SUPPLEMENTO SPECIALE n. 168 del 29.11.2012

Relazione

I problemi della transizione

Come è noto, il sistema della Regione e degli Enti territoriali è interessato da una lunga serie di misure di riforma fortemente incentrate, almeno secondo le intenzioni della legislazione statale, sull’esigenza della riduzione della spesa pubblica, la cui priorità ha finito per incidere sullo stesso assetto istituzionale dei sistemi territoriali di governo. Il riferimento è evidentemente alle misure contenute nel d.l. n. 201 del 2011 (cd. “Salva Italia”), nel quale i profili investiti sono stati gli organi di governo e le funzioni delle province; misure su cui poi si sono inserite le norme successive degli articoli 17, 18 e 19 del d.l. n. 95 del 2012 (più noto come “Spending review”). E’ noto al riguardo che queste ultime norme hanno avviato sia il riordino delle province, sulla base dei requisiti minimi demo-territoriali, sia l’istituzione delle Città Metropolitane ed hanno al contempo confermato l’avvio della gestione obbligatoria delle funzioni fondamentali in capo ai Comuni di piccole dimensioni demografiche. In tal modo per i tre livelli di governo interessati, sono stati avviati e sono in corso contemporaneamente tre processi di riforma, tutti in atto e tutti destinati a concludersi nell’arco del 2013.

Il più complesso di essi, ovvero l’accorpamento delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane, trova la propria disciplina nel d.l. n. 188 del 2012 (ancora in corso di conversione) e al di là della posizione formale che la stessa Conferenza delle Regioni si appresta ad adottare, non vi è dubbio che esso ha già immesso nell’ordinamento elementi di forte impatto, non risolti ad oggi neanche dalla Corte costituzionale, e che richiederanno - ai fini della continuità dell’azione di governo - misure di forte sostegno e accompagnamento particolarmente onerose. Basti pensare all’eliminazione delle Giunte provinciali già a decorrere dal 1° gennaio 2013 e alle ripercussioni che questo può comportare sulla transizione necessaria all’avvio del nuovo Ente con le nuove funzioni. Quanto alle funzioni, poi, è vero che il d.l. n. 188 del 2012 sembra ipotizzare una moratoria per tutto il 2013 delle funzioni di competenza regionale già conferite alle Province, ma i problemi connessi alla transizione sono ben più numerosi e riguardano materie strategiche per il governo del territorio (si pensi solo alla pianificazione territoriale, ai servizi pubblici locali e all’ambiente). Allo stesso modo, sempre nell’arco del 2013, devono essere avviate e concluse le procedure per l’individuazione degli ambiti territoriali ottimali, in modo da avviare le gestioni associate delle funzioni fondamentali a decorrere dal 2014. anche sotto questo profilo, il processo di riordino si presenta particolarmente incisivo e complesso, perché l’obiettivo finale delle norme è quello di definire assieme agli ambiti territoriali, nuovi soggetti giuridici (le Unioni) destinati ad essere la sede più solida delle funzioni comunali più rilevanti. Anche questo processo (che peraltro la Regione Emilia-Romagna ha da tempo sostenuto) coniuga assieme alle complessità, chance di miglioramento effettivo del sistema locale.

Ciò vale, sotto profili diversi, anche per il parallelo processo di istituzione della Città Metropolitana di Bologna, che vedrà intrecciate - tra l’altro - le funzioni della Città Metropolitana con quelle esercitate dalle Unioni già esistenti all’interno del territorio metropolitano. Il quadro è quindi molto complesso, perché sarà necessario elaborare soluzioni che riducano, nella concreta attività degli Enti, gli effetti di irrigidimento che sono stati prodotti dalla legislazione statale con l’attribuzione ai tre livelli di governo di un nucleo di funzioni di natura fondamentale, per loro natura indeclinabili e che - all’opposto - devono essere messe in condizione di interagire organicamente con l’insieme delle funzioni di ciascun livello e degli altri.

Tutto questo fa capire che la complessità della transizione è reale ed effettiva, e che la sottovalutazione di tale complessità può ripercuotersi negativamente e concretamente sia sulle politiche pubbliche che sulla qualità ed il livello dei servizi destinati ai cittadini. Sotto questo profilo, il tema dominante dovrà essere quello di individuare il livello essenziale delle prestazioni che il sistema territoriale non può rinunciare a garantire.

A questa complessità occorre rispondere con un approccio straordinario di prospettive, di strumenti e di co-decisione; unica strada che potrà realizzare assieme allo stesso tempo il contenimento dei costi degli apparati e l’innalzamento della qualità dell’azione pubblica.

Le problematiche relative alle risorse finanziarie e umane coinvolte nei processi di riordino

Non si possono in alcun modo trascurare, poi, i rilevantissimi problemi di natura finanziaria, che devono essere governati con il concorso costante e la sinergia di tutti i livelli di governo territoriale. Né, tanto meno, possono essere trascurate le problematiche connesse, nella fase di transizione, alla gestione del personale dipendente delle amministrazioni provinciali e del personale interessato dai processi di gestione obbligatoria delle funzioni fondamentali di competenza comunale. Non sarà sufficiente a tal proposito governare la sola successione nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato della nuova Provincia rispetto a quella preesistente (come ora prevede l’art. 6 del d.l. n. 188/12), perché si dovrà affrontare complessivamente il problema della effettiva corrispondenza tra funzioni e unità di personale, che imporrà una riflessione attentissima da parte di tutti i soggetti istituzionali interessati dai processi di riordino e che potrà determinare processi consistenti di mobilità fra Enti ed esigenze molto diffuse di formazione adeguata alle diverse mansioni di destinazione del personale. Si è pertanto di fronte a processi di riordino “reali” che, lungi dall’essere meri esercizi di riordino “formale”, andranno ad incidere progressivamente sulla “vita” delle istituzioni e degli assetti organizzativi ad esse legati.

Il progetto di legge si compone di 32 articoli.

L’articolo 1 (Oggetto) definisce l’oggetto della legge, che reca: a) la definizione dei principi e criteri relativi all’allocazione delle funzioni amministrative dal sistema regionale e locale; b) la definizione del procedimento volto ad assicurare l’ottimale esercizio delle funzioni fondamentali attribuite alle Province; c) la disciplina delle modalità di esercizio associato delle funzioni dei comuni; d) l’adeguamento al nuovo assetto delle funzioni amministrative delle Unioni di Comuni e delle Comunità montane.

L’articolo 2 (Finalità) indica le finalità che il progetto di legge persegue, ovvero: a) la razionale distribuzione delle funzioni alla luce dei criteri di unicità, semplificazione, adeguatezza, prossimità al cittadino, non sovrapposizione e non duplicazione delle stesse; b) l’attribuzione tendenziale ad un unico soggetto dell’intera funzione; c) l’avvio di nuove gestioni associate e l’adeguamento della disciplina delle forme associative già in essere; d) la tenuta del complessivo sistema finanziario regionale; e) l’adeguatezza delle dotazioni organiche e strumentali delle amministrazioni interessate; f) l’interazione funzionale tra le piante organiche della regione e degli enti locali del territorio.

L’articolo 3 (Principi e criteri di riordino territoriale e funzionale delle forme associative intercomunali) elenca le regole fondamentali con cui sarà condotto il riordino territoriale e funzionali del livello sovracomunale (ovvero delle Unioni o delle Associazioni di Comuni). Tali regole sono: a) la Regione individua la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica; b) i Comuni obbligati all’esercizio associato esercitano le funzioni fondamentali mediante unioni di comuni, anche montani, o convenzioni; c) la Regione incentiva la costituzione delle Unioni di comuni in luogo delle convenzioni e promuove, in via prioritaria, i processi di fusione; d) la Regione individua specifiche funzioni comunali che devono essere esercitate in forma associata fra tutti i comuni appartenenti all’ambito territoriale ottimale; e) la Regione incentiva la costituzione di un’unica unione fra tutti i comuni appartenenti all’ambito territoriale ottimale, riconoscendone altresì priorità di accesso ai finanziamenti previsti da leggi e regolamenti di settore; f) le comunità montane sono trasformate in unioni di comuni montani; g) la Regione assicura la coerenza delle norme in materia di esercizio associato delle funzioni comunali con il procedimento di individuazione delle funzioni amministrative esercitate dalla Città metropolitana di Bologna e di quelle esercitate delle forme associative ricomprese all’interno del suo territorio.

L’articolo 4 (Gruppo di lavoro interdisciplinare di consulenza tecnico scientifica) istituisce e definisce la composizione del Gruppo di lavoro a carattere interdisciplinare, quale organo di consulenza tecnico-scientifica a carattere temporaneo per l’elaborazione delle proposte legislative, organizzative e finanziarie necessarie ad assicurare l’attuazione della complessiva riorganizzazione delle funzioni amministrative sul territorio e la continuità dell’azione amministrativa del sistema regionale e locale.

L’articolo 5 (Funzioni del Gruppo di lavoro) individua i compiti che il Gruppo dovrà svolgere, consistenti fondamentalmente: nella ricognizione delle funzioni amministrative attualmente esercitate da Regioni, Province e Comuni; nell’identificazione dei fabbisogni effettivi di ciascun ente; nella elaborazione di proposte per la rifunzionalizzazione, l’ottimale utilizzo delle risorse umane e l’ottimale utilizzo, da parte di tutti gli Enti del sistema regionale e locale, degli enti sub-regionali e delle società a partecipazione pubblica.

L’articolo 6 (Funzioni fondamentali delle Province riordinate) riepiloga le funzioni fondamentali che la legislazione statale assegna alle Province, declinandole secondo quanto previsto dall’ordinamento della Regione Emilia-Romagna.

L’articolo 7 (Ulteriori funzioni di ambito unitario di area vasta) stabilisce che entro il 31 dicembre 2013 la Regione Emilia-Romagna, in conformità all’art. 118 Cost., individuerà le ulteriori funzioni che – necessitando di esercizio unitario di area vasta – saranno assegnate o confermate in capo alle Province riordinate.

Titolo II “Individuazione degli ambiti territoriali ottimali e norme sull'esercizio associato delle funzioni comunali”

Il Ttolo II contiene una complessa disciplina volta al rafforzamento dell'associazionismo, alla regolamentazione delle gestioni associate obbligatorie nonché al superamento delle comunità montane attualmente presenti nel territorio della Regione Emilia-Romagna. In particolare tale titolo si articola in quattro capi: il primo è intitolato “ambiti territoriali ottimali”, il secondo “superamento delle comunità montane ed articolazione in unioni di comuni montani”, il terzo “esercizio associato di funzioni e di servizi” e il quarto “incentivi per le gestioni associate e fusioni di comuni”.

1.1.Capo I “Ambiti territoriali ottimali”

Il Capo I detta disposizioni per l’individuazione degli ambiti territoriali ottimali al fine di ottemperare alle previsioni ex art. 14, commi 28 e successivi, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, e successive modificazioni che impongono la gestione associata obbligatoria da parte dei comuni con popolazione fino a 5000 abitanti, ovvero fino 3000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane (d’ora in poi, per brevità, comuni “sotto soglia”). Tale capo detta altresì disposizioni che integrano la disciplina statale estendendo gli obblighi di gestione associata in capo ai comuni con popolazione superiore alla soglia demografica statale (d'ora in poi comuni “sopra soglia”) nonché rafforzando, in modo più cogente, l’aggregazione degli enti locali attraverso il ricorso al modello dell'unione di comuni. In particolare:

1) si estende l'obbligo di gestione associata di alcune funzioni fondamentali anche in capo ai comuni c.d. “sopra soglia”;

2) si prevede la gestione associata obbligatoria di tutte le funzioni ex provinciali che saranno conferite ai comuni stessi all’esito del processo di riordino del livello provinciale, fatta salva diversa espressa disposizione legislativa;

3) si prevede la costituzione di non più d’una unione per ciascun ambito territoriale ottimale, con superamento della pluralità di Unioni ove preesistenti attraverso una massiccia operazione di aggregazione delle forme associative preesistenti o scioglimento di quelle sovrapposte, da realizzare nel corso dell’anno 2013. L'art. 8 stabilisce, in particolare, il procedimento per l’individuazione degli ambiti territoriali ottimali ed omogenei per area geografica per lo svolgimento in forma associata delle funzioni fondamentali da parte dei comuni obbligati ai sensi dell’art. 14, commi 27 e 28, del D.L. n. 78/2010 nonché per lo svolgimento delle funzioni e dei servizi nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione. L’ iter procedurale prevede che i comuni formulano proposte di delimitazione dell’ambito nel rispetto di talune condizioni atte a garantire la congruità dell'ambito proposto. Tali condizioni, che sono derogabili se il contesto territoriale lo richieda, sono

  • per i Comuni attualmente inclusi in Comunità montane o Unioni definizione di proposte che comprendano almeno tutti i Comuni che già ne fanno parte;
  • il rispetto di prefissati requisiti minimi demografici e territoriali (comma 2, lettere b e c); le soglie demografiche sono di 30.000 abitanti ovvero di 15.000 abitanti se l'ambito è costituito in prevalenza da comuni montani. In quest'ultimo caso rileva anche l'estensione territoriale che deve essere almeno di 300 Kmq.
  • la coerenza con i distretti sanitari previsti dall’art. 9 della l.r. 19/94 (comma 2, lett. e), fatto salvo quanto previsto al successivo comma 9 ai sensi del quale la regione promuove il riassetto dei distretti sanitari per assicurarne la coerenza con gli ambiti territoriali ottimali.
  • la contiguità territoriale (comma 2 lett. g).

La norma prevede il rispetto di altre due condizioni che, a differenza delle precedenti, non sono suscettibili di alcuna deroga. Tali ultime (inderogabili) condizioni sono quella secondo cui i comuni proponenti devono appartenere tutti alla medesima provincia, come istituita a seguito del riordino territoriale di cui al D. L. 188/2012 nonché quella secondo cui, nel fare la proposta, i comuni appartenenti a comunità montane si impegnano a costituire in coincidenza dell’ambito proposto una unione di comuni ovvero aderire ad una unione già esistente (comma 2, lett. d e f ).

L'art. 8, comma 5, precisa, fra l'altro, che la mancata presentazione di proposte entro il termine assegnato (ossia 45 giorni dall'entrata in vigore della legge regionale) equivale ad assenso dei Comuni rispetto agli ambiti individuati con atto di Giunta (Programma di riordino territoriale)

L'art. comma 8, comma 6, prevede che al termine dell’ iter procedurale, la Giunta, acquisito il parere del CAL, adotta un atto (programma di riordino) che individua gli ambiti territoriali ottimali. In tali ambiti sono inclusi tutti i comuni della regione ad eccezione dei Comuni capoluogo, salva loro diversa richiesta.

L'articolo 9 indica gli effetti giuridici che conseguono alla individuazione degli ambiti territoriali ottimali. Prima di entrare nel dettaglio della disciplina introdotta con l'articolo 9, va ricordato che l'art. 14, comma 30, del D.L. 78/2010, come convertito dalla legge n. 122/2011, e s.m.i. rimette al legislatore regionale la scelta di individuare nelle materie di propria competenza legislativa (concorrente o residuale) “la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica” per lo svolgimento in forma obbligatoriamente associata delle funzioni fondamentali di competenza comunale. In particolare l'individuazione di tale ambito consente ai comuni “sotto soglia” di associarsi per la gestione obbligatoria delle funzioni fondamentali ( esclusa quella relativa al punto l) dell’art. 19 del D.L. n. 95/2012) secondo le forme associative dell'unione di comuni e della convenzione ex art. 30 del TUEL. Per effetto della disposizione regionale, l' inclusione nell'ambito territoriale ottimale comporta per i Comuni che vi appartengono ulteriori obblighi di gestione associata oltre a quelli già previsti dalla normativa statale di cui si è appena detto. Più precisamente:

1) l'obbligo di gestire in forma associata fra tutti i Comuni appartenenti all'ambito (sopra e sotto soglia) alcune specifiche funzioni fondamentali di cui alle lettere d), e ), g) e i) dell'art. 14, comma 2, del D.L. 78/2010.

2) in ottemperanza alla normativa statale, per i (soli) Comuni “sotto soglia” l'obbligo di gestire obbligatoriamente tutte le restanti funzioni fondamentali, tranne l’anagrafe.

3) l'obbligo di gestire fra tutti i comuni appartenenti all'ambito le funzioni già di competenza provinciale che saranno conferite ai comuni all’esito del processo di riassetto funzionale delle province, salva diversa previsione di legge regionale.

Il comma 4 stabilisce che i comuni dell'ambito ottimale avviano “tutte” le predette gestioni obbligatorie, ivi comprese quelle per le quali la normativa statale prevede una tempistica scaglionata nel tempo, entro la data dell'1.1.2014, fatto salvo quanto previsto dalla disposizione transitoria di cui all'art. 32 che consente ai comuni “sopra soglia”, ove ricorrano gravi motivi, di chiedere alla Giunta di posticipare il termine all'1.1.2015. La decorrenza dell'avvio delle gestioni obbligatorie all'1.1.2014 è stata fissata alla luce delle seguenti considerazioni:

1) l’art. 14, comma 30, del D.L. n. 78/2010 prevede espressamente all’ultimo periodo che “«…nell'ambito della normativa regionale, i comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il termine indicato dalla stessa normativa”; disposizione, questa, che consentirebbe alle regioni di stabilire un diverso termine di avvio rispetto a quello previsto dal legislatore statale per quanto di propria competenza;

2) appare opportuno allineare la data di effettivo avvio dell’obbligo di gestione associata delle funzioni fondamentali comunali (ora prevista dall’art. 19 del D.L. 95/2012 per tre funzioni al 31.12.2012 e per tutte le restanti al 31.12.2013) a quella del 1 gennaio 2014, prevista per l’avvio delle nuove circoscrizioni provinciali (art. 1 del D.L. n. 188/2012) e delle città metropolitane (art. 18 del D.L. 95/2012), consentendo così di disciplinare l’ordinato svilupparsi, in modo coerente e coordinato, nel corso dell’anno 2013, di tutti i complessi adempimenti propedeutici a tali decorrenze.

L'articolo 9 consente ai comuni inclusi nell’ambito ottimale di aggregarsi secondo le stesse forme associative già individuate dal legislatore statale, ossia ricorrendo sia al modello dell'unione di comuni che a quello delle convenzioni ex art. 30 del TUEL, sebbene nel rispetto di quanto previsto nel medesimo articolo, e dettagliatamente regolamentato. Degno di particolare menzione è l'art. 9, comma 5, il quale prevede che all'interno di ciascun ambito può esservi soltanto una unione di comuni, che deve avere adeguate dimensioni demografiche, ossia che deve raggiungere almeno la soglia di 10.000 abitanti ovvero di 8.000 nel caso di unioni di comuni montani. L'adeguamento a tale cogente disposizione può comportare che, laddove coesistano nel medesimo ambito due o più unioni, esse devono addivenire allo scioglimento di una di esse ovvero all'accorpamento (una unica unione di ambito); mentre il rispetto della predetta disposizione preclude ai Comuni che appartengono ad un ambito per il quale esiste già una unione di comuni (pre-esistente o nata per effetto della trasformazione in Comunità montana) di costituire fra loro una nuova unione di comuni che si aggiunga a quella già esistente.

Capo II “ Superamento delle comunità montane e articolazioni in unioni di comuni montani

 Il Capo II prevede la trasformazione delle comunità montane in unioni di comuni montani attraverso un apposito percorso che si sviluppa a partire dagli ambiti ottimali che, nei territori montani, sono tutti coincidenti con una Comunità montana, o con la stessa ed altri comuni. Si disciplinano in particolare due evenienze.

L'art. 10 disciplina l'ipotesi che l’ambito definito dal PRT coincida con il territorio della comunità montana: in tale ipotesi il percorso di trasformazione della comunità montana in una Unione di comuni montani è assai semplificato in quanto la nuova Unione è istituita ex lege, e subentra in tutti i rapporti attivi e passivi. 

La seconda evenienza che si può prospettare è disciplinata dall’art. 11, e prevede un percorso più lungo e complesso perché occorre, da un lato, procedere alla liquidazione della Comunità montana, e dall’altro, contemporaneamente, istituire le nuove unioni che subentrano ad essa con l’insediamento dei nuovi organi. In questa ipotesi, l'art. 13 prevede che il Presidente della comunità montana entro una determinata tempistica predisponga un piano successorio che, ai sensi del successivo art. 15, dovrà essere sottoposto ad approvazione da parte degli enti subentranti. Con successivo decreto il piano successorio è approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale.

L'art. 16 prevede che gli enti subentranti alla comunità montana estinta succedono secondo le risultanze del piano di successione approvato. Ai sensi del successivo articolo 20, il personale è trasferito presso gli enti subentranti nel rispetto della disciplina ex art. 31 del decreto legislativo n. 165/2001. Si prevede, in particolare, l'istituzione di un Tavolo congiunto con le organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori avente ad oggetto, fra l'altro, la promozione di misure per l'ottimale allocazione del personale, ivi comprese quelle di cui al successivo comma 4 in tema di mobilità a domanda individuale.

Capo III “ Esercizio associato di funzioni e di servizi ” e Capo IV “ Incentivi per le gestioni associate”

Nel disciplinare l’esercizio associato di funzioni e servizi, il Capo III introduce nuove norme stringenti sulle Unioni e le convenzioni. Il presupposto è una ampia potestà legislativa regionale, ritenuta da alcuni interpreti anche esclusiva, in materia di forme associative intercomunali.

In particolare, le norme del Capo III impongono limiti di vario genere, primo tra tutti la durata dell’ente e dei conferimenti, o l’utilizzo delle risorse e il trasferimento del personale, i quali perseguono l’obiettivo di conseguire una maggiore stabilità delle forme associative.

Si segnala, fra l’altro, l’art. 23, comma 1, che demanda allo statuto dell’unione la possibilità di prevedere particolari modalità di deliberazioni degli organi in considerazione del fatto che i conferimenti di funzioni all’Unione stessa potranno essere di diversa intensità per i Comuni sopra soglia e per quelli sotto soglia. La norma prevede altresì che la Giunta e il Consiglio possono altresì riunirsi in composizione ristretta ai rappresentanti dei comuni montani quando deliberano sulle funzioni della Comunità montana soppressa o su materie di esclusivo interesse dei comuni montani. Nel caso di coincidenza dell’Unione con l’ambito territoriale ottimale, il successivo comma 3 demanda la possibilità di prevedere determinate articolazioni gestionali (sub-ambiti). 

Il Capo V reca la disciplina generale in materia di incentivazione. Tale disciplina è protesa a favorire la massima concentrazione dell’esercizio associato di funzioni nelle Unioni coincidenti con gli ambiti territoriali ottimali. Infatti l’art. 25 stabilisce espressamente che la Regione incentiva unicamente la gestione associata tramite il modello dell’unione di comuni coerenti con le norme della legge, e prioritariamente quelle coincidenti con gli ambiti territoriali ottimali. Conseguentemente l’articolo ribadisce che non è prevista alcuna forma di incentivazione delle mere convenzioni e delle associazioni intercomunali (che peraltro non risultano più finanziate già da diversi anni). Questa scelta nasce dalla convinzione che soprattutto attraverso il modello dell’unione si possano conseguire integrazioni tali da assicurare effettivi risparmi di spesa ( anche con riferimento alle spese di personale) nonché economie di scala personale, assicurando il perseguimento degli obiettivi posti dalla “Spending review” e, soprattutto, il potenziamento della capacità di effettivo governo del territorio.

L’articolo 25 demanda la disciplina più puntuale delle incentivazioni al programma di riordino territoriale (PRT), per il quale è prevista una durata pluriennale di tre anni al fine di conferire continuità e certezza alle sue previsioni. La stessa disposizione introduce ulteriori misure incentivanti per favorire il ricorso al modello dell’unione stabilendo, fra l’altro, che le leggi regionali di settore, che prevedono finanziamenti ai comuni (o loro forme associative), in contrasto con la presente legge, non siano più applicabili a decorrere dal 2014 (quando la presente legge entrerà a regime) e che dallo stesso anno le medesime leggi di settore sono applicate riservando i benefici ivi previsti unicamente alle (conformi) unioni di comuni.

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