n.196 del 29.12.2011 (Parte Seconda)

DIRETTIVA IN MATERIA DI AFFIDAMENTO FAMILIARE, ACCOGLIENZA IN COMUNITA' E SOSTEGNO ALLE RESPONSABILITA' FAMILIARI.

LA GIUNTA DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Vista la L.R. 28 luglio 2008, n.14 “Norme in materia di politiche per le giovani generazioni” che all’articolo 31 “Affidamento familiare e accoglienza in comunità” stabilisce:

“1. La Regione, per l’attuazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti temporaneamente allontanati dalla famiglia, attribuisce pari dignità all’affidamento familiare e all’inserimento all’interno di comunità che garantiscono un’accoglienza di tipo familiare, pur nel riconoscimento delle specificità di ciascuna opzione. La scelta del tipo di accoglienza, nel rispetto dei provvedimenti giudiziari, è determinata dalle esigenze del bambino, dell’adolescente e della sua famiglia e dall’opportunità di ridurre al minimo la permanenza fuori dalla famiglia d’origine.

2. La Regione garantisce, tramite i competenti servizi territoriali, a ciascun bambino o adolescente che deve essere allontanato dal proprio contesto familiare e sociale, anche insieme a uno dei genitori, la protezione necessaria e un percorso educativo personalizzato di alta qualità, qualunque sia la forma di accoglienza predisposta per lui, all’interno di un quadro di risposte differenziate, per soddisfarne gli specifici bisogni di sostegno, tutela, riparazione ed accompagnamento, anche oltre il diciottesimo anno d’età.

3. La Regione favorisce un’azione di monitoraggio e di raccordo tra le diverse realtà territoriali, in modo da perseguire omogeneità di opportunità ed efficacia nel sistema di accoglienza in tutto il territorio regionale.

4. La Regione, in attuazione dell’articolo 35 della legge regionale n. 2 del 2003, stabilisce con direttiva unitaria le condizioni per l’affidamento familiare e i requisiti strutturali e organizzativi per l’accoglienza in comunità.”

Viste inoltre:

- la DGR 11 giugno 2007, n. 846 “Direttiva in materia di affidamento familiare e accoglienza in comunità di bambini e ragazzi (legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modifiche e articoli 5 e 35 l.r. 12 marzo 2003, n. 2 e successive modifiche”);

- la DGR 29 novembre 2010 n. 1833 “DGR 846/07 in materia di affidamento familiare e accoglienza in comunità. Proroga termini”, che ha prorogato di un anno il termine per la completa operatività della richiamata direttiva n.846/07 “in vista di una possibile modifica della disciplina ivi contenuta”;

- la determinazione del Direttore generale Sanità e politiche sociali 3 maggio 2011 n. 5001 che ha costituito il “Gruppo tecnico di proposta per la revisione della Dgr 846/07”, con il compito di produrre un documento finale consistente nella riscrittura delle parti II e III (eventualmente articolato in varie ipotesi), da consegnare al Direttore generale Sanità e politiche sociali;

Considerato che il gruppo tecnico sopra richiamato:

- si è riunito fino al 28 giugno 2011 e ha consegnato il documento finale in data 4 luglio 2011 alla direzione generale Sanità e politiche sociali;

- ha inoltre evidenziato l’opportunità che successivamente all’approvazione della presente deliberazione venga predisposto un documento di linee guida non vincolanti volte alla progressiva costruzione di un sistema di buone prassi omogenee sul territorio regionale; 

Dato atto che in data 21 novembre 2011 la Cabina di Regia per le politiche sociali e sanitarie ha dato una valutazione positiva alla bozza di delibera illustrata; 

Acquisito, ai sensi della L.R. n. 2 del 2003 e successive modifiche, il parere favorevole:

- della Conferenza regionale del Terzo settore, in data 7 dicembre 2011 (art. 35 comma 2);

- del Consiglio delle autonomie locali (CAL), in data 13 dicembre 2011;

- della Commissione IV “Politiche per la salute e politiche sociali” dell’Assemblea legislativa, in data 13 dicembre 2011. 

Dato atto che in data 7 dicembre 2011 la bozza del presente atto è stata presentata alle Organizzazioni sindacali; 

Richiamate le proprie deliberazioni:

- n. 1511/ 11;

- n. 2416 del 29 dicembre 2008, recante “Indirizzi in ordine alle relazioni organizzative e funzionali tra le strutture e sull’esercizio delle funzioni dirigenziali. Adempimenti conseguenti alla delibera 999/2008. Adeguamento e aggiornamento della delibera 450/2007” e succ. mod.; 

Dato atto del parere allegato;

Su proposta degli Assessori alla Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, volontariato, associazionismo e terzo settore, Teresa Marzocchi e alle Politiche per la salute, Carlo Lusenti

a voti unanimi e palesi

delibera:

1) di approvare, l’allegato, parte integrante e sostanziale del presente atto deliberativo, recante “Direttiva in materia di affidamento familiare, accoglienza in comunità e sostegno alle responsabilità familiari” in attuazione della Legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modifiche, della L.R. 28 luglio 2008, n. 14 e degli articoli 5 e 35 della L.R. 12 marzo 2003, n. 2 e successive modifiche;

2) di stabilire che il presente atto sostituisce la DGR 846/07, che si intende superata e che la stessa continua ad applicarsi per le autorizzazioni al funzionamento in corso di validità, salvo richiesta di nuova autorizzazione da parte del soggetto gestore alla quale si applica la presente direttiva;

3) di dare atto che l’Assessorato Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, volontariato, associazionismo e terzo settore promuoverà, anche tramite il coinvolgimento degli enti e dei soggetti interessati, un gruppo tecnico per la proposta di buone prassi omogenee sul territorio regionale da inserire in un documento regionale di linee guida non vincolanti;

4) di dare atto che l’Assessorato Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, volontariato, associazionismo e terzo settore promuoverà un tavolo di monitoraggio sull’applicazione della presente direttiva;

5) di prevedere che qualora intervengano normative comunitarie, statali, regionali e locali che abbiano impatto sulla presente direttiva, la stessa dovrà intendersi conseguentemente aggiornata ed adeguata;

6) di pubblicare il presente atto nel Bollettino Ufficiale Telematico della Regione.

ALLEGATO

Direttiva in materia di affidamento familiare, accoglienza in comunità e sostegno alle responsabilità familiari

INDICE:

Premessa

Parte I - Disposizioni generali e comuni

1. Oggetto, obiettivi generali e indicazioni comuni per famiglie affidatarie e strutture per minorenni

2. Destinatari della direttiva

3. Istituzioni

3.1 Comune

3.2 Provincia

3.3 Regione

4. Azienda unità sanitaria locale

5. Metodologia del lavoro integrato e progetto quadro

6. Territorio e sussidiarietà

Parte II - Affidamento familiare

1. Accoglienza in famiglia (affidamento eterofamiliare)

1.1 “Affidamento” a parenti

1.2 Affidamento a tempo parziale

1.3 Situazioni particolari di affidamento 

2. Percorso della famiglia affidataria

2.1 Prima informazione

2.2 Preparazione e destinatari della formazione

2.3 Obiettivi dei corsi di preparazione

2.4 Modalità di programmazione e attuazione dei corsi di preparazione

2.5 Contenuti dei corsi e criteri di qualità

2.6 Modalità formative

2.7 Percorso di conoscenza e di valutazione della disponibilità

3. Abbinamento, ipotesi progettuale, provvedimento, durata e numero di bambini o ragazzi in affidamento familiare

4. Progetto di accompagnamento dell’affidamento familiare

5. Tutela lavorativa e interventi economici a sostegno dell’affidamento familiare

5.1 Tutela lavorativa e previdenziale degli affidatari

5.2 Benefici economici

6. Reti di famiglie, affiancamento familiare e famiglie di supporto ai minori in comunità

Parte III - Accoglienza in comunità

1. Accoglienza integrata

2. Le strutture di accoglienza residenziali e semiresidenziali

2.1 Obiettivi dell’accoglienza

2.2 Risorse umane: adulti accoglienti e personale

2.2.1 Adulti accoglienti

2.2.2 Personale 

2.2.3 Supervisione

2.2.4 Figure e famiglie di supporto

3. Carta dei servizi

4. Progetto educativo individualizzato

5. Progetto di vita

6. Obblighi informativi

7. Requisiti strutturali

7.1 Requisiti per le strutture di tipo familiare

7.2 Requisiti per le strutture residenziali educative e per l’ autonomia

7.3 Requisiti per le comunità semiresidenziali

7.4 Requisiti per strutture per gestanti e madri con bambini

8. Tipologie

8.1 Strutture di tipo familiare

8.1.2 Comunità familiare

8.1.3 Comunità casa famiglia multiutenza

8.2 Strutture educative

8.2.1 Comunità educativa residenziale

8.2.2 Comunità educativa semiresidenziale

8.2.3 Comunità residenziale educativo-integrata

8.2.4 Comunità semiresidenziale educativo-integrata

8.3 Strutture di pronta accoglienza

8.3.1 Comunità di pronta accoglienza

8.4 Strutture per l’autonomia

8.4.1 Gruppo appartamento

8.4.2 Comunità per l’autonomia

8.5 Casa/comunità per gestanti e per madre con bambino

8.5.1 Comunità per gestanti e per madri con bambino

9. Struttura residenziale per persone dipendenti da sostanze d’abuso con figli minori

10 Tipologie sperimentali e nucleo di valutazione

11. Autorizzazione al funzionamento

11.1 Requisiti

11.2 Attività istruttoria. Commissione istruttoria

11.3 Domanda per il rilascio dell’autorizzazione al funzionamento

11.4 Rilascio dell’autorizzazione

11.5 Elementi dell’autorizzazione al funzionamento

11.6 Durata e rinnovo dell’autorizzazione al funzionamento. Verifiche e controlli

11.7 Registro provinciale delle strutture autorizzate – sezione strutture per minorenni e giovani adulti

11.8 Obblighi conseguenti all’autorizzazione al funzionamento

12. Sanzioni

13. Norma transitoria per le comunità funzionanti

Premessa

Nel luglio del 2007 la Regione ha approvato con DGR 846, una direttiva che regolamentava unitariamente l’accoglienza di bambini e ragazzi sia in affidamento familiare che in comunità, per sottolineare l’identità dei loro diritti, indipendentemente dalla scelta di collocazione che, nel loro preminente interesse, i servizi territoriali o l’autorità giudiziaria avessero compiuto.

Tratti salienti della direttiva erano:

- la centralità dei diritti del bambino o ragazzo fuori famiglia;

- la considerazione che il sostegno alla famiglia di origine rappresenta il primo ed ineliminabile compito dei servizi del territorio anche nell’ottica di evitare ove possibile l’allontanamento;

- una particolare attenzione alla formazione delle persone che si prendono cura dei ragazzi sia in affidamento familiare che in comunità;

- la previsione dell’autorizzazione al funzionamento per tutte le comunità che accolgono minorenni, escludendo la possibilità di procedure diverse quale procedura di garanzia di tutela.

Nello stesso anno è stata approvata la DGR 911/07 “Neuropsichiatria dell’ infanzia e dell’adolescenza (NPIA): requisiti specifici di accreditamento delle strutture e catalogo regionale dei processi clinico-assistenziali” che disciplina le residenze sanitarie per minori (RTP-M).

Nel 2008 è stata approvata la L.R. 14 “ Norme in materia di politiche per le giovani generazioni”, che ha trattato unitariamente il tema dell’attuazione dei diritti dei giovani (non solo minorenni), riconfermando e elevando al livello legislativo le scelte compiute dalla direttiva.

Tali scelte fondamentali devono quindi oggi essere aggiornate a seguito della “sperimentazione” della direttiva nel corso di questi anni e compiere ogni opportuno raccordo con la disciplina sanitaria.

Per consentire la rivisitazione della disciplina in vigore, si è prevista (con DGR 1833/2010) la proroga al 31 dicembre 2011 dei termini per la sua completa operatività.

E’ stata quindi avviata una sistematica consultazione dei soggetti interessati, anche tramite la costituzione di un gruppo tecnico formato di soggetti pubblici e privati, con il compito di redigere un documento di proposta (Det. 5001/2010).

La nuova disciplina, riaffermando il valore delle scelte fondamentali compiute dalla DGR 846/07, aggiorna le norme in materia di tutela dei minorenni allontanati dalla loro famiglia o a rischio di allontanamento in attuazione della L.R. 14/08, conferma una visione di integrazione degli interventi di tutela del bambino o del ragazzo, nella quale l’accoglienza in comunità è concepita secondo un approccio unitario con gli affidamenti familiari e le adozioni e prevede gli opportuni raccordi nonché le aree di integrazione con le norme che regolano l’ambito sanitario.

Parte I - Disposizioni generali e comuni

1. Oggetto, obiettivi generali e indicazioni comuni per famiglie affidatarie e strutture per minorenni

Con la presente direttiva la Regione Emilia-Romagna riconferma i propri orientamenti in materia di accoglienza di bambini e ragazzi in affidamento familiare o in comunità, rivisitandoli alla luce della L.R 28 luglio 2008, n. 14 “Norme in materia di politiche per le giovani generazioni”, nonché del lavoro svolto da tutti i soggetti interessati nel primo periodo di attuazione.

La direttiva riguarda tutti i casi in cui le difficoltà familiari richiedono l’allontanamento temporaneo del minore e la sua accoglienza in affidamento familiare o in comunità, anche a causa di situazioni di emergenza che ne richiedano una immediata tutela (art. 403 c.c.).

L’allontanamento infatti assume un valore costruttivo solo se pensato come una tappa di un più ampio progetto volto alla ricostruzione del benessere del minore e se possibile del suo nucleo familiare. Il collocamento del bambino o adolescente al di fuori della sua famiglia naturale deve avere una funzione educativa e non di sola protezione, nel senso che deve essere utilizzato principalmente come uno strumento per l’aiuto e il recupero della famiglia e per una riunificazione dello stesso con la sua famiglia.

Si tratta non solo di prevedere un accompagnamento professionale competente, ma anche di attivare tutte le risorse della comunità sociale, promuovendo una cultura dell’accoglienza nel senso ampio di protezione dell’infanzia e di sostegno alla genitorialità, facendo rete tra servizi istituzionali, del privato sociale e della società civile in senso ampio.

Nella consapevolezza che l’allontanamento dalla famiglia d’origine è sempre un evento traumatico e che deve di conseguenza essere considerato l’extrema ratio, alla quale ricorrere solo in caso di assoluta necessità, la L.R. 14/08, all’art. 23 (Prevenzione in ambito sociale) prevede che la Regione riconosca la necessità di comprendere nel percorso di prevenzione del disagio dei bambini e degli adolescenti un accompagnamento competente dei genitori, mirato a sostenere e sviluppare le loro possibilità e disponibilità affettive, accuditive ed educative, eventualmente compromesse, e in vista di un loro recupero. Tale accompagnamento è finalizzato a garantire a tutto il nucleo un clima familiare e sociale soddisfacente e rispettoso dei bisogni evolutivi dei suoi membri più giovani, “anche, se necessario, mediante interventi terapeutici o sociali adeguati”.

Si tratta, non solo di prevedere un accompagnamento professionale competente, ma anche di attivare tutte le risorse della comunità sociale. In tal modo sarà possibile articolare i livelli della prevenzione che la legge raccomanda: “La programmazione e le attività coordinate dei soggetti interessati, rivolte anche ai minori stranieri, articolano la prevenzione nei seguenti livelli:

a) promozione dell’agio ed educazione alla legalità e al rispetto reciproco;

b) monitoraggio e intervento sulle situazioni di rischio;

c) protezione e riparazione del danno, anche per evitarne la reiterazione.”

L’accoglienza fuori famiglia può essere conseguente anche a misure penali, in base alle previsioni del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 in materia di processo penale a carico di imputati minorenni, che ha posto al centro l’adolescente e il suo delicato processo di sviluppo e costruzione dell’identità, con la finalità di trasformare l’azione penale in occasione di crescita e di responsabilizzazione. Le misure possono essere di natura cautelare (art. 19 e seguenti del D.P.R. 448/88), di messa alla prova (art. 28 del D.P.R. 448/88), o misure di sicurezza (art 36 del D.P.R. 448/88) o alternative alla detenzione.

La direttiva concerne inoltre l’affidamento a parenti entro il quarto grado nel caso in cui siano coinvolti i servizi, anche a seguito di affidamento ai servizi sociali ex art. 333 c.c.,nonché le strutture di accompagnamento all’autonomia anche per neomaggiorenni.

Essa non riguarda i casi di ospitalità di genitori con i loro figli, nel caso in cui i genitori stessi siano in grado di occuparsene.

La direttiva fornisce inoltre, indicazioni per:

a) prevenire l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare, anzitutto mediante interventi a favore delle famiglie in difficoltà, promuovendo il ruolo e le competenze genitoriali, il coordinamento delle politiche sociali, sanitarie, educative e sostenendo forme di accoglienza semiresidenziale sia in famiglia, che in comunità;

b) realizzare l’ampliamento, la qualificazione e l’integrazione del sistema dei soggetti e degli interventi che vengono attivati quando l’ambiente familiare sia inidoneo ad assicurare un adeguato sviluppo dei figli;

c) definire, tramite tale metodologia e a partire dall’analisi dei bisogni e delle opportunità esistenti, il sistema di accoglienza, per fare sì che la risposta attivata sia la più idonea alle esigenze del bambino o del ragazzo e che sia volta a realizzare le condizioni per il suo rientro nel nucleo familiare, nel tempo strettamente necessario;

d) definire i requisiti strutturali e organizzativi di ogni tipologia di comunità per garantire la qualità dell’intervento educativo;

e) sviluppare iniziative finalizzate alla promozione della cultura dell’accoglienza;

f) valorizzare il ruolo del terzo settore e favorire la collaborazione tra istituzioni pubbliche e privato sociale.

Attraverso l’affidamento ad una famiglia o l’accoglienza in comunità, il bambino viene accolto da adulti che s’impegnano ad assicurare un’adeguata risposta ai suoi bisogni affettivi e di cura, a provvedere al suo mantenimento, all’educazione e all’istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori ancora esercenti la potestà (con particolare riferimento alle scelte in materia di modelli culturali e di opportunità formative) o del tutore, ed osservando le prescrizioni ed i limiti eventualmente stabiliti dall’autorità giudiziariae dai servizi affidanti.

L’accoglienza del ragazzo avviene per un periodo di tempo definito, di norma non superiore a due anni. In tale periodo i rapporti tra il minore e la famiglia di origine sono mantenuti e modulati secondo quanto previsto nel progetto quadro e nel progetto individualizzato.

Le famiglie affidatarie e le comunità dovranno collaborare al programma di incontri del ragazzo con i genitori ed eventuali parenti, secondo il progetto formulato dai servizi, e tenuto conto di eventuali prescrizioni da parte dell’autorità giudiziaria.Gli incontri si devono svolgere in contesti predisposti a favorire la relazione tra il bambino e i genitori. In caso di necessità, potranno avvenire in un luogo neutro, individuato dagli operatori.

Se la famiglia d’origine riconosce i bisogni del figlio e contemporaneamente la propria impossibilità a rispondervi, in parte o totalmente, ed acconsente che siano altri a farlo fino al recupero delle proprie risorse genitoriali, sarà possibile attuare un affidamento familiare o una accoglienza in comunità con il consenso di chi esercita la potestà. In tal caso il provvedimento è disposto con un atto formale del servizio sociale territoriale dopo avere raccolto, in forma scritta, l’adesione degli affidatari e il consenso dei genitori esercenti la potestà, ovvero del tutore e sentendo sempre i ragazzi che abbiano compiuto i dodici anni e anche quelli di età inferiore, compatibilmente con la loro capacità di discernimento.

Benché il coinvolgimento del minore non comporti la necessità di acquisire il suo consenso, in quanto la valutazione circa l’opportunità e l’utilità di un affidamento è demandata esclusivamente al servizio sociale o al Tribunale per i minorenni, tuttavia il bambino o il ragazzo non solo deve essere informato di quanto staaccadendo, ma si deve tener conto delle sue opinioni e dei suoi sentimenti, perché possa vivere l’esperienza in modo positivo.

Il provvedimento di affidamento predisposto dal servizio sociale viene reso esecutivo dal Giudice tutelare con decreto (art. 4 legge 184/83 e ss.mm.).

Se manca il consenso della famiglia di origine, il servizio sociale dovrà segnalare la situazione al Tribunale per i minorenniche potrà provvedere con proprio decreto.

Se l’affidamento, consensuale o giudiziale, è disposto ex art. 4 della legge 184/83, ha una durata massima non superiore ai due anni. L’eventuale proroga dell’accoglienza fuori dalla famiglia può essere disposta da parte del Tribunale per i minorenniove la sua sospensione rechi pregiudizio al minore.

In caso di affidamento eterofamiliare o in comunità conseguente a provvedimento del Tribunale per i minorenni ex art. 333 c.c., la legge non stabilisce un limite di durata dell’affidamento. Fermo restando l’obbligo dei servizi di ottemperare a quanto previsto nel decreto del Tribunale per i minorenni, il termine di ventiquattro mesi rappresenta comunque il momento della verifica complessiva dei risultati raggiunti per consentire l’eventuale conferma o l’aggiustamento del progetto.

L’affidamento familiare o l’accoglienza in comunità non cessa automaticamente alla scadenza del termine indicato nel provvedimento, poiché la legge richiede una apposita decisione al riguardo, fondata sulla valutazione dell’interesse del bambino o ragazzo. Del resto, la durata dell’affidamento prevista sin dall’inizio o nelle successive proroghe è determinata sulla base di una valutazione circa il tempo occorrente per portare a termine utilmente il progetto.

L’affidamento si conclude con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del ragazzo.

La programmazione e gli interventi, propri della fase di conclusione, devono considerare:

- il sostegno al bambino per l’elaborazione del distacco dalla famiglia affidataria o dalla comunità e la preparazione al rientro presso il nucleo d’origine o verso altra accoglienza prevista nel suo interesse;

- la definizione dei tempi e delle modalità più favorevoli al reinserimento nella famiglia di origine o nella nuova situazione;

- la valutazione dell’opportunità del mantenimento di rapporti con la famiglia affidataria;

- la gradualità nell’eventuale reinserimento o nuovo inserimento, modulato a seconda della specificità delle singole situazioni.

La L.R. 14/08 attribuisce pari dignità all’affidamento familiare e all’accoglienza in comunità, riconoscendo che la scelta del tipo di collocazione, nel rispetto degli eventuali provvedimenti giudiziari, deve essere dettato dalle condizioni che consentono di perseguire il superiore interesse del ragazzo.

Data la particolare delicatezza del compito degli adulti che vengono a contatto con compiti educativi con bambini e ragazzi allontanati dalla famiglia, si richiede inoltre che gli stessi possiedano idonee qualità morali.

Le qualità morali possedute sono dichiarate dall’interessato, ai sensi delle vigenti disposizioni, con riferimento:

- alla insussistenza a proprio carico di procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione;

- al fatto di non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o condannati, anche con sentenza non definitiva, per uno dei delitti indicati agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale;

- al fatto di non aver riportato condanne con sentenza definitiva a pena detentiva non inferiore a un anno per delitti non colposi, salvi in ogni caso gli effetti della riabilitazione.

Agli effetti della dichiarazione prevista dalla presente disposizione, si considera condanna anche l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale.

2. Destinatari della direttiva

Sono diversi i soggetti, istituzionali e non, che con funzioni differenziate esercitano un ruolo integrato nei processi di accoglienza dei minori temporaneamente fuori della propria famiglia.

In particolare, sono destinatari della presente direttiva:

- anzitutto il ragazzo (1), vero soggetto dell’intervento insieme alla sua famiglia;

- i Comuni e gli altri enti e soggetti pubblici, con particolare riguardo alle Aziende USL, cui le norme statali e regionali attribuiscono funzioni o compiti in materia di tutela, protezione ed intervento a favore dell’infanzia e dell’adolescenza, nonché di sostegno alla famiglia di origine e a quella affidataria;

- le famiglie, le reti di famiglie e le persone singole che accolgono bambini in affidamento familiare;

- i soggetti privati interessati, con particolare riguardo ai soggettidel terzo settore impegnati nell’accoglienza di bambini e ragazzi in difficoltà.

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(1) Come noto, la lingua italiana non dispone di un termine onnicomprensivo quale “child” ad indicare il minorenne, se non la parola “minore” che, in quanto evoca una situazione “in negativo”, è stata superata dalla letteratura di settore e dagli addetti ai lavori.

In questo atto si utilizzeranno dunque indifferentemente le parole bambino o ragazzo o minorenne per fare riferimento alla persona di minore età.

3. Istituzioni

3.1 Comune

L’obbligo conseguente alla esclusiva titolarità della tutela in capo ai Comuni non si esaurisce nei confronti dei minorenni residenti o domiciliati sul territorio del Comune, né di quelli la cui collocazione in affidamento familiare o in comunità sia avvenuta ad opera dei servizi di quel territorio, ma si estende obbligatoriamente a tutti i ragazzi che “vivono” sul territorio comunale (art. 1 della L.R. 14/08). Ciò comporta che, anche nei confronti dei ragazzi in affidamento familiare o in comunità provenienti da altri territori, situazione peraltro molto frequente, l’obbligo di vigilanza sussiste in capo al comune nel quale il ragazzo si trova. Non è infatti la situazione giuridica del minore a far nascere l’obbligo di provvedere in capo al Comune, ma la sua semplice presenza, quando la famiglia sia assente, o non adeguata, o sia la famiglia stessa a richiedere il sostegno per lo svolgimento della sua funzione educativa.

In attuazione della legge, il Comune:

- è titolare delle funzioni in materia di minori, anche in via d’urgenza, ex art. 403 c.c., che svolge direttamente, in forma singola o associata, o tramite delega all’Azienda USL o Azienda pubblica di servizi alla persona (ASP), garantendo la necessaria collaborazione con le autorità giudiziarie competenti;

- esercita le funzioni di programmazione del sistema locale dei servizi sociali a rete attraverso il Piano distrettuale per la salute e il benessere sociale (in particolare tramite l’area “responsabilità familiari, capacità genitoriali e diritti dei bambini e degli adolescenti”) in coerenza con gli atti di pianificazione regionale degli interventi dei servizi sociali e sanitari, nonché con gli indirizzi della conferenza territoriale sociale e sanitaria;

- approva, nell’ambito del piano di zona, il programma finalizzato alla promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, articolando gli interventi rivolti ai ragazzi;

- promuove, raccordandosi con la Provincia, la formazione per gli adulti accoglienti, per la qualificazione degli interventi afferenti alla presente direttiva;

- collabora con la Provincia e gli altri soggetti pubblici e privati, per la realizzazione di iniziative di promozione della cultura dell’accoglienza, con particolare riguardo all’affidamento familiare e al volontariato a favore dei bambini e delle famiglie;

- svolge le funzioni amministrative concernenti l’autorizzazione al funzionamento, secondo quanto previsto dalla L.R. n. 2 del 2003 e dalla parte III della presente direttiva;

- vigila, tramite i servizi,in attuazione della normativa statale, sull’affidamento familiare e sulle strutture di accoglienza del proprio territorio, indipendentemente, come già detto, dal fatto che i ragazzi accolti siano residenti sul suo territorio;

- promuove, nell’ambito dell’accordo di programma del piano distrettuale per la salute e il benessere sociale, la solidarietà interistituzionale, tramite la costituzione di un fondo distrettuale per garantire una gestione unificata di casi particolarmente impegnativi per gli oneri riguardanti l’accoglienza di bambini, ragazzi e neomaggiorenni;

- promuove accordi, almeno a livello distrettuale, con i servizi sanitari per la realizzazione degli interventi integrati nell’area delle prestazioni socio-sanitarie.

In particolare l’unità organizzativa a cui è affidata la funzione del servizio sociale minori:

- svolge le funzioni di tutela dei minori, che comprendono le segnalazioni di pregiudizio, lo svolgimento di indagini psico-sociali per la Procura presso il Tribunale per i minorenni, l’esecuzione di provvedimenti emessi dal Tribunale per i minorenni o dalla magistratura competente, compiti di monitoraggio e di redazione delle relazioni;

- fornisce alla cittadinanza le informazioni relative agli interventi e ai percorsi per la protezione e la tutela di ragazzi;

- promuove le reti di famiglie mediante un lavoro di comunità, articolato su base comunale o distrettuale, avvalendosi anche dei servizi appositamente istituiti, come i centri per le famiglie, e con il pieno coinvolgimento delle associazioni di volontariato e di promozione sociale, della scuola e di tutti gli altri soggetti e gruppi formali e informali della società civile;

- concorre alla programmazione e alla realizzazione degli interventi di formazione per gli adulti accoglienti e di quella specifica per la gestione di comunità, con le modalità indicate alla parte II “Affidamento familiare”, nonché del volontariato impegnato a sostegno dei bambini e delle famiglie accoglienti e di quelle in difficoltà, anche in collaborazione col privato sociale;

- è responsabile del percorso strutturato di conoscenza e valutazione della disponibilità per l’affidamento familiare e per la gestione di comunità familiari e case-famiglia;

- costruisce, insieme agli altri soggetti interessati, in particolare con l’Azienda USL competente, il progetto quadro che, anche in attuazione delle previsioni del provvedimento del Tribunale per i minorenni,stabilisce gli obiettivi generali da raggiungere, i tempi della presa in carico, la definizione dei ruoli, delle responsabilità e delle relazioni dei vari soggetti coinvolti (il ragazzo, la famiglia di origine, gli adulti o le comunità accoglienti…);

- concorre con tutti i soggetti interessati nella definizione del progetto individualizzato curandone la congruenza con il progetto quadro;

- costruisce insieme al giovane adulto il progetto di vita, coinvolgendo gli altri servizi sociali ed, eventualmente, sanitari.

Per lo svolgimento dei suoi compiti in materia di accoglienza (affidamento familiare, inserimento in comunità) il servizio utilizza la metodologia del lavoro d’équipe e dell’integrazione delle competenze, ai sensi dell’art. 17 della L.R. 14/08.

3.2 Provincia

L’art. 5 della L.R. 14/08 stabilisce:

1. La Provincia, quale ente intermedio:

a) approva gli atti di programmazione provinciale in materia di accoglienza e tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, cura la realizzazione delle iniziative e dei progetti ivi previsti, ne esegue il relativo monitoraggio;

b) promuove e attua il collegamento tra i servizi locali, anche su loro richiesta, allo scopo di potenziare la rete di protezione dei bambini e degli adolescenti, soprattutto in situazione di emergenza, le iniziative di consulenza e la creazione di servizi di alta professionalità;

c) istituisce organismi tecnici di coordinamento per l’infanzia, l’adolescenza e i giovani e ne assicura il funzionamento;

d) cura la formazione degli operatori e, su richiesta della Regione, in accordo con il Garante di cui alla legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9 (Istituzione del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza), dei tutori e dei curatori e promuove gli scambi di esperienze e di buone prassi a livello intraprovinciale ed interprovinciale;

e) fornisce all’osservatorio regionale per l’infanzia, l’adolescenza e i giovani i dati richiesti per l’implementazione delle banche dati.

In particolare, per quanto attiene all’attuazione della presente direttiva, la Provincia:

- promuove le reti di famiglie che accolgono in particolare, bambini da zero a sei anni, nonché le reti delle comunità, con la partecipazione delle Amministrazioni comunali e degli altri soggetti pubblici e privati interessati, organizzando con i servizi degli ambiti distrettuali, adeguati e specifici percorsi formativi;

- sostiene l’azione di promozione dei Comuni a favore delle reti delle famiglie con iniziative di respiro sovradistrettuale; 

- promuove intese sovradistrettuali, al fine di favorire la tempestiva risposta degli operatori nelle situazioni di emergenza e di pronta accoglienza e la efficace connessione con le risposte di accoglienza delle comunità e delle famiglie; 

- fornisce il supporto tecnico-organizzativo-logistico e di documentazione nei confronti del coordinamento tecnico per l’infanzia e l’adolescenza, anche avvalendosi di osservatori provinciali delle politiche sociali;

- istituisce, nel Registro provinciale delle strutture autorizzate una “Sezione strutture per minorenni e giovani adulti”;

- promuove la formazione delle persone disponibili all’affidamento familiare e alla gestione di comunità familiari e comunità casa-famiglia, nonché l’individuazione e la preparazione dei referenti per il tirocinio di coloro che intendono gestire una comunità familiare o una comunità casa-famiglia, anche attraverso accordi con istituzioni e centri di formazione e documentazione presenti sul territorio e cura il monitoraggio di tali attività;

-si impegna, unitamente alla Regione, ai soggetti gestori e alle associazioni interessate, a promuovere le attività di formazione permanente degli adulti accoglienti e degli operatori delle comunità.

3.3 Regione

L’art. 6 della L.R. 14/08 stabilisce:

1. La Regione:

a) approva lo specifico programma di cui all’articolo 9, comma 4, che contiene le linee strategiche delle politiche regionali per l’infanzia e l’adolescenza, con particolare riguardo agli interventi di sostegno alla genitorialità;

c) favorisce un’azione di raccordo tra le diverse realtà provinciali e distrettuali, in modo da perseguire omogeneità di opportunità e di qualità nel sistema dei servizi e degli interventi in tutto il territorio regionale;

d) istituisce gli organismi di coordinamento necessari all’integrazione delle politiche e ne definisce i compiti e le modalità di funzionamento;

e) può disporre controlli e verifiche sulle comunità autorizzate che accolgono minori, dandone comunicazione al Comune competente alla vigilanza;

f) raccoglie, elabora e diffonde, tramite l’osservatorio regionale per l’infanzia, l’adolescenza e i giovani, i dati sulla condizione delle nuove generazioni al fine di un’efficace programmazione regionale e locale;

g) prepara, in accordo con il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, anche tramite le province, le persone individuate dai servizi del territorio, disponibili a svolgere attività di tutela e curatela e garantisce la consulenza ai tutori e ai curatori nominati;

h) sostiene gli enti locali e il terzo settore nella realizzazione di azioni specifiche di volontariato adolescenziale e giovanile a favore di bambini o coetanei e di progetti di servizio civile, ai sensi della legge regionale 20 ottobre 2003, n. 20 (Nuove norme per la valorizzazione del servizio civile. Istituzione del Servizio civile regionale. Abrogazione della L. R. 28 dicembre 1999, n. 38);

k) sostiene progetti e azioni innovative, anche in via sperimentale, volti ad affrontare nuovi ed emergenti bisogni, a migliorare le condizioni di vita delle giovani generazioni e a qualificare la capacità di risposta del sistema dei servizi e degli interventi pubblici e privati.

4 Azienda unità sanitaria locale

I livelli essenziali di assistenza attribuiscono all’Azienda USL:

- lo svolgimento di attività di assistenza sanitaria e socio-sanitaria alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie;

- lo svolgimento di attività di assistenza sanitaria e socio-sanitaria ai minori in stato di abbandono o in situazione di disagio, alle famiglie adottive o affidatarie;

- la collaborazione con gli Enti locali e l’Amministrazione della giustizia per gli interventi di tutela e cura dei minori vittime di violenze, deprivati o sottoposti a provvedimenti giudiziari;

- lo svolgimento di attività sanitarie o socio-sanitarie a minori affetti da disturbi comportamentali o da patologie di interesse neuropsichiatrico, in regime semiresidenziale o residenziale.

La L.R. 23 dicembre 2004, n. 29 “Norme generali sull’organizzazione ed il funzionamento del Servizio sanitario regionale”, all’art. 2, stabilisce che la Regione, principalmente tramite le Aziende USL, assicura “i livelli essenziali ed uniformi di assistenza, mediante stanziamenti a carico del Fondo sanitario regionale…”. La stessa legge regionale, all’art. 5, comma 7, stabilisce che il Comitato di distretto, composto dai sindaci dei Comuni, “esprime parere obbligatorio sul programma delle attività territoriali, sull’assetto organizzativo e sulla localizzazione dei servizi del distretto e verifica il raggiungimento dei risultati di salute del programma delle attività territoriali”.

È compito infatti dei Distretti sanitari, individuati dall’atto aziendale:

- “promuovere e sviluppare la collaborazione con i Comuni, nonché con la popolazione e con le sue forme associative, secondo il principio della sussidiarietà, per la rappresentazione delle necessità assistenziali e l’elaborazione dei relativi piani di intervento;

- assicurare l’accesso ottimale all’assistenza sanitaria primaria ed ai servizi sociosanitari…, nonché il coordinamento delle proprie attività fra di loro e con i servizi aziendali a valenza sovradistrettuale”.

In particolare il Dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche, anche attraverso la propria Unità operativa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, garantisce l’accesso ai servizi, produce prestazioni e servizi appropriati, qualificati e centrati sulla persona, garantendo una presa in carico effettiva, comprendente le sfere sanitaria e sociosanitaria (DGR 2011/07).

Il Piano attuativo salute mentale 2009 – 2011 (DGR. 313/2009) ha ridefinito la missione dei servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, ponendo l’accento sulla connessione con gli altri servizi sanitari e sociali interessati alla presa in carico della popolazione 0-18 anni.

La deliberazione della Giunta regionale n. 911/2007 “ Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (NPIA): requisiti specifici di accreditamento delle strutture e catalogo regionale dei processi clinico-assistenziali “definisce puntualmente i percorsi integrati diagnostici e di presa in carico dei minori con problemi neuropsichiatrici; definisce altresì i requisiti per l’accreditamento delle strutture sanitarie del settore.

Per tutti i casi di minori fuori famiglia compresi i casi di minori in affidamento familiare sono previste, ove necessarie, procedure facilitate per l’accesso ai servizi di NPIA delle Aziende USL.

Per la scelta del pediatra di famiglia per i bambini o ragazzi inseriti in comunità o in affidamento familiare:

- nel caso la famiglia di origine abbia la residenza nello stesso Comune della comunità ospitante o della famiglia affidataria, può essere mantenuto lo stesso pediatra, oppure può essere effettuata la scelta temporanea presso il pediatra della famiglia affidataria o presso altro pediatra;

- nel caso in cui il bambino o ragazzo provenga da altri Comuni o Aziende USL, viene effettuata la scelta temporanea del pediatra nel luogo di affidamento.

La scelta, anche temporanea, di un nuovo pediatra comporta la revoca contestuale del pediatra del luogo di provenienza.

Secondo l’art. 5, comma 1, della legge n. 184/1983 l’affidatario o il responsabile della comunità, in relazione agli ordinari rapporti con le autorità sanitarie, esercita i poteri connessi con la potestà parentale. Nel progetto individualizzato dovranno essere precisati i termini e le persone incaricate di questi rapporti.

5. Metodologia del lavoro integrato e progetto quadro

L’accoglienza fuori famiglia di un bambino, anche insieme alla madre, al fine di valutare la complessità del caso deve essere sostenuta da una valutazione multidimensionale che veda l’integrazione professionale e istituzionale tra servizio sociale e sanitario ai sensi dell’art. 7, comma 3 della L.R. 2/03.

Tale integrazione può avvenire in sede di Unità di valutazione multidimensionale di cui alla DGR 313/2009, o nell’ambito delle équipe multi professionali di cui alla L.R. 14/08.

In tale sede sarà individuato il responsabile del caso.

La valutazione è garantita per i minorenni che saranno inseriti in tutte le strutture oggetto della presente direttiva e per i minori inseriti in famiglie affidatarie.

Con atto successivo sono definite le modalità e gli strumenti per la valutazione multi dimensionale.

Il progetto quadro, definito in prima istanza in sede di valutazione congiunta tra Servizio sociale e Azienda unità sanitaria locale, frutto di una prima valutazione delle competenze genitoriali, della conoscenza della famiglia e del bambino, dei loro vissuti e delle loro modalità di relazione, è lo strumento operativo che delinea la prospettiva di progetto e comprende sia le scelte fondamentali di intervento per la famiglia d’origine che quelle per il ragazzo.

Il progetto quadro viene completato a seguito di un periodo di osservazione, della durata di norma di tre mesi, che impegna sia i servizi territoriali che le strutture di accoglienza. La osservazione condotta nell’ambito delle specifiche competenze è finalizzata ad una valutazione di fattori di resilienza della famiglia d’origine e del ragazzo e quindi ad una appropriata definizione delle azioni tese ad un suo eventuale rientro in famiglia o a soluzioni diverse. I contenuti del progetto quadro costituiscono la base per la costruzione del progetto educativo individualizzato.

Almeno una volta all’anno il progetto quadro viene verificato in collaborazione tra i professionisti di riferimento del minore e i soggetti accoglienti.

Qualora il progetto quadro lo preveda, la struttura di accoglienza del bambino/ragazzo potrà essere coinvolta nell’intervento di osservazione e sostegno delle risorse genitoriali.

Per far fronte a situazioni di crisi con caratteristiche di emergenza-urgenza sanitaria le Aziende sanitarie dovranno garantire percorsi facilitati per la loro gestione.

6. Territorio e sussidiarietà

È nel territorio e nelle comunità locali, in cui i ragazzi crescono, che si realizzano le principali azioni educative e protettive. Il ruolo della comunità è insostituibile e prezioso nella crescita del minore e della sua identità, per questo la capacità di collaborazione tra istituzioni titolari della tutela e terzo settore riveste una grande importanza e la sussidiarietà rappresenta, allo stesso tempo, scelta e metodo di lavoro strategici.

La L.R. 14/08 e il piano sanitario e sociale sostengono l’integrazione ai vari livelli come indispensabile e chiama tutti i soggetti tenuti ad attuarla a considerare se stessi e il proprio lavoro come parte di un tutto che coopera al fine della tutela e del benessere dei ragazzi.

Ciò consentirà al ragazzo e alla sua famiglia di poter contare su una “comunità educante” che, oltre ai soggetti impegnati nell’accoglienza e destinatari, comprenda le persone e le istituzioni che a vario titolo li incontrano nel loro percorso (ad esempio la scuola, i centri di formazione, i medici di medicina generale, i pediatri).

In particolare per quanto riguarda gli interventi preventivi che non prevedono una riduzione della potestà parentale e l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare, il ruolo delle reti di famiglie e, più in generale delle loro risorse solidaristiche e mutualistiche, risulta essenziale.

Si riconosce un ruolo significativo ai Centri per le Famiglie rispetto alla promozione dell’affido familiare e alla cura delle risorse familiari che si rendono disponibili per questo tipo di interventi, ivi comprese le reti associative e di famiglie che risultano decisive nel generarle e mantenerle nel tempo. Fermo restando il ruolo centrale e la responsabilità diretta del Servizio Sociale professionale nella valutazione delle famiglie che si propongono per l’affido, negli abbinamenti e nella conduzione delle singole esperienze di affidamento, appare infatti opportuno individuare sinergie e corresponsabilità degli stessi nelle fasi di sensibilizzazione e promozione dell’affido.

Il volontariato può concorrere ad offrire aiuto a minori in situazione di disagio familiare attraverso gli interventi mirati al supporto organizzativo della famiglia, all’aiuto didattico e all’offerta di opportunità ricreative. È necessario prevedere una copertura assicurativa dei volontari ed è possibile corrispondere agli stessi il rimborso di spese documentate, secondo quanto previsto dalla Del. G.R. n. 521 del 1998.

7. Accompagnamento oltre il diciottesimo anno

Il raggiungimento della maggiore età da parte di un ragazzo in affidamento familiare o in comunità non comporta un’automatica interruzione o modifica della tipologia di accoglienza del progetto educativo e di sostegno da parte dei servizi, ma può richiedere una modifica, che tenga conto della nuova situazione giuridica e personale e che implichi il rinnovato coinvolgimento di tutte le parti in causa (giovane, famiglia affidataria o comunità, famiglia di origine - se necessario al progetto di autonomia che si vuole perseguire -, e servizi sociali), che dovranno sottoscriverlo ciascuno per le proprie responsabilità.

Il contributo economico richiesto al servizio sociale funzionalmente competente per gli interventi rivolti ai minori eche vedrà il coinvolgimento e la compartecipazione del servizio sociale adulti, potrà essere modulato in relazione alla costruzione e all’avanzamento di un adeguato percorso di studio e lavoro del giovane fino all’acquisizione di una sufficiente autonomia economica e comunque non oltre il ventunesimo anno. Dopo questa età, l’eventuale prosecuzione del progetto sarà compito del servizio sociale adulti.

Parte II - Affidamento familiare  

1. Accoglienza in famiglia (affidamento eterofamiliare)

L’affidamento familiare si attua attraverso l’inserimento dei minori presso un nucleo familiare diverso da quello originario.

La legge (art. 2, legge 184/83) prevede, nel caso di allontanamento del minore, come prima opzione, la famiglia con figli, in quanto questi rappresentano una risorsa ed un contesto relazionale più arricchente. Il nucleo familiare può vedere la presenza di entrambe le figure parentali od anche essere costituito da una persona singola. D’ora in avanti con i termini “famiglia affidataria” e “nucleo affidatario”, si intendono comprendere entrambe le possibilità.

L’affidamento familiare è strumento prioritario all’interno del sistema di accoglienza, in particolare per i bambini di età inferiore ai sei anni, per i quali è fondamentale la creazione di legami stabili ed importanti. Tale modalità di accoglienza infatti ha una duplice potenzialità: offre al bambino o al ragazzo la possibilità di crescere nell’intimità di una famiglia, nonostante le difficoltà del suo nucleo di origine, godendo di rapporti molto personalizzati e permette ai genitori di concentrarsi sulla soluzione dei propri problemi per poter maturare, con l’aiuto degli operatori, migliori competenze genitoriali.

L’affidamento familiare è un processo dinamico che consente di affrontare la situazione di disagio e di aiutare la famiglia d’origine ad esprimere e sviluppare le proprie capacità genitoriali.

L’affidamento familiare pertanto richiede una previa ed attenta valutazione che permetta di appurare:

- le potenzialità affettive ed educative della famiglia del minore, comprese quelle di eventuali figure significative della rete parentale che, se valorizzate e sostenute, potrebbero facilitare il recupero della competenza genitoriale e quindi il rientro del minore in famiglia;

- la qualità dell’attaccamento tra genitori e bambino;

- la motivazione, le competenze e le capacità genitoriali della famiglia presa in considerazione per l’affidamento, in relazione all’accoglienza ed al sostegno del bambino o del ragazzo in difficoltà;

- le risorse del bambino o ragazzo, la sua “idoneità” per affrontare la specifica esperienza di affidamento, considerando i disagi e le opportunità che essa gli propone.

Pertanto è fondamentale che venga svolto dai servizi sociosanitari un percorso valutativo approfondito, diagnostico e prognostico, di tipo psico-sociale, che accerti come le condizioni, le modalità relazionali, le disfunzionalità, le difficoltà e le risorse presenti nella famiglia di origine incidono sul vissuto del bambino. Tale percorso, come le successive fasi, richiede l’utilizzo della metodologia del lavoro d’équipe.

In ogni caso l’affidamento familiare richiede sempre, nel momento in cui si realizza, il contestuale avvio di un percorso di approfondimento della situazione familiare e di intensificazione e diversificazione degli interventi di sostegno alle figure parentali in difficoltà, per un efficace recupero o maturazione di adeguate competenze genitoriali.

L’attenzione verso i genitori è elemento fondamentale del progetto quadro per la tutela del minore, che deve prevedere la cura del legame con la famiglia d’origine.

Questa attenzione si esprime nella tensione costante a costruire la condivisione, per quanto possibile, del progetto stesso. Gli operatori dei servizi sociali e sanitari territoriali cercheranno, coniugando la fermezza nel perseguire l’interesse del minore con il rispetto e l’empatia verso gli adulti in difficoltà, di aiutare i genitori a:

- comprendere ed accettare le ragioni della loro momentanea incapacità a prendersi cura del figlio;

- percepire i rischi evolutivi cui questi è esposto;

- riconoscere l’importanza per il bambino o ragazzo di potere vivere in un contesto familiare adeguato per il tempo necessario al superamento delle difficoltà presenti;

- costruire una relazione di collaborazione con i servizi e la famiglia affidataria, fondamentale perché il bambino o ragazzo possa ridurre le lacerazioni affettive dovute al distacco e guardare con fiducia al futuro;

- accettare e concertare la definizione del percorso di superamento delle difficoltà e di recupero delle competenze genitoriali, anche attraverso una opportuna collaborazione con i servizi e la famiglia affidataria per rendere positivi i contatti e gli eventuali incontri con il bambino.

L’impegno perché risultino chiare le motivazioni e gli obiettivi del progetto complessivo e perché i genitori siano informati del percorso di crescita del bambino, non deve venire mai meno, anche nei casi in cui l’affido è disposto dal Tribunale per i minorenni senza l’assenso dei genitori (affidamento giudiziale) e il recupero della competenze genitoriali appare particolarmente difficile.

L’affidamento familiare è una risorsa della comunità territoriale, pertanto è necessario che i servizi che lo attivano valorizzino tutte le realtà esistenti, con particolare attenzione alle associazioni delle famiglie affidatarie o più in generale alle reti formali e informali ad esse collegate.

Per mettere in grado le famiglie affidatarie di svolgere il proprio ruolo, è inoltre compito dei servizi:

- offrire a chi aspira a diventare affidatario un percorso orientativo e formativo;

- approfondire il quadro motivazionale e le competenze delle persone e dei nuclei candidati all’affidamento, con particolare attenzione per quelli disponibili per affidamenti particolarmente complessi;

- garantire sostegno alle singole famiglie durante e al termine dell’esperienza di affidamento anche attraverso la promozione di gruppi che favoriscano il confronto e sostengano il livello motivazionale dei nuclei affidatari;

- facilitare l’accesso del nucleo affidatario, in quanto riferimento per il bambino o ragazzo, ai servizi e alle risorse offerti dal territorio;

- effettuare il monitoraggio e la valutazione dell’esperienza di affidamento, valorizzando il ruolo degli affidatari quali parti integranti del progetto di affido, referenti privilegiati nella lettura dei segnali di disagio, di evoluzione e di cambiamento del bambino o del ragazzo affidato, in grado di contribuire ad adeguare tempestivamente l’intervento al modificarsi della situazione.

La promozione della disponibilità all’accoglienza e conseguentemente la costruzione di una rete di nuclei affidatari costituisce un obiettivo strategico del sistema di welfare regionale per offrire alla famiglie ed ai minori in difficoltà la possibilità di usufruire di un sostegno di tipo familiare.

Sulla base delle esperienze degli ultimi anni, le iniziative promozionali che rivelano maggiore efficacia sono quelle attuate attraverso momenti di riflessione, approfondimento e scambio piuttosto che mediante grandi campagne informative.

È opportuno che le iniziative promozionali di soggetti privati siano coordinate in ambito provinciale e zonale.

In prospettiva, stante l’aumento dei minori stranieri nel territorio regionale e nell’ambito delle politiche di integrazione, il coinvolgimento delle comunità straniere residenti in Italia può facilitare la diffusione di un’informazione rivolta ai bambini e ragazzi stranieri e alle loro famiglie, tesa a rendere percepibili le effettive opportunità offerte dal nostro paese, con particolare riferimento all’informazione sui percorsi di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e sui loro diritti.

Per i casi di minori in affidamento familiare sono previste, ove necessarie, procedure facilitate per l’accesso ai servizi di NPIA delle Aziende USL.

1.1 “Affidamento” a parenti

L’affidamento a parenti può essere considerato tra le forme di solidarietà ed aiuto che sussistono naturalmente tra persone che hanno tra di loro un vincolo di parentela e può essere deciso dai genitori o di chi ha la potestà, nei confronti dei parenti entro il quarto grado senza il coinvolgimento dei servizi.

L’affidamento a parenti entro il quarto grado può essere disposto anche dal servizio sociale territoriale, qualora esso venga coinvolto, si registri un legame significativo del minore con i parenti interessati e vi sia consenso da parte delle figure genitoriali, dei parenti stessi, previa valutazione della loro competenza educativa, e accertato che tale soluzione sia la più consona agli interessi del minore. Benché per l’affido entro il quarto grado di parentela la normativa non preveda un percorso di preparazione, i servizi garantiscono tale possibilità ai parenti interessati.

L’affidamento a parenti oltre il quarto grado segue le regole dell’affidamento eterofamiliare, sia consensuale che giudiziale.

1.2 Affidamento a tempo parziale

L’affidamento a tempo parziale si realizza quando le capacità genitoriali si esprimono con fatica o in modo parzialmente insufficiente per motivi legati a particolari contingenze di vita e/o per difficoltà affettive, relazionali e di integrazione nell’esercitare il ruolo educativo.

Esso consiste nell’accoglienza dei bambini o dei ragazzi presso il nucleo affidatario per alcune ore della giornata o per alcuni giorni della settimana o anche per periodi molto brevi e ben definiti, a seconda del progetto predisposto a sostegno della famiglia d’origine e per la tutela del ragazzo..

Anche il nucleo affidatario a tempo parziale deve avere svolto il percorso previsto per la famiglia affidataria in quanto gli è richiesta capacità di accoglienza, di cura e di collaborazione nell’ambito del progetto concordato con i servizi.

1.3 Situazioni particolari di affidamento

Per le situazioni che necessitano di una immediata collocazione, va attivata una risposta che tenga conto delle esigenze dei minori di vivere in una famiglia in grado di focalizzarsi tempestivamente sulle loro necessità, in particolare, per bambini piccoli (zero-sei anni) in situazioni di improvviso abbandono o con esigenze di allontanamento dal nucleo familiare.

Per poter attuare queste “accoglienze in emergenza”è indispensabile che la famiglia sia capace di creare fin da subito un contesto affettivo ed attento nel gestire una situazione molto coinvolgente e, per definizione, transitoria. Deve saper gestire bene la propria emotività, pur mettendo in gioco tutte le proprie risorse affettive ed essere preparata ad accettare la separazione al momento opportuno, collaborando con i servizi per garantire un accompagnamento sereno del bambino al nuovo luogo di vita. La situazione familiare e lavorativa del nucleo deve essere tale da rendere possibile l’immediata attivazione e organizzazione per il pronto intervento. Vista la delicatezza dell’impegno richiesto, non è possibile da parte di una famiglia affidataria accogliere più di un bambino, salvo particolari eccezioni (fratelli).

Per quanto riguarda i minori stranieri possono essere attivati affidamenti omoculturali che comportano l’accoglienza del bambino o ragazzo da parte di una famiglia appartenente alla sua stessa cultura. Questo può rappresentare in alcuni casi, una valida alternativa all’inserimento in comunità e offrire un supporto educativo più consapevole delle differenze culturali.

A tal fine è importante promuovere la conoscenza dell’istituto dell’affidamento familiare tra le comunità straniere, in particolare quello consensuale, che può connotarsi quale risorsa di sostegno e integrazione delle funzioni genitoriali per nuclei immigrati che si trovano in situazioni di difficoltà, assumendo una funzione di prevenzione rispetto a processi di affievolimento temporaneo della capacità educativa genitoriale dovuto all’impatto con la nuova condizione sociale, attivare percorsi conoscitivi e formativi adeguatamente modulati per le famiglie straniere e attuare interventi di mediazione culturale a supporto dei percorsi di affidamento.

Nelle situazioni in cui è utile non separare il nucleo madre-bambino può essere disposta l’accoglienza del bambino insieme alla madre presso una famiglia.

Può trattarsi di un provvedimento ex art. 4 della legge 184/83, cioè di un vero affidamento familiare del bambino, la cui peculiarità consiste nel supporto alle competenze genitoriali della madre, chiesto agli affidatari - fermo restando che il bambino non può allontanarsi -, oppure di un provvedimento ex art. 333 c.c., che può affidare il bambino anche al servizio sociale, disponendo le conseguenti limitazioni (più o meno ampie) alla potestà della madre.

In ogni caso, il progetto del servizio minori, in conformità a quanto eventualmente disposto dal provvedimento giudiziale, dovrà evidenziare con particolare chiarezza e precisione i compiti degli affidatari.

2. Percorso della famiglia affidataria

La legge n. 184/83 all’art. 1, comma 3 attribuisce a Stato, Regioni ed Enti locali il compito di promuovere iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento, nonché l’organizzazione di corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali che devono occuparsene, incontri di formazione per le famiglie e le persone che intendono accogliere in affidamento bambini o ragazzi.

La Regione Emilia-Romagna promuove e sostiene, attraverso le Province, l’attivazione di percorsi di formazione e preparazione per le famiglie e per le persone che intendono accogliere in affidamento minori.

Il percorso complessivo per l’affidamento si articola in varie fasi:

- prima informazione;

- preparazione;

- percorso di conoscenza e valutazione della disponibilità.

2.1 Prima informazione

La prima informazione deve fornire alle persone interessate all’affidamento familiare elementi conoscitivi sulla normativa di riferimento, sui tempi e le modalità del percorso, sul ruolo svolto dai servizi, dalle associazioni e dal Tribunale per i minorenni, nonché sui diritti dei bambini accolti e sui diritti, poteri ed obblighi degli adulti. È inoltre data notizia circa l’obbligo che gli affidatari possiedano idonee qualità morali. A tal fine gli aspiranti affidatari attestano, mediante dichiarazione sostitutiva, di possedere le qualità morali secondo quanto indicato nella parte I del presente atto.

Le persone interessate all’affidamento sono anche informate circa le attività delle associazioni di famiglie affidatarie presenti nel territorio.

I servizi sociali territoriali o i centri per le famiglie devono assicurare in tempi brevi alle persone interessate la possibilità di avere un primo incontro informativo. Di norma l’incontro è svolto da un assistente sociale, adeguatamente preparato, il quale, tra l’altro, provvederà a sottolineare la necessità che le persone interessate accedano ai corsi di preparazione di seguito indicati.

La Regione e gli Enti locali si impegnano a produrre e a mettere a disposizione degli interessati materiale informativo presso le sedi dei servizi territoriali competenti.

2.2 Preparazione e destinatari della formazione

L’attività per la preparazione delle persone disponibili all’affidamento familiare si colloca all’interno di una iniziativa a vasto raggio che impegna gli Enti locali, in collaborazione con il privato sociale, a promuovere la qualificazione di tutte le risorse dedicate ad assicurare ai bambini e ragazzi in difficoltà un’accoglienza di tipo familiare.

La preparazione dei nuclei familiari candidati all’affidamento viene realizzata mediante appositi corsi di preparazione. L’organizzazione di tali corsi dovrà essere considerata come una attività costante dei servizi e come una importante occasione di integrazione e di lavoro comune con le associazioni delle famiglie affidatarie presenti nel territorio che sono chiamate, nel loro insieme, a contribuire alla progettazione e alla realizzazione dei percorsi di preparazione.

Le indicazioni qui contenute si prefiggono di conciliare le diverse situazioni ed esperienze territoriali con la necessità di assicurare alle persone, su tutto il territorio regionale, uniformità e qualità dei percorsi di formazione, fin dalla fase di avvio. In particolare vengono definiti i destinatari, gli obiettivi, le modalità di programmazione e attuazione, i criteri di qualità, le forme di incentivazione, i contenuti e la metodologia.

Destinatari della formazione sono le persone che, acquisite le prime informazioni, manifestano l’intenzione di procedere nel percorso per candidarsi all’affidamento familiare. La richiesta da parte delle persone interessate di accedere alla formazione comporta la prima presa in carico del nucleo da parte del servizio sociale stesso.

2.3 Obiettivi dei corsi di preparazione

I corsi formativi devono mirare a:

- aiutare i partecipanti a comprendere e condividere i pensieri, le aspettative, i dubbi, le paure che attraversano la mente di un bambino allontanato dalla propria famiglia e introdotto in un nucleo sconosciuto;

- preparare il nucleo affidatario, nel caso di accoglienza di un neonato, in particolare se non riconosciuto alla nascita, ad un’accoglienza affettivamente ricca ed insieme facilitante l’inserimento presso la famiglia adottiva;

- presentare realisticamente opportunità e rischi presenti per il bambino nell’esperienza dell’affidamento;

- aiutare i partecipanti ad interiorizzare un concetto di accoglienza intesa come intervento di supporto ad una famiglia in difficoltà e focalizzato sulla centralità dei bisogni del bambino o ragazzo;

- sostenere i partecipanti nel realizzare un processo di maturazione verso una competenza educativa capace di riconoscere e soddisfare i bisogni dei ragazzi accolti;

- accrescere la conoscenza degli aspetti peculiari legati all’esperienza dell’affidamento, in particolare per quanto riguarda le implicazioni connesse alla temporaneità della esperienza e alla coesistenza di due nuclei con i quali il bambino o il ragazzo ha diritto e bisogno di rapportarsi affettivamente;

- sviluppare la consapevolezza nelle famiglie affidatarie dell’importanza degli interventi di aiuto e di sostegno svolti dai servizi nonché del supporto della comunità complessivamente intesa;

- promuovere tra i partecipanti la costituzione di una rete di rapporti per il reciproco sostegno.

2.4 Modalità di programmazione e attuazione dei corsi di preparazione

Le Province, in accordo con il coordinamento tecnico provinciale per l’infanzia e l’adolescenza di cui all’art. 21 della L.R. 28 luglio 2008, n.14 “Norme in materia di politiche per le giovani generazioni” e i Comuni dell’area distrettuale individuano congiuntamente gli ambiti territoriali ottimali nei quali programmare e realizzare le iniziative di preparazione delle persone disponibili all’affidamento. L’Amministrazione provinciale ha il compito di promuovere, coordinare e monitorare la programmazione dei corsi, tenendo conto del fabbisogno formativo e del coinvolgimento delle associazioni delle famiglie affidatarie.

La Regione promuove un’azione di raccordo tra le diverse realtà provinciali in modo da perseguire omogeneità e qualità di opportunità per tutte le persone residenti nel territorio regionale interessate all’affidamento e si riserva la facoltà di assumere iniziative particolari atte a sostenere sperimentazioni adeguate in questo specifico ambito.

2.5 Contenuti dei corsi e criteri di qualità

I corsi di preparazione per i nuclei familiari candidati all’affidamento sono rivolti anche alle persone che intendono gestire comunità familiari e comunità casa-famiglia.

I corsi comprendono le aree tematiche relative agli aspetti giuridici dell’affidamento, al bambino e ai suoi bisogni, alle competenze e ai bisogni del nucleo affidatario, al rapporto con la famiglia di origine (modelli culturali e relazionali familiari), ai rapporti con i servizi sociali e con l’autorità giudiziaria, il progetto di accoglienza e a quello educativo individualizzato, alla rete delle famiglie, alla conclusione dell’esperienza affidataria e al distacco dal ragazzo.

In particolare per la preparazione di famiglie italiane disponibili all’affidamento anche di bambini e ragazzi stranieri, una specifica attenzione è dedicata ai valori di riferimento e alle differenze culturali e religiose, anche tramite il coinvolgimento nei corsi di preparazione di rappresentanti delle comunità straniere o docenti esperti.

Per i candidati alla gestione di comunità familiari e comunità casa-famiglia è previsto un modulo aggiuntivo (paragr. “Adulti accoglienti” della parte III), riguardante la tematica della apertura e della gestione di una comunità rivolta ad accogliere minori.

Tutti i corsi soddisfano i seguenti criteri di qualità:

- esaustività e congruità: trattazione di tutti gli argomenti indicati sopra impegnando, a tale scopo, un numero sufficiente di ore e coinvolgendo un numero di persone di norma non superiore a venti;

- integrazione delle competenze: partecipazione di esperti di diversa matrice professionale, sia pubblici che del terzo settore, nonché di rappresentanti delle associazioni delle famiglie affidatarie;

- attenzione agli adulti candidati all’accoglienza: orari e modalità tali da soddisfare il più possibile le esigenze dei partecipanti.

2.6 Modalità formative

Per ogni corso devono essere individuati il numero degli incontri, la loro durata e cadenza, le modalità di svolgimento degli argomenti sopra indicati. Tali requisiti sono previsti per qualsiasi corso di preparazione all’affidamento, anche se gestito da soggetti del terzo settore.

È raccomandato il coinvolgimento, integrativo e non sostitutivo, di coppie che abbiano già realizzato l’affidamento, e si siano rivelate in grado di comunicare fattivamente ad altri i punti nodali e di interesse generale delle loro esperienze.

Nella fase iniziale del corso andrà definito con i partecipanti il “contratto formativo” in modo che siano chiare le finalità del corso, in particolare per quanto riguarda il carattere assolutamente non valutativo degli incontri e l’ampia disponibilità a modulare il corso tenendo conto delle necessità formative espresse dai partecipanti stessi, sviluppando l’interazione tra di loro e l’esposizione di dubbi e incertezze.

Nella fase finale sarà elaborato da parte dei conduttori un report, indicante i contenuti effettivamente trattati, che verrà consegnato ai partecipanti, come informazione di ritorno e come documentazione da produrre in sede di avvio del successivo percorso di conoscenza e di valutazione della disponibilità. Qualora il nucleo richiedente abbia compiuto un percorso formativo presso altri enti pubblici o soggetti del terzo settore, dovrà produrre una documentazione idonea a comprovare l’avvenuta partecipazione, i contenuti e il numero di ore. La documentazione verrà esaminata dagli incaricati della valutazione della disponibilità, anche al fine di un’eventuale integrazione.

È raccomandato l’utilizzo di strumenti di verifica di gradimento e di qualità dei corsi, al fine di supportare un processo di miglioramento continuo dei corsi stessi.

2.7 Percorso di conoscenza e di valutazione della disponibilità

Al fine di poter individuare la migliore risposta di accoglienza in grado di soddisfare i bisogni del bambino o del ragazzo e della sua famiglia d’origine e in particolare di individuare il vantaggio evolutivo derivante dall’affidamento del minore ad una determinata famiglia, i nuclei che hanno concluso il percorso formativo precedentemente descritto accedono ad un percorso strutturato di conoscenza e valutazione della propria disponibilità per l’affido familiare.

Tale percorso è finalizzato a valutare la composizione, le caratteristiche del nucleo familiare e la sua storia, il suo contesto socio-ambientale di riferimento; le caratteristiche personali dei soggetti che si candidano, le modalità di relazione all’interno del nucleo e le specifiche motivazioni all’affidamento; la sussistenza delle competenze genitoriali richieste per sostenere tale esperienza; l’atteggiamento nei confronti dell’affidamento da parte degli eventuali figli e di altri soggetti coinvolti (parenti).

È importante che gli operatori verifichino il livello di consapevolezza acquisito dagli aspiranti affidatari, anche grazie alla partecipazione ai corsi, rispetto ai problemi più ricorrenti relativi all’affidamento: le dinamiche relazionali che derivano dall’inserimento in famiglia del bambino o ragazzo, la complessità delle relazioni tra famiglia affidataria, bambino o ragazzo e famiglia di origine e le difficoltà del distacco al termine dell’esperienza.

Il percorso di conoscenza e valutazione di disponibilità viene realizzato dall’équipe attraverso:

- una serie di colloqui individuali o di coppia;

- una visita domiciliare;

- un momento finale di restituzione al nucleo familiare del percorso compiuto, in cui si esprimono, in forma scritta, le considerazioni del servizio in merito alla opportunità che i candidati si impegnino nell’affidamento familiare e al tipo di esperienza di accoglienza affidataria più indicata. Qualora l’équipe ritenga che vi siano elementi di inopportunità per dare da subito seguito alla disponibilità dichiarata per l’affidamento familiare, potranno essere date indicazioni per percorsi di riflessione opportuni per una successiva riconsiderazione della disponibilità, oppure per altre forme in cui può esprimersi la loro sensibilità nei confronti dei ragazzi.

Al termine del percorso, i nuclei considerati attivabili per l’affidamento familiare, saranno inseriti su segnalazione dell’équipe centralizzata, in un apposito elenco tenuto a livello distrettuale.

I servizi informano tali nuclei dell’attività delle Associazioni delle famiglie affidatarie.

I servizi possono realizzare l’affidamento familiare a coppie o a singoli inseriti nell’elenco provinciale che abbiano precedentemente terminato con esito positivo il percorso di conoscenza e valutazione della disponibilità. In casi particolari i corsi possono essere frequentati anche contestualmente al percorso di conoscenza e allo svolgimento dell’esperienza affidataria, e comunque entro sei mesi dall’inizio dell’affidamento.

3. Abbinamento, ipotesi progettuale, provvedimento, durata e numero di bambini o ragazzi in affidamento familiare

Le équipe territoriali, anche in accordo con quelle di secondo livello, definiscono un’ipotesi di abbinamento tra il bambino e una famiglia affidataria.

Tale ipotesi si fonda su una valutazione di effettiva corrispondenza tra le esigenze del ragazzo, della sua famiglia e le caratteristiche e la disponibilità del nucleo affidatario.

Ai potenziali affidatari viene presentata, in uno o più incontri, la situazione del bambino o ragazzo e della sua famiglia e l’ipotesi progettuale rispetto alla quale si chiede l’adesione, secondo quanto sarà disposto da linee guida regionali.

L’ipotesi progettuale, redatta in forma scritta deve contenere gli elementi essenziali che sono indicati dalla legge 184/83 all’art. 4, commi 3 e 4 per la definizione del provvedimento di affidamento. Tali elementi riguardano:

- i motivi e gli obiettivi del provvedimento di affidamento;

- i tempi e modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario, previsti in generale dalla normativa, ma da specificare in relazione alle singole situazioni;

- le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore,

- le indicazioni nonché i modi e i tempi delle verifiche da parte del servizio sociale territoriale al quale è attribuita la responsabilità del progetto di intervento e la vigilanza durante l’affidamento, con l’obbligo di tenere costantemente informato il Giudice tutelare o il Tribunale per i minorenni a seconda che si tratti di affidamento consensuale o giudiziale.

Se il nucleo, dopo il confronto con gli operatori e un’adeguata riflessione, esprime la propria disponibilità a farsi carico dell’affidamento, provvede a sottoscrivere l’adesione all’ipotesi progettuale elaborata dal servizio. Con linee guida regionali verrà proposto un modulo standard di adesione.

Nel caso di affidamento consensuale tale adesione verrà sottoscritta anche dalla famiglia naturale del bambino. Il progetto viene formalizzato attraverso il provvedimento di affidamento familiare, atto amministrativo assunto dal servizio sociale competente nei confronti del bambino, e reso esecutivo dal Giudice tutelare. In caso di assenza del consenso dei genitori l’ipotesi progettuale di affidamento viene proposta dal servizio sociale territoriale, nell’interesse del minore, al Tribunale per i minorenni, tramite la Procura minorile.

Il servizio sociale territoriale, salvo diversa indicazione, è tenuto a presentare al Giudice tutelare o al Tribunale per i minorenni una relazione semestrale sull’andamento del progetto, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

Ogni famiglia affidataria potrà avere in affidamento non più di due bambini o ragazzi, salvo eccezioni particolari in caso di fratelli, laddove sia opportuno che rimangano uniti, comunque senza superare il numero massimo di sei bambini e ragazzi, compresi i figli della coppia affidataria minorenni e conviventi. In casi eccezionali tale numero può essere derogato da parte dei servizi sociali territoriali con opportune motivazioni in base al progetto di affidamento. Non è possibile per la famiglia affidataria accogliere più di un minore disabile.

L’affidamento ex art. 4 della legge 184/83, sia consensuale sia giudiziale, non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile dal Tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore.

4. Progetto di accompagnamento dell’affidamento familiare

La nuova situazione che si determina con l’ingresso del bambino o ragazzo nel nucleo affidatario permette un approfondimento delle sue necessità e caratteristiche, dello stile educativo degli affidatari e della loro capacità di costruire una significativa relazione con questi. Nello stesso tempo l’avvio del sostegno alla famiglia di origine permette di raccogliere altri elementi utili per mettere a punto come il minore potrà collocarsi tra i due nuclei.

Diventa quindi possibile integrare l’ipotesi progettuale iniziale alla luce dei nuovi elementi, definendo un più completo progetto di accompagnamento del bambino o ragazzo e degli adulti a lui legati nell’esperienza dell’affidamento familiare.

Nel progetto potranno quindi essere espressi in modo particolareggiato gli impegni che gli operatori dei servizi socio-sanitari, in una logica di integrazione, e le figure affidatarie con funzioni genitoriali si assumono a partire dalla garanzia del preminente interesse del minore.

Il progetto viene compiutamente definito dall’équipe territoriale con il coinvolgimento della famiglia affidataria entro i sessanta giorni successivi all’ingresso del bambino o ragazzo nel nucleo affidatario e viene redatto in forma scritta, anche per facilitare la verifica dell’esperienza e la valorizzazione dei risultati conseguiti.

Sono indicati di seguito gli elementi che integrano e sviluppano l’ipotesi progettuale iniziale, permettendo di assicurare un programma operativo adeguato ad aiutare sia la famiglia affidataria sia quella naturale nell’interpretare e sostenere il percorso di adattamento del bambino o ragazzo alla nuova esperienza.

4.1 Risorse umane ed interventi attivati dal sistema territoriale dei servizi socio-sanitari

L’équipe territoriale, stabilisce le modalità operative del progetto di accompagnamento e ne assicura l’attuazione coinvolgendo gli operatori interessati, anche in base alle linee guida regionali.

Il progetto espliciterà:

- gli obiettivi dell’affidamento e i risultati attesi nel breve e nel medio periodo, nonché i criteri di verifica;

- chi nel gruppo di lavoro è il referente di progetto, cioè l’operatore cui è attribuita la responsabilità della sua conduzione e attuazione e che costituisce il riferimento del gruppo di lavoro, delle famiglie coinvolte, nonché degli uffici giudiziari interessati;

- quali interventi verranno svolti da ciascuno degli operatori a supporto del bambino o ragazzo, degli affidatari, della famiglia d’origine;

- le eventuali consulenze specialistiche da attivarsi per approfondire specifiche difficoltà del bambino o ragazzo e il supporto di risorse del volontariato;

- il possibile ausilio di mediatori culturali, adeguatamente formati, per la famiglia affidataria, qualora l’affidamento coinvolga bambini o ragazzi di altra cultura;

- le modalità di gestione degli imprevisti e delle emergenze che coinvolgono il bambino o ragazzo o gli adulti, che devono essere messi nelle condizioni di reperire gli operatori interessati nel più breve tempo possibile;

- la figura professionale che, all’interno del gruppo di lavoro, e in modo continuativo, cura una relazione fiduciaria con il bambino o ragazzo, e costituisce punto di riferimento dedicato. Il ruolo di questa figura, facilmente contattabile dal bambino o ragazzo è di aiutarlo, di garantirgli chiarezza rispetto alla sua situazione, con parole vere e certe.

La capacità di ascolto va comunque assicurata da tutti gli operatori che hanno una relazione significativa con il minore affidato, oltre che promossa nelle figure parentali coinvolte. In ogni caso l’incontro con il bambino o ragazzo nei colloqui o durante le visite domiciliari deve prevedere, in relazione alla sua età, una particolare attenzione alla esplicitazione della funzione dell’operatore e del significato dell’incontro.

I centri per le famiglie, facenti capo ai Comuni o in convenzione con gli stessi, possono concorrere alla progettazione e all’attivazione di interventi a sostegno di nuclei familiari coinvolti nell’esperienza dell’allontanamento temporaneo di minori, in particolare promuovendo la costituzione di gruppi d’incontro delle famiglie affidatarie o naturali.

4.2 Incontri, soggetti coinvolti e contenuti trattati

Il progetto definisce il numero minimo di incontri tra gli operatori dei servizi territoriali e i soggetti interessati: per la famiglia affidataria di norma non meno di sei all’anno comprensivi delle visite domiciliari; per la famiglia d’origine il numero di incontri è definito in relazione agli obiettivi del progetto.

Negli incontri con la famiglia affidataria possono essere coinvolti, secondo le necessità e le opportunità, il bambino o ragazzo interessato, eventuali altri figli, nonché familiari significativamente coinvolti nel supporto al progetto. Ove opportuno e possibile, in relazione a momenti particolarmente cruciali dell’esperienza, i servizi possono anche realizzare incontri congiunti con la famiglia affidataria e quella di origine soprattutto per valorizzare i frutti della reciproca collaborazione. Negli incontri di verifica del progetto di accompagnamento, quando sia necessaria la modifica dello stesso, potrà essere presente anche un referente dell’ Associazione delle famiglie affidatarie a cui la famiglia è legata, ove richiesto.

Lo scambio delle conoscenze e delle esperienze tra famiglia affidataria e famiglia d’origine, rispetto alle modalità con cui il bambino o ragazzo esprime il proprio vissuto ed agisce le proprie relazioni, è molto utile per valutare e valorizzare il suo percorso evolutivo. Anche quando gli incontri sono svolti separatamente con i due nuclei, tale scambio viene assicurato attraverso la mediazione del servizio territoriale stesso che si preoccupa di evidenziare agli interessati gli aspetti significativi dell’esperienza del bambino o ragazzo e di affrontare eventuali richieste e problemi. E’ importante sentire l’affidatario sia prima che dopo gli incontri del bambino con la famiglia d’origine.

Nel progetto devono comunque essere esplicitate le modalità dei rapporti tra i diversi soggetti. Quando è coinvolto l’affidato, si suggerisce di utilizzare sedi attrezzate per un’accoglienza confortevole.

A seguito degli incontri, il progetto può essere aggiornato in armonia con l’andamento dell’esperienza.

Nel progetto vengono definiti i contenuti su cui verteranno gli incontri con i soggetti affidatari e con la famiglia d’origine, assicurando alle persone coinvolte un’adeguata riservatezza e orientando, nello stesso tempo, l’attenzione verso gli aspetti evolutivi rilevanti.

I principali contenuti trattati nel corso degli incontri sono: lo sviluppo psicofisico e il benessere o malessere del bambino o ragazzo, le modalità e la valenza affettiva delle sue relazioni con le figure significative (affidatari e genitori naturali, eventuali figli naturali della coppia affidataria o fratelli, rete parentale e gruppo dei pari); l’andamento del suo inserimento nell’ambito scolastico e la capacità dei genitori affidatari e degli insegnanti di sostenere la sua esperienza.

In particolare, con la famiglia affidataria va affrontato il tema della capacità di gestire il suo vissuto rispetto all’esperienza e la relazione con l’affidato, di accoglierlo con la sua storia, di individuarne e di soddisfarne i bisogni, di adeguare ruoli e tempi alla nuova situazione, nonché di sostenerlo nei rapporti con la famiglia di origine.

Con la famiglia d’origine e la famiglia affidataria vanno verificate le modalità con cui queste collaborano nell’esperienza affidataria, la connotano correttamente agli occhi del bambino e come la famiglia d’origine progredisce nel recupero delle competenze relazionali ed educative.

4.3 Forme del mantenimento del rapporto tra bambino o ragazzo e famiglia d’origine

Il progetto indica le modalità dei rapporti tra l’affidato e la famiglia di origine. Soprattutto negli affidamenti giudiziali, in attuazione di quanto previsto nel decreto, è necessario che il servizio stabilisca, ricercando per quanto possibile l’accordo con la famiglia d’origine, regole dettagliate sulle forme di comunicazione (scritta, telefonica, incontri con o senza la presenza degli operatori, eventuali rientri a fine settimana, festeggiamento di compleanno, festività ecc.).

La definizione di regole precise da parte dei servizi e condivise, quando possibile, da tutti gli attori coinvolti permette di ridurre la possibilità che insorgano conflitti tra il bambino o ragazzo e i genitori naturali o il nucleo affidatario sulle modalità e frequenza dei contatti, la cui responsabilità è in capo ai servizi. Questa capacità di regolamentare in dettaglio va bilanciata con una forte attenzione all’ascolto delle necessità relazionali e affettive del bambino o ragazzo e agli esiti dei momenti di contatto, in modo da potere rapidamente modificare le scelte operate soprattutto quando si percepisce una sofferenza del minore, o, all’opposto, quando cominciano a crearsi le condizioni per un rapporto più ricco e significativo. Qualora le modalità di rapporto siano stabilite dal Tribunale per i minorenni, esso va tempestivamente coinvolto per la loro modifica.

4.4 Gruppi di incontro a sostegno dell’esperienza affidataria

Il progetto precisa se tra gli strumenti di accompagnamento del nucleo affidatario e di quello di origine sono previsti gruppi di incontro rispettivamente dedicati. Per gruppo d’incontro si intende un insieme di persone che condividono situazioni simili e che si ritrovano a cadenza regolare con il sostegno di una figura esperta per confrontare le proprie esperienze.

In questi gruppi è possibile sentirsi aiutati, ma anche sperimentarsi come figure in grado di dare un aiuto agli altri; è possibile relativizzare la propria situazione e le proprie difficoltà utilizzando l’esperienza degli altri. Viene dunque incrementata la possibilità, da parte degli adulti, di elaborare risposte efficaci alle necessità evolutive dei bambini o ragazzi in affidamento.

Il confronto che si realizza tra le diverse esperienze incrementa la capacità dei due nuclei di essere interlocutori attenti e consapevoli dei servizi per la definizione del percorso di accompagnamento. È utile che la conduzione sia affidata ad uno psicologo, ad un’assistente sociale o ad altri professionisti esperti di gestione dei gruppi e che essi siano composti da un numero di partecipanti non superiore a sedici. I conduttori non si pongono unicamente come facilitatori della comunicazione, ma possono anche fornire contributi conoscitivi ed interpretativi.

È opportuno che il numero degli incontri sia predefinito e che essi siano strutturati.

I gruppi di incontro, per le grandi potenzialità che esprimono, si connotano come strumento fondamentale nel sostegno delle famiglie affidatarie e come strumento innovativo anche a favore delle famiglie di origine. Essi pertanto vanno previsti, nell’ambito del programma provinciale finalizzato, secondo le indicazioni regionali, e possono essere attuati da soggetti pubblici e, in raccordo con questi, da soggetti del terzo settore.

4.5 Rientro del minore nella famiglia d’origine

Già nell’ambito del progetto quadro devono essere indicati gli obiettivi dell’esperienza affidataria e la presumibile durata dell’intervento. In sede di definizione del progetto di accompagnamento, con maggiori elementi a disposizione, vanno indicate in modo più dettagliato le condizioni che permettono di riconoscere il raggiungimento degli obiettivi della esperienza affidataria e che rendono possibile il rientro del bambino o ragazzo nel proprio nucleo.

Tutto ciò facilita la motivazione al cambiamento da parte della famiglia d’origine e aiuta il bambino o ragazzo ad avere punti di riferimento precisi per comprendere l’evoluzione della propria esperienza.

4.6 Interventi di accompagnamento della famiglia d’origine

Contestualmente all’avvio dell’affidamento, sono definiti e avviati gli interventi di sostegno e cura della coppia genitoriale da parte dei servizi territoriali finalizzati al recupero delle capacità affettive ed educative. Una parte specifica del progetto quadro, distinta per motivi di riservatezza ed opportunità da quella che riguarda gli affidatari, indica:

- la valutazione della recuperabilità delle competenze genitoriali o, in alternativa, il tempo (indicativamente non superiore a sei - otto mesi) entro il quale tale valutazione viene perfezionata, se la stessa non è stata compiuta in modo esaustivo perché l’affidamento è avvenuto in situazione di emergenza, o perché alcuni aspetti richiedono approfondimenti;

- gli obiettivi che devono essere raggiunti nel recupero delle competenze genitoriali;

- le forme della collaborazione tra il servizio sociale minori, i servizi dedicati agli adulti e i servizi sanitari, specificando le risorse e gli interventi di sostegno socioeconomico, di mediazione, terapeutici, a seconda delle difficoltà riscontrate;

- le modalità di rapporto con il bambino, con la famiglia affidataria, nonché la partecipazione a gruppi di incontro per famiglie d’origine, qualora previsti.

Il monitoraggio degli esiti di tali impegni da parte delle figure parentali può permettere, in caso di evoluzione positiva, di dare concretezza al riavvicinamento del bambino o ragazzo al proprio nucleo, programmando modi e tempi per il rientro o, in caso di accertata involuzione, di assumere tempestivamente le altre decisioni che si rendessero necessarie per tutelarlo.

5. Tutela lavorativa e interventi economici a sostegno dell’affidamento familiare

5.1 Tutela lavorativa e previdenziale degli affidatari

Il trattamento lavorativo e previdenziale degli affidatari è regolamentato dal Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, che stabilisce, all’art. 1: “Il presente testo unico disciplina i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità”.

La legislazione statale, più volte modificata, anche a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, persegue l’equiparazione dei diritti degli affidatari con quelli dei genitori naturali, per assicurare gli stessi diritti a tutti i bambini, indipendentemente dalla loro collocazione familiare. Tali diritti decorrono, per i bambini in affidamento, dal momento dell’inserimento in famiglia - e non della nascita - e sono riferibili a bambini di età superiore rispetto a quella dei figli naturali, per consentire una vera parità in situazioni diverse.

La legge 24 febbraio 2006, n. 104 “Modifica della disciplina relativa alla tutela della maternità delle donne dirigenti” ha esteso la tutela previdenziale relativa alla maternità prevista nel citato testo unico alle lavoratrici e ai lavoratori dirigenti del settore privato.

5.2 Benefici economici

In attuazione di quanto disposto dall’art. 5 della legge 184/83, che prevede che Stato, Regioni ed Enti locali nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, intervengano con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria, “le Regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento, affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche” (art. 80, comma 4). L’art. 12 della L.R. n. 2 del 2003 prevede, conseguentemente, il riconoscimento di benefici di carattere economico per sostenere l’affidamento familiare.

In caso di affidamento eterofamiliare è previsto un contributo economico di riferimento a carico dei Comuni, definito periodicamente dalla Giunta regionale, di intesa con gli organismi di rappresentanza delle Amministrazioni comunali.

Per particolari situazioni del bambino (disabilità, disturbi significativi) va previsto un aumento. Nel caso di handicap gravissimi o di altre situazioni che richiedono intense attività di cura, va previsto un ulteriore aumento.

Nel caso di affidamento a parenti entro il quarto grado con progetto del servizio sociale, il contributo va definito in base alle esigenze del minore e alla situazione economica della famiglia accogliente.

Nel caso di affidamento a tempo parziale il contributo è definito dall’Ente locale in misura ridotta in base all’entità e alla natura dell’impegno richiesto.

6. Reti di famiglie, affiancamento familiare e famiglie di supporto ai minori in comunità

Per sostenere la singola famiglia affidataria è risultato molto utile che diversi nuclei disponibili siano connessi in rete tra di loro. Tale rete può infatti permettere il sostegno reciproco e lo scambio di esperienze.

 Le reti di famiglie sono aggregazioni di famiglie caratterizzate dalla spinta alla solidarietà, al sostegno e/o all’accoglienza di minori in difficoltà. Esse possono strutturarsi in varie forme, nascere autonomamente o dalla spinta dei servizi pubblici o degli Enti gestori delle strutture residenziali. Le reti di famiglie rappresentano una risorsa importante per il territorio e possono sviluppare progetti con le comunità residenziali o semiresidenziali o attivare iniziative solidali o di mutuo aiuto.

Mentre l’affiancamento e il supporto non richiedono percorsi formativi/selettivi da parte dei servizi pubblici, quando si realizza una accoglienza di un minorenne è necessario che:

- la famiglia abbia svolto il percorso previsto per l’affidamento familiare;

- l’accoglienza fuori dalla famiglia affidataria o dalla comunità sia concordato con i servizi.

La rete delle famiglie può essere sostenuta da organizzazioni del terzo settore che integrino l’intervento dei servizi mediante contributi professionali. L’eventuale intervento professionale, in accordo ed in collaborazione con i competenti servizi degli Enti locali, può contribuire in particolare, alla preparazione e al sostegno della famiglia accogliente affidataria che è garanzia della qualità della risposta fornita al ragazzo.

La rete inoltre, in accordo con l’Ente pubblico, può fare da punto di riferimento operativo per la famiglia di origine, secondo le disposizioni del progetto quadro.

L’affiancamento familiare rappresenta una forma di solidarietà tra famiglie che non rientra all’interno della categoria dell’affido, anche se indubbiamente è culturalmente ed operativamente ad esso connesso, che ha come finalità fondamentale quella di sostenere un nucleo familiare in difficoltà e di prevenire il possibile allontanamento del minore dalla propria famiglia.

Si possono attivare forme di vicinanza e sostegno da parte di un nucleo familiare (famiglia affiancante) motivato e disponibile a dedicare parte del suo tempo ad un altro nucleo familiare che presenti difficoltà o carenze sul piano della cura ed educazione dei figli (senza però che vi siano rischi contingenti che richiedano la tutela e l’allontanamento dei minori o pregressi episodi di abuso o di allontanamento del minore dal nucleo). Il sostegno alle competenze genitoriali realizzato dalla famiglia affiancante si caratterizza di conseguenza più sullo sviluppo delle potenzialità e delle competenze piuttosto che sui deficit e le carenze e si propone di rompere solitudine e isolamento, rinforzando le reti e le relazioni tra le famiglie mediante azioni costanti nel tempo in cui concretezza della quotidianità sia al centro. Azioni e metodologie di intervento degli interventi di affiancamento familiare prevedono:

  • - interventi di sensibilizzazione e promozione delle risorse familiari di carattere microcomunitarioin grado di far emergere le famiglie disponibili in contesti di vita vicini a quelli in cui vivono le famiglie destinatarie degli interventi;
  • - un’équipe tecnica in grado di valutare in via preliminare le proposte di affiancamento e la coerenza e pertinenza degli interventi proposti;
  • - la costruzione e la condivisione tra tutti i soggetti coinvolti (famiglie affiancate, famiglie affiancanti, servizio sociale minori e associazioni) di patti educativi che esplicitino obiettivi, tempi e modalità operative dei singoli interventi;
  • l’individuazione di figure esperte e professionalmente preparate (tutors) in grado di sostenere e supervisionare l’andamento nel tempo dei singoli progetti;
  • la realizzazione di incontri di gruppo periodici destinati alle famiglie affiancanti impegnate negli interventi improntati alla metodologia dell’auto-aiuto e del sostegno e dello scambio di esperienze;
  • la realizzazione di incontri di gruppo per i genitori delle famiglie destinatarie degli interventi;
  • - momenti periodici di monitoraggio e valutazione delle esperienze di affiancamento.

Parte III - Accoglienza in comunità

1. Accoglienza integrata

L’allontanamento del bambino o ragazzo, anche con la madre, dall’ambiente familiare deve essere sostenuto da una valutazione multi dimensionale che vede la presenza di figure professionali di ambito sociale e sanitario che considerino gli elementi prognostici per il benessere e la salute del minore e della sua famiglia.

 Al fine di realizzare l’integrazione istituzionale e professionale prevista dal Piano sociale e sanitario (deliberazione dell’Assemblea Legislativa n. 175/2008), e richiamata nei principi generali della presente direttiva, sono di seguito indicate le modalità di raccordo tra le diverse forme di intervento, secondo le rispettive competenze del sociale e del sanitario.

Non rientrano nell’oggetto della presente direttiva le strutture che erogano prestazioni sanitarie comprese nei Livelli essenziali di assistenza, ai sensi del DPCM 29.11.2001, per minori che necessitano di osservazione e/o assistenza terapeutica neuropsichiatrica in trattamenti intensivi o post-acuzie. Tali strutture rientrano nella competenza del Servizio sanitario regionale, con oneri a suo carico, e rispondono ai requisiti per l’accreditamento normati dalla DGR 911/07.

Sono sempre da considerare strutture integrate tra servizi sociali e sanitari, dal punto di vista sia tecnico che finanziario le Comunità, residenziali e semiresidenziali, educativo-integrate.

Tutte le comunità possono accogliere casi complessi necessitanti di un progetto educativo individualizzato integrato che prevede la compartecipazione tecnico-finanziaria del sociale e del sanitario, anche qualora le problematiche insorgano dopo l’accoglienza in ambito comunitario.

Tali inserimenti possono richiedere risorse aggiuntive rispetto all’offerta standard delle comunità oggetto di questa direttiva.

I casi complessi saranno definiti in sede di valutazione multidimensionale, dalla unità/équipe preposta alla elaborazione del progetto quadro. L’appropriatezza dell’inserimento per questa tipologia di minori si basa su criteri di valutazione clinica e sociale inerenti alla presenza di fattori prognostici favorevoli per lo sviluppo all’interno di un progetto di presa in carico da parte dei servizi. In considerazione della problematica stessa e delle necessarie aggiuntive attenzioni, questi inserimenti assumono la valenza integrata tra sociale e sanitario per il singolo caso con conseguente compartecipazione tecnica e di spesa.

Sono sempre considerati casi complessi, dovunque accolti, ragazzi con disabilità accertata ai sensi della L.R. 9 febbraio 2008, n. 4 “Disciplina degli accertamenti della disabilità - ulteriori misure di semplificazione ed altre disposizioni in materia sanitaria e sociale” e i ragazzi vittime di maltrattamento o abuso, nonché i minori con diagnosi di problematiche di natura psico-patologica, situazioni riconosciute in sede di valutazione multidimensionale, che non necessitano di assistenza neuropsichiatrica in strutture terapeutiche intensive o post-acuzie (DGR n. 911/2007).

2. Le strutture di accoglienza residenziali e semiresidenziali

La presente direttiva definisce le seguenti tipologie:

strutture di tipo familiare

  • comunità familiare
  • comunità casa-famiglia multiutenza

strutture educative

  • comunità educativa residenziale
  • comunità educativa semi residenziale
  • comunità educativo-integrata 
  • comunità educativo- integrata semiresidenziale

strutture di pronta accoglienza

  • comunità di pronta accoglienza

strutture per l’ autonomia

  • gruppo appartamento
  • comunità per l’autonomia

strutture per gestanti e per madre con bambino

  • comunità per gestanti e per madre con bambino. 

Le comunità che accolgono ragazzi dai quattordici anni possono stipulare convenzioni con il centro per la giustizia minorile, come previsto all’art. 10 del DLgs 272/89. 

È possibile l’inserimento di ragazzi di età superiore ai sedici anni in strutture per adulti nei casi in cui le caratteristiche personali del minore lo rendano opportuno, tenendo conto del preminente interesse del ragazzo stesso. L’inserimento verrà effettuato sulla base di specifico e motivato progetto dei servizi. Le strutture accoglienti sono tenute ad inviare semestralmente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni gli elenchi dei minorenni accolti. 

2.1 Obiettivi dell’accoglienza

Qualunque comunità di accoglienza per minorenni, prevista dalla presente Direttiva, deve perseguire i seguenti obiettivi: 

- assicurare una connotazione di tipo familiare attraverso relazioni affettive personalizzate e personalizzanti, serene, rassicuranti e tutelanti e una familiare condivisione della quotidianità capace di orientare in senso educativo ogni suo aspetto;

- garantire una costante e forte collaborazione con i Servizi socio-sanitari di riferimento e un continuo coinvolgimento delle opportunità offerte dal territorio;

- rinforzare e integrare i ruoli genitoriali temporaneamente indeboliti o compromessi da difficoltà familiari, attraverso azioni e presenze che promuovano il superamento di situazioni di abbandono e di privazione, “aprendo” alle persone accolte una realtà in cui poter apprezzare il vivere quotidiano, la cura e la stima di sé, degli altri e del proprio essere al mondo;

- promuovere e incrementare dove possibile e in raccordo con i Servizi territoriali, le potenzialità del nucleo familiare e la riappropriazione delle funzioni educative genitoriali, anche attivando le risorse parentali, umane e sociali dell’ambiente di vita del nucleo stesso;

- contenere il numero complessivo degli ospiti e assicurare un rapporto numerico tra questi e gli adulti, tali da favorire la personalizzazione delle relazioni e la familiarità dell’ambiente di vita.

L’accoglienza in comunità semiresidenziale ha l’obiettivo di evitare l’allontanamento del ragazzo dalla sua famiglia, tramite un intervento importante ed intensivo.

Nell’ambito dei posti autorizzati possono essere accolti nella comunità residenziali bambini o ragazzi in regime semiresidenziale.

2.2 Risorse umane: adulti accoglienti e personale

La qualificazione delle persone che hanno una relazione educativa con i bambini e i ragazzi all’interno delle comunità è elemento essenziale per la riuscita del progetto di accoglienza. Per questo motivo la presente direttiva riguarda sia le figure professionali che gli altri adulti che svolgono una funzione educativa. Per un intervento efficace è indispensabile la continuità dell’azione educativa perseguendo la stabilità dei rapporti e la qualificazione degli adulti accoglienti e degli operatori.

2.2.1 Adulti accoglienti

Gli adulti impegnati nella gestione di comunità familiari e di comunità casa-famiglia dovranno possedere un’esperienza documentabile nell’ambito delle attività di cui alla presente direttiva, anche come figure di supporto, di almeno dodici mesi e aver svolto un adeguato percorso conoscitivo e di preparazione, curato dai servizi pubblici, anche in collaborazione con le associazioni e gli altri soggetti esperti nel campo dell’accoglienza che sarà così articolato:

- formazione di base, minimo quattordici ore, coincidente di norma con il percorso formativo attivato per le famiglie affidatarie (paragrafo “Contenuti dei corsi e criteri di qualità” della parte II), o comunque promossi o coordinati dalle Province (vedi paragrafo “Provincia” della parte I);

- percorso di conoscenza e valutazione della disponibilità, con esito positivo (previsto al paragrafo “Percorso di conoscenza e di valutazione della disponibilità” della parte II). Esso è svolto dai servizi pubblici competenti ed è indirizzato ad esplorare la presenza di motivazioni e competenze educative adeguate per svolgere l’esperienza della comunità familiare o della comunità casa-famiglia;

- formazione specifica, minimo ventiquattro ore, per acquisire le competenze necessarie a gestire la comunità (l’accesso a tale tranche formativa avviene a seguito dell’esito positivo del percorso di conoscenza);

- tirocinio di almeno ottanta ore presso una comunità familiare o una comunità casa-famiglia che si svolga nelle varie fasi della giornata.

Per seguire tale esperienza, le Provincie promuovono e coordinano l’individuazione e la preparazione, anche attraverso accordi con istituzioni e centri di formazione e documentazione presenti sul territorio, delle figure di referenti per il tirocinio, prescelti tra le figure educative operanti nelle comunità o tra gli operatori dei servizi sociali territoriali.

2.2.2 Personale

Gli operatori delle comunità educative residenziali, delle comunità per l’autonomia, delle comunità per gestanti e mamme con bambino e delle comunità di pronta accoglienza lavorano in équipe.

a) Equipe

L’equipe delle suddette comunità dovrà essere formata per almeno due terzi da personale educativo in possesso dei titoli di studio sotto richiamati, seguiti dai corsi ove previsti (punto a1).

a1) Gli educatori di comunità educative, anche semiresidenziali o di pronta accoglienza, devono possedere uno dei seguenti requisiti:

  1. attestato di abilitazione per educatore professionale rilasciato ai sensi del D.M. 10 febbraio 1984 e del D.M. 8 ottobre 1998, n. 520;
  2. diploma di laurea in educatore professionale rilasciato nell’ambito delle facoltà di scienze dell’educazione e di scienze della formazione;
  3.  attestato regionale di qualifica professionale ai sensi della direttiva comunitaria 51/92, rilasciato al termine di corso di formazione attuato nell’ambito del Progetto APRIS;
  4. diploma di laurea in pedagogia, in scienze dell’educazione, in scienze della formazione, diploma di laurea in educatore sociale, diploma di laurea in psicologia o in scienze sociali
  5. attestato di partecipazione a corsi regionali di centocinquanta ore riservato ad operatori di comunità con esperienza triennale, secondo quanto previsto dalla delibera della Giunta regionale n. 564/2000;
  6. diploma di laurea ad indirizzo sociologico o umanistico e svolgimento di corsi di formazione della durata complessiva di centoventi ore, inerenti a tematiche educative e di comunità;
  7. diplomi di laurea equipollenti.

Tutti i corsi sopra richiamati devono essere realizzati ed attestati da enti pubblici o soggetti privati accreditati o autorizzati ai sensi degli art. 33 e 34 della L.R. 12/2004 o da normative di altre regioni.

a2) il personale in possesso delle lauree richiamate al n. 6) può compiere il percorso formativo aggiuntivo entro ventiquattro mesi dal 31/12/2011 o dalla data della successiva assunzione. Lo svolgimento completo del percorso formativo consente a questo personale di essere considerato nella quota di personale di cui al punto a1);

a3) una parte dell’équipe, non superiore a un terzo, può essere formata da personale che, per le sue caratteristiche di formazione o di esperienza di vita rappresenta una risorsa importante per i ragazzi. Tale personale deve possedere almeno un diploma di scuola secondaria di secondo grado e compiere un percorso formativo aggiuntivo di almeno centoventi ore su tematiche psicologiche ed educative inerenti l’infanzia e la famiglia, nonché sull’esperienza di comunità, entro ventiquattro mesi dalla data della assunzione. Lo svolgimento del percorso formativo non consente a questo personale di essere considerato nella quota di personale di cui al punto a1);

Tabella composizione Equipe educative:

N.di Figure educative nell’Equipe

n. Minimo di educatori di comunità per minori, con i requisiti di cui al punto a1)

n. di Figure educative in formazione con i requisiti di cui al punto

a2)

n. di Figure educative con i requisiti di cui al punto a3)

7

5

Da 1 a 2

Da 1 a 2

8

6

Da 1 a 2

Da 1 a 2

9

6

Da 1 a 3

Da 1 a 2

10

7

Da 1 a 3

Da 1 a 2

Il personale in servizio al 31/12/2011 da almeno ventiquattro mesi in possesso di diploma di scuola media superiore di secondo grado per essere computabile nel numero minimo di educatori di cui al punto a1) deve svolgere, entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della presente direttiva, corsi di formazione su tematiche psicologiche ed educative inerenti l’infanzia e la famiglia, nonché sull’esperienza di comunità della durata complessiva di duecento ore. 

b) Responsabile/Coordinatore

Il personale impegnato nelle comunità socio-educative, educativo - integrate, di pronta accoglienza, nelle strutture per l’autonomia, nelle comunità semiresidenziali e nelle comunità per gestanti e per madre con bambino con funzione di responsabile/coordinatore delle struttura deve essere in possesso dei titoli richiesti all’educatore ed avere un’esperienza precedente di lavoro in comunità di almeno tre anni.

Il responsabile rappresenta la comunità verso l’esterno. Inoltre coordina le attività con attenzione ai progetti educativi individualizzati; è punto di riferimento organizzativo e di sostegno per gli educatori e le figure di supporto; cura il raccordo con i servizi territoriali, anche per quanto riguarda le relazioni di verifica; garantisce la completezza e la riservatezza di tutta la documentazione relativa al percorso degli ospiti.

Il responsabile deve poter usufruire di un tempo predefinito per lo svolgimento delle sue specifiche funzioni. La carta dei servizi ne dettaglia comunque i compiti. Le funzioni possono essere delegate dal responsabile ad altri operatori, nelle forme specificate nella carta dei servizi.

Nella comunità familiare e nella comunità casa-famiglia la responsabilità è esercitata dagli adulti accoglienti

c) Formazione permanente

Gli educatori e i responsabili della comunità dovranno assolvere agli obblighi di formazione permanente in misura non inferiore a quanto prescritto in tale materia dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

La Regione Emilia-Romagna si impegna a promuovere attività di formazione permanente degli adulti e degli operatori interessati.

2.2.3 Supervisione

Data la complessità delle problematiche trattate, gli operatori (gli educatori e gli adulti accoglienti) di tutte le strutture si avvalgono di una figura di supervisore esterno con competenze sociali, pedagogiche, psicologiche o neuropsichiatriche che si rapporta al gruppo di lavoro della comunità con cadenza almeno mensile.

2.2.4 Figure e famiglie di supporto

Gli operatori, gli adulti conviventi e gli ospiti possono avvalersi dell’apporto di altre figure quali animatori, istruttori artigiani, volontari del servizio civile, persone in tirocinio formativo professionale o coinvolte nei percorsi formativi propedeutici alle diverse esperienze di accoglienza. Tali figure sono funzionali a coadiuvare le attività di tipo educativo-ricreativo e formativo che si svolgono sia all’interno della struttura che all’esterno. L’impiego di figure di supporto e di altri volontari, anche in servizio civile, deve essere previsto in maniera continuativa per un tempo preventivamente concordato con il responsabile della comunità, nell’ambito di accordi con associazioni o organismi di volontariato.

Per i ragazzi stranieri deve essere attivabile al bisogno, anche in collaborazione con i servizi sociali, una figura professionale con competenze linguistiche e culturali adeguate, in grado di collaborare con gli educatori per facilitare la comunicazione con il minore e il suo nucleo familiare, nonché per l’eventuale espletamento delle pratiche relative alla permanenza sul territorio nazionale, per la conoscenza ed utilizzo delle risorse del territorio, per l’accompagnamento nei percorsi di accesso al lavoro, alle opportunità formative, ai servizi sanitari e scolastici.

Gli educatori e gli adulti conviventi possono essere coadiuvati da personale ausiliario per la cura della casa e per i servizi generali. La presenza di tale personale va vista come occasione educativa essa stessa, non integralmente sostitutiva di azioni e routine relative alla gestione della casa, che devono comunque entrare nella vita quotidiana dei ragazzi, né tanto meno sostitutiva dell’attività degli educatori.

La rete delle figure di supporto è promossa con continuità dagli adulti che la gestiscono, dagli enti gestori e dai servizi territoriali. Anche per queste figure vige quanto previsto al paragrafo 4 della parte I, in relazione alle qualità morali richieste agli adulti che vengono in contatto con i ragazzi.

Le figure di supporto devono essere tutte coperte da apposita assicurazione ed è possibile corrispondere loro il rimborso di spese documentate, secondo quanto previsto dalla deliberazione della Giunta regionale n. 521 del 1998.

Il sostegno “esterno” può avvenire anche ad opera di “famiglie di supporto” con le quali il minore può sperimentare esperienze di vita più familiari che possono diventare una importante risorsa per il superamento della situazione di disagio personale, divenendo talvolta un elemento fondamentale del progetto quadro.

Queste famiglie, selezionate ed accompagnate dall’ente gestore, sono preferibilmente connesse tra di loro in “Reti di Famiglie”. Mentre l’affiancamento e il supporto non richiedono percorsi formativi/selettivi da parte dei servizi pubblici quando si realizza una accoglienza di un minorenne è necessario che la famiglia abbia svolto il percorso previsto per l’affido,

L’eventuale permanenza del minore inserito in comunità, per periodo limitato presso una famiglia di supporto deve essere prevista nel Progetto educativo individualizzato.

3. Carta dei servizi

Ad ogni gestore di struttura è richiesto di elaborare, anche in attuazione dell’art. 32 della L.R. 2/03, una carta dei servizi della comunità. Tale carta rappresenta la missione, la visione e il progetto complessivo e dettagliato del modello educativo e organizzativo che la comunità assume nei confronti dei ragazzi accolti.

Inoltre nella carta dei servizi deve essere definito il modello di relazione con i servizi sociali e sanitari.

Nella carta devono essere esplicitati:

- il tipo di utenza, la fascia d’età ed il genere dei soggetti che potranno essere ospitati; il numero di posti disponibili e quelli per la pronta accoglienza con specificazione degli aspetti logistici; le modalità di ammissione e dimissione, le metodologie educative che si intendono adottare e le modalità del sostegno psicologico, qualora previsto; il rispetto delle esigenze culturali e religiose dei minori; i servizi garantiti all’interno ed all’esterno della comunità;

- le forme della gestione organizzativa con particolare riferimento alle modalità operative degli adulti accoglienti o del gruppo degli educatori, al numero degli educatori dedicati a tempo pieno e a tempo parziale (parametrati al numero di ospiti presenti), alle funzioni del responsabile/coordinatore e alle modalità di esercizio della supervisione; eventuale presenza di figure di supporto (volontari e tirocinanti) e il loro coordinamento;

- il responsabile della comunità e le forme dell’eventuale delega ad altro operatore;

- gli impegni che l’Ente gestore assume per la formazione e l’aggiornamento degli adulti o degli operatori;

- le modalità di gestione della documentazione e della sua conservazione, anche in ottemperanza alle prescrizioni previste dal D.Lgs 196/03 in materia di riservatezza;

- le modalità di computo e di riscossione del contributo economico richiesto ai Servizi territoriali che comunque deve comprendere tutto quanto è necessario all’ordinario mantenimento, educazione ed istruzione delle persone ospitate. Solo motivate ed eccezionali spese, condivise con i Servizi invianti, potranno essere aggiunte al contributo già richiesto;

- gli eventuali posti disponibili per la pronta accoglienza e le conseguenti modalità operative;

- la disponibilità all’accoglienza di ospiti in regime semiresidenziale;

- il radicamento e/o le relazioni con i soggetti del territorio.

La Carta dei servizi deve essere redatta in modo da facilitarne la comprensione da parte degli ospiti, delle loro famiglie e dei servizi territoriali.

La Carta dei servizi è aggiornata in caso di necessità, anche in relazione agli esiti del monitoraggio e della valutazione delle attività verificate.

La comunità madre bambino deve dichiarare nella Carta dei servizi la propria disponibilità ad garantire l’accoglienza in emergenza di bambini la cui madre abbia interrotto il progetto di accoglienza in comunità,o le madri i cui figli siano in affidamento familiare o in altre comunità.

4. Progetto educativo individualizzato

La relazione con il minore ospite della comunità è orientata dal progetto educativo individualizzato che assume la denominazione di Progetto educativo individualizzato integrato (PEII)per i casi complessi.

Si tratta di uno strumento operativo che sviluppa le indicazioni del progetto quadro.

Il progetto educativo individualizzato viene elaborato, nella sua forma completa, alla conclusione della fase di prima osservazione e dopo la stesura definitiva del progetto quadro che svolge una funzione di orientamento indispensabile nella definizione degli obiettivi presenti nel PEI. Quando possibile il progetto educativo individualizzato è costruito coinvolgendo i ragazzi che abbiano compiuto i dodici anni e anche quelli di età inferiore, compatibilmente con la loro capacità di discernimento

Il progetto educativo individualizzato viene definito e realizzato dalla comunità, in stretto raccordo con gli operatori dei servizi territoriali, ed è commisurato ai tempi di permanenza previsti nel progetto quadro definito dai servizi.

Esso descrive le modalità per:

- aiutare il bambino o ragazzo a cogliere il senso della esperienza che sta vivendo all’interno della comunità, mirata a assicurargli una situazione familiare stabile e serena, in una prospettiva evolutiva;

- curare l’integrazione del minore nel nuovo contesto sociale di riferimento aiutandolo a strutturare relazioni positive con gli altri ospiti e con i coetanei, nonché con gli adulti della comunità;

- sollecitare l’acquisizione delle autonomie e la cura nella gestione della persona e delle cose;

- promuovere e sostenere l’autostima;

- supportare l’integrazione in ambito scolastico, formativo, lavorativo ed extrascolastico;

- gestire il rapporto degli ospiti con la famiglia, nonché le forme e i tempi degli incontri con questa, in accordo con i servizi sociali e sanitari competenti, e in conformità con quanto eventualmente disposto dal Tribunale per i minorenni;

- assicurare il sostegno morale ed educativo negli eventuali percorsi giudiziari.

Il progetto educativo individualizzato integrato dovrà contenere inoltre: 

- le modalità di collaborazione tra i servizi sociale e sanitario per la realizzazione del progetto concordato;

- l’eventuale attivazione di specifici protocolli operativi tra Comunità, Servizi Sociali e Servizi Sanitari;

- eventuali risorse aggiuntive rispetto all’offerta standard delle comunità;

- il programma delle verifiche periodiche e programmate.

A garanzia degli impegni che il PEII prevede il numero di inserimenti di minori con disturbi psicopatologici non deve superare le tre unità per ogni comunità residenziale e le due unità per ogni comunità semiresidenziale.

La comunità predispone una relazione di verifica del progetto educativo individualizzato anche integrato che viene inviata al servizio territoriale competente responsabile del progetto quadro, secondo le seguenti scadenze:

- almeno semestralmente nonché in sede di dimissione del ragazzo;

- in qualsiasi momento, su richiesta dei servizi territoriali medesimi o per esigenze della comunità

.

5. Progetto di vita

Quando il ragazzo diventa maggiorenne la progettualità educativa si identifica con il progetto di vita. Esso è concertato tra il giovane, i servizi sociali territoriali competenti e la comunità; esprime la nuova dimensione “contrattuale” in cui il soggetto, a fronte della ospitalità garantita, del supporto educativo concordato e degli altri interventi di sostegno definiti dal sistema dei servizi territoriali, si assume le proprie responsabilità. Il giovane di conseguenza definisce gli impegni di cui si fa carico per perseguire in tempi definiti la completa autonomia e per contribuire nel contempo al buon andamento della convivenza nella comunità.

Il progetto di vita viene elaborato nella sua forma completa entro due mesi dal compimento del diciottesimo anno di età e sottoscritto dal servizio sociale territoriale competente, dal responsabile della comunità e dal ragazzo. Il passaggio al progetto di vita è consentito, al compimento del diciottesimo anno, anche qualora il ragazzo permanga nella stessa comunità purché gli siano garantite condizioni di vita più autonome e responsabili.

Nelle strutture per l’autonomia il responsabile cura l’integrazione con i servizi territoriali, in particolare per quanto riguarda l’orientamento formativo e professionale e la ricerca di una soluzione abitativa stabile.

6. Obblighi informativi

Ogni comunità o residenza deve disporre di un registro degli ospiti costantemente aggiornato.

Ai sensi dell’art. 9, comma 2 della legge 184/83, le strutture residenziali che ospitano minori devono trasmettere ogni sei mesi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni l’elenco dei minori accolti, con l’indicazione della località di residenza dei genitori, i rapporti con la famiglia e le condizioni psicofisiche dei minori stessi. Tale obbligo sussiste anche per le strutture per adulti che accolgono minorenni sulla base del progetto indicato al paragrafo 2.

All’Ente gestore o al responsabile della comunità è fatto obbligo altresì di:

- soddisfare le richieste di dati necessari per alimentare i sistemi informativi dello Stato, della Regione e degli Enti locali;

- informare dell’avvenuta ammissione o dimissione in comunità il servizio inviante e, se non coincidente, anche il servizio sul cui territorio è collocata la struttura, mentre il servizio cui è attribuita la responsabilità del progetto educativo ha l’obbligo di tenere costantemente informato il giudice tutelare o il Tribunale per i minorenni, tramite una relazione semestrale, e di comunicare alle stesse autorità giudiziarie ogni evento di particolare rilevanza;

- elaborare ed inviare al servizio sociale territoriale competente le relazioni di verifica del progetto educativo o educativo-integrato individualizzato o del progetto di vita, secondo modalità e tempi concordati.

Il servizio competente formalizza tempestivamente la richiesta di accoglienza in comunità di ciascun ragazzo o nucleo mamma/bambino, nonché l’effettivo inizio dell’ospitalità, concordandone successivamente il termine.

Il servizio che colloca un minore o mamma bambino in comunità posta al di fuori del territorio di competenza comunica il collocamento ai servizi competenti in quel territorio.

7. Requisiti strutturali

Le strutture oggetto della presente direttiva sono soggette,in quanto civili abitazioni, a numerose e complesse normative di livello statale e locale. Per evitare indebite sovrapposizioni, si è ritenuto opportuno limitare l’ambito della direttiva all’attuazione della L.R. 2/2003, in particolare per quanto riguarda la definizione dei requisiti richiesti ai fini dell’autorizzazione al funzionamento.

Si intende anche prevedere l’adeguamento automatico alle normative comunitarie, statali, regionali e locali che entreranno successivamente in vigore.

Per facilitare l’integrazione nel tessuto sociale della comunità e agevolare la socializzazione dei bambini e dei ragazzi, il soggetto gestore avrà cura di adottare tutte le misure idonee a facilitare il rapporto degli ospiti con il territorio circostante.

Gli spazi destinati ai bambini e ragazzi, il loro arredamento e le attrezzature devono essere adeguati all’età degli ospiti ed alla funzione della struttura, consentendo le attività di gioco, animazione e studio, individuali e di gruppo, e tenendo in particolare conto le esigenze di sicurezza.

Gli spazi destinati alle camere da letto devono essere separati dalla zona giorno e organizzati in modo da garantire l’autonomia individuale, la personalizzazione, la fruibilità, la riservatezza, nonché il rispetto delle differenze di genere in relazione all’età.

Le strutture edilizie delle comunità per bambini e ragazzi, in considerazione del limitato numero di ospiti, ma soprattutto per il contesto di tipo familiare richiesto dalla normativa vigente, sono assimilabili alle civili abitazioni, alla cui normativa si è fatto in gran parte riferimento nella individuazione dei requisiti richiesti.

7.1 Requisiti per le strutture di tipo familiare

Tali comunità devono essere in possesso dei requisiti richiesti per la civile abitazione in base alla normativa edilizia, anche locale, vigente, ivi compresa la normativa sulla sicurezza degli impianti.

Viene di seguito individuata la dotazione degli ambienti/spazi essenziali allo svolgimento dell’attività di accoglienza:

- soggiorno/spazio di relazione di almeno mq 14 oppure, qualora non sia presente la cucina, soggiorno con angolo cottura di superficie conforme ai vigenti regolamenti locali. La superficie complessiva del soggiorno deve essere incrementata nella misura di almeno mq 1,80 per ogni ulteriore occupante oltre i sei;

- camere da letto di mq 9 per una persona, 14 per due persone (o tre bambini entro i 24 mesi), 20 per tre persone. La camera per tre persone può avere una superficie pari o superiore a mq 18, se di altezza superiore a m 2,70, tenuto conto della cubatura. Le camere da letto devono avere un massimo di tre posti letto; può essere presente nella stanza anche un bambino di età compresa entro i dodici mesi, a condizione che sia prevista una superficie aggiuntiva di almeno mq. 2 e per un massimo di due bambini per stanza;

- un bagno completo (wc, bidet, lavabo, vasca o doccia) ogni quattro persone; oltre le quattro occorre un altro servizio igienico con wc, bidet e lavabo;

- vano idoneo a ospitare le attrezzature di lavanderia (lavatrice, lavatoio), qualora tale attrezzatura non sia contenuta nei locali bagno;

- cucina dimensionata sulla base della fruibilità degli spazi e degli arredi minimi necessari, individuabili in funzione di due possibili tipologie:

a) cucina non abitabile (senza spazio pranzo): piano cottura, forno, lavello, frigorifero, piano di lavoro, tavolo da lavoro, mobile/i per materiali d’uso, mobile-dispensa di idonee dimensioni (in alternativa, idoneo vano dispensa indipendente);

b) cucina abitabile (comprensiva di zona pranzo): dotazione minima come al punto precedente; superficie minima di mq 9 incrementata di idonei spazi per consentire il consumo dei pasti (in ragione di una superficie aggiuntiva indicativamente di mq 1,20 a persona).

L’archiviazione dei documenti deve garantire la riservatezza dei dati, ai sensi del D.lgs. 196/03. Vanno individuati spazi idonei all’attività di ricevimento identificabili anche nei locali destinati ad altre funzioni, escluse le camere da letto.

Qualora la struttura accolga disabili, gli spazi interni dovranno rispettare la normativa vigente in materia di superamento delle barriere architettoniche.

7.2 Requisiti per le strutture residenziali educative e per l’autonomia

Le altre comunità educative residenziali (comunità residenziali educativa e educativo-integrata, comunità di pronta accoglienza, comunità per l’autonomia) devono essere in possesso dei requisiti richiesti per la civile abitazione in base alla normativa edilizia, anche locale, vigente, ivi compresa la normativa sulla sicurezza degli impianti.

Viene di seguito individuata la dotazione degli ambienti/spaziessenziali allo svolgimento dell’attività di accoglienza:

- soggiorno/spazio di relazione di almeno mq 14, oppure, qualora non sia presente la cucina, soggiorno con angolo cottura di superficie conforme ai vigenti regolamenti locali. La superficie complessiva del soggiorno deve essere incrementata nella misura di almeno mq 1,80 per ogni ulteriore occupante oltre i sei, in considerazione delle specificità legate alle diverse tipologie. In particolare, si tiene conto delle attività individuali e collettive svolte dalle diverse fasce di età presenti all’interno della comunità e della corretta organizzazione e collocazione degli arredi in relazione agli spazi minimi funzionali e agli accorgimenti necessari atti ad evitare infortuni e rischi;

- camere da letto di mq 9 per una persona, 14 per due persone, 20 per tre persone. Le camere da letto devono avere un massimo di tre posti letto

- camera/e da letto per operatori di mq 9 per una persona e mq 14 per due persone situata in modo da garantire la riservatezza;

- un bagno completo (wc, bidet, lavabo, vasca o doccia) ogni quattro ospiti;

- un bagno per il personale;

- vano idoneo a ospitare le attrezzature di lavanderia (lavatrice, lavatoio), qualora tale attrezzatura non sia contenuta nei locali bagno;

- adeguati spazi per la biancheria pulita;

- cucina dimensionata sulla base della fruibilità degli spazi e degli arredi minimi necessari, individuabili in funzione di due possibili tipologie:

 a) cucina non abitabile (senza spazio pranzo): piano cottura con forno, lavello, frigorifero, piano di lavoro, tavolo da lavoro, mobile/i per materiali d’uso, lavastoviglie, mobile-dispensa di idonee dimensioni (in alternativa, idoneo vano dispensa indipendente);

 b) cucina abitabile (comprensiva di zona pranzo): dotazione minima come al punto precedente; superficie di mq 9 incrementata di idonei spazi per consentire il consumo dei pasti in ragione di una superficie aggiuntiva indicativamente di 1,20 mq a persona;

- locale studio (amministrazione, ricevimento…), che può corrispondere alla stanza dell’operatore, purché questa sia dotata di idonei arredi e di superficie minima di 9 mq; l’archiviazione dei documenti deve garantire la riservatezza dei dati, ai sensi del D.lgs. 196/03.

Nel calcolo dei parametri delle comunità che possono attivare posti in pronta accoglienza, ai fini della autorizzazione va considerato il numero massimo degli ospiti accoglibili.

7.3 Requisiti per le comunità semiresidenziali

Le comunità semiresidenziali devono essere in possesso dei requisiti richiesti per la civile abitazione in base alla normativa edilizia, anche locale vigente, ivi compresa la normativa sulla sicurezza degli impianti.

Viene di seguito individuata la dotazione degli ambienti/spazi essenziali allo svolgimento delle attività:

- soggiorno/spazio di relazione di almeno mq 14 oppure qualora non sia presente la cucina, soggiorno con angolo cottura di superficie conforme ai vigenti regolamenti locali. La superficie complessiva del soggiorno deve essere incrementata nella misura di almeno mq 1,80 per ogni ulteriore occupante oltre i sei. In particolare, si tiene conto delle attività individuali e collettive svolte dalle diverse fasce di età presenti all’interno della comunità e della corretta organizzazione e collocazione degli arredi in relazione agli spazi minimi funzionali e agli accorgimenti necessari atti ad evitare infortuni e rischi;

- almeno altri due locali per favorire l’organizzazione di attività di gioco, studio ed animazione individuali e di gruppo, con il supporto di specifiche attrezzature, comprese quelle informatiche;

- un servizio igienico ogni otto ospiti e un bagno ad uso esclusivo del personale e degli eventuali collaboratori. In almeno uno dei servizi igienici deve essere presente il box doccia o la vasca;

- due posti letto attivabili per permettere ad un bambino o ragazzo di essere accolto con un educatore per eventuali situazioni di emergenza di brevissima durata (massimo 7 giorni)

- cucina dimensionata sulla base della fruibilità degli spazi e degli arredi minimi necessari, individuabili in funzione di due possibili tipologie:

cucina non abitabile (senza spazio pranzo): piano cottura, forno, lavello, frigorifero, piano di lavoro, tavolo da lavoro, mobile/i per materiali d’uso, mobile-dispensa di idonee dimensioni (in alternativa, idoneo vano dispensa indipendente);

cucina abitabile (comprensiva di zona pranzo): dotazione minima come al punto precedente; superficie di mq 9 incrementata di idonei spazi per consentire il consumo dei pasti in ragione di una superficie aggiuntiva indicativamente di 1,20 mq a persona; in alternativa alla cucina deve essere presentealmeno una cucinetta o un terminale di distribuzione adeguatamente attrezzato a servizio di somministrazione di pasti forniti in monoporzione o in multiporzione dall’esterno;

- spazio studio (amministrazione, ricevimento…), che può coincidere con uno degli spazi sopra descritti; l’archiviazione dei documenti deve garantire la riservatezza dei dati, ai sensi del D.lgs. 196/03.

7.4 Requisiti per strutture per gestanti e madri con bambini

Viene di seguito individuata la dotazione degli ambienti/spazi essenziali allo svolgimento dell’attività di accoglienza, qualora si svolga in un’unica unità immobiliare:

- soggiorno/spazio di relazione di almeno mq 14 oppure, qualora non sia presente la cucina, soggiorno con angolo cottura di superficie conforme ai vigenti regolamenti locali. La superficie complessiva del soggiorno deve essere incrementata nella misura di almeno mq 1,80 per ogni ulteriore occupante oltre i sei. In alternativa possono essere considerati più spazi complessivamente della stessa superficie;

- una camera per ciascun nucleo e un bagno ogni due nuclei

- vano idoneo a ospitare le attrezzature di lavanderia (lavatrice, lavatoio), qualora tale attrezzatura non sia contenuta nei locali bagno;

- cucina dimensionata sulla base della fruibilità degli spazi e degli arredi minimi necessari, individuabili in funzione di due possibili tipologie:

cucina non abitabile (senza spazio pranzo): piano cottura, forno, lavello, frigorifero, piano di lavoro, tavolo da lavoro, mobile/i per materiali d’uso, mobile-dispensa di idonee dimensioni (in alternativa, idoneo vano dispensa indipendente);

cucina abitabile (comprensiva di zona pranzo): dotazione minima come al punto precedente; superficie minima di mq 9 incrementata di idonei spazi per consentire il consumo dei pasti (in ragione di una superficie aggiuntiva indicativamente di mq 1,20 a persona);

- un locale ed un bagno per gli operatori.

L’archiviazione dei documenti deve garantire la riservatezza dei dati, ai sensi del D.lgs. 196/03. Vanno individuati spazi idonei all’attività di ricevimento identificabili anche nei locali destinati ad altre funzioni.

Qualora la struttura accolga disabili, gli spazi interni dovranno rispettare la normativa vigente in materia di superamento delle barriere architettoniche.

Qualora l’accoglienza comunitaria si svolga in più unità abitative distinte, queste dovranno rispondere ai requisiti della civile abitazione in relazione alla specifica tipologia abitativa ed essere collocate in modo da garantire l’unitarietà dell’intervento educativo e la necessaria vigilanza.

8. Tipologie8.1 Strutture di tipo familiare

8.1.2 Comunità familiare

Tipologia: la comunità familiare è caratterizzata dalla convivenza continuativa e stabile di almeno due adulti, preferibilmente una coppia con figli o un uomo ed una donna, adeguatamente preparati, che offrono ai ragazzi un rapporto di tipo genitoriale sereno, rassicurante e personalizzato e un ambiente familiare sostitutivo. La comunità familiare può svolgere funzioni di pronta accoglienza.

Accoglienza: minorenni da zero a diciassette anni, prioritariamente indicato per bambini nella fascia di età sei/undici anni.

Capacità ricettiva: sei posti, più due posti dedicati alla pronta accoglienza. Deroga possibile in caso di fratelli, fino al numero massimo di dieci minorenni, compresi i figli minorenni degli adulti residenti.

Rapporto numerico: un adulto accogliente o educatore in turno ogni quattro ospiti presenti.

Sono esclusi dal conteggio le figure di supporto anche residenti, i volontari, gli operatori, i figli maggiorenni, i parenti.

Se, per garantire il rispetto del rapporto numerico, la coppia di adulti deve essere integrata da personale educativo, questo deve possedere i requisiti di formazione richiesti per l’educatore delle comunità socio-educative e di pronta accoglienza. L’educatore può essere sostituito da un terzo adulto accogliente convivente.

Nelle ore di riposo notturno deve essere garantita la presenza di almeno uno degli adulti conviventi.

Gli adulti conviventi assumono la funzione di responsabili della comunità, anche disgiuntamente. Ad essi fanno riferimento le figure di supporto, nonché l’eventuale personale dipendente.

8.1.3 Comunità casa famiglia multiutenza

Tipologia: la comunità casa famiglia multiutenza è caratterizzata dalla convivenza continuativa e stabile di almeno due adulti, preferibilmente una coppia con figli o un uomo ed una donna, adeguatamente preparati, che offrono accoglienza a persone di qualsiasi età in difficoltà e ai ragazzi un rapporto di tipo genitoriale sereno, rassicurante e personalizzato e un ambiente familiare sostitutivo.

La particolare dimensione di ospitalità estesa, che caratterizza la comunità casa-famiglia, deve comunque salvaguardare la primaria finalità del benessere dei bambini e dei ragazzi ospitati, in relazione alle loro problematiche e a quelle degli altri ospiti.

La comunità casa-famiglia può svolgere funzioni di pronta accoglienza per bambini e ragazzi.

Accoglienza: bambini e adolescenti da zero a diciassette anni e/o adulti in difficoltà.

È una struttura socio-educativa residenziale con il compito di accogliere persone prive di ambiente familiare idoneo, tra cui bambini ed adolescenti di età compresa tra zero e diciassette anni

Considerate le esigenze evolutive dei bambini e ragazzi in difficoltà, la comunità casa-famiglia, in accordo con i servizi, presta particolare attenzione nel raccordare l’accoglienza delle persone adulte con la necessità di garantire la tutela del preminente interesse del minore.

Capacità ricettiva: la comunità casa-famiglia che accoglie minori può ospitare fino ad un massimo di sei persone. Tale capacità può essere elevata di due posti dedicati alla pronta accoglienza. Vi può essere deroga nel caso di accoglienza di fratelli o sorelle. Comunque non potranno coabitare assieme agli adulti accoglienti più di altre dieci persone complessivamente, inclusi i figli minori della coppia. Sono esclusi dal conteggio le figure di supporto anche residenti, i volontari, gli operatori, i figli maggiorenni, i parenti.

Rapporto numerico: deve essere garantito, nei momenti di presenza dei minori presso la comunità casa-famiglia e durante le attività esterne, un adeguato rapporto numerico. Tale rapporto è pari almeno ad un adulto accogliente od educatore (in turno) ogni quattro accolti (minori o adulti che siano) o figli minori.

Se per garantire il rispetto del rapporto numerico la coppia di adulti deve essere integrata da personale educativo, questo deve possedere i requisiti di formazione richiesti per il personale all’educatore delle comunità educative e di pronta accoglienza, o da un terzo adulto accogliente convivente.

Nella fascia oraria che va dal risveglio all’uscita dalla comunità, durante le uscite ed i periodi di vacanza, a garantire il rapporto numerico possono concorrere anche le figure di supporto e ausiliarie.

Nelle ore di riposo notturno deve essere garantita la presenza di almeno uno degli adulti conviventi e accoglienti, oppure là dove presente, dell’educatore della comunità.

Gli adulti accoglienti assumono la funzione di responsabili della comunità, anche disgiuntamente. Ad essi fanno riferimento le figure di supporto nonché l’eventuale educatore; rappresentano la comunità nelle varie sedi tecniche di confronto.

8.2 Strutture educative

8.2.1 Comunità educativa residenziale

Tipologia: la Comunità educativa residenziale, pur garantendo accoglienza di tipo familiare è caratterizzata da uno spiccato intervento educativo di carattere professionale.

Accoglienza: bambini e adolescenti da sei a diciassette anni. I bambini possono essere ospitati eccezionalmente nel caso si tratti di fratelli accolti o in caso di emergenza. In tal caso, per tutta la durata della permanenza di bambini, viene sospesa la pronta accoglienza.

Capacità ricettiva: la comunità educativa può ospitare per progetti di accoglienza continuativa fino a dieci minori oltre ai quali è possibile attivare, con adeguata integrazione di personale, fino ad un massimo di ulteriori due posti anche in pronta accoglienza. Tale disponibilità deve essere specificata nella Carta dei Servizi.

Rapporto numerico:

eve essere garantita, nei momenti quotidiani di maggiore intensità operativa, un rapporto numerico pari almeno a una unità di personale presente (in turno) ogni quattro minorenni presenti.

Nelle ore di riposo notturno deve essere garantita la presenza di almeno un operatore e la reperibilità di un ulteriore operatore, pertanto le équipe delle comunità dovranno essere formate da un numero di operatori commisurato al numero dei minori secondo il seguente schema:

Numero accolti

Numero operatori a tempo pieno di 38 ore o teste equivalenti in équipe

Fino a 6

6,5

7-8

7,5

9-10

8

11-12

8,5

Nel rispetto della presente Direttiva, dei rapporti di impiego, dei contratti collettivi nazionali di lavoro e degli accordi sindacali, nell’ambito degli indirizzi dell’ente gestore e in accordo con gli altri educatori, il Responsabile di cui al precedente paragrafo 1.3.2 b) organizza e gestisce la vita della Comunità con i turni rispondenti al numero delle presenze effettive e le compresenze orarie ritenute più rispondenti alle esigenze delle persone a cui è rivolto il servizio e ai Progetti educativi individualizzati.

8.2.2 Comunità educativa semiresidenziale

Tipologia: la comunità educativa semiresidenziale è caratterizzata da un intervento diurno intensivo, con la finalità di evitare l’allontanamento dalla famiglia, è aperta tutto l’anno. Assicura un orario di apertura di non meno di cinque ore giornaliere per almeno cinque giorni alla settimana, modulabile sulla base delle esigenze dei bambini o ragazzi, del periodo scolastico o formativo. Potranno essere previsti moduli e orari differenziati per i più piccoli.

La comunità semiresidenziale prevede inoltre, per eventuali situazioni di emergenza di brevissima durata (massimo 7 giorni) la possibilità di accogliere per la notte un bambino o ragazzo con un educatore.

Accoglienza: bambini e adolescenti (dai sei ai diciassette anni).

Capacità ricettiva: può ospitare fino ad un massimo di venti minori organizzati per moduli di non più di dieci ospiti ciascuno.

Rapporto numerico: deve essere garantita la presenza di almeno un educatore in turno ogni cinque ospiti

.

8.2.3 Comunità residenziale educativo-integrata

Tipologia: questa comunità svolge principalmente una funzione riparativa, di sostegno e di recupero delle competenze e capacità relazionali di minori in situazione di forte disagio. Può accogliere bambini e preadolescenti, o in alternativa adolescenti, con disturbi psico-patologici che non necessitano di assistenza neuropsichiatrica in strutture terapeutiche intensive o post-acuzie di cui alla 911/2007, o che presentano rilevanti difficoltà psicologiche e relazionali e seri problemi del comportamento in seguito a:

  • traumi e sofferenze di natura psicologica e fisica dovuti a violenze subite od assistite;
  • prolungata permanenza in contesti familiari caratterizzati da dinamiche gravemente disfunzionali che coinvolgono il minore;
  • situazioni di grave trascuratezza relazionale e materiale determinata da profonde insufficienze delle competenze personali e genitoriali delle figure parentali.

Le difficoltà sono di entità tale da non potere essere superate con i soli interventi ambulatoriali o domiciliari e richiedere una collocazione residenziale o semiresidenziale del minore che permetta azioni di supporto educative e psicologiche, dotate di particolare intensità, continuità e fortemente integrate con quelle svolte dai servizi territoriali.

Si connota per una forte integrazione delle competenze socio educative con quelle psicologiche.

Le attività educative e psicologiche infatti sono strettamente collegate con gli interventi sociali e sanitari svolti in modo fortemente integrato dai servizi territoriali.

Accoglienza: bambini e adolescenti (sei-diciassette anni)

Capacità ricettiva: sei posti.

Rapporto numerico: l’equipe della comunità educativo-integrata prevede la presenza esclusiva di personale educativo avente le caratteristiche indicate al paragrafo 1.3.2, lettera a1) e a2) e la presenza programmata di uno psicologo.

Nei momenti di presenza dei minori presso le comunità e durante le attività esterne, deve essere garantito un rapporto numerico pari almeno ad un educatore ogni tre ragazzi o frazione di tre; durante le ore di riposo notturno deve essere garantita la presenza di almeno un educatore e la reperibilità di un ulteriore operatore.

Lo psicologo assicura una presenza programmata nella struttura, attivando, quando richiesto dal progetto quadro dei servizi e con le modalità indicate nel progetto educativo individualizzato integrato, interventi di supporto diretto al bambino, alla sua esperienza di vita in comunità, alle sue relazioni con le figure genitoriali e con la scuola. In ogni caso egli sostiene gli educatori nell’analisi delle dinamiche connesse alla relazione educativa e nella definizione ed attuazione del progetto individualizzato integrato.

La permanenza nelle comunità educativo-integrate non potrà durare, di norma, più di diciotto mesi, al termine dei quali l’organismo multidisciplinare indicato al paragrafo 1.5 effettua una rivalutazione del caso.

In questa tipologia di comunità il PEI assume la denominazione di Progetto educativo individualizzato integrato (PEII). 

8.2.4 Comunità semiresidenziale educativo-integrata

Tipologia: questa comunità svolge analogamente alla omonima comunità residenziale principalmente una funzione riparativa, di sostegno e di recupero delle competenze e capacità relazionali di minori in situazione di forte disagio.

In ogni caso la scelta semiresidenziale è opportuna per le situazioni nelle quali non sia stato valutato consono all’interesse del minore l’allontanamento dal nucleo e dai contesti sociali di riferimento. La comunità semiresidenziale educativo-integrata prevede quindi il rientro serale dei ragazzi in famiglia e, in quanto semiresidenziale, è finalizzata a prevenire l’allontanamento.

Accoglienza: bambini e adolescenti (sei-diciassette anni).

Capacità ricettiva: otto posti.

Rapporto numerico:

l’équipe della comunità semiresidenziale educativo-integrata prevede la presenza esclusiva di personale educativo avente le caratteristiche indicate al paragrafo 1.3.2, lettera a1) e a2)e la presenza programmata di uno psicologo.

Deve essere garantita la presenza in turno di almeno un educatore ogni quattro ragazzi. La comunità semiresidenziale è aperta tutto l’anno per almeno sei giorni alla settimana. L’orario di apertura è modulabile sulla base delle esigenze dei bambini o ragazzi, o del periodo scolastico o formativo.

Lo psicologo assicura una presenza programmata nella struttura, attivando, quando richiesto dal progetto quadro e con le modalità indicate nel progetto educativo individualizzato integrato, interventi di supporto diretto al bambino, alla sua esperienza di vita in comunità, alle sue relazioni con le figure genitoriali e con la scuola. In ogni caso egli sostiene gli educatori nell’analisi delle dinamiche connesse alla relazione educativa e nella definizione ed attuazione del progetto individualizzato integrato.

Data la permanenza del minore nei contesti sociali di riferimento (famiglia, scuola, gruppi amicali), il lavoro degli educatori, supportati dallo psicologo, è caratterizzato anche da una buona capacità di agire, oltre che con il minore nell’ambito della comunità, anche nei suoi contesti di vita al fine di sostenere le relazioni maggiormente connessi alle sue difficoltà.

In questa tipologia di comunità il PEI assume la denominazione di Progetto educativo individualizzato integrato (PEII).

8.3 Strutture di pronta accoglienza

8.3.1 Comunità di pronta accoglienza

Tipologia: è caratterizzata dalla immediata ospitalità e tutela di minorenni che devono essere allontanati con estrema urgenza dal proprio nucleo per disposizione delle autorità competenti, o che, trovati privi di tutela, non possono subito rientrare in famiglia.

La comunità di pronta accoglienza è orientata a contenere l’accoglienza per il tempo strettamente necessario ad individuare e mettere in atto l’intervento più favorevole e stabile per il ragazzo: tale tempo di norma non può superare i due mesi, qualora siano accolti minori stranieri non accompagnati l’ospitalità può essere estesa fino a cento giorni.

Accoglienza: bambini e adolescenti da sei a diciassette anni.

Capacità ricettiva: la comunità di pronta accoglienza può ospitare un numero massimo di dodici minori. In casi di emergenza sono possibili deroghe temporanee, motivate e con adeguata integrazione di personale.

Rapporto numerico: deve essere garantita, nei momenti quotidiani di maggiore intensità operativa, un rapporto numerico pari almeno a una unità di personale presente (in turno) ogni quattro minorenni presenti.

Nelle ore di riposo notturno deve essere garantita la presenza di almeno un operatore e la reperibilità di un ulteriore operatore, pertanto le équipe dovranno essere formate da un numero di operatori commisurato al numero dei minori secondo il seguente schema:

Numero accolti

Numero operatori a tempo pieno di 38 ore o teste equivalenti in équipe

Fino a 6

6,5

7-8

7,5

9-10

8

11-12

8,5

Nel rispetto della presente Direttiva, dei rapporti di impiego e del Contratto collettivo nazionale di lavoro, degli accordi sindacali, nell’ambito degli indirizzi dell’ente gestore e in accordo con gli altri educatori, il Responsabile di cui al precedente paragrafo 1.3.2 b) organizza e gestisce la vita della Comunità con i turni rispondenti al numero delle presenze effettive e le compresenze orarie ritenute più rispondenti alle esigenze delle persone a cui è rivolto il servizio e ai Progetti educativi individualizzati. 

8.4 Strutture per l’autonomia

Le comunità per autonomia si qualificano come strutture residenziali che ospitano ragazzi e giovani omogenei per sesso in possesso di buoni livelli di autonomia personale e che hanno necessità di essere supportati per completare il loro processo di crescita, di autonomizzazione e di integrazione sociale.

8.4.1 Gruppo appartamento

Tipologia: nel gruppo appartamento i ragazzi sperimentano una responsabilità diretta nella convivenza (autogestione sulla base di regole concertate con gli educatori) e nei percorsi di crescita, con un sostegno mirato da parte di educatori.

Il fine ultimo è quello di raggiungere un buon livello di equilibrio personale, di adeguatezza nelle relazioni sociali e autonomia abitativa, di studio e lavorativa.

Accoglienza: accoglie ragazzi prossimi alla maggiore età e giovani provenienti da situazioni di accoglienza per i quali l’esperienza della assunzione di responsabilità individuale e di gruppo si pone come strumento centrale per la maturazione personale, il superamento degli eventuali disagi residui di tipo relazionale e per l’acquisizione di una piena autonomia, anche attraverso il supporto offerto dalle prestazioni dei servizi territoriali, dagli educatori di riferimento e dal quotidiano misurarsi nella vita della comunità.

Per i minori è necessaria l’autorizzazione dell’esercente la potestà o dell’autorità giudiziaria minorile.

I ragazzi provengono prevalentemente da altre strutture residenziali dove hanno raggiunto risultati significativi nel superamento dei disagi presentati e per i quali un’eventuale ulteriore permanenza nella stessa comunità o presso gli affidatari potrebbe essere controindicata.

Capacità ricettiva: massimo sei ragazzi dai diciassette ai ventuno anni. Eccezionalmente, in relazione al livello di maturità e responsabilità raggiunto, possono essere accolti ragazzi di età inferiore, a partire dai sedici anni.

Rapporto numerico: per garantire ai ragazzi un sostegno individualizzato rispetto alla definizione e realizzazione dei propri progetti di vita e nella esperienza di convivenza, nonché per svolgere le funzioni di supporto relative alla convivenza ed al rapporto con i servizi interessati, vanno assicurate complessivamente trentasei ore settimanali di referenzialità da parte degli educatori.

Qualora in struttura siano presenti anche minori, deve essere assicurata la presenza notturna di un educatore o di un adulto che abbia fatto il percorso da adulto accogliente.

È richiesta la reperibilità di un adulto per tutto l’arco settimanale per i casi di necessità. Il sostegno deve essere assicurato da almeno due figure educative, al fine di permettere la continuità del supporto. Una delle due figure educative assume il ruolo di responsabile.

8.4.2 Comunità per l’autonomia

Tipologia: la comunità offre una soluzione abitativa e la referenzialità educativa per portare a compimento il processo di integrazione sociale e di autonomizzazione personale di ragazzi anche in esito a percorsi migratori e provenienti da strutture di pronta accoglienza.

La comunità accoglie solo ragazzi con accentuato livello di autonomia, maturità e responsabilità, offre una collocazione abitativa comunitaria, e un impegno degli educatori maggiormente focalizzato sul percorso esterno di inserimento lavorativo e formativo e di sviluppo relazionale.

Per i minori è necessaria l’autorizzazione dell’esercente la potestà o dell’autorità giudiziaria minorile.

Accoglienza: ragazzi dai diciassette ai ventuno anni. Eccezionalmente, in relazione al livello di maturità e responsabilità raggiunto, possono essere accolti ragazzi di età inferiore, a partire dai sedici anni. 

Capacità ricettiva: la comunità per l’autonomia può accogliere fino a quattordici ospiti.

Rapporto numerico: per garantire ai giovani una funzione di aiuto e concertazione nella definizione e realizzazione dei propri progetti di vita deve essere assicurata la presenza di almeno un operatore in turno ogni sette ragazzi presenti. Qualora in struttura siano presenti minori, deve essere assicurata la presenza notturna di un operatore o di un adulto che abbia fatto il percorso da adulto accogliente. Deve essere prevista la reperibilità durante la notte e nelle occasioni in cui sia presente un solo operatore.

Nel rispetto della presente Direttiva, dei rapporti di impiego e del Contratto collettivo nazionale di lavoro, degli accordi sindacali, nell’ambito degli indirizzi dell’ente gestore e in accordo con gli altri educatori, il Responsabile di cui al precedente paragrafo 1.3.2 b) organizza e gestisce la vita della Comunità con i turni rispondenti al numero delle presenze effettive e le compresenze orarie ritenute più rispondenti alle esigenze delle persone a cui è rivolto il servizio e ai Progetti educativi individualizzati.

8.5 Casa/comunità per gestanti e per madre con bambino

8.5.1 Comunità per gestanti e per madri con bambino

Tipologia: È una struttura residenziale di tutela sociale e sostegno alla genitorialità. Tale comunità ha la finalità primaria di assicurare la tutela dei bambini che stanno per nascere o dei minori, investendo, a tale scopo, soprattutto sul sostegno e sullo sviluppo delle capacità genitoriali.

E’ pertanto la necessità di una rilevante intensità tutelare del bambino a caratterizzare questa tipologia di comunità. Restano escluse da tale tipologia le comunità volte al sostegno della donna in grado di occuparsi dei figli.

Accoglienza: gestanti, anche minorenni, e nuclei monogenitoriali con figli minori, che si trovano in situazione di difficoltà nello svolgimento delle funzioni genitoriali, eventualmente sancita da un provvedimento del Tribunale per i minorenni, e di fragilità o di disagio. L’accoglienza è definita nell’ambito del progetto quadro dei servizi territoriali. Il progetto di vita viene concordato nelle sue linee generali prima dell’ingresso, con i servizi territoriali interessati ove possibile con il coinvolgimento della donna, e viene messo a punto dalla comunità entro i primi trenta giorni dall’ingresso. Il progetto di vita viene redatto anche in relazione agli esiti dell’osservazione delle competenze genitoriali e dei bisogni del bambino, delle sue potenzialità e degli effetti indotti dalla nuova situazione.

Il progetto di vita definisce la durata dell’accoglienza (di norma non superiore ai diciotto mesi), le modalità con cui il gruppo di lavoro della comunità, in raccordo con i servizi territoriali, le associazioni interessate ed eventuali figure di supporto, sostiene le madri accolte nelle loro esigenze psicologiche e materiali e nel percorso di autonomizzazione (ricerca di soluzioni abitative autonome, di lavoro e di opportunità di qualificazione professionale; capacità di utilizzare i servizi del territorio, di usare adeguatamente il proprio tempo e il denaro, di conciliare gli impegni personali con quelli genitoriali...).

Il progetto di vita dovrà specificare le azioni di supporto alla funzione genitoriale o di diretto sostegno al bambino o ragazzo che verranno svolte sia dagli operatori della comunità sia dai servizi relativamente a:

  •  - assicurare il soddisfacimento delle necessità di ascolto, cura e gestione dei bambini;
  • - sviluppare la capacità di aiutare il figlio a comprendere, in relazione all’età e capacità di discernimento, il senso dell’esperienza che sta vivendo, con particolare riferimento alla propria situazione familiare, alle funzioni assolte dagli adulti che si prendono cura del nucleo, alla prospettiva che il progetto di accoglienza persegue per lui e la madre;
  •  - realizzare il superamento di eventuali situazioni di disagio sociale e psicologico;
  •  - supportare percorsi di crescita ed apprendimento;
  •  - incrementare le capacità di relazione all’interno della comunità e nei contesti sociali frequentati;
  •  - favorire la maturazione delle autonomie personali.

Qualora la competenza genitoriale sia gravemente compromessa e/o sussista decreto del Tribunale per i minorenni di affidamento del minore ai servizi con suo collocamento assieme alla madre in struttura, la comunità deve predisporre un progetto educativo individualizzato, con le caratteristiche indicate al paragrafo 1.5.1 “Progetto educativo individualizzato”, integrato con il progetto di vita della madre. Anche nel caso non sussista un decreto di affidamento, il servizio sociale deve valutare l’interesse del ragazzo e può impedire, facendo ricorso all’art. 403 c.c., che la madre lo allontani dalla comunità, nel caso ciò possa comportargli un pregiudizio.

Nel caso di gestanti minorenni, viene definito, con le opportune modalità concertative, un progetto educativo individualizzato specifico per la madre.

Capacità ricettiva: non potranno essere ospitati più di otto nuclei, e non più di dodici minori.

Rapporto numerico: è garantita, nell’ambito del gruppo di lavoro della comunità, la presenza del responsabile in possesso dei requisiti previsti per le altre tipologie e di almeno un operatore con funzioni di tutela dei bambini o ragazzi e di sostegno alle competenze genitoriali. Viene garantito un operatore dell’équipe ogni sei bambini sulle ventiquattro ore. In ogni caso dovrà essere garantita la vigilanza notturna.

9. Struttura residenziale per persone dipendenti da sostanze d’abuso con figli minori

Tale struttura, aperta anche a donne in gravidanza dipendenti da sostanze, è disciplinata dalla deliberazione della Giunta regionale n. 26 del 17 gennaio 2005, allegato 2.

10. Tipologie sperimentali e nucleo di valutazione

La L.R. 2 del 2003, all’art. 35, prevede la possibilità di autorizzare servizi e strutture sperimentali, subordinata alla presentazione di progetti innovativi. Nei progetti sono specificati i seguenti requisiti imprescindibili:

  • il possesso del titolo di studio o dei requisiti formativi previsti dalla presente direttiva per il personale o per gli adulti accoglienti;
  • il rispetto dei requisiti relativi alla sicurezza, salubrità e all’igiene previsti dalla normativa vigente e dalla presente direttiva;
  • la previsione di un rapporto numerico tra personale o adulti accoglienti e bambini, in analogia con quanto previsto per le tipologie indicate nella presente direttiva.

Tali requisiti sono verificati dalla Commissione istruttoria in sede di autorizzazione al funzionamento.

Chi intende attivare una sperimentazione trasmette al Comune

:

1) la domanda corredata del progetto sperimentale con l’indicazione delle seguenti specificazioni:

-

  • accoglienza, con esplicitazione delle disponibilità all’accoglienza di casi complessi
  • - capacità ricettiva
  • - rapporto numerico e professionalità del personale
  • prevista ubicazione della struttura

2) dichiarazione circa il rispetto dei requisiti imprescindibili sopra indicati

3) carta dei servizi.

Il Comune trasmette la documentazione al nucleo di valutazione sotto indicato corredata dal parere in merito alla sperimentazione.

Il nucleo esamina la domanda tenuto conto del parere del Comune, valuta la congruità dal punto di vista della praticabilità e dell’opportunità alla luce della programmazione regionale e provinciale. L’esito negativo dell’esame da parte del nucleo rende improcedibile la domanda di autorizzazione al funzionamento presso il Comune.

Il nucleo può condizionare l’esito positivo dell’esame alla parziale modifica del progetto.

Il nucleo invia il proprio parere al Comune, che lo trasmette al proponente. In caso di esito positivo attiva la procedura autorizzatoria, eccetto il caso nel quale il proponente comunichi di non voler procedere.

A livello regionale è attivo un nucleo di valutazione con il compito di esaminare le proposte di servizi sperimentali, inviate dal Comune interessato.

La composizione del nucleo è la seguente:

  • un dirigente del competente servizio regionale, o suo delegato, che lo presiede;
  • due rappresentanti dei competenti settori delle Amministrazioni provinciali (o loro delegati) indicati dalla Cabina di regia per le politiche sociali e sanitarie;
  • due rappresentanti dei servizi sociali per minori, indicati dalla Cabina di regia sociale e sanitaria o loro delegati;
  • un rappresentante dell’Assessorato regionale politiche per la salute o suo delegato;
  • il responsabile del competente servizio sociale del Comune nel cui territorio si prevede sia ubicata la struttura, o suo delegato;
  • un esperto del servizio di neuropsichiatria infantile e dell’età evolutiva del distretto interessato;
  • un funzionario del servizio competente in materia di infanzia e adolescenza partecipa con funzioni di segreteria e verbalizzazione.

In caso di parità prevale il voto del Presidente.

Le sedute del nucleo sono valide in presenza del Presidente e di almeno altri quattro componenti.

Con determinazione del direttore generale sanità e politiche sociali della Regione, viene modificata la composizione del nucleo di valutazione costituito ai sensi della DGR 846/07.

11. Autorizzazione al funzionamento

L’apertura e la gestione delle strutture residenziali o semiresidenziali che accolgono minori e le case comunità per gestanti e per madre con bambino sono soggette all’autorizzazione al funzionamento da parte del Comune di ubicazione della struttura, ai sensi dell’art. 35 della L.R. 12 marzo 2003, n. 2 e successive modificazioni ed integrazioni e secondo le norme della presente direttiva, indipendentemente dalla loro denominazione e dal numero degli ospiti.

Sono altresì soggette ad autorizzazione al funzionamento, negli stessi termini, le strutture per l’autonomia (gruppo appartamento e comunità per l’autonomia).

11.1 Requisiti

Ai fini dell’autorizzazione al funzionamento ciascuna comunità o struttura per l’autonomia deve:

a) disporre di una struttura con le caratteristiche previste dalla presente direttiva per le singole tipologie;

b) disporre di personale in possesso dei titoli di studio indicati al paragrafo “Personale”, o, in caso di comunità familiare o comunità casa-famiglia, di documentazione del percorso conoscitivo e di preparazione indicato al paragr. “Adulti accoglienti”;

c) essere dotata di un responsabile e avvalersi di una figura di supervisore;

d) impegnarsi a non avvalersi di personale, o di adulti accoglienti o di figure di supporto di cui al paragrafo “Risorse umane: adulti accoglienti e personale” che si trovano nella situazione indicata agli articoli 5 e 8 della legge 6 febbraio 2006, n. 38 “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”, né di personale, adulti accoglienti o figure di supporto che abbiano a proprio carico procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione, o siano stati sottoposti a misure di prevenzione o condannati, anche con sentenza non definitiva, per uno dei delitti indicati agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale o abbiano riportato condanne con sentenza definitiva a pena detentiva non inferiore a un anno per delitti non colposi, salvi in ogni caso gli effetti della riabilitazione. Agli effetti della dichiarazione prevista dalla presente disposizione, si considera condanna anche l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale;

e) accogliere un numero di bambini o ragazzi non superiore a quello massimo previsto, e applicare il rapporto numerico tra educatori e ospiti indicato per ciascuna tipologia, o esplicitato nel progetto valutato positivamente dal nucleo regionale, in caso di tipologie sperimentali;

f) applicare al personale dipendente i contratti collettivi nazionali di settore, secondo il profilo professionale di riferimento;

g) provvedere alla copertura assicurativa del personale, delle figure di supporto e degli ospiti;

h) destinare una quota dell’orario di lavoro del personale alle attività di aggiornamento e di programmazione delle attività, da indicare nella carta dei servizi (paragr. 1.4), nonché, per tutti gli adulti accoglienti, specifici momenti di aggiornamento e di programmazione delle attività;

i) disporre di una carta dei servizi con le caratteristiche indicate al paragrafo “Carta dei servizi” e di un registro degli ospiti;

l) prevedere, in accordo con i servizi territoriali per ciascun ospite un progetto educativo individualizzato o un progetto educativo individualizzato integrato o un progetto di vita.

La documentazione relativa deve essere conservata ed esibita in caso di richiesta da parte delle competenti autorità.

11.2 Attività istruttoria. Commissione istruttoria

Il Comune per l’accertamento dei requisiti previsti dalla presente direttiva si avvale della commissione prevista nella delibera della Giunta regionale 564/2000 così modificata:

  • in luogo dell’esperto in organizzazione e sicurezza del lavoro, è inserito un coordinatore pedagogico proposto dal Coordinamento pedagogico provinciale;
  • in luogo dell’esperto di edilizia socio-sanitaria, un esperto di edilizia civile;
  • in luogo dell’esperto di organizzazione e gestione di servizi sociali, un responsabile di servizio sociale minori designato dal comune capoluogo, in accordo con il soggetto capofila del distretto;
  • in luogo dell’esperto in materia di neuropsichiatria e riabilitazione, un esperto in materia di neuropsichiatria infantile nominato dal Direttore generale dell’AUSL competente;
  • in luogo dell’esperto in geriatria, un esperto in pediatria nominato dal Direttore generale dell’AUSL competente;
  • in luogo dell’esperto in materia di assistenza ai minori, un rappresentante scelto tra persone esperte in materia di tutela dei diritti dei minori, designato dal coordinamento tecnico provinciale su indicazione del terzo settore o delle rappresentanze provinciali delle comunità. 

11.3 Domanda per il rilascio dell’autorizzazione al funzionamento

L’autorizzazione al funzionamento deve essere acquisita prima dell’inizio dell’attività.

Ai sensi dell’art. 35 della L.R. 2/2003 la domanda è presentata dal soggetto gestore della struttura di accoglienza al comune nel cui territorio è ubicata la struttura stessa; nel caso il soggetto gestore aderisca ad un’organizzazione, la domanda è presentata dal legale rappresentante dell’organizzazione stessa, che individua il soggetto a cui è demandata la gestione, e contiene:

a) nome cognome, data e luogo di nascita, residenza, indirizzo, recapito telefonico del gestore della struttura; nel caso di soggetto gestore designato da un’organizzazione, anche denominazione e sede dell’organizzazione, nome e cognome del legale rappresentante;

b) tipologia della comunità o della residenza per la quale è richiesta l’autorizzazione (in mancanza di una indicazione chiara, la richiesta non è accettata), e il numero dei posti che si chiede di autorizzare, comunque entro il numero massimo consentito;

c) sede della struttura;

d) dichiarazione di impegno a rispettare i requisiti organizzativi previsti per la tipologia prescelta, a non avvalersi di personale e figure di supporto che si trovino nella condizioni indicate dalla legge n. 38 del 2006 o che non possiedano le qualità morali indicate alla parte I.

Alla domanda è allegata la seguente documentazione:

  • planimetria quotata dei locali della struttura con la destinazione d’uso dei singoli ambienti;
  • carta dei servizi;
  • dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 28/12/2000, n. 445 “Testo unico delle disposizioni legislative regolamentari in materia di documentazione amministrativa” firmata dal soggetto gestore o dal legale rappresentante della persona giuridica attestante quanto previsto al paragrafo “Requisiti” e, in particolare: il possesso delle certificazioni di idoneità richieste per la civile abitazione; il possesso dei requisiti degli spazi indicati per la tipologia di struttura che si intende attivare; il nominativo del responsabile o dei responsabili e i relativi titoli di studio dove richiesti; il possesso dell’attestato di effettuato percorso formativo per le comunità familiari e le comunità casa-famiglia;
  • valutazione positiva del progetto da parte del nucleo regionale di valutazione, in caso di tipologia sperimentale.

Il Comune competente invia la domanda alla commissione istruttoria.

11.4 Rilascio dell’autorizzazione

Viene rilasciata dal Comune autorizzazione al funzionamento alle strutture che soddisfano pienamente i requisiti indicati per la corrispondente tipologia.

Viene rilasciata autorizzazione condizionata al rispetto delle prescrizioni impartite con l’autorizzazione medesima, che deve prevedere tempi e modi dell’adeguamento, alle strutture che soddisfano parzialmente i requisiti richiesti, a condizione che tale mancanza non pregiudichi la sicurezza e la salute dei bambini e dei ragazzi. In caso le prescrizioni non siano rispettate entro i tempi indicati nell’autorizzazione, eventualmente prorogati per una sola volta, l’autorizzazione è revocata.

L’autorizzazione non potrà essere rilasciata nelle seguenti ipotesi:

1) in caso di mancanza dei requisiti relativi alla sicurezza e alla salute degli ospiti per tutte le diverse tipologie di struttura;

2) in caso di mancanza di requisiti stabiliti per ciascuna tipologia relativamente al personale e agli adulti accoglienti.

11.5 Elementi dell’autorizzazione al funzionamento

L’autorizzazione rilasciata dal Comune deve indicare:

  1. il nome e cognome del soggetto gestore, la natura giuridica, la denominazione e l’indirizzo dell’eventuale organizzazione di riferimento;
  2. la denominazione e l’ubicazione della struttura;
  3. la tipologia della struttura tra quelle previste nel presente atto o tipologia sperimentale;
  4. la capacità ricettiva massima;
  1. il nominativo del responsabile della comunità.

All’autorizzazione è allegata, quale parte integrante, la planimetria della struttura.

11.6 Durata e rinnovo dell’autorizzazione al funzionamento. Verifiche e controlli.

L’autorizzazione al funzionamento ha durata massima quinquennale e può essere rinnovata, previa richiesta del soggetto gestore da inoltrare al comune almeno novanta giorni prima della scadenza, accompagnata da idonea dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 comprovante la permanenza dei requisiti richiesti dalla L.R. 2/2003, dalla presente direttiva e dalla normativa vigente. Il Comune può verificare, anche avvalendosi della commissione istruttoria, la permanenza delle condizioni per l’autorizzazione.

Ai sensi dell’art. 6 della L.R. 14/08, la Regione può disporre controlli e verifiche sulle strutture autorizzate, anche avvalendosi della commissione istruttoria, dandone comunicazione al Comune nel quale è ubicata la struttura, competente alla vigilanza.

L’esito dei controlli e delle verifiche effettuate deve essere tempestivamente comunicato:

  • al soggetto gestore e al legale rappresentante dell’organizzazione cui il gestore aderisce;
  • alla Provincia ed al Comune nel caso di controlli e verifiche disposti dalla Regione.

11.7 Registro provinciale delle strutture autorizzate – Sezione strutture per minorenni e giovani adulti

Nel registro provinciale delle strutture autorizzate previsto al paragrafo 8 della Deliberazione della Giunta regionale 1 marzo 2000, n. 564, è inserita un’apposita “Sezione strutture per minorenni e giovani adulti”, nella quale sono annotate le strutture autorizzate ai sensi della presente direttiva, con indicazione della data di scadenza dell’autorizzazione al funzionamento.

11.8 Obblighi conseguenti all’autorizzazione al funzionamento

L’autorizzazione al funzionamento comporta:

a) l’obbligo di comunicare la data di effettivo inizio dell’attività, in modo da consentire al Comune la verifica di quanto dichiarato in merito ai requisiti organizzativi;

b) l’obbligo di consentire l’attività di vigilanza da parte delle competenti autorità, secondo quanto disposto dalla normativa vigente e dal paragrafo “Durata e rinnovo dell’autorizzazione al funzionamento. Verifiche e controlli”;

c) l’obbligo di comunicare preventivamente al Comune qualsiasi variazione strutturale o organizzativa del servizio, per consentire l’eventuale integrazione o il rilascio di un nuovo provvedimento di autorizzazione;

d) l’inserimento del servizio autorizzato all’interno del sistema informativo regionale.

12. Sanzioni

In previsione dell’irrogazione delle sanzioni previste all’art. 39, comma 3 della L.R. 2/2003, il Comune diffida il soggetto gestore o il legale rappresentante a provvedere al necessario adeguamento entro il termine stabilito nell’atto di diffida.

Il mancato adeguamento nel termine stabilito, ovvero l’accertamento di comprovate gravi carenze che possono pregiudicare la sicurezza degli ospiti o degli operatori, comporta l’adozione di un provvedimento di sospensione dell’attività. Con tale provvedimento il Comune indica la decorrenza della sospensione dell’attività nonché gli adempimenti da porre in essere per permetterne la ripresa.

Ove il legale rappresentante o il soggetto gestore non richieda al Comune - entro un anno dalla data del provvedimento di sospensione - la verifica circa il superamento delle carenze riscontrate, l’autorizzazione al funzionamento è revocata. In questo caso l’attività può essere nuovamente esercitata solo a seguito di presentazione di nuova domanda.

L’eventuale mancato esercizio dell’attività protratto per più di dodici mesi comporta la decadenza dell’autorizzazione al funzionamento, eccetto il caso nel quale la sospensione dell’attività sia stata concordata con il servizio sociale competente.

Le sanzioni, di competenza del Comune ove si trova la struttura, sono previste dall’art. 39 della L.R. 2/03.

13. Norma transitoria per le comunità funzionanti

La presente direttiva si applica alle strutture per minorenni e per l’autonomia di nuova costituzione, nonché alle comunità la cui autorizzazione sia scaduta.

Le comunità autorizzate e funzionanti alla data di approvazione della presente direttiva rimangono soggette alla normativa previgente fino alla scadenza dell’autorizzazione. Le stesse strutture possono presentare nuova domanda di autorizzazione in base alla presente direttiva.

Le comunità autorizzate ai sensi delle norme precedenti la DGR 846/07 che, alla data di approvazione della presente deliberazione non hanno ancora presentato domanda di autorizzazione secondo la DGR 846/07, la presentano secondo le disposizioni del presenta atto entro il 30 giugno 2012.

In ambedue i casi, ove possibile, le Commissioni istruttorie fanno salva la documentazione acquisita per l’autorizzazione precedente.

Non sono soggette ad autorizzazione al funzionamento e alle norme di cui alla presente direttiva le case rifugio per donne maltrattate con figli e i convitti giovanili che ospitano esclusivamente maggiorenni. L’autorizzazione, anche condizionata, concessa a tali tipologie di comunità ai sensi della DGR 846/07 è priva di effetto, fatto salvo il rispetto delle prescrizioni derivanti da norme di sicurezza vigenti.

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