SUPPLEMENTO SPECIALE n. 163 del 12.11.2012

Relazione

Il fenomeno della “delocalizzazione” è stato definito nel parere adottato nel 2005 dal Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), intitolato: “Portata ed effetti della delocalizzazione delle imprese”, come: “fenomeno che consiste nella cessazione, totale o parziale di un’attività e della sua successiva ripresa all’estero per mezzo di un investimento diretto”.

Secondo un recente studio, condotto dall’Istat prendendo come base di ricerca le imprese italiane dell’industria e dei servizi con più di cinquanta addetti, nel periodo 2001-2006 circa tremila imprese, pari al 13,4% delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno avviato processi di delocalizzazione.

Secondo un rapporto della Banca d’Italia del febbraio 2012, a causa del fenomeno della delocalizzazione il nostro Paese ha perso 34.000 posti di lavoro in due anni.

La motivazione di questa scelta, per come si legge nel menzionato parere del CESE (2005/C 294/09) si rinviene, principalmente, nella riduzione del costo del lavoro e degli altri costi di impresa, connessa al trasferimento in Paesi dove tali costi risultano sensibilmente inferiori rispetto all’Italia.

Il fenomeno in parola comporta evidenti conseguenze negative per il sistema produttivo italiano, sia in termini di riduzione dei posti di lavoro, sia per le evidenti ricadute negative anche sulle piccole imprese, per la riduzione delle commesse.

In particolare, osserva il CESE, a livello regionale le conseguenze della delocalizzazione delle imprese (in termini di tasso di disoccupazione, diminuzione della domanda, riduzione della crescita economica, aumento dell’emarginazione sociale, ecc.), possono essere “drammatiche”, soprattutto quando le regioni si specializzano in uno specifico settore di attività.

Peraltro, per come evidenziato nel menzionato parere del CESE e per come denunciato dai sindacati italiani, spesso, al fenomeno della delocalizzazione sopra descritto, si affianca anche la cosiddetta “delocalizzazione inversa”, che si verifica quando l’imprenditore induce i suoi dipendenti ad accettare condizioni di lavoro deteriore, dietro la “minaccia” della delocalizzazione produttiva extraregionale.

Si rende quindi necessario, nel rispetto dei principi di libera circolazione e di concorrenza, nonché della normativa comunitaria relativa agli aiuti di Stato, adottare provvedimenti finalizzati a mitigare gli effetti negativi della delocalizzazione e favorire l’occupazione, la competitività delle imprese emiliane e romagnole e la tutela dei diritti dei lavoratori.

Con questo progetto di legge la Regione Emilia-Romagna afferma la centralità del valore del lavoro nel processo produttivo e individua nelle maestranze tutte, ai diversi livelli aziendali, la risorsa fondamentale delle nostre imprese.

Il sistema economico emiliano e romagnolo, fondato sul sistema della piccola e media impresa, vede proprio nella professionalità dei lavoratori, nelle loro conoscenze e capacità un aspetto fondamentale che segnerà anche in futuro il successo della nostra economia: pensare perciò di trasferire all’estero, o in altre regioni, linee produttive, significa perdere parte del capitale e del patrimonio di conoscenze costruito nei decenni scorsi e che nessun risparmio monetario potrà adeguatamente compensare.

Si stabilisce il principio per cui sostegni finanziari, agevolazioni e aiuti regionali saranno accessibili solo a quelle aziende che mantengono i livelli occupazionali in Regione, sancendo così il ruolo sociale dell’aiuto pubblico, che viene finalizzato al mantenimento occupazionale e alla tutela del lavoro.

La proposta di legge fissa in particolare alcune disposizioni concrete e fondamentali: finanziamenti, sussidi e agevolazioni regionali non verranno riconosciuti alle imprese che delocalizzano (sia completamente che parzialmente). Per quanto riguarda invece le imprese che mantengono i livelli occupazionali, sebbene investite da oggettive riduzioni di attività o da profonde modifiche dei mercati, la Regione Emilia-Romagna riduce di un punto percentuale l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

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