n.170 del 08.06.2022 periodico (Parte Seconda)
RISOLUZIONE - Oggetto n. 5088 - Risoluzione per impegnare la Giunta a sostenere in tutte le sedi istituzionali di presenza e influenza regionali il rafforzamento in maniera continuativa e durevole del ruolo delle donne nei processi di pace, a contribuire alla istituzione di una Conferenza permanente europea per la Pace e i Diritti umani e ad istituire un Comitato regionale permanente per la Pace e i Diritti umani. A firma dei Consiglieri: Mori, Costa, Rossi, Pillati, Montalti, Sabattini, Bulbi, Amico, Costi, Gerace, Soncini, Mumolo, Zappa- terra, Caliandro, Daffadà, Marchetti Francesca, Zamboni, Fabbri, Rontini
L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
Premesso che
l’Unione europea si fonda sulla difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali, unitamente ai valori del rispetto della dignità umana, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto per promuovere una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà, dalla tutela dei minori e dalla parità tra donne e uomini, prefiggendosi di promuovere la pace e il benessere dei suoi popoli [artt. 2 e 3 del TUE]. L’art. 21 TUE, in particolare, afferma che il rispetto della dignità della persona umana e il principio di universalità e indivisibilità dei diritti umani, nonché i principi di uguaglianza e solidarietà, il rispetto della Carta delle Nazioni Unite e i principi di democrazia e stato di diritto, sono il fondamento dell’azione internazionale dell’UE.
Il Consiglio europeo nell’ambito delle conclusioni relative alle priorità per il periodo 2022-2024 del Partenariato strategico UE-ONU sulle operazioni di pace e la gestione delle crisi, ha ribadito il fermo impegno dell'UE e dei suoi Stati membri a sostegno dell'ordine multilaterale globale fondato su regole che pongono al centro le Nazioni Unite, ampliando il campo all'evoluzione delle minacce e alle sfide trasversali quali i cambiamenti climatici, le tecnologie di rottura e la cattiva informazione, intensificando gli sforzi congiunti UE-ONU in merito all'agenda su donne, pace e sicurezza e alla parità di genere.
Secondo i dati riportati dalla Ong Armed conflict location & event data project (Acled), specializzata nella raccolta, nell'analisi e nella mappatura dei conflitti, al 21 marzo 2022 se ne possono contare 59 in corso nel mondo e dal 30 luglio 2020 al 30 luglio 2021 il nostro Pianeta ha vissuto quasi 100.000 situazioni di conflitto, tra sommosse, scontri armati, proteste, violenze contro civili, attentati.
Nel 2021, l'88,5% della popolazione mondiale viveva in paesi individuati come "chiusi, repressi o ostruiti" [fonte Civicus].
Considerato che
la Risoluzione 1325 su “Donne, Pace e Sicurezza”, approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 31 ottobre del 2000, è stata la prima a menzionare esplicitamente l’impatto devastante della guerra sulle donne ed il loro contributo nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole;
la Risoluzione rafforza, estendendoli a tutte le Parti in conflitto e alle Parti “terze”, importanti impegni derivanti dalla più ampia “Convention on the elimination of all forms of discrimination against women” (CEDAW), elaborata dalle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia sin dal 1985, quali la piena partecipazione delle donne nei processi decisionali, il ripudio della violenza contro le donne e degli stupri, l’esigenza della loro protezione e la valorizzazione delle loro esperienze;
la Risoluzione 1325 riconoscendo in particolare che le donne ed i fanciulli rappresentano la popolazione più colpita dalle conseguenze di un conflitto armato e che le donne svolgono un ruolo fondamentale ed imprescindibile nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nonché nelle attività di ricostruzione della pace, invita gli Stati-membri ad assicurare una maggiore partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali, in particolare nei meccanismi di prevenzione, gestione e risoluzione delle crisi;
dal 2000 ad oggi l’agenda Women, peace and security si è infoltita e ampliata con altre 9 risoluzioni, l’ultima delle quali (la 2493 del 2019) rilancia il ruolo delle donne quali peace builders incoraggiando fra l’altro “fortemente gli Stati membri a creare sistemi sicuri e abilitanti per la società civile, compresa la comunità formale e informale delle donne leader e donne promotrici della pace, … di svolgere il proprio lavoro in modo indipendente e senza indebite interferenze, anche in situazioni di conflitto armato e per far fronte a minacce, molestie e violenze e incitamento all'odio contro di loro”;
il IV Piano di Azione Nazionale dell'Italia su Donne Pace e Sicurezza 2020-2024 aggiornato anche sulla base dell’obiettivo 5 di Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile del Pianeta, ne rappresenta l’attuazione formale accanto all’applicazione di tutte le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU che hanno focalizzato il dramma delle violenze sessuali e stupri di guerra, quali la Risoluzione 1820 (2008), la Risoluzione 1882 (per i diritti dei minori, 2009), le Risoluzioni 1888 e 1889 (2009), riconoscendo il nesso tra sicurezza internazionale e violenza sessuale, in quanto quest’ultima, quando utilizzata come tattica di guerra, può esacerbare significativamente i conflitti armati ed impedire il ripristino della pace e della sicurezza internazionale;
elaborato nel rispetto del documento comunitario “Comprehensive EU approach to the implementation of security council resolutions 1325 and 1820 on Women, Peace and Security”, il Piano di Azione nazionale è definito dallo stesso documento in fieri, così come l’apporto del Gruppo di lavoro interministeriale che lo redige e monitora, costituito su impulso del Ministero degli Affari Esteri-Ufficio Diritti Umani e Comitato interministeriale dei diritti umani.
Valutato che
gli obiettivi declinati dal Piano nazionale per l’attuazione della Risoluzione 1325 sono, fra gli altri: proteggere i diritti umani delle donne, dei fanciulli e delle fasce più deboli della popolazione, in fuga dai teatri di guerra e/o presenti nelle aree di post-conflitto (inclusi campi profughi e rifugiati); valorizzare la presenza delle donne nelle Forze Armate Nazionali e consolidare l’inserimento delle donne nelle missioni di pace e negli organi decisionali delle missioni di pace; la partecipazione costante nel tempo di una rappresentante statuale nel NATO Committee on Gender Perspectives (NCGP); attivare adeguate attività formative al fine di favorire una partecipazione altamente qualificata nei team internazionali e l’inclusione della prospettiva di genere in tutte le Peace-Support Operations;
per la partecipazione femminile ai processi di negoziazione verso la pace, si legge l’obiettivo di “Riconoscere la partecipazione delle donne e promuovere la leadership e la formazione delle donne, affinché si rafforzino – in maniera continuativa e durevole - le capacities delle donne leader e/o di organizzazioni di donne delle società civile, in azioni di prevenzione, facilitazione e mediazione, a tutti i livelli, in particolare nei processi nazionali di pace e ricostruzione nei Paesi in pre, post e durante il conflitto, nonché con riguardo alla rappresentanza e alla partecipazione delle donne in ruoli decisionali apicali”.
Valutato inoltre che
il report del segretario generale ONU Women and peace and security pubblicato a 20 anni esatti dalla Risoluzione 1325, assieme ai tanti studi molto documentati, dimostra inequivocabilmente quanto la partecipazione delle donne in negoziati di pace aumenti la sostenibilità e la qualità dei processi;
una delle ricerche più avvalorate, ad esempio, basata sull’analisi di 882 accordi raggiunti in 42 conflitti armati attivi nel periodo tra il 1989 e il 2011 evidenzia che le intese che vedono donne tra i firmatari, sono decisamente più durature, più implementate e contengono in numero maggiore misure mirate a promuovere riforme;
un’altra, condotta su 98 peace agreements raggiunti in 55 paesi tra il 2000 e il 2016, non lascia dubbi sul fatto che gli accordi ottenuti grazie alla partecipazione di donne nelle prime fasi abbiano una maggiore possibilità di contenere tra i punti di implementazione misure dedicate al rispetto di genere e alla costruzione di una società più giusta nel post conflitto;
i gruppi di pressione femminili della società civile composti da rappresentanti di associazioni, attiviste, donne impegnate in politica, che offrono un contributo a vario titolo al processo che porta alla firma, risultano strumenti straordinariamente efficaci nel far includere all’interno degli accordi, misure contro la diseguaglianza sociale e il rispetto di genere, la cura dell’infanzia e molto altro;
casi di studio e statistiche presenti sul sito di Council on Foreign Relations attestano che la partecipazione della società civile, in particolare di organizzazioni femminili, diminuisca del 64% le possibilità che un accordo di pace fallisca e che la presenza di donne nei processi di pace in qualità di testimoni, firmatari, mediatrici o negoziatrici, aumenti le possibilità che l’accordo regga almeno 2 anni del 20%, che duri stabilmente del 35%;
nonostante tali evidenze, le presenze attorno ai tavoli negoziali del mondo, in un periodo in cui il numero di conflitti è in crescita costante, restano saldamente e quasi esclusivamente maschili e tra il 1992 e il 2019 la percentuale di donne impiegate come negoziatrici nei processi di risoluzione dei conflitti armati si attesta su un misero 13%, mentre se si parla di ruolo di mediazione diretta o di presenza femminile tra i firmatari, si scende addirittura al 6%.
Evidenziato che
l’aggressione armata russa in Ucraina iniziata il 24 febbraio scorso e l’escalation della guerra alle porte dell’Europa ci consegna ogni giorno che passa la portata inaudita di massacri di civili, stupri e altre atrocità commessi su donne, bambini, persone inermi;
oltre alla fuga di massa delle persone disperate dal territorio ucraino – più di 4 milioni i profughi di cui come è noto la stragrande maggioranza sono donne e minori – e dunque oltre all’impegno di accoglienza e di straordinaria solidarietà da parte dei Paesi europei compreso il nostro, l’impatto di questa guerra è incalcolabile e soprattutto imprevedibile sia in termini di tragedia umanitaria e sofferenze che in termini di recessione economica e sociale, nonché di possibile allargamento del conflitto armato;
alla fine di marzo il Segretario generale Antonio Guterres ha invocato l’uso dei “buoni uffici’ e incaricato il Sottosegretario Martin Griffith di esplorare la possibilità di un cessate-il fuoco umanitario tra Russia e Ucraina e ad altri Paesi di adoperarsi per cercare una soluzione pacifica alla guerra in corso, per ora senza esito;
dalle immagini e cronache di Bucha, di Kiev e purtroppo dai numerosissimi teatri di guerra aperti in quel Paese martoriato arrivano prove inequivocabili di una barbarie che richiama fortemente la necessità di tavoli di negoziato tra le Parti, sinora unanimemente definiti inadeguati e infruttuosi, tanto che tutti gli osservatori e le stesse Autorità europee ammettono in queste ore lo stallo;
i cosiddetti tavoli negoziali e ogni tentativo di mediazione internazionale tra regime russo e governo ucraino sono stati finora condotti esclusivamente da uomini, nonostante le democrazie europee, individualmente e collegialmente attraverso la Commissione guidata da Ursula Von Del Leyen e il Parlamento UE, siano impegnati sino in fondo nei pacchetti di sanzioni economiche alla Russia, negli aiuti umanitari e nel sostegno alla resistenza armata ucraina oltre che nell’accelerare l'entrata dell’Ucraina nell'Unione, con l’obiettivo di far raggiungere al Paese aggredito le condizioni minime per un negoziato credibile, un cessate il fuoco e, in prospettiva, un processo di pace che metta in sicurezza le popolazioni coinvolte;
tra le tragiche conseguenze della guerra vi è la repressione inasprita in Russia di qualsiasi voce dissonante al regime, le migliaia di incarcerazioni di chi manifesta contro l’invasione e i massacri, la chiusura dell’informazione indipendente, le madri russe lasciate senza informazioni rispetto ai loro figli dispersi, un quadro fortemente autoritario dove proprio le donne russe emergono in gesti di coraggio quale fra i tanti la protesta in TV della giornalista Marina Ovsyannikova, che oggi rischia fino a 15 anni di carcere;
innumerevoli sono i contributi femminili qualificati che innervano le attuali mobilitazioni per la pace, tante le associazioni e reti informali di donne italiane, europee, russe, ucraine che elaborano vie di uscita e di supporto concreto in particolare alle donne che stanno perdendo libertà, diritti, integrità ed ogni speranza a causa della guerra;
numerose le militanti per i diritti umani e operatrici delle ONG umanitarie impegnate ai confini, così come le competenze femminili disponibili dentro e fuori le istituzioni e che potrebbero essere utilizzate nella costruzione di scenari positivi di ritrovata sicurezza.
Sottolineato che
la Regione Emilia-Romagna è pienamente inserita nella rete nazionale ed europea di aiuti umanitari alla popolazione ucraina, per l’accoglienza e il supporto delle persone rifugiate e profughe, dando prova in questo frangente inedito non solo di diffusa e concreta solidarietà ma anche di saper mettere a frutto e sintesi l’associazionismo per i diritti umani, i soggetti della cooperazione internazionale, le istituzioni di riferimento;
in forza della L.R. 24 giugno 2002, n. 12 “Interventi regionali per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace”, la Regione intende contribuire, nei limiti delle proprie competenze, alla “solidarietà tra i popoli ai fini della pace e della piena realizzazione dei diritti umani … utilizzando anche proprie risorse umane e finanziarie”, per quanto possibile anche “in collaborazione con gli Enti locali ed i soggetti pubblici e privati del proprio territorio, con altri soggetti omologhi esteri pubblici e privati, con le Istituzioni nazionali, internazionali e comunitarie competenti in materia”;
tra le misure rese possibili dalla legge regionale “Misure urgenti di solidarietà in favore della popolazione ucraina” vi è la destinazione delle risorse raccolte e disponibili ai progetti umanitari attivati in Ucraina dalle Ong e la possibilità di ricostruire spazi pubblici o di forte valenza sociale e culturale in quel Paese non appena le condizioni lo renderanno possibile.
Preso atto che
in un recente incontro promosso dall’Associazione Orlando presso il Centro delle Donne/Biblioteca Italiana delle Donne a Bologna, alla presenza di una rappresentanza trasversale di associazionismo femminile e femminista, nonché di attiviste e donne delle istituzioni, si è ritenuto importante “richiamare i valori e i principi che le donne nel mondo hanno elaborato in pratiche decennali di approccio non violento ai conflitti, di apporto propositivo nei negoziati di riconciliazione e di pace, nonché di sperimentazione di forme di convivenze possibili tra popoli e gruppi sociali eterogenei”, chiedendo “che la Risoluzione 1325 torni in primo piano e che l’Italia, l’Unione Europea e gli Stati membri si impegnino alla sua realizzazione nel conflitto in corso” in particolare per il coinvolgimento delle donne promotrici di iniziative di pace nei processi di negoziazione, avvertendo “i rischi connessi alla riaffermazione della divisione di compiti e di ruoli tra donne e uomini e al disconoscimento di una forte potenzialità di pace rappresentata dalle donne”;
tante sono le prese di posizione affinché la forza della diplomazia e della politica prevalga sulla logica della guerra come soluzione alle controversie tra Nazioni.
Tutto ciò premesso ed evidenziato
si impegna ed impegna la Giunta, per quanto di competenza,
a contribuire a sostenere in tutte le sedi istituzionali di presenza e influenza regionali il rafforzamento in maniera continuativa e durevole del ruolo delle donne nei processi di pace ed in tutti i processi decisionali, accrescendo le sinergie col terzo settore e la società civile, in ottemperanza alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1325 (2000) e l’Agenda DPS e il IV Piano d’Azione nazionale su Donne, Pace e Sicurezza (2020-2024);
a contribuire a ridurre nell’esercizio delle proprie funzioni in raccordo con la rete istituzionale, associativa e civile, gli effetti e l’impatto dei conflitti sulle donne ed i bambini, in particolare le bambine, sostenendo a tutti i livelli la partecipazione efficace e trasformativa delle donne nei processi di prevenzione, mitigazione e risoluzione del conflitto, così come nei processi decisionali a tutti i livelli, promuovendo la parità di genere, l’empowerment e la protezione nelle aree di conflitto e post conflitto, partendo dalla guerra in Ucraina;
a contribuire a promuovere la prospettiva di genere nelle progettualità della cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario e sostenere le Associazioni locali, le Associazioni di donne che operano per la pace e per i diritti umani per prevenire e contrastare ogni tipo di violenza e sopraffazione basata sul genere e la violenza sessuale;
a contribuire alla istituzione di una Conferenza permanente europea per la Pace e i Diritti umani per un impiego costante, continuo e strutturato delle relazioni tra i popoli per prevenire ogni forma di conflitto armato, per trovare soluzioni alternative oggi alla guerra in Ucraina e sempre alle derive autoritarie che minino la Pace in Europa, violino i diritti umani e mettano a rischio la sicurezza umana e la democrazia;
a consolidare nel territorio dell’Emilia-Romagna l’impegno dell’accoglienza e di empowerment dell’umanità ferita, oppressa e perseguitata come valore universale con pratiche di sostegno e assistenza rispettose dei vissuti delle persone e della loro dignità, partendo dall’emergenza ucraina in corso di gestione;
a istituire un Comitato regionale permanente per la Pace e i Diritti umani che contribuisca a sensibilizzare la Comunità regionale, a rafforzare il dialogo tra le persone, a conoscere le esperienze del Terzo settore, le iniziative e le buone prassi per la promozione e tutela dei diritti umani quale strumento di prevenzione dei conflitti armati;
a consegnare la presente Risoluzione al Parlamento europeo, agli/alle Europarlamentari eletti nel Collegio nord est, alla Commissione europea, al Comitato europeo delle Regioni, all’OSCE Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti umani con sede a Varsavia, al Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa, al Comitato interministeriale dei diritti umani CIDU e al Governo italiano, alla Presidenza della Camera e del Senato, alle Commissioni parlamentari competenti, ai/alle Parlamentari dell’Emilia-Romagna, all’Anci nazionale e regionale.
Approvata a maggioranza dei presenti nella seduta antimeridiana del 10 maggio 2022