n.314 del 02.10.2019 periodico (Parte Seconda)
RISOLUZIONE - Oggetto n. 8433 - Risoluzione per impegnare la Giunta ad attivarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni per implementare azioni coerenti con l'articolo 8 della legge 242/2016, in particolare sollecitando la definizione della norma che definisca i massimi residui di THC negli alimenti come previsto all'articolo 5, garantendo inoltre la continuità e coerenza normativa della filiera del prodotto, dalla coltivazione alla produzione alla commercializzazione, affinché non si producano contrasti giurisprudenziali il cui uso strumentale vada a detrimento di un comparto in rapida ascesa con forti prospettive occupazionali ed ambientali. A firma dei Consiglieri: Prodi, Torri, Taruffi
L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
Premesso che
la legge 242/2016 “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” ha come scopo la “promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.)” ed è finalizzata alla “coltivazione e alla trasformazione con incentivo al consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali” compresa la produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semi lavorati innovativi per le industrie nei diversi settori.
La legge si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, le quali non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
Il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo (Mipaaf), con circolare del 22 maggio 2018, in relazione alla legge 242/16, specificatamente alle inflorescenze della canapa, precisa che, pur non essendo citate espressamente dalla legge né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, rientrano nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, il cui contenuto complessivo di THC non superi i livelli stabiliti dalla normativa.
La cannabis sativa è inserita nella lista positiva (decreto Ministero Salute 9.7.2012) delle sostanze e preparati vegetali che possono essere impiegati negli integratori alimentari e/o dei prodotti erboristici (tisane, estratti, etc.), ossia nei prodotti destinati all’assunzione umana, ma l’unica parte utilizzabile per realizzare questi prodotti (erboristici o alimentari) sono il seme e l’olio di canapa (ottenuto dalla torchiatura del seme, che comunque non è l’olio di cannabis terapeutico). Non sono assolutamente ammesse le infiorescenze.
Il prodotto, se venduto come alimento (integratore/preparato erboristico), nei limiti ammessi con riferimento alla parte della pianta utilizzabile (semi ed olio) e al contenuto di THC, presuppone il possesso dei requisiti per la vendita di prodotti alimentari ai sensi del D. Lgs. n. 114/98 e del D. Lgs. n. 59/2010.
Rilevato che
l'entrata in vigore della legge 2/12/2016, n. 242, "Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa", la quale si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, che non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, ha sviluppato nel nostro Paese la vendita di prodotti derivati dalla cosiddetta Cannabis Light.
Il comparto economico relativo è in piena evoluzione, con 3.000 ettari in produzione e 15.000 punti vendita in Italia, un fatturato che in Europa sarà di 28 miliardi di euro entro il 2021, oltre all’impiego di circa diecimila addetti in tutto il paese.
Considerato che
la Corte di Cassazione, VI Sez. penale, ha depositato la sentenza n. 4920, del 31 gennaio 2019, che appare di fondamentale importanza per gli sviluppi che concernono la delicata vicenda relativa alla liceità della vendita della cannabis prodotta nell’ambito descritto dalla legge 2 dicembre 2016, n. 242.
Tale sentenza afferma, in sostanza, che né il DPR n. 309/90, in materia di stupefacenti, né norme successive all’entrata in vigore della legge n. 242 fanno sì che ai prodotti derivanti dalla coltivazione della canapa rientrante nei limiti di THC previsti dalla stessa legge possano essere attribuite caratteristiche di illiceità, sì che la commercializzazione di detti prodotti, comprese le infiorescenze, deve ritenersi consentita.
Secondo la Cassazione non può trascurarsi che è nella natura dell’attività economica che i prodotti della filiera agroindustriale della canapa siano commercializzati e che, in assenza di specifici dati normativi, non emergono particolari ragioni per assumere che il loro commercio al dettaglio debba incontrare limiti che non risultano posti nei segmenti precedenti della filiera.
La sentenza, va subito evidenziato, appare in contrasto con l’impostazione data al problema dal Ministero dell’Interno, che solo pochi mesi fa aveva emesso una nota, commentata dallo scrivente Ufficio con la circolare n. 4645, del 29 gennaio scorso, in cui affermava che le norme di cui alla legge n. 242/2016 non avrebbero un effetto generalizzato, ma riserverebbero solo alla figura del coltivatore un’area di irresponsabilità entro il limite dello 0,6% di THC, senza per questo derogare alla disciplina di cui al T.U. sugli stupefacenti, e di fatto metteva in guardia i commercianti della cosiddetta “cannabis light”, sostenendo che le iscrizioni poste sulle confezioni, sui siti e nei negozi non escluderebbero la responsabilità del venditore e dell’acquirente, poiché consentire che la soglia dello 0,6% agisca non solo quale limite massimo per l’applicazione della causa di esclusione della responsabilità del coltivatore, ma anche come parametro per la legittimazione della vendita delle infiorescenze separate dalla pianta di canapa, rappresenterebbe un’applicazione strumentale, oltre l’intenzione del legislatore.
Nelle conclusioni, la suddetta sentenza evidenzia come sia ‘comunque incontrovertibile l’esistenza, nella materia in esame, di un contrasto giurisprudenziale’, che non viene sanato dalla seguente sentenza delle Sezioni Unite, del 30 maggio 2019 dove si rimanda a giudici di merito, di volta in volta, a valutare quale sia la soglia di efficacia drogante che rientra nei parametri del consentito.
Evidenziato che
la legge 242/16, all’articolo 8, prevede che le regioni possano promuovere azioni di formazione in favore di coloro che operano nella filiera della canapa e diffondere, attraverso specifici canali informativi, la conoscenza delle proprietà della canapa e dei suoi utilizzi nel campo agronomico, agroindustriale, nutraceutico, della bioedilizia, della biocomponentistica e del confezionamento.
L’articolo 5 della legge 242/16 prevedeva inoltre che il Ministro della salute, con proprio decreto, entro sei mesi dalla entrata in vigore, definisse i livelli massimi di residui di THC ammessi negli alimenti, ad oggi non ancora emanato.
Tutto ciò premesso, rilevato, considerato ed evidenziato
impegna il presidente e la Giunta regionale
ad attivarsi immediatamente in sede di Conferenza Stato-Regioni per implementare azioni coerenti con l’articolo 8 della legge 242/2016, in particolare:
- sollecitando la definizione della norma che definisca i massimi residui di THC negli alimenti come previsto all’articolo 5;
- garantendo la continuità e coerenza normativa della filiera del prodotto, dalla coltivazione alla produzione alla commercializzazione, affinché non si producano contrasti giurisprudenziali il cui uso strumentale vada a detrimento di un comparto in rapida ascesa con forti prospettive occupazionali ed ambientali.
Approvata a maggioranza dei presenti nella seduta pomeridiana del 17 settembre 2019