn. 1, 2, 3 elencati al precedente par. 4 - in cui
si contesta la riduzione, da parte delle disposizioni legislative
impugnate, dell'ambito della sanatoria straordinaria sia mediante
l'esclusione dal condono sul versante amministrativo di talune
tipologie di abusi edilizi, sia mediante la riduzione dei limiti
quantitativi delle volumetrie condonabili, sia infine mediante
l'introduzione, ai fini della sanabilita' di taluni interventi, di
ulteriori condizioni rispetto a quelle previste dall'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003.
Queste censure sono basate, in sostanza, sulla asserita violazione
delle medesime norme costituzionali, spesso considerate nelle loro
reciproche relazioni o anche nel loro complesso, ed in particolare:
a) dell'art. 117 Cost., secondo comma, lettera a) (per cio' che
riguarda i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario), lettera e)
(per cio' che riguarda l'esclusiva competenza legislativa statale in
tema di "moneta" e di "sistema tributario e contabile dello Stato"),
lettera s) (in relazione alla competenza legislativa statale in
materia di "tutela dell'ambiente"); dell'art. 81 Cost.; dell'art. 119
Cost. (per cio' che riguarda l'autonomia finanziaria statale sul lato
delle entrate); dell'art. 117, terzo comma (per cio' che riguarda la
competenza legislativa statale in tema di determinazione dei principi
fondamentali nella materia del "coordinamento della finanza
pubblica");
b) dell'art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, e
dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (per cio' che riguarda
l'esclusiva competenza legislativa statale in tema di "ordinamento
civile e penale");
c) dell'art. 117, terzo comma, Cost., per cio' che riguarda la
competenza statale in tema di determinazione dei principi fondamentali
nello specifico settore della disciplina del condono edilizio
straordinario di cui all'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003;
d) di alcune disposizioni costituzionali che comunque costituiscono
limite anche all'esercizio del potere legislativo da parte delle
Regioni: art. 3 Cost. (sotto vari profili), art. 42 Cost., art. 97
Cost., principio di autonomia degli enti locali.
8.1. Rispetto ai parametri costituzionali di cui al punto a) che si
asseriscono violati, alcune Regioni resistenti hanno eccepito la
inammissibilita' di queste censure, data la loro sommaria e generica
prospettazione; peraltro, malgrado la indubbia sommarieta' delle
motivazioni svolte nei ricorsi (tanto piu' discutibile, dal momento
che si tratta in sostanza di riproposizione di argomentazioni gia'
avanzate nella vicenda processuale conclusasi con la sentenza n. 196
del 2004), esse, nel loro complesso, esprimono comunque la tesi, piu'
volta ribadita nelle memorie dell'Avvocatura, che una legislazione
regionale che disciplini i profili amministrativi del condono edilizio
non potrebbe comunque produrre indirettamente una riduzione
significativa delle entrate erariali ed un conseguente squilibrio
della complessiva finanza pubblica, la cui disciplina sarebbe di
esclusiva competenza statale, ponendo quindi anche a rischio il
rispetto, da parte delle istituzioni nazionali, dei vincoli europei
sulla spesa pubblica.
Le censure non sono fondate.
A prescindere dalla irrilevanza, nel caso di specie, delle competenze
statali esclusive in tema di "moneta" e di "sistema tributario e
contabile dello Stato", e dalla improprieta' del richiamo ai poteri
statali in tema di principi sul "coordinamento della finanza
pubblica", le censure in esame prescindono da una adeguata
ricostruzione sistematica del Titolo V della seconda parte della
Costituzione ed in particolare dal livello di tutela costituzionale
dell'autonomia legislativa regionale che ivi e' previsto. I limiti a
tale autonomia non possono che essere espressi, e cio' tanto piu' ove
ci si riferisca ad effetti indiretti derivanti dall'uso che una
Regione faccia della propria discrezionalita' legislativa (magari,
come nel caso di specie, addirittura con la finalita' di contenere
un'eccezionale forma di compressione della discrezionalita' propria e
degli enti locali nel settore del governo del territorio). In altri
termini, e' del tutto evidente che, allorche' il legislatore regionale
eserciti le proprie competenze legislative costituzionalmente
riconosciute, non possa attribuirsi rilievo, ai fini dell'eventuale
illegittimita' costituzionale di tale intervento, agli effetti che
solo in via indiretta ed accidentale dovessero derivare al gettito di
entrate di spettanza dello Stato.
8.2. Del pari infondate sono le censure secondo le quali sarebbe grave
"la lesione del principio di eguaglianza (. . .) delle persone
rispetto alla legge e della competenza esclusiva ex art. 117 comma
secondo, lettera l), Cost.", poiche' i giudici comuni, dinanzi alla
"eccessiva restrizione" da parte del legislatore regionale dell'ambito
della legislazione statale in tema di condono edilizio sarebbero
obbligati "a rendere, a carico dei proprietari ed autori di illeciti
(e di eventuali di controinteressati e parti offese), pronunce quanto
meno asistematiche". Questa Corte, con la Sentenza n. 196 del 2004, ha
considerato compatibile con la Costituzione la legge statale sul
condono straordinario esclusivamente per quanto riguarda i profili
penalistici, mentre per i profili relativi alla disciplina del condono
straordinario sul piano amministrativo ha affermato che essi operano
nell'ambito della materia del governo del territorio e cioe' di una
materia che per le Regioni ad autonomia ordinaria e' di competenza
legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.; ma
cio' evidentemente significa che la legislazione delle singole Regioni
puo' disporre diversamente da quanto previsto dall'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003, quale convertito dalla Legge n. 326 del
2003, e che quindi - da questo punto di vista - e' del tutto probabile
e non certo incoerente rispetto al disegno costituzionale che siano
adottate legislazioni diversificate da Regione a Regione (come,
d'altra parte, avviene normalmente negli ambiti affidati al potere
legislativo regionale), con tutto cio' che ne consegue per gli
interessati e per le pronunce giurisdizionali che facciano
applicazione di tale disciplina.
8.3. - Quanto al terzo gruppo di norme costituzionali che sarebbero
violate dalle disposizioni regionali censurate, l'Avvocatura generale
dello Stato afferma piu' volte che, proprio considerando che la
Sentenza 196 del 2004 individua il titolo di competenza legislativa
delle Regioni in materia di condono straordinario sul versante
amministrativo nella materia "governo del territorio" contemplata nel
terzo comma dell'art. 117 Cost., le Regioni dovrebbero rispettare i
principi fondamentali determinati dal legislatore statale, principi
che sarebbero deducibili dai contenuti dello stesso art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003, quale convertito dalla Legge n. 326 del
2003; su questa linea, in particolare, l'Avvocatura afferma che "la
sanabilita' delle nuove costruzioni residenziali di relativamente
modeste dimensioni realizzate in contrasto con gli strumenti
urbanistici (. . .) e' principio cui ogni Regione deve attenersi";
sostiene inoltre che i limiti ulteriori rispetto a quelli del
legislatore statale non possono essere previsti perche' non sorretti
da un "principio determinato dal legislatore statale". Secondo lo
Stato ricorrente, la Regione potrebbe "specificare i limiti
(quantitativi e non) della sanabilita', e perfino "limare" entro
margini di ragionevole tollerabilita' (come qualche altra Regione ha
fatto) le volumetrie massime previste del legislatore statale"; non
potrebbe, invece, "negare in toto o in misura prevalente (rispetto al
quantum di volumetria ammesso dalla legge statale) la sanabilita'
delle nuove costruzioni o degli ampliamenti".
Anche volendosi prescindere dalla stessa possibilita' di configurare
come principi fondamentali disposizioni estremamente puntuali e
dettagliate, che permetterebbero solo "specificazioni" e "limature"
"entro margini di ragionevole tollerabilita'", il punto centrale della
Sentenza n. 196 del 2004 sta nel riconoscimento al legislatore
regionale di un ampio potere discrezionale nella possibilita' di
definire i confini entro cui modulare gli effetti sul piano
amministrativo del condono edilizio straordinario. Cio' in ragione
delle primarie responsabilita' legislative ed amministrative spettanti
sulla base delle norme costituzionali alle Regioni e agli enti locali
in relazione al governo del territorio, sia pure nel rispetto del
regime penale del condono riservato al legislatore statale, e nel
rispetto dei principi fondamentali posti dalla legge dello Stato (tra
i quali la Sentenza n. 196 del 2004 ha individuato "la previsione del
titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell'art.
32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere
condonabili, la determinazione delle volumetrie massime
condonabili").
Ma soprattutto occorre considerare che la pronuncia da ultimo citata,
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del comma 25 dell'art.
32 proprio nella parte in cui non prevedeva "che la legge regionale di
cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a
quelli ivi indicati"; ha inoltre dichiarato l'illegittimita'
costituzionale del comma 26 dell'art. 32, nella parte in cui non
prevedeva "che la legge regionale possa determinare la possibilita',
le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di tutte
le tipologie di abuso edilizio di cui all'Allegato 1".
Pertanto, sulla base delle addizioni operate dalla Sentenza n. 196 del
2004 al citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003,
integralmente recepite dal legislatore nazionale con la conversione in
legge dell'art. 5 del decreto-legge n. 168 del 2004 ad opera della
Legge n. 191 del 2004 (articolo intitolato: "Esecuzione di sentenza
della Corte Costituzionale in materia di definizione di illeciti
edilizi"), deve riconoscersi che non esistono nella legislazione
statale vigente principi fondamentali quali quelli prospettati nei
ricorsi.
8.4. Questo riconoscimento di un significativo potere legislativo
delle Regioni in tema di possibilita', di ampiezza e di limiti del
condono edilizio straordinario sul versante amministrativo rende
infondate anche le questioni di costituzionalita' sollevate in
riferimento ai parametri costituzionali di cui al precedente gruppo
d).
In particolare, risultano infondate le censure, sollevate in relazione
agli artt. 3 e 42 Cost., a proposito dell'art. 32 della legge della
Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub IV). Non
costituisce, infatti, irragionevole scelta legislativa la
subordinazione da parte della Regione della condonabilita' delle opere
abusive alla ulteriore condizione che le medesime non siano state
realizzate con contributi pubblici erogati successivamente all'ultimo
condono, ovvero che non abbiano gia' beneficiato di precedenti
condoni, volendosi evidentemente in tal modo penalizzare la
reiterazione di comportamenti illeciti, nonche' l'utilizzo di denaro
pubblico per la realizzazione di opere abusive. Analogamente, per
l'art. 21, comma 1, lettera e), della legge della Regione Umbria n. 21
del 2004 (questioni sub XXIX), non risulta irragionevole che la
Regione subordini la condonabilita' delle opere alla ulteriore
condizione che le stesse non abbiano gia' beneficiato di precedenti
condoni.
Lo stesso e' da dirsi per l'art. 33, comma 4, della legge della
Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub VIII), che impone
che edifici con destinazione d'uso non abitativa possano essere
condonati solo se mantengono per venti anni questo tipo di
destinazione; in questa ipotesi le censure dell'Avvocatura dello Stato
muovono dalla presunta lesione, oltre che dell'art. 42 Cost., anche
del principio di autonomia degli enti locali; in realta', si tratta di
una disposizione che non vieta l'esercizio da parte degli enti locali
del potere di ridefinire le destinazioni d'uso, ma incide soltanto
sulla possibilita' che coloro che abbiano beneficiato del condono in
relazione ad immobili destinati ad usi non abitativi possano
successivamente mutarne la destinazione d'uso, aggirando la relativa
disciplina.
L'art. 2, comma 6, della legge della Regione Toscana e' a sua volta
censurato (questioni sub XIV) anche perche' contrasterebbe "con il
principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) irrazionalmente
leso dalla facolta' (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro
ed in modo discrezionale l'affidamento del cittadino che autodenuncia
l'abuso edilizio, e con le regole costituzionali della imparzialita' e
del buon andamento (art. 97, primo comma, Cost.)". Va osservato, al
contrario, che la norma regionale disciplina semplicemente la
sanatoria delle opere realizzate su aree sulle quali siano stati
apposti, dopo l'entrata in vigore della legge regionale, i vincoli di
inedificabilita' assoluta di cui all'art. 33, della Legge n. 47 del
1985 ovvero i vincoli idrogeologici, ambientali e paesistici, relativi
a parchi e aree protette di cui all'art. 32 della medesima legge,
subordinandola al parere favorevole dell'autorita' preposta al
vincolo, in tal modo dando rilevanza anche ai vincoli imposti
successivamente alla realizzazione dell'intervento abusivo secondo
l'oramai consolidato orientamento della giurisprudenza
amministrativa.
8.5. La constatata insussistenza della lesione dei parametri
costituzionali indicati comporta l'infondatezza delle numerose censure
che si basavano su di esse; vanno pertanto respinte le questioni sub
IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV, XVII, XVIII, XIX,
XX, XXIII, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX.
9. Con le residue censure individuate nel macrogruppo 4 di cui al
precedente par. 4, l'Avvocatura contesta sostanzialmente l'effetto di
ampliamento degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa che
verrebbe a determinarsi sulla base di alcune disposizioni delle leggi
regionali impugnate.
Come si e' gia' ribadito al par. 6, la giurisprudenza di questa Corte
sul condono edilizio straordinario del 2003 e' costante nell'affermare
che spetta al legislatore statale determinare non solo tutto cio' che
attiene alla dimensione penalistica del condono, ma anche la potesta'
di individuare, in sede di definizione dei principi fondamentali
nell'ambito della materia legislativa "governo del territorio", la
portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la
definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia
del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili,
sia delle volumetrie massime sanabili.
L'art. 26, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del
2004 (questioni sub I) individua un'ipotesi di condono avente ad
oggetto opere edilizie autorizzate e realizzate anteriormente alla
Legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilita' dei suoli)
che presentino difformita' esecutive. Tale disposizione ha contenuto
piu' ampio rispetto alla normativa statale, prevedendo anche che in
quest'ambito la sanatoria intervenga ope legis, dunque a prescindere
dalla specifica richiesta e dalla concessione del titolo abilitativo
in sanatoria. La difesa regionale giustifica la disposizione,
sostenendo che essa avrebbe ad oggetto solo difformita' esecutive
lievi e risalenti nel tempo e mirerebbe ad assicurare la certezza del
diritto e la facilita' degli scambi privati.
La questione prospettata dal ricorrente in relazione alla violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost. e' fondata.
Nell'ambito della speciale normazione relativa al condono edilizio
straordinario questa Corte - come si e' detto piu' sopra - ha
precisato che le Regioni non possono rimuovere i limiti massimi
fissati dal legislatore statale, e che, tra i principi fondamentali
cui esse devono attenersi, vi e' quello proprio a fini di certezza
delle situazioni giuridiche, della previsione del titolo abilitativo
in sanatoria al termine dello speciale procedimento disciplinato dalla
normativa statale.
Poiche', dunque, l'art. 26, comma 4, della legge della Regione
Emilia-Romagna n. 23 del 2004 si risolve nella estensione della
sanatoria straordinaria ad ipotesi ulteriori rispetto a quelle
previste dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, deve esserne
dichiarata la illegittimita' costituzionale.
L'art. 3 della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, secondo lo
Stato ricorrente, determinando i limiti per il conseguimento del
condono amministrativo con disposizioni che in genere riducono le
volumetrie massime, non ripete pero' tutti i limiti massimi
determinati dal comma 25 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del
2003 (30% della volumetria originaria della costruzione ampliata,
3.000 metri cubi complessivi per le nuove costruzioni residenziali) e,
quindi, per questa parte estenderebbe l'area delle opere abusive
ammesse alla sanatoria amministrativa (questioni sub XVI).
La questione prospettata dal ricorrente in relazione alla violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost. e' fondata.
La difesa della Regione, anzitutto, sostiene che questi limiti
potrebbero ritenersi implicitamente richiamati, dal momento che l'art.
1 della legge regionale in questione parla di legge che attua i
"principi di cui all'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n.
269". Tale argomento risulta privo di pregio, dal momento che la
specificita' della disciplina dettata dall'art. 3 della legge
regionale, a fronte del generico richiamo all'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003 contenuto nell'art. 1 della stessa
legge, osta ad una interpretazione adeguatrice del genere.
La difesa regionale sostiene, altresi', che "l'abolizione
asseritamente operata dall'art. 3 del limite del 30% della volumetria
sarebbe in ogni caso pienamente legittima", poiche' "il limite del 30%
(costituirebbe) parametro alternativo a quello dell'ampliamento
superiore a 750 metri cubi per l'ammissibilita' alla sanatoria secondo
espressa previsione del comma 25 dell'art. 32".
In realta', con riguardo all'ampliamento degli immobili non
residenziali, l'art. 3 della legge regionale n. 23 del 2004 determina
il limite in relazione (non gia' al volume, ma) al diverso criterio
della superficie realizzabile. Pertanto, non ponendo alcun limite
volumetrico, ne' richiamando le limitazioni del 30% e dei 750 metri
cubi previsti - sia pure in via alternativa - dall'art. 32, comma 25,
del decreto-legge n. 269 del 2003, la disposizione impugnata rende
possibile, per gli immobili non residenziali, la realizzazione di
ampliamenti superiori a quelli massimi previsti dalla normativa
statale.
Con riguardo alla realizzazione di nuove costruzioni residenziali,
l'art. 3 della legge regionale n. 23 del 2004, pur individuando limiti
piu' rigorosi in relazione alla singola unita' immobiliare ammessa a
sanatoria (la quale non puo' essere superiore a 200 metri cubi,
comprese le pertinenze), non pone alcuna limitazione alla volumetria
complessiva della nuova costruzione. In tal modo, la disposizione
censurata rende possibile che la nuova costruzione residenziale superi
il limite complessivo di 3.000 metri cubi stabilito dall'art. 32,
comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003 per tale tipologia di
interventi.
Pertanto deve essere dichiarata la illegittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 1, della legge della Regione Marche n. 23 del 2004,
nella parte in cui non prevede, quali ulteriori condizioni per la
conseguibilita' della sanatoria, che le opere abusive non residenziali
non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al
trenta per cento della volumetria della costruzione originaria, e che
le nuove costruzioni residenziali non superino complessivamente i
3.000 metri cubi.
9.1. L'art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 3 del
2005 e' stato impugnato poiche' la norma potrebbe essere interpretata
nel senso di escludere la sanabilita' delle opere realizzate in aree
vincolate solo se si tratti di vincolo di inedificabilita', e non
anche se si tratti di vincolo diverso. Cio' sarebbe in contrasto con
l'art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 260 del 2003, il
quale non consente la sanatoria delle opere realizzate su aree
comunque vincolate, e pertanto violerebbe l'art. 117, terzo comma,
Cost., nonche' la competenza legislativa esclusiva statale in materia
di "ordinamento civile e penale" (questioni sub XXI).
La difesa della Regione Lombardia ha peraltro obiettato che il
legislatore regionale ha invece semplicemente voluto "ribadire e
consacrare, anche in un testo legislativo regionale, quanto gia'
previsto dalla legislazione statale, all'art. 32, comma 27, lettera
d)". L'Avvocatura dello Stato, in una successiva memoria, ha ritenuto
tale interpretazione della norma "coerente con la normativa statale".
Le questioni non sono fondate, dal momento che l'art. 3, comma 1,
della legge della Regione Lombardia n. 3 del 2005 si limita,
effettivamente, a recepire la normativa statale concernente la
sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza
introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste
dal decreto-legge n. 269 del 2003.
10. - Fra le censure estranee ai cinque macrogruppi di cui al par. 4,
residuano le sole questioni sub II, III e XXVI.
Le questioni sub II e III riguardano la legge della Regione
Emilia-Romagna n. 23 del 2004 che all'art. 29, comma 2, prevede che
ove "in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli
successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione del
professionista abilitato (. . .) contenga dichiarazioni non veritiere,
rilevanti ai fini del conseguimento del titolo", si applica il terzo
comma dell'art. 8 della stessa legge, il quale dispone che
"l'Amministrazione comunale ne da' notizia all'Autorita' giudiziaria
nonche' al competente Ordine professionale, ai fini dell'irrogazione
delle sanzioni disciplinari".
A questo proposito, l'Avvocatura dello Stato asserisce che tali
disposizioni prevedono "sanzioni disciplinari ed eventualmente penali
a carico del professionista", cosi' ledendo la competenza esclusiva
dello Stato in materia di "ordinamento civile e penale" e della
competenza concorrente in materia di "professioni".
Le questioni non sono fondate.
Le due norme, infatti, si limitano a prevedere un generico obbligo
dell'amministrazione pubblica di comunicazione della notizia di
dichiarazioni non veritiere all'autorita' giudiziaria e all'ordine
professionale, evidentemente perche' questi verifichino,
rispettivamente, la eventuale sussistenza di reati o di illeciti
disciplinari, senza peraltro incidere in alcun modo sulla disciplina
penale, ovvero sulla disciplina delle professioni. D'altra parte,
previsione del tutto analoga e' contenuta nell'art. 29, comma 3, del
DPR 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia edilizia), il quale prevede che, qualora la
relazione del professionista di accompagnamento della denunzia di
inizio attivita' contenga dichiarazioni non veritiere,
"l'amministrazione ne da notizia al competente ordine professionale
per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari".
Il gruppo di questioni sub XXVI ha ad oggetto l'art. 20, comma 1,
lettera c), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004; dal
momento che in una disposizione che individua le opere condonabili e'
contenuto un riferimento alla data del 2 ottobre 2003, l'Avvocatura
generale, pur riconoscendo che non vi sarebbero problemi se la data
fosse riferita agli strumenti urbanistici, nel dubbio che invece possa
essere riferita alla data di ultimazione delle opere condonabili,
fissata al 31 marzo 2003 dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del
2003, l'ha impugnata "per grave contrasto con il fondamentale
principio posto dall'art. 32, comma 25, del citato decreto-legge",
nonche' per violazione della competenza legislativa esclusiva statale
in materia di "ordinamento civile e penale". La difesa regionale
sostiene che la data del 2 ottobre si riferisce esclusivamente "agli
strumenti urbanistici, visto che la previsione di tale termine
temporale e' collocata immediatamente dopo il richiamo di detti
strumenti". Il ricorrente, in una successiva memoria, ha ritenuto
"superata" la questione di legittimita' costituzionale, pur non
formalizzando la rinuncia alla questione stessa.
Le questioni non sono fondate.
Dal tenore letterale della disposizione impugnata emerge chiaramente
che la data del 2 ottobre 2003 in essa contenuta e' riferita alla
vigenza delle norme urbanistiche e degli strumenti urbanistici
rispetto ai quali devono essere valutati gli interventi, e non gia'
all'epoca di realizzazione degli stessi. Quest'ultima e', infatti,
fissata dallo stesso art. 20, comma 1, primo periodo, al 31 marzo
2003, in conformita' con quanto disposto dall'art. 32, del
decreto-legge n. 269 del 2003.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, dell'art. 3
(eccettuate le lettere b e d del comma 2), dell'art. 4, dell'art. 6,
commi 1, 2 e 5, e dell'art. 8, della legge della Regione Campania 18
novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui
al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 cosi' come
modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione e
successive modifiche ed integrazioni);
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 4, della
legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e
controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa
statale di cui all'articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269,
convertito con modifiche dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326);
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, della
legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla
sanatoria degli abusi edilizi), nella parte in cui non prevede, quali
ulteriori condizioni per la conseguibilita' della sanatoria, che le
opere abusive non residenziali non abbiano comportato un ampliamento
del manufatto superiore al trenta per cento della volumetria della
costruzione originaria, e che le nuove costruzioni residenziali non
superino complessivamente i 3.000 metri cubi;
dichiara inammissibile l'impugnazione proposta, con il ricorso n. 3
del 2005, avverso l'art. 1, comma 1, della legge della Regione
Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di
illeciti edilizi);
dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
proposte, con il ricorso n. 7 del 2005, avverso l'art. 3 comma 1,
lettera a) e comma 3, della legge della Regione Veneto 5 novembre
2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio);
dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
proposte, con il ricorso n. 8 del 2005, avverso l'art. 19 e l'art. 27,
comma 4, della legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21
(Norme sulla vigilanza, responsabilita', sanzioni e sanatoria in
materia edilizia);
dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
proposta, con il ricorso n. 9 del 2005, avverso l'art. 1, comma 1,
della legge della Regione Campania n. 10 del 2004,
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 8, comma 3, dell'art. 29, comma 2, dell'art. 32, dell'art.
33, commi 1, 2, 3 e 4, dell'art. 34, commi 1 e 2, lettera a), della
legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004, sollevate dal
Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3,
42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e
119 Cost., nonche' del "principio di autonomia degli enti locali", con
il ricorso n. 114 del 2004;
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 2, comma 1, e dell'art. 2, commi 2, 5, lettera c), e 6,
della legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in
materia di sanatoria edilizia straordinaria), sollevate dal Presidente
del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117,
secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost.,
con il ricorso n. 115 del 2004;
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 3, commi 1 e 3, della legge della Regione Marche n. 23 del
2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per
violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e)
ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost, con il ricorso n. 2 del 2005;
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 2, commi 1 e 2, e dell'art. 3, comma 1, della legge della
Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in
materia di illeciti edilizi), sollevate dal Presidente del Consiglio
dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo
comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., con il
ricorso n. 3 del 2005;
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 3, comma 1, lettera c), della legge della Regione Veneto n.
21 del 2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per
violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e)
ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 7 del 2005;
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 20, comma 1, lettere a) e c), nonche' dell'art. 21, comma 1,
lettere c), d), e), h), della legge della Regione Umbria n. 21 del
2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per
violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e)
ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost, con il ricorso n. 8 del 2005.
Cosi' deciso, in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 6 febbraio 2006.
IL PRESIDENTE	IL REDATTORE
Franco Bile	Ugo De Siervo
IL CANCELLIERE
Giuseppe Di Paola
Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2006.

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