n.230 del 07.11.2012 periodico (Parte Seconda)
RISOLUZIONE - Oggetto n. 2944 - Risoluzione proposta dalla consigliera Barbati per impegnare la Giunta a porre in essere azioni volte al contrasto ed al trattamento della violenza contro le donne, a promuovere il coordinamento tra gli enti ed i soggetti operanti nel settore, a valorizzare i punti di ascolto e di accoglienza delle vittime ed i consultori, incrementando inoltre la formazione socio-sanitaria del relativo personale e le risorse disponibili
L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
Premesso che
tra le problematiche di maggior gravità e di più rilevante allarme sociale, è connotato di particolare scelleratezza il tema della violenza contro le donne, quale peculiare manifestazione di violenza c.d. di genere;
segnatamente, secondo quanto previsto dall’art. 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993), "l’espressione "violenza contro le donne" significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata";
come si desume dalla lettera della citata disposizione e dalle ricerche di livello internazionale, nazionale e regionale effettuate in materia, la violenza contro le donne è suscettiva di assumere diverse forme e di estrinsecarsi secondo modalità eterogenee, in diversi contesti: la violenza negli spazi pubblici e nei luoghi di lavoro, che tendenzialmente si concretizza in vessazioni di vario genere (in alcuni casi non penalmente rilevanti, ma comunque moralmente e socialmente riprovevoli) finanche a prevaricazioni sessuali che assurgono alla stregua di abusi sessuali (si pensi alla tanto diffusa quanto odiosa pratica della palpazione fugace di zone erogene, per utilizzare un linguaggio giurisprudenziale), in coazioni psicologiche e violenze morali; la violenza negli spazi privati (o c.d. violenza domestica), perpetrata mediante minacce, maltrattamenti fisici e psicologici, atti persecutori, percosse, violenze sessuali, delitti soggettivamente qualificati dal movente dell’onore, tutti comportamenti criminosi sussumibili nelle omonime fattispecie delittuose;
proprio in considerazione di tale eterogeneità delle manifestazioni in cui si concretano le violenze sulle donne, risulta quantomeno difficile realizzare un’indagine statistica attendibile che dia esatta e precisa contezza del fenomeno, anche considerando che molte violenze non vengono denunciate e non tutte le vessazioni integrano una fattispecie di reato, con la conseguenza che nemmeno le statistiche giudiziarie sono pienamente attendibili: ciò per evidenziare che la gravità del problema è ancora maggiore di quella immediatamente percepita, essendo solo approssimativa la cognizione del fenomeno in esame.
Premesso, altresì, che
come sottolineato da numerosi reports elaborati in materia dall’OMS (significativo il World report on violence and health del 2002, i cui dati risultano essere stati aggiornati da ultimo nel 2006), tali forme di violenza si ripercuotono sulla salute delle vittime, sussistendo un nesso di causalità diretta tra le violenze fisiche o morali subite dalla donna e le patologie (più o meno gravi) riscontrate a livello clinico;
in particolare, dalla copiosa documentazione elaborata dall’OMS, risulta che gli effetti negativi sulla salute psico-fisica della donna vittima di violenza si sostanziano, a seconda della tipologia e della forma di violenza subita, in patologie di carattere fisico (ad esempio ecchimosi, lesioni addominali, lacerazioni, abrasioni, danni oculari, disabilità, fratture), sessuali e riproduttive (quali disturbi ginecologici, sterilità, disfunzioni sessuali, gravidanze indesiderate, malattie da trasmissione), psicologiche e comportamentali (depressione, disturbi del sonno e ansia, disturbi alimentari, sensi di vergogna e colpa, fobie e attacchi di panico, comportamenti suicidi e autolesionisti);
in altri termini, le forme di violenza perpetrate contro le donne, ed in specie le forme più gravi, determinano la negazione della donna come persona, la negazione della donna come titolare, per ius naturalis, di diritti umani.
Evidenziato che
per quanto specificamente attiene alla Regione Emilia-Romagna, un recente studio elaborato dal Servizio Politiche per la sicurezza e la polizia locale evidenzia che "Nel panorama delle regioni italiane, l’Emilia-Romagna registra valori molto superiori alla media, sia per quanto riguarda le violenze fisiche (genericamente intese) sia per quanto riguarda le violenze sessuali (compreso lo stupro)" perpetrate contro le donne (Violenza di genere e sicurezza delle donne in Emilia-Romagna, Quaderni di città sicure, gennaio/febbraio 2010, n. 35, p. 36); in particolare, si evidenzia che "nella nostra Regione circa quattro donne su dieci (38,2%) hanno subito nel corso della vita una violenza fisica o sessuale mentre la media italiana è (…) di tre donne su dieci (31,9%) (Istat, 2009)" (p. 37 del report);
peraltro, tali percentuali aumentano sensibilmente nel corso degli anni, in particolare tendono ad aumentare e a rimanere elevate rispetto alle altre regioni le denunce per violenze sessuali (v. Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna, Quattordicesimo rapporto annuale 2011, novembre/dicembre 2011, p. 29);
la situazione regionale è resa maggiormente critica dalla media frequenza con cui si riscontrano anche fenomeni di c.d. plurivittimizzazione delle donne, intendendo come tale "la vittimizzazione ripetuta, cioè l’essere vittima più volte di uno stesso reato, e la vittimizzazione multipla, cioè l’essere vittima di reati diversi" (Violenza di genere e sicurezza delle donne in Emilia-Romagna, cit., p. 48);
a livello regionale, ulteriore allarme sociale deriva dal fatto che "i reati contro le donne (…) avvengono nella maggior parte dei casi all’interno delle mura domestiche" (Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna, Quattordicesimo rapporto annuale 2011, cit., p. 40): si tratta di "forme particolari del conflitto nella vita quotidiana perché quasi sempre hanno come autori dei maschi e per vittime delle donne e dunque il loro manifestarsi ha sempre una forte componente di genere che chiama in causa i rapporti, anche di potere, sia all’interno della coppia che all’interno della società" (Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna, Quattordicesimo rapporto annuale 2011, cit., p. 29);
tali criticità hanno determinato un’elevata percezione criminologica e di insicurezza non solo nelle donne ma, più in generale, nella collettività regionale.
Visti
la L.R. 12 marzo 2003, n. 2 (Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), ed in particolare l’art. 5, comma 4, lett. f), secondo cui i servizi e gli interventi del sistema locale integrato comprendono, tra l’altro, "servizi ed interventi, quali case e centri antiviolenza, finalizzati a fornire consulenza, ascolto, sostegno ed accoglienza a donne, anche con figli, minacciate o vittime di violenza fisica, sessuale, psicologica e di costrizione economica";
la L.R. 4 dicembre 2003, n. 24 (Disciplina della polizia amministrativa locale e formazione di un sistema integrato di sicurezza), ed in particolare l’art. 3, che - tra l’altro - prevede la promozione di accordi interistituzionali preordinati a programmare e attuare azioni coordinate finalizzate a prevenire e contrastare le violenze e le prevaricazioni di ogni genere e specie;
i progetti già attivati e i protocolli interistituzionali già siglati dalla Regione in attuazione delle predette disposizioni.
Impegna la Giunta
- in attuazione delle citate disposizioni legislative e al fine di un’omogeneizzazione dei servizi di rete, a promuovere - anche mediante la conclusione di accordi e protocolli d’intesa - l’efficiente coordinamento di tutti i soggetti e gli enti interessati al contrasto e al trattamento della violenza contro le donne, ed in particolare i centri antiviolenza, le case rifugio, i centri di difesa delle vittime, i servizi sanitari, sociali, giudiziari e di polizia;
- a procedere ad un aggiornamento, anche alla luce degli sviluppi della fenomenologia delittuosa, della vittimologia femminile, delle istanze sociali e delle differenti realtà territoriali dei protocolli d’intesa già stipulati;
- ad attuare in modo efficiente ed omogeneo, d’intesa con gli enti operanti nel settore del contrasto alla violenza contro le donne, un sistema telematico di trasmissione integrata dei dati relativi al fenomeno in esame;
- ad implementare i punti di ascolto e accoglienza delle donne vittime di violenza, valorizzando a tal fine anche le strutture socio - sanitarie esistenti ed in specie i consultori familiari;
- a valorizzare la formazione congiunta degli operatori socio-sanitari allo scopo di creare professionalità in grado di percepire sintomi di maltrattamenti, violenze, vessazioni e prevaricazioni, aumentando quindi le possibilità di far emergere le violenze nascoste o comunque non "denunciate";
- ad incrementare le risorse economiche da destinare a progetti e attività preordinati a contrastare le criticità connesse al fenomeno in esame;
- ad attivarsi presso l’Esecutivo nazionale affinché sia tempestivamente ratificata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul, in data 8 maggio 2011.
Approvata all’unanimità dei presenti nella seduta pomeridiana del 22 ottobre 2012