RICORSO 23 marzo 2004, n. 41
PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, nei confronti della Regione Emilia-Romagna, in persona del suo Presidente della Giunta, avverso la legge regionale 16 gennaio 2004, n. 1, intitolata "Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dall'abusivismo urbanistico ed edilizio", pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 8 del 16 gennaio 2004 (pubblicazione disposta dal Presidente della Corte Costituzionale a norma dell'art. 24 delle Norme integrative del 16 marzo 1956)
La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 13 febbraio
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
La Regione Emilia-Romagna ha proposto una prima controversia (reg.
ric. n. 83 del 2003) di legittimita' costituzionale nei riguardi di
commi puntualmente indicati dell'art. 32 del DL 30 settembre 2003, n.
269 ed una seconda similare controversia nei riguardi dei medesimi
commi, come risultati dalla conversione nella Legge 24 novembre 2003,
n. 326.
Con l'apparentemente inutile art. 1 della legge ora in esame il
Consiglio regionale ha indicato solo a se stesso un percorso che
potrebbe poi non intraprendere o non portare a compimento (od a
tempestivo compimento) ed alcuni principi che potrebbe poi
disattendere. Invero, l'art. 1 costituisce solo una sorta di
preambolo politico al successivo art. 2, ove ai Comuni e' ordinato di
sospendere (ossia e' vietato di adottare) "ogni determinazione circa
la conclusione dei procedimenti relativi alla definizione degli
illeciti edilizi, cosi' come regolati (i procedimenti) dall'art. 32
del DL 30 settembre 2003, n. 269" (non e' menzionata la legge di
conversione del novembre precedente); cio' non fino al 31 marzo 2004,
ma "fino all'entrata in vigore della legge regionale, prevista
dall'art. 1" (evento tuttora connotato da oggettive incertezze
persino sul "se" e sul "quando"). Non e' chiaro se l'anzidetta
"sospensione" contraddica la sospensione dei procedimenti
sanzionatori amministrativi prevista dalla Legge 28 febbraio 1985, n.
47, richiamata dal comma 25 del menzionato art. 32. Negli artt. 1 e 2
della legge in esame, congiuntamente letti, non pare possa essere
ravvisata una rivendicazione della competenza a produrre una diversa
disciplina legislativa della sanatoria degli abusi edilizi; anche se
l'art. 1, comma 3 preannuncia l'intendimento di statuire la "generale
non sanabilita' delle violazioni in contrasto con la strumentazione
urbanistica vigente" (non solo in contrasto con i vincoli
extraurbanistici e/o in contrasto con quelle parte delle prescrizioni
urbanistiche che assume valenza anche paesistica e comunque di
salvaguardia). Alquanto irrealistico risulta comunque il secondo
periodo dell'art. 2, ove si ipotizzano "interessati" i quali
autodenuncino gli abusi commessi, senza sapere quali conseguenze
seguiranno.
La legge in esame, al netto dei propositi, si concreta nell'ordine
dato ai Comuni, destinatari - essi pure - della legge dello Stato, di
non dare esecuzione a tale legge, di disapplicarla, e di attendere
altri e futuri precetti legislativi della Regione; un ordine neppur
circoscritto, e neppure giustificato dalla promessa di un prossimo
"adeguamento" alle disposizioni del testo unico menzionato nel comma
2 del menzionato art. 32. In breve, solo un contrasto tra fonti del
diritto e quindi tra entita' che le producono (come accaduto piu'
volte nella Storia, a segnare momenti di "rottura" di equilibri
istituzionali).
L'art. 2 in esame, nel suo secondo periodo, non ipotizza alcun
raccordo tra la normativa regionale solo preannunciata dall'art. 1 e
le disposizioni statali in tema di oblazione penale e di sospensione
dei processi pendenti; disposizioni - queste - la cui applicazione
non e' di competenza dei Comuni. E' incontrovertibile che il
legislatore statale ha prodotto le disposizioni in tema di oblazione
in forza della competenza legislativa esclusiva in materia di
"ordinamento penale" (art. 117, comma secondo, lettera L, Cost.), e
che tali disposizioni costituiscono il fulcro delle norme statali sul
condono edilizio.
Posto che la materia "ordinamento penale" e' di esclusiva competenza
statale, la sottrazione dal territorio nazionale del territorio di
una o piu' Regioni introduce disuguaglianze (art. 3, Cost.) non
legittimate dal riconoscimento in Costituzione delle autonomie
regionali. Queste non possono condurre a discipline diversificate
nell'ambito delle materie riservate allo Stato. Non pare che fatti
identici (ad esempio, edificazioni in assenza di permesso di
costruire) siano repressi penalmente in una Regione, e non repressi
perche' sanati "per condono" in altre Regioni.
In questo quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che
irriguardosa dell'art. 117, comma secondo, lettera L, Cost. e lesiva
dell'art. 3 Cost., anche contrastante con l'art. 117, comma terzo,
Cost., con gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51, 127,
comma secondo e 134 Cost..
Considerato che gli introiti attesi dalle oblazioni sono stati
inseriti nella finanziaria 2004 dello Stato (Legge 24 dicembre 2003,
n. 350), impedire l'applicazione nel territorio di una Regione dei
commi menzionati nel comma 2 dell'art. 1 in esame concreta una
ingerenza nella formazione del bilancio annuale dello Stato e quindi
una lesione di quella "autonomia finanziaria" che anche, ed
anzitutto, allo Stato deve essere garantita, una compressione della
competenza legislativa per il "coordinamento della finanza pubblica e
dei sistemi tributari", una sottrazione di risorse destinate alla
copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche approvate dal
Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di
stabilita' concordato a livello da Unione Europea.
L'art. 119 Cost. e' anche qui evocato perche' essenziale dovere
costituzionale dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti "a
finanza derivata" le risorse occorrenti: tale dovere e' talmente
prioritario e fondamentale da aver reso superflua l'esplicita
indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi
fronte; significativa e' l'assenza nell'art. 119 Cost. di una
esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato.
La Regione la quale ostacoli mediante propria legge una manovra di
finanza pubblica statale dovrebbe farsi carico di assicurare
altrimenti l'invarianza del "livello massimo del saldo netto da
finanziare" (art. 1, comma 1 della legge finanziaria citata), ad
esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato.
D'altro canto, la legge in esame contrasta con l'art. 117, comma
terzo Costituzione che riconosce allo Stato la competenza alla
"determinazione dei principi" (si noti "determinazione", e non
ottativa indicazione) in materia di "governo del territorio". Codesta
Corte ha insegnato che spetta tuttora allo Stato - anche per le
evidenti e plurime connessioni con la materia "ordinamento civile"
(art. 117, comma secondo, lettera L, Cost.) - produrre la disciplina
normativa in tema di titoli abilitativi edilizi. In questo ambito
deve collocarsi pure la previsione di titoli abilitativi non
ordinari, quali quelli per sanatoria non "a regime", specie se tale
previsione si salda con (ed e' integrata da) la prefigurazione di
programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia.
Da ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente -
che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre
norme meramente demolitorie e "di reazione", le quali statuiscano la
non applicazione nel territorio regionale di disposizioni poc'anzi
prodotte dallo Stato. Iniziative siffatte possono pregiudicare
l'unita' della Repubblica (art. 5 Costituzione) e comunque concretano
una sosta di anomala "autodichia". L'ordinamento costituzionale (ora
art. 127, comma secondo, Cost.) riconosce ad ogni Regione la facolta'
di sottoporre a codesta Corte le disposizioni statali che reputa
affette da illegittimita' costituzionale, e cosi' esclude che il
potere legislativo regionale possa - grazie alla agevolmente
realizzabile rapidita' della produzione legislativa ad opera dei
Consigli regionali ed alla soppressione dell'istituto del rinvio
governativo, e facendo leva sulla successione delle leggi nel tempo -
essere utilizzato per contrastare l'applicazione di dette
disposizioni statali (non rileva se in assenza o in pendenza di
ricorso della Regione).
Quest'ultima considerazione appare di particolare importanza per il
sereno ed equilibrato esplicarsi dei poteri legislativi dello Stato e
delle autonomie . Si confida in un insegnamento di codesta Corte, il
quale tenga conto anche dell'esigenza di salvaguardare appieno
l'autorita' del Parlamento nazionale.
La legge regionale in esame, impedendo ai proprietari di immobili
siti nella Regione Emilia-Romagna (proprietari non necessariamente in
essa residenti) l'accesso alla sanatoria straordinaria degli abusi
edilizi durante la pendenza del processo costituzionale, arreca
pregiudizio all'interesse dello Stato e degli enti "a finanza
derivata" al conseguimento degli introiti "da condono" previsti dal
bilancio e dalla legge finanziaria dello Stato. Lo Stato potrebbe
trovarsi costretto a sostituire i mancati o ritardati introiti con
manovre di finanza straordinaria (per le quali del resto i parametri
di Maastricht lasciano margini strettissimi) e con inasprimenti
ulteriori della gia' pesante fiscalita', cosi' soffocando ogni
speranza di "agganciare" la auspicata ripresa economica e rendendo
problematica persino il rimanere all'interno di un contesto
concorrenziale; oppure - in alternativa - ad operare "tagli" alla
spesa pubblica sia corrente (compreso il "welfare") sia per
investimenti. La scelta di ricorrere ad introiti "da condono" non e'
stata voluttuaria o di tolleranza degli abusi; essa e' stata imposta
dalla bassa congiuntura e dalla distanza che, malgrado semisecolari
progressi, ancora separa il nostro Paese dalle economie piu'
solidamente strutturate.
Inoltre, la legge in esame arreca pregiudizio all'ordinamento
giuridico della Repubblica per le considerazioni esposte dianzi nel
prospettare i motivi di ricorso.
Questa difesa si rende conto dell'esigenza (non solo processuale) di
non impegnare codesta Corte nell'esame di istanze cautelari; e pero'
istanze siffatte, formulate da Regioni ricorrenti avverso l'art. 32
citato, potrebbero essere esaminate in camera di consiglio l'oramai
prossimo 24 marzo 2004.
Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita'
costituzionale della legge sottoposta a giudizio previa sospensione
della vigenza di essa, con ogni consequenziale pronuncia.
Roma, 25 febbraio 2004
VICE AVVOCATO GENERALE
Franco Favara