DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE 24 novembre 1999, n. 1294
Linee d'indirizzo in materia di abuso sessuale sui minori (proposta della Giunta regionale in data 26 ottobre 1999, n. 1913)
IL CONSIGLIO DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
(omissis) delibera:
di approvare le "Linee di indirizzo in materia di abuso sessuale sui
minori" contenute nell'allegato parte integrante della presente
deliberazione.
LINEE DI INDIRIZZO IN MATERIA DI ABUSO SESSUALE SUI MINORI
1. I riferimenti normativi e il ruolo delle istituzioni
Nel quadro degli interventi di protezione dell'infanzia il tema della
violenza sessuale richiede una particolare attenzione.
Il riferimento normativo e' alla recente Legge 15/2/1996, n.66
"Norme contro la violenza sessuale" che ha sostanzialmente modificato
sia il Codice penale (di seguito C.p.) che il Codice di procedura
penale (di seguito C.p.p.). In particolare l'art. 609 bis C.p.
(inserito dall'art. 3 della Legge 66/96) disciplina il caso di chi
"con violenza o minaccia o mediante abuso di autorita', costringe
taluno a compiere o subire atti sessuali", ovvero il caso di "chi
induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle
condizioni di inferiorita' fisica o psichica della persona offesa al
momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per
essersi il colpevole sostituito ad altra persona". Se gli atti
sessuali sono nei confronti di persona minorenne l'art. 609 ter C.p.
(inserito dall'art. 4 della Legge 66/96) prevede (distinguendo
infraquattordicenni ed infrasedicenni) un aggravamento della pena e
l'art. 609 quater C.p. (inserito dall'art. 5 della Legge 66/96)
prevede che soggiace alla pena chi, pur senza violenza o minaccia,
compia atti sessuali con persona che al momento del fatto non aveva
compiuto gli anni quattordici, ovvero non abbia compiuto gli anni
sedici se il colpevole sia "l'ascendente, il genitore anche adottivo,
il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di
educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore e'
affidato o che abbia, con quest'ultima, una relazione di convivenza".
importante che nell'affrontare il problema del maltrattamento e della
violenza all'infanzia, e soprattutto della violenza sessuale, si
confermi una metodologia di lavoro interdisciplinare che favorisca
una migliore tutela dei minori attraverso una piu' stretta
collaborazione dei Servizi competenti ed una costruzione, condivisa,
tra le istituzioni a vario titolo coinvolte, di percorsi operativi.
Il preminente interesse del minore e' infatti efficacemente
perseguito se sistema giudiziario e sistema dei servizi riescono a
trovare un modus operandi comune.
L'interdisciplinarieta' e', infatti, uno dei principali veicoli di
protezione dell'eta' evolutiva (cosi' come indicato nella Legge
176/91 di ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del
fanciullo di New York del 20/11/1989).
In materia di abuso, inoltre, essendo necessario un doppio intervento
della Magistratura, sia di quella ordinaria che di quella minorile,
tale metodologia operativa risulta ancora piu' indispensabile.
Con la consapevolezza che ognuno degli attori coinvolti (Servizi
territoriali, Magistratura minorile ed ordinaria) svolge un ruolo
necessario per combattere il fenomeno, risulta indispensabile,
soprattutto negli abusi infrafamiliari, che si riescano ad
equilibrare le esigenze di indagine e il principio di obbligatorieta'
dell'azione penale con quelle di protezione dei minori per evitare
che l'accertamento della verita' ed il ripristino dell'ordine violato
non avvengano ledendo ulteriormente i diritti e le esigenze della
persona offesa.
In questo contesto e' piu' che mai utile raggiungere intese che
salvaguardino le esigenze di tutela del minore con le esigenze
istruttorie, avendo presente che, in materia di violenza sessuale, i
Servizi sono chiamati ad operare a sostegno del minore anche dopo e
al di la' l'intervento penale.
Una maggiore sintonia e sincronia istituzionale possono aiutare a
raccordare l'accertamento della notitia criminis, di cui si occupa la
giustizia penale con la ricerca della protezione, compito dei Servizi
e della giustizia minorile.
2. Le competenze
Fa parte di questa dialettica la differenza di obiettivi: la
Magistratura ordinaria, grazie anche al fondamentale principio
costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale, ha
l'obiettivo, se e' stato commesso un reato, di individuare il
colpevole e sottoporlo a punizione; la Magistratura minorile, che
costituisce il fulcro di protezione giudiziaria dell'infanzia, deve
valutare se la potesta' dei genitori puo' ancora essere esercitata o
dev'essere limitata, rimossa o soppressa; i Servizi sociali hanno il
compito di rimuovere una situazione di disagio personale, sostenendo
in particolar modo l'aspetto relazionale e cercando di costruire
percorsi di superamento dell'evento.
Gli Enti locali, tramite i loro Servizi, hanno compiti di vigilanza,
tutela e, nei casi di conflitto di interesse, di rappresentanza del
minore (art. 23, DPR 616/77, Legge 689/75, art. 338 C.p.p., L.R.
27/89, Conferenza Stato-Regioni).
I Servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia hanno compiti
di vigilanza, tutela e assistenza nei confronti del minore autore del
reato di abuso.
3. La collaborazione tra i diversi soggetti istituzionali
Da quanto sopra evidenziato nasce la necessita' di attivare forme di
collaborazione con l'autorita' giudiziaria ordinaria: per garantire
un'effettiva tutela del minore e' indispensabile, infatti, che tutte
le istituzioni competenti adempiano al loro ruolo e che tutte le
condotte abusanti siano disvelate, esattamente qualificate e
adeguatamente sanzionate, con la consapevolezza che, quale che sia il
percorso avviato con l'azione penale, esso influenzera'
inevitabilmente il complessivo progetto di protezione e di sostegno e
recupero del minore.
Lavorare in forma coordinata e collaborativa e' indispensabile quindi
per conseguire finalita' specifiche in ciascuna dei settori
interessati e per raggiungere un'efficace tutela del minore, nonche'
per attivare meccanismi di prevenzione che consentano l'emersione di
fenomeni criminosi di violenza ai danni dei minori con il conseguente
avanzamento della soglia di tutela di questi ultimi: a questo fine
anche i Servizi devono, per la loro parte, adempiere in modo sempre
piu' qualificato alla funzione di "controllo sociale" insita nella
loro stessa ragione istituzionale.
pertanto da facilitare sempre piu' un raccordo tra Servizi sia
dell'Amministrazione della giustizia che dell'Ente locale e ufficio
del Pubblico Ministero per creare prassi operative comuni e procedere
in modo coordinato, pur nel rispetto delle reciproche competenze; per
questo e' importante la collaborazione dei Servizi nel corso dei
procedimenti. Tale collaborazione deve manifestarsi anche attraverso
la presenza di professionalita' adeguate e la creazione di un
linguaggio comune.
necessario creare una prassi comune da attivare immediatamente dopo
la segnalazione del fatto per evitare che negli abusi infrafamiliari
l'indagato continui a vivere con il minore vittima e per impedire
negli interventi protettivi quelle modalita' che possano inquinare le
prove ed interferire negativamente con le indagini del Pubblico
Ministero ordinario.
In questa materia, propria per l'intreccio di competenze ed esigenze,
il compito di mantenere una visione il piu' possibile unitaria dei
vari provvedimenti ed interventi attuati a protezione del minore
spetta al Procuratore per i minorenni.
La maggiore attenzione e sensibilita' a questo fenomeno puo'
facilitare forme di collegamento e collaborazione della Magistratura
con i Servizi sociali di protezione dell'infanzia.
4. Provvedimenti urgenti a tutela del minore, art. 403 Codice civile
Tali provvedimenti sono disciplinati dall'art. 403 Codice civile (di
seguito C.c.): quando il minore si trova in una condizione di grave
pericolo per la propria integrita' fisica e psichica "la pubblica
autorita', a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo
colloca in luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo
definitivo alla sua protezione".
Natura del provvedimento: non e' un atto di giurisdizione, neanche
volontaria, e' un atto di amministrazione, sia per l'oggetto, essendo
un atto di volonta', sia per la qualita' dei soggetti da cui promana.
Avendo una natura essenzialmente operativa e di protezione, non
richiede l'esplicitazione dettagliata dei motivi, deve tuttavia
essere indicata la presenza di una situazione attuale di sofferenza e
pregiudizio del minore. E' pero' necessario, quando si contrappone
alla volonta' dei genitori, che questi siano in ogni caso
tempestivamente informati che il minore e' sotto la protezione della
pubblica autorita' e che l'intervento e' stato segnalato
all'autorita' giudiziaria minorile competente per la risoluzione del
conflitto. Non e' necessario che venga indicato il luogo in cui il
minore si trova se cio' serve a proteggerlo.
Soggetti: ad operare e' la "pubblica autorita'". In tale nozione
rientrano sicuramente gli organi di polizia e quelli deputati
all'assistenza dei minori e alla protezione dell'infanzia. I primi
devono comunque sempre avvalersi dei secondi ("a mezzo degli organi
di protezione dell'infanzia"). Non e' invece vero il contrario.
Pertanto, se l'iniziativa di protezione proviene dai Servizi sociali,
essi dovranno farsi carico della collocazione "in luogo sicuro" e
potranno richiedere l'intervento della forza pubblica soltanto se
cio' e' strettamente necessario per vincere la resistenza dei
genitori. Il legislatore infatti considera i Servizi sociali quali
referenti privilegiati del minore.
Presupposti: occorre che vi sia un grave pericolo per l'integrita'
fisica e psichica del minore. Infatti solo l'urgenza e la necessita'
di porre riparo ad una situazione di grave rischio dello stesso lo
giustifica.
Efficacia: la situazione di necessita' che vi e' sottesa, oltre a
costituirne il presupposto imprescindibile, ne chiarisce i limiti. La
collocazione in ambiente protetto puo' essere mantenuta, se tale
intervento collide con il contrario volere dei genitori, soltanto per
tempi brevissimi, il tempo cioe' strettamente necessario per
devolvere la risoluzione del conflitto all'autorita' minorile. Ove
questa non condivida la scelta operativa, e non "provveda" la scelta
stessa cessa di avere effetto. L'intervento di collocazione in
ambiente protetto, se non collide con il volere dei genitori o di
altri aventi titolo educativo, resta sul piano assistenziale.
Che cosa devono fare i Servizi sociali territoriali: devono
effettuare l'intervento di collocazione del minore in ambiente
protetto, ex art. 403 C.c., attuarlo immediatamente e segnalarlo con
urgenza al Pubblico Ministero per i minorenni per la decisione da
parte del Tribunale per i Minorenni.
Per quanto riguarda l'art. 403 C.c. in caso di abuso intrafamiliare,
la cui emersione sia progressiva, l'intervento di protezione deve
essere il piu' possibile limitato a quelle situazioni di effettivo
pericolo per l'integrita' fisico-psichica del minore, tipiche dello
stato di necessita'. La collocazione in ambiente protetto,
d'iniziativa del Servizio, quindi non appare consentita, a meno che
non si siano verificati eventi ulteriori che abbiano evidenziato
l'effettivita' del pericolo diversamente, si attribuirebbe al
Servizio un potere di "decidere in via d'urgenza" che non gli
appartiene.
Pertanto, in presenza di siffatte situazioni, a parte il dovere
d'informativa che spetta al Servizio, ai fini dell'indagine penale,
e' obbligo degli operatori sociali riferire immediatamente l'abuso
per consentire al giudice minorile di dirimere il conflitto con i
genitori. Il contatto immediato con l'autorita' giudiziaria consente
inoltre una maggiore progettualita' e l'avvio di interventi
coordinati tra le diverse autorita' coinvolte a sostegno del minore
abusato.
5. Altri atti a tutela del minore
Poiche' al minore parte lesa va assicurata, in ogni stato e grado di
procedimento, l'assistenza affettiva e psicologica tramite la
presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minore
stesso, e l'assistenza dei Servizi istituiti dagli Enti locali, i
Servizi stessi devono, ex artt. 609 decies C.p. (introdotto dall'art.
11 della Legge 66/96), 498, comma 4, C.p.p., 398, 5 bis, C.p.p.:
- dare sostegno al minore nelle diverse fasi del procedimento;
- provvedere, ove cio' risponda alle esigenze affettive e
psicologiche del minore, al suo accompagnamento negli uffici
giudiziari;
- fare mediazione nei contatti con il magistrato e/o i suoi organi
delegati per quanto riguarda i tempi ed i modi dell'approccio al
minore (appuntamenti, convocazioni);
- dare assistenza nel corso dell'esame del minore durante le
indagini, dinanzi al GIP in sede di incidente probatorio e dinanzi al
giudice del dibattimento.
Il Servizio inoltre:
- elabora il progetto terapeutico-assistenziale inerente il minore;
- valuta le risorse di cambiamento e le potenzialita'
protettivo-educative dei componenti la famiglia.
6. Il consulente tecnico
L'accertamento psicodiagnostico per reati in danno di minore e'
fondamentale per capire la personalita' della persona lesa, per
valutare l'entita' delle conseguenze patite e il riscontro obiettivo
alla veridicita' di un racconto.
Proprio per questo risulta sempre piu' necessario, su un piano
extraprocessuale, coordinare le indagini psicodiagnostiche e
sanitarie che vengono effettuate dai Servizi ai fini dell'intervento
socio-assistenziale con le indagini che vengono attivate da parte del
giudice penale con la nomina del consulente tecnico, se non c'e' una
forma di collegamento si possono determinare situazioni dannose, che
possono creare per il minore un'ulteriore violenza in aggiunta a
quella gia' subita come, ad esempio, essere sottoposto ad esame da
una pluralita' di soggetti legittimati ad occuparsi del caso.
Importante e' quindi la collaborazione tra consulente tecnico e
Servizi: dopo l'emersione del fenomeno il compito dell'operatore deve
limitarsi ad offrire la fotografia della situazione, del nucleo in
cui e' avvenuta l'emersione del fenomeno, del fatto di reato.
Che cosa devono fare i Servizi: dare collaborazioni ed informazioni
al consulente tecnico che dovra' di conseguenza contattarli prima di
procedere all'esame del minore.
7. La denuncia della notitia criminis
Notizia di reato: qualsiasi fatto di violenza sessuale perseguibile
di ufficio di cui si ha conoscenza sia direttamente dalla vittima sia
da terzi sia attraverso documenti o altre fonti di prova. La
narrazione nel corso di dichiarazioni o la rappresentazione in un
documento di un fatto che costituisce reato o la deduzione da
elementi diretti (tracce su cose o persone oggetti, ecc.) che un
reato e' stato commesso. La narrazione puo' essere diretta ma anche
indiretta.
La notizia di reato e' comunque per sua natura specifica, o
sufficientemente specifica: non puo' avere come oggetto in modo del
tutto vago una serie indeterminata di persone o fatti.
Tempestivita' della denuncia: la "notitia criminis" in campo minorile
e' molto complessa poiche' la capacita' di valutare segni o sintomi
dipende dalla sensibilita' e dalla preparazione dell'operatore che li
rileva.
difficile identificare quando ci si trovi davanti ad indizi di reato
o a situazioni di semplice disagio ambientale, sociale, economico o a
problematiche di ordine psicologico e psichiatrico.<201> ovvio che la
tempestivita' e' condizione imprescindibile perche' il processo
penale possa tutelare adeguatamente la parte lesa (attuando
prioritariamente le misure di protezione del minore) e quindi
condurre ad un effettivo accertamento della verita'. Bisogna evitare
un ritardo per lo svolgimento delle indagini: lo scopo della denuncia
e' quello di far "scattare" l'indagine nel tempo piu' breve e con gli
strumenti piu' adeguati.
Si propone, a tal proposito, per sviluppare contatti rapidi e
informali, per dirimere dubbi su casi non chiari, per avere pareri e
fornire tempestivamente informazioni che possono risultare importanti
di utilizzare appieno della possibilita' di accedere al magistrato di
turno (o al magistrato specializzato nelle procure che lo prevedono),
in modo da consentire l'adozione di interventi tempestivi e
coordinati (quali, ad esempio, l'allontanamento del minore). L'uso di
questi strumenti di coordinamento puo' essere utile anche al giudice
penale che puo' cosi' usufruire anche di notizie e di informazioni
immediatamente disponibili fornite da Servizi competenti che spesso
gia' operano con interventi sociali sulla situazione.
8. Il contenuto della denuncia
L'art. 331, comma 2, C.p.p. pone l'obbligo di denuncia "senza
ritardo", esso recita infatti: "La denuncia e' presentata o trasmessa
senza ritardo al Pubblico Ministero o a un ufficiale di Polizia
giudiziaria".
L'operatore del Servizio puo' e deve avere il tempo ed il modo di
mettere insieme un minimo di elementi a corredo di quello che
eventualmente e' un semplice sospetto, allo scopo di non mandare al
Pubblico Ministero una qualunque "voce di condominio" ma qualcosa che
abbia un minimo di credibilita', fermo restando che "senza ritardo"
significa che si deve provvedere alla denuncia nei primi giorni
successivi all'emersione della notizia di reato.
importante definire quali atti puo' compiere il Servizio per
accertare un minimo di attendibilita' della notizia: e' importante
pertanto dirimere cio' che esso deve e non deve fare per valutare se
e' in presenza o meno di una notizia di reato.
Il Servizio non deve effettuare preliminarmente alcuna serie di
indagini e di accertamenti valutativi perche' essi assumono
fisionomia di veri e propri processi atipici, inquinanti la prova
stessa del reato (audizione di persone coinvolte, accertamento
ginecologico di iniziativa del Servizio la cui competenza appartiene
in via esclusiva all'autorita' penale). Bisogna evitare i rischi di
inquinamento della prova. Anche i ritardi possono essere estremamente
pregiudizievoli per lo svolgimento delle indagini.
Il Servizio non si deve porre il problema di valutare
l'attendibilita' del minore al fine di decidere se inoltrare o no la
denuncia.
Obblighi: la segretezza. Il Servizio non deve svolgere indagini per
riscontri. I servizi devono permettere qualsivoglia valutazione
sull'attendibilita' del fatto, non e' inoltre di competenza dei
Servizi la valutazione del fatto stesso in rapporto ad eventuali
circostanze che possono escludere la responsabilita' o la punibilita'
del soggetto (ad esempio valutare non sussistente il reato).
Cosa devono fare i Servizi: sintetica esposizione del fatto,
raccogliere notizie sociali sulla famiglia, dare descrizioni delle
personalita' del minore e dei familiari, dare indicazione
dell'intervento socio-assistenziale attuato o da attuare a protezione
del minore.
Gli accertamenti dei Servizi devono essere finalizzati alla verifica
della mera ipotetica credibilita' della notizia e all'approntamento
degli interventi a protezione del minore.
9. A chi fare denuncia?
Spesso il problema si pone rispetto a tre ipotesi: denuncia al
Pubblico Ministero o al Pubblico Ministero presso il Tribunale per i
Minorenni o a Pubblico Ministero e al Pubblico Ministero presso il
Tribunale per i Minorenni.
Alcuni sostengono che se la notizia di reato e' strettamente
collegata alla protezione del minore gli operatori adempiono al
proprio obbligo riferendo al giudice minorile, essendo pure questi
tenuto all'obbligo di denuncia. Infatti la denuncia al Pubblico
Ministero minorile garantirebbe gli immediati provvedimenti a tutela
del minore, una preliminare delibazione della notitia criminis, un
accertamento dell'esistenza dei presupposti, per un'eventuale
trasmissione - a sua cura - della denuncia al Pubblico Ministero
ordinario.
Altri sostengono che la denuncia di reato andrebbe fatta in via
esclusiva al Pubblico Ministero ordinario.
La soluzione che consente di superare queste due impostazioni,
cogliendo anche l'esigenza, da parte dei Servizi, di sapere che
risultati abbia avuto la propria comunicazione alla Procura presso il
T.M., e' quella di provvedere con due comunicazioni, di cui una alla
Procura minorile e l'altra alla Procura ordinaria.
L'esigenza di porre in essere interventi di sostegno e di tutela nei
confronti della vittima del reato fa propendere per una doppia
segnalazione con contenuto diverso:
- una al Pubblico Ministero per l'apertura della fase di indagini
preliminari e l'eventuale adozione delle misure cautelari; la
denuncia in questo caso deve contenere il fatto nella sua
stringatezza. L'atto con cui si rende nota la notizia di reato e',
infatti, quello che si chiama in senso proprio della denuncia e va
indirizzato alla Procura del Tribunale;
- l'altra al giudice minorile per l'adozione degli interventi
indispensabili a tutela della vittima; in questo caso la segnalazione
deve contenere soprattutto gli aspetti piu' strettamente legati al
contesto familiare.
10. Il curatore speciale
La norma che disciplina questa possibilita' e' l'art. 338 C.p.p.
(art. 338, II, e II C.p.p.) che prevede che: "Alla nomina provvede,
con decreto motivato, il giudice per le indagini preliminari del
luogo in cui si trova la persona offesa, su richiesta del Pubblico
Ministero. La nomina puo' essere promossa anche dagli enti che hanno
per scopo la cura, l'educazione, la custodia o l'assistenza dei
minorenni".
Per assicurare un'adeguata rappresentanza processuale sin dall'inizio
delle indagini preliminari (art. 90 C.p.p.), e' utile avere, anche
nel corso delle indagini, un "referente giuridico" che rappresenti il
minore, in modo da tenere in considerazione anche le esigenze del
minore che spesso non rientrano nella logica processuale.
Soprattutto se gli abusanti (anche per omessa tutela da parte del
coniuge succube) sono i genitori, il conflitto di interessi che si
crea impone la nomina di un curatore speciale.
L'essere organo di vigilanza e di tutela (competenza prevista dalla
Legge 698/75 e dal DPR 616/77) consente agli enti, titolari di tale
funzione, ed ai Servizi che la esercitano, di poter richiedere di
essere nominati curatori speciali del minore vittima di abuso o
sospetto abuso, ex art. 338 C.p.p.; cio' permetterebbe loro di
individuare tempestivamente un difensore al minore parte lesa.
Ovviamente e' precisa responsabilita' del Servizio, nominato curatore
speciale del minore, individuare la persona piu' qualificata ed
idonea ad esercitare, nel solo e precipuo interesse del minore, le
attivita' connesse.
Poiche' la Convenzione ONU afferma come sia dovere delle istituzioni
garantire che Servizi ed operatori che si occupano di minori abbiano
una specifica competenza e preparazione, si propone di aprire un
tavolo di consultazione con l'Ordine degli avvocati per individuare
requisiti, criteri e modalita' per arrivare a predisporre una lista
di legali particolarmente preparati, competenti e sensibili in
materia, cui possano rivolgersi sia la Magistratura, nella sua
autonomia di nomina dei curatori, che i Servizi eventualmente
incaricati della curatela, con la certezza che la funzione verra'
esercitata nel modo piu' attento ai diritti ed agli interessi del
singolo minore.
Che cosa devono fare i Servizi: sin dall'inizio delle indagini
preliminari il Servizio ex art. 338 C.p.p. ed art. 121 C.p. puo'
chiedere, in relazione alle specifiche esigenze di cura degli
interessi del minore, alla Procura ordinaria, che procede, di essere
nominato curatore speciale del minore - parte lesa onde fornirgli da
subito una difesa legale. La costituzione di parte civile da parte
del Servizio curatore speciale puo' avvenire anche per l'eventuale
rinvio a giudizio (art. 338, comma 4, C.p.p ).
11. La formazione degli operatori
indispensabile che la Regione Emilia-Romagna sviluppi un'azione di
sensibilizzazione generale al rispetto dei diritti del minore ed in
particolare un'azione di prevenzione della violenza all'infanzia,
assumendo tra i propri obiettivi prioritari la realizzazione di un
progetto regionale di formazione, in materia di abuso sessuale,
rivolto a tutti gli operatori del territorio.
Per affrontare con adeguati strumenti (anche preventivi) questo
fenomeno e' infatti fondamentale promuovere, sulla base anche delle
linee teoriche ed operative emerse dai lavori del seminario di studio
regionale tenutosi nel periodo febbraio-maggio 1999, un'adeguata
formazione del personale, attraverso la quale consentire a tutti gli
operatori l'acquisizione di conoscenze di base e permettere un
confronto tra le istituzioni ed i soggetti interessati che, con
competenze e riferimenti culturali diversi, agiscono in ambito
minorile: operatori sociali, psicologi, neuropsichiatri infantili,
pediatri, ginecologi, assistenti sanitari, insegnanti, operatori
giuridici, in modo che le diverse professionalita' che possono
trovarsi ad affrontare il fenomeno dell'abuso sessuale divengano
consapevoli del comune obiettivo di protezione e tutela del minore
per poter mettere in atto, intenzionalmente, tutti gli strumenti atti
a perseguirlo.