n. 39 del 04.03.2010 (Parte Prima)

Indicazioni illustrative delle innovazioni in materia di governo del territorio introdotte dai Titoli I e II della L.R. n. 6 del 2009

 

Questa terza circolare segue e completa le note del 24 luglio 2009 (Prot. PG/2009/168408) e del 18 dicembre 2009 (Prot. PG/2009/290000) relative al Titolo III della legge regionale n. 6 del 2009. Essa approfondisce i Titoli I e II della legge regionale n. 6 del 2009, relativi ai processi di qualificazione delle aree urbanizzate e al riordino della disciplina dei processi di trasformazione del territorio.

L’obiettivo, anche in questo caso, è quello di fornire ai cittadini e alle pubbliche amministrazioni chiarimenti utili a rendere più agevole e omogenea l’applicazione della norma.

Data la complessità e l’ampiezza della materia da trattare si è ritenuto opportuno fornire un primo inquadramento generale della disciplina, evidenziando i principali obiettivi perseguiti dal legislatore regionale e richiamando l’attenzione sugli aspetti salienti della nuova normativa.

La circolare si sofferma in particolare sulle quattro principali direttrici della legge di riforma:

- il potenziamento dei processi di trasformazione della città esistente, per migliorare la qualità e funzionalità del patrimonio edilizio esistente e ammodernare e ampliare i servizi pubblici e le dotazioni territoriali ad esso funzionali;

- il riordino degli strumenti di pianificazione e negoziali, per ricercare il rafforzamento della governance dei sistemi di regolazione del territorio e per assicurare lo sviluppo sostenibile della comunità regionale;

- l’integrazione delle politiche abitative nella pianificazione urbanistica, allo scopo di concorrere, attraverso gli strumenti di piano e con le metodologie proprie dell’urbanistica, alla risoluzione delle esigenze abitative delle fasce sociali meno abbienti e di quelle che comunque non possono accedere alle abitazioni in proprietà o in locazione ai valori di mercato;

- il miglioramento dell’efficienza del sistema di pianificazione territoriale e urbanistica, attraverso misure volte alla semplificazione degli elaborati costitutivi e all’accelerazione dei tempi di predisposizione e approvazione dei piani.

Con successivi interventi tematici saranno forniti gli ulteriori approfondimenti che risultassero necessari per una corretta e omogenea applicazione delle disposizioni della L.R. n. 6 del 2009.

Il presente lavoro è frutto di un’ampia e approfondita attività di presentazione e di dibattito con la società regionale sui contenuti della legge, che intendiamo proseguire e rafforzare nel futuro come garanzia di qualità ed efficacia delle leggi regionali, in vista della predisposizione del testo unico delle disposizioni regionali in materia di governo del territorio.

 

ALLEGATO

INDICAZIONI ILLUSTRATIVE DELLE INNOVAZIONI IN MATERIA DI GOVERNO DEL TERRITORIO INTRODOTTE DAI TITOLI I E II DELLA L.R. N. 6 DEL 2009.

 

INDICE:

1. Premessa

2. La qualificazione delle aree urbanizzate

2.1. La riforma della legge regionale n. 19 del 1998

2.2. Le misure premiali per la qualificazione del patrimonio edilizio esistente (art. 7-ter LR 20/2000)

2.3. La riduzione del consumo di suolo (art. 26, co. 2, lett. e), e art. 28, co. 2, lett. b), LR 20/2000)

3. Il riordino della disciplina sul governo dei processi di trasformazione del territorio

3.1. La sostenibilità ambientale dei processi di pianificazione

3.1.1 Il rafforzamento dei principi di sostenibilità ambientale e territoriale delle scelte di pianificazione (art. 1, co. 1, lett. a); art. 2, co. 2, lett. f)-bis; art. 6, co. 2, lett. b), LR 20/2000)

3.1.2. Il miglioramento della funzionalità del quadro conoscitivo  (art. 4 e art. 17 LR 20/2000)

3.1.3. La valutazione ambientale dei piani. (art. 5 LR 20/2000)

3.1.3.1. Il recepimento della disciplina comunitaria e nazionale in materia di VAS

3.1.3.2. La semplificazione della disciplina attraverso l’applicazione dei principi di integrazione e non duplicazione

3.1.3.3. Le semplificazioni dei contenuti della Valsat

3.1.3.4. Le varianti minori esentate dalla valutazione ambientale

3.1.3.5. I PUA che non necessitano di valutazione ambientale

3.2. La governance dei processi di pianificazione

3.2.1. Gli accordi territoriali. (art. 13, co. 3-ter, e art. 15 LR 20/2000)

3.2.2. Gli ambiti ottimali per l’esercizio delle funzioni di pianificazione e i piani intercomunali (art. 13, co. 3 e 3-bis, LR 20/2000)

3.2.3. Gli incentivi alla pianificazione intercomunale. (art. 48, co. 4 e 5, LR 20/2000)

3.3. La revisione della disciplina degli altri strumenti negoziali

3.3.1. Gli accordi con i privati (art. 18 LR 20/2000)

3.3.2. Gli accordi di programma  (art. 40 LR 20/2000)

3.4. La revisione del ruolo e della funzione degli strumenti di pianificazione territoriale e Urbanistica

3.4.1. Il PTR (art. 23 LR 20/2000)

3.4.2. Il PTCP (art. 26 LR 20/2000)

3.4.3. Il PSC (art. 28 e art. A-4, co. 3, LR 20/2000)

3.4.4. Il POC (art. 30 LR 20/2000)

3.4.5. Il RUE (art. 29 LR 20/2000)

3.4.6. Gli atti di indirizzo e coordinamento tecnico (art. 16 LR 20/2000)

3.5. Le modifiche al procedimento di formazione e approvazione del RUE e del PUA 3.5.1. Il procedimento per i RUE contenenti la disciplina particolareggiata del territorio (art. 33 LR 20/2000)

3.5.2. Le innovazioni al procedimento di approvazione dei PUA (art. 35 LR 20/2000)

3.6. Il passaggio dagli strumenti urbanistici tradizionali ai nuovi strumenti di pianificazione e le misure di salvaguardia

3.6.1. L’interpretazione autentica dell’art. 41 (art. 57 LR 6/2009)

3.6.2. L’applicazione della salvaguardia a tutti i piani e la modifica della durata della stessa (art. 12 LR 20/2000)

3.6.3. La contemporanea adozione di PSC e RUE (art. 43, co. 3, LR n. 20/2000)

4. L’edilizia residenziale sociale (ERS)

4.1. L’ERS tra gli obiettivi e i contenuti primari della pianificazione (art. 7-bis e art. A-6-bis LR 20/2000)

4.2. Il concorso degli operatori alla realizzazione dell’ERS (art. A-6-ter LR 20/2000)

4.3. Le modalità di realizzazione degli alloggi di ERS (art. A-6-ter LR 20/2000)

5. La semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti

5.1. L’integrazione delle fonti normative, l’omogeneità della disciplina edilizia e la semplificazione degli elaborati costitutivi dei piani

5.2. Il procedimento unico per l’approvazione delle opere pubbliche e di interesse pubblico (artt. 36-bis e ss. LR 20/2000

5.3. La riduzione dei tempi di svolgimento del procedimento di pianificazione (art. 14, co. 2, e art. 37 LR 20/2000

5.4. La variante speciale per le attività produttive già insediate nel territorio urbanizzato (art. A-14-bis LR 20/2000

1. Premessa

La presente circolare ha l’obiettivo di fornire una prima illustrazione delle principali innovazioni apportate alle leggi regionali nel campo del governo del territorio dalla L.R. 6 luglio 2009, n. 6 (Governo e riqualificazione solidale del territorio) – di seguito denominata “legge di riforma” o “legge n. 6”.

 Si tratta di un provvedimento complesso, di sessantacinque articoli, che è intervenuto a riordinare l’insieme delle disposizioni regionali in materia. Per agevolarne la corretta interpretazione, la presente circolare ricostruisce le tematiche generali affrontate dal testo legislativo ed evidenzia le principali innovazioni apportate, per gli aspetti che attengono alla qualificazione delle aree urbanizzate e al governo dei processi di trasformazione del territorio. Con successivi interventi tematici o attraverso pareri interpretativi su singole disposizioni, si potranno sviluppare con maggiore completezza e approfondimento le specificità degli istituti giuridici introdotti dalla legge di riforma, tra cui si possono ricordare, in via esemplificativa, la disciplina dell’edilizia residenziale sociale (ERS) e le misure urbanistiche premiali per incentivare la qualificazione del patrimonio edilizio esistente.

Per evidenti esigenze di semplificazione del linguaggio, i richiami normativi si riferiscono direttamente alle disposizioni delle leggi regionali (n. 19 del 1998 e n. 20 del 2000) come modificate dalla legge di riforma.

2. La qualificazione delle aree urbanizzate

 La legge n. 6 ha voluto ampliare gli strumenti a disposizione del Comune per promuovere e governare i processi di riqualificazione dei tessuti urbani. A tale scopo il legislatore ha inteso, da una parte, rinnovare la disciplina degli interventi di riqualificazione urbana, di cui alla legge regionale n. 19 del 1998, portando a compimento l’integrazione di tali strumenti operativi nella pianificazione urbanistica comunale; dall’altra, ha introdotto un potente strumento per promuovere l’attivazione di processi diffusi di sostituzione o qualificazione del patrimonio edilizio esistente, privo di valore storico artistico e che necessita di un adeguamento tecnologico e funzionale.

 Il Comune dispone, dunque, a seguito dell’approvazione della legge di riforma, di entrambe le leve per favorire i processi urbanistici di qualificazione delle aree urbane: sia la possibilità di pianificare e attuare rilevanti processi di riqualificazione di parti significative della città, che presentino caratteri di degrado ambientale, architettonico sociale ed economico ovvero di aree dismesse da rifunzionalizzare; sia l’incentivazione di interventi diretti sul patrimonio edilizio esistente, per attuarne la sostituzione o il recupero, migliorandone la qualità architettonica, strutturale ed energetica e farlo meglio rispondere alle esigenze di sicurezza, accessibilità per i portatori di handicap, ammodernamento degli impianti tecnologici, ecc.

 Inoltre, allo scopo di spingere maggiormente le amministrazioni comunali verso l’attivazione di questi processi di qualificazione degli ambiti urbanizzati e ricercare, allo stesso tempo, una significativa riduzione dell’impatto sul territorio e sull’ambiente dello sviluppo residenziale e produttivo delle comunità locali, la legge n. 6 ha inteso introdurre nella pianificazione meccanismi per ridurre significativamente il consumo di suolo e favorire il riuso e l’addensamento dei tessuti urbani.

2.1. La riforma della legge regionale n. 19 del 1998

A. L’ambito di applicazione della L.R. n. 19 del 1998. La legge n. 6 ha innanzitutto confermato l’impianto della legge regionale n. 19 del 1998, a partire dai principi fondamentali cui la stessa è improntata:

- la priorità che la pianificazione urbanistica deve porre ai processi di riqualificazione piuttosto che per l’espansione delle urbanizzazioni;

- la necessità di attivare processi di partenariato pubblico-privato per intervenire sulle aree urbanizzate, sia per il coinvolgimento diretto dei proprietari degli immobili oggetto dell’intervento sia per individuare gli operatori privati chiamati a realizzare i lavori necessari, attraverso procedure ad evidenza pubblica, volte anche a verificare il possesso della capacità tecnica e finanziaria richiesta dalla legge per la realizzazione degli interventi di riqualificazione.

La prima modifica è rivolta ad assicurare una maggiore integrazione dei programmi di riqualificazione nel sistema normativo del governo del territorio. All’art. 1, commi 2-bis e 2-ter, della L.R. n. 19 del 1998, si è così chiarito che i programmi di riqualificazione possono essere ancora predisposti ed elaborati ai sensi del Titolo I della medesima legge solo nei Comuni ancora dotati di PRG, approvato ai sensi della L.R. n. 47 del 1978, e nell’osservanza dei limiti quantitativi e qualitativi alle varianti al medesimo strumento ancora attuabili ai sensi dell’art. 41 della L.R. n. 20 del 2000.

 Una volta approvato il PSC sarà possibile realizzare interventi di riqualificazione urbana secondo quanto previsto dalla medesima legge n. 20 del 2000, che, in estrema sintesi, assegna al PSC il compito della individuazione degli ambiti da assoggettare a riqualificazione e al POC, eventualmente seguito da un PUA, la regolamentazione di dettaglio di detti interventi.

A tale scopo, infatti, la legge di riforma ha provveduto ad integrare i contenuti del POC relativo agli ambiti di riqualificazione, introducendo nei commi da 2-bis a 2-quinquies dell’articolo 30 della L.R. n. 20 del 2000 quanto previsto dalla L.R. n. 19 del 1998 circa i contenuti minimi del programma di riqualificazione urbana. Naturalmente, secondo la regola generale stabilita dall’art. 31, comma 1, della L.R. n. 20 del 2000, il POC potrà stabilire l’intera disciplina urbanistica degli interventi di riqualificazione ovvero rinviare a uno o più PUA, di iniziativa pubblica o privata, la definizione della loro disciplina attuativa.

B. Le principali modifiche agli interventi di riqualificazione. Le restanti innovazioni apportate alla L.R. n. 19 del 1998, richiamate nella legge 20 del 2000, riguardano l’esigenza di una maggiore qualificazione dei processi di formazione e approvazione dei programmi di intervento, in termini di:

a) adeguatezza delle valutazioni urbanistiche su cui si fondano;

b) un maggior coinvolgimento dei soggetti direttamente coinvolti dai processi di trasformazione;

c) un significativo miglioramento della qualità progettuale, architettonica e urbanistica, degli interventi;

d) la riforma della società di trasformazione urbana quale strumento giuridico utilizzabile per la gestione del processi di riqualificazione.

a) Quanto al primo profilo, la legge di riforma stabilisce che la delibera di individuazione degli ambiti da assoggettare a riqualificazione urbana debba essere assunta ad esito di un processo conoscitivo e valutativo, descritto dall’art. 2, commi 1-bis e 2-bis, diretto ad individuare le criticità presenti nel territorio urbanizzato e i fabbisogni di dotazioni territoriali e di servizi e gli interventi urbanistici ambientali ed edilizi che si rendono conseguentemente necessari.

Gli esiti di tali analisi sono raccolti in un apposito documento istruttorio, il “Documento programmatico per la qualità urbana” che fissa le priorità di interesse pubblico a cui dovranno essere subordinate le successive procedure partecipative, concorsuali o negoziali, di cui all’articolo 3 per la definizione dei partner e dei contenuti dei Programmi di riqualificazione urbana.

b) Questo processo di definizione degli ambiti da riqualificare e degli obiettivi di pubblico interesse da perseguire deve essere svolto assicurando la massima partecipazione e cooperazione dei soggetti pubblici e privati interessati, nelle forme più idonee individuate dall’Amministrazione comunale, con particolare attenzione al coinvolgimento dei cittadini che risiedono o operano nell’ambito di intervento ovvero negli ambiti contigui interessati dagli effetti della riqualificazione. Delle proposte avanzate da tali soggetti si dovrà tener conto in sede di determinazione dei contenuti del programma di riqualificazione urbana (art. 4, comma 1, della L.R. n. 19 del 1998).

c) La terza innovazione apportata al processo di formazione dei programmi di riqualificazione urbana risponde all’esigenza di elevare la qualità progettuale degli interventi da esso regolati ed, in generale, di migliorare la qualità architettonica ed ambientale delle nostre città, attraverso il ricorso allo strumento del concorso di architettura. Si prevede così che il Consiglio comunale, sin dalla delibera di individuazione degli ambiti di cui all’art. 2 della L.R. n. 19 del 1998, possa stabilire la necessità di svolgimento di un concorso di architettura per l’attuazione del Programma di riqualificazione negli ambiti di intervento particolarmente significativi, allo scopo di selezionare la soluzione progettuale che meglio interpreta gli obiettivi di qualità perseguiti.

d) La legge di riforma, infine, ha provveduto alla completa riscrittura della disciplina delle società di trasformazione urbana (art. 6 della L.R. n. 19 del 1998), per adeguarla alle esperienze giuridiche maturate negli anni scorsi e alla giurisprudenza intervenuta in materia, allo scopo di consentire ai soggetti pubblici e privati coinvolti di regolare attraverso uno strumento societario i complessi rapporti che intercorrono tra loro, di vigilare sulla corretta attuazione degli interventi e di concorrere alla definizione delle vicende che possono generarsi nel corso dell’attuazione del programma.

Innanzitutto, viene chiarito che i proprietari degli immobili oggetto della riqualificazione possono partecipare alla società attraverso il conferimento dei medesimi beni e che la STU, per l’esecuzione dei lavori, può avvalersi di un socio privato operativo, selezionato tramite procedura di evidenza pubblica diretta ad accertare il possesso dei requisiti di qualificazione richiesti dalla legge; la STU può curare direttamente la realizzazione degli interventi ovvero attraverso le procedure di evidenza pubblica di cui all’art. 3, comma 1, della L.R. n. 19 del 1998; ovvero attraverso appalto di opere pubbliche, secondo le normative vigenti, in ciò confermando l’interesse pubblico agli interventi.

2.2. Le misure premiali per la qualificazione del patrimonio edilizio esistente (art. 7-ter LR 20/2000)

Il secondo volano messo a disposizione dei Comuni dalla legge di riforma per attivare processi diffusi di qualificazione dei tessuti urbani è costituito dalla possibilità di stabilire significativi incentivi per la realizzazione di interventi diretti sul patrimonio edilizio esistente.

A tale scopo è stato introdotto a regime, tra i principi fondamentali della pianificazione, il meccanismo posto alla base delle misure straordinarie operanti fino al 31 dicembre 2010, assunte in attuazione dell’accordo per il rilancio dell’attività economica mediante la promozione degli interventi edilizi, sottoscritto il 1° aprile scorso dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali (TITOLO III della Legge n. 6)..

Il nuovo art. 7-ter della L.R. n. 20 del 2000 richiede ai Comuni di promuovere, attraverso il Rue, gli interventi diretti al recupero del patrimonio edilizio esistente, sia esso ad uso abitativo ovvero con diversa destinazione (produttiva, commerciale, ricettiva ecc.), attraverso il riconoscimento di incentivi volumetrici e altre forme di premialità. Queste misure incentivanti devono essere subordinate al fatto che gli interventi edilizi così attivati consentano di realizzare la qualificazione del patrimonio edilizio stesso, per i profili che sono elencati, in via esemplificativa, dal comma 2 della medesima disposizione, in quanto tale rigenerazione dei tessuti urbani esistenti costituisce di per sé un obiettivo di interesse pubblico. Tali incentivi possono essere stabiliti dal Rue in misura progressiva, qualora l’intervento realizzi livelli prestazionali superiori allo standard minimo previsto dalla normativa vigente.

Così il RUE, in taluni ambiti del territorio comunale o per taluni fabbricati, caratterizzati da condizioni di degrado edilizio, potrà stabilire appositi incentivi per promuovere, per esempio, l’adeguamento o miglioramento sismico degli edifici, in applicazione della normativa tecnica per le costruzioni. Inoltre il RUE potrà prevedere incentivi progressivi, ricollegati per esempio al raggiungimento di livelli di efficienza energetica superiori ai requisiti minimi previsti dalle norme in vigore.

Le previsioni del RUE dovranno comunque osservare la disciplina relativa agli edifici di valore storico-architettonico, culturale e testimoniale, di cui all’articolo A-9 dell’Allegato alla L.R. n. 20 del 2000, ed essere coerenti con i caratteri storici, paesaggistici, ambientali ed urbanistici degli ambiti ove edifici sono ubicati. Tali incentivi potranno riguardare, nel rispetto delle cautele appena sottolineate, tutto il territorio urbanizzato, compresi gli edifici del centro storico che, ai sensi del comma 4 dell’art. A-7 della medesima legge, il PSC dichiari privi di carattere culturale o testimoniale e per i quali valuti necessari l’eliminazione degli elementi incongrui e significativi interventi per superare il degrado urbanistico ed edilizio in essere.

Il Comune è anche impegnato a ricercare modalità di semplificazione e accelerazione del procedimento per il rilascio dei relativi titoli abilitativi, ferma restando la necessità di operare puntuali verifiche sulle opere realizzate ai sensi della L.R. n. 31 del 2002.

2.3. La riduzione del consumo di suolo (art. 26, co. 2, lett. e), e art. 28, co. 2, lett. b), LR 20/2000)  

Una significativa spinta allo sviluppo prioritario dei processi di trasformazione del territorio urbanizzato, attraverso i due strumenti fin qui esaminati, deriverà concretamente dalla previsione di una specifica disciplina pianificatoria per la riduzione del consumo dei suoli.

La legge regionale n. 20 del 2000, nel suo testo originale, ha introdotto all’art. 2, comma 2, lettera f) l’obiettivo generale secondo cui il consumo di territorio non urbanizzato può essere ammesso solo quando non sussistano alternative derivanti dalla sostituzione dei tessuti insediativi esistenti ovvero dalla loro riorganizzazione e riqualificazione. Questa affermazione di principio non è stata accompagnata però da specifiche prescrizioni volte alla verifica della sua osservanza. La L.R. n. 6, facendo tesoro delle prime sperimentazioni in tal senso operate da alcune Province, ha stabilito che i PTCP, nel definire i bilanci delle risorse territoriali e ambientali, debba fissare i criteri e le soglie dell’uso del territorio, stabilendo in particolare le condizioni e i limiti al consumo di suolo non urbanizzato (art. 27, comma 2, lettera e), della L.R. n. 20 del 2000). A tale scopo le Provincie potranno far leva anche sulla propria funzione di coordinamento dei POC, per quanto attiene alla programmazione pluriennale dell’attuazione delle previsioni dei PSC, di cui all’art. 26, comma 4, della L.R. n. 20 del 2000.

Inoltre, con il nuovo comma 2, lettera b), dell’art. 28 della L.R. n. 20 del 2000 si prescrive alla pianificazione comunale di rispettare comunque i criteri e limiti stabiliti dal PTCP. Accanto a ciò, si richiede al PSC di individuare analiticamente quali fabbisogni potranno essere soddisfatti dal POC attraverso il consumo di nuovo territorio, per l’assenza di alternative insediative all’interno del territorio urbanizzato, e quali nuovi insediamenti potranno essere disciplinati dal POC stesso solo attraverso interventi sull’esistente. In tal modo, si stabilisce per la redazione del piano strutturale, un preciso onere di motivazione delle scelte di piano, per la verifica del soddisfacimento di questo obiettivo generale. Tali considerazioni, attenendo agli effetti ambientali e territoriali del piano, non possono che confluire nel documento di Valsat del PSC ed essere sottoposte alla valutazione di cui all’art. 5 della L.R. n. 20 del 2000.

3. Il riordino della disciplina sul governo dei processi di trasformazione del territorio

 Il secondo obiettivo generale perseguito dalla legge di riforma è di riordinare il sistema delle disposizioni regionali in materia di governo delle trasformazioni del territorio. Tali innovazioni hanno riguardato quindi la L.R. n. 20 del 2000 e hanno trovato il proprio primario riferimento nelle attività di pianificazione e nelle esperienze amministrative di attuazione di questa legge regionale, ovvero dalla necessità di recepire la normativa comunitaria e nazionale e la giurisprudenza di legittimità intervenute nel corso della sua vigenza.

 In tal modo, se la maggior parte delle modifiche hanno l’obiettivo di correggere i problemi applicativi riscontrati e di portare ad una maggiore definizione i principi e le scelte operate dal legislatore del 2000; talune altre modifiche sono dirette a dare fondamento legislativo a prassi applicative comunque rispondenti ad esigenze reali riscontrate nella pratica urbanistica; talune innovazioni, infine, rispondono alla necessità di adeguare le previsioni originarie alla normativa sovraordinata e alla giurisprudenza sopravvenute, per quanto ciò, in certi casi, abbiano comportato un certo aggravamento del procedimento.

3.1. La sostenibilità ambientale dei processi di pianificazione

Si rafforza, innanzitutto, la scelta per una profonda integrazione dei principi di sostenibilità ambientale nei processi di pianificazione territoriale e urbanistica, che è uno dei primari elementi che connotano la L.R. n. 20 del 2000. A tale scopo, sono stati introdotti ulteriori precisazioni e puntualizzazioni nell’ambito degli obiettivi generali che devono essere perseguiti dalla pianificazione (3.1.1.) e si è intervenuto sulla disciplina del quadro conoscitivo, per renderlo uno strumento, oltre che efficace nella rappresentazione e valutazione del territorio pianificato, anche agile e di maggiore ausilio per gli operatori, in modo da costituire un effettivo parametro di riferimento per le scelte operate (3.1.2.). Infine è stata completamente rivista la disciplina sulla valutazione ambientale dei piani, alla luce della intervenuta direttiva comunitaria in materia e della legislazione statale di recepimento (3.1.3.).

3.1.1. Il rafforzamento dei principi di sostenibilità ambientale e territoriale delle scelte di pianificazione (art. 1, co. 1, lett. a); art. 2, co. 2, lett. f)-bis; art. 6, co. 2, lett. b), LR 20/2000)

La legge di riforma ha inteso ribadire la scelta molto innovativa del 2000 per una pianificazione territoriale e urbanistica sostenibile, introducendo talune importanti sottolineature nell’ambito dei principi fondamentali della pianificazione.

Così, all’art. 1, in apertura della L.R. n. 20 del 2000, si è voluto introdurre la nozione etica di sostenibilità ambientale, precisando che il primo obiettivo della disciplina sulla tutela e l’uso del territorio è di far sì che la pianificazione operi per il risparmio delle risorse territoriali, ambientali ed energetiche, in modo che il benessere della popolazione della regione non comporti un pregiudizio per la qualità della vita delle future generazioni.

Un analogo richiamo all’esigenza di promuovere anche con la pianificazione l’efficienza energetica e l’utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili è stato introdotto tra le funzioni e gli obiettivi della pianificazione (art. 2, comma 2, lettera f-bis).

 Va poi ascritta alla medesima esigenza, di limitare l’impatto dello sviluppo economico e sociale sull’ambiente, la disciplina per la riduzione del consumo del territorio, richiamata in precedenza al punto 2.3.

Occorre, infine, sottolineare l’importante inclusione, tra i limiti e le condizioni di sostenibilità cui può essere subordinata l’attuazione degli interventi di trasformazione ai sensi dell’art. 6 della L.R. n. 20 del 2000, della presenza di infrastrutture per la mobilità, in particolare su ferro, già programmate o esistenti, per favorire la mobilità e ridurre il consumo del territorio. In questo modo si ribadisce ancora una volta che la pianificazione deve legare lo sviluppo insediativo, e dunque l’edificabilità dei suoli, alla realizzazione di quelle condizioni che ne rendano compatibili gli impatti, tra cui vanno annoverati anche i sistemi di mobilità ed in particolare il trasporto collettivo su ferro.

3.1.2. Il miglioramento della funzionalità del quadro conoscitivo (art. 4 e art. 17 LR 20/2000)

L’intervento della legge di riforma sulla disciplina del quadro conoscitivo non ha avuto l’obiettivo di modificarne la rilevanza nei processi di pianificazione, ma solo quello di consentire a questo strumento di adempiere meglio alle funzioni per cui è stato previsto, quale strumento conoscitivo e valutativo del territorio, volto a costituire un diretto e necessario riferimento per verificare la coerenza e la sostenibilità delle previsioni di piano. L’esigenza che la legge ha cercato di soddisfare è quella di una maggiore efficienza ed economicità nella predisposizione di tale elemento costitutivo dei piani, assicurando ad un tempo una più netta coerenza tra gli strumenti di pianificazione e una rafforzata collaborazione tra i livelli istituzionali.

Si è pertanto ribadito il principio che la Regione, le Province e i Comuni debbano predisporre il quadro conoscitivo dei propri strumenti di pianificazione secondo criteri di massima semplificazione, tenendo conto dei contenuti e del livello di dettaglio richiesto dallo specifico campo di interesse del piano e recependo il quadro conoscitivo dei livelli sovraordinati, per evitare duplicazioni nell’attività conoscitiva e valutativa e di elaborazione dello stesso.

 Inoltre sempre per non ripetere le valutazioni territoriali, ma anche per assicurare la piena coerenza tra i diversi livelli e strumenti di pianificazione è stabilito che il quadro conoscitivo:

a) del PTR deve essere utilizzato dall’insieme degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica per definire gli scenari di sviluppo sostenibile del territorio regionale;

b) del PTCP è il riferimento necessario per la pianificazione urbanistica, per quanto attiene ai tematismi attribuiti nel pieno dominio di tale strumento: ambiente, paesaggio, sistemi infrastrutturali di scala sovracomunale, sistema insediativo, servizi e dotazioni di area vasta (v. successivo punto 3.4.2.);

c) del PSC costituisce il riferimento necessario per il POC e per i PUA e per ogni altro atto o provvedimento di governo del territorio.

 In termini di semplificazione del sistema si è dunque chiarito che il quadro conoscitivo del PTCP, integrato dai dati conoscitivi e delle analisi resi disponibili dagli altri soggetti di cui all’art. 17 della L.R. n. 20 del 2000, devono costituire il primario riferimento per i Comuni per la predisposizione del quadro conoscitivo del PSC e che gli stessi dovranno attuare integrazioni e approfondimenti solo nel caso in cui risultino indispensabili per la definizione di specifiche previsioni del piano.

In secondo luogo, si è precisato che il POC e il PUA non necessitano di un quadro conoscitivo autonomo e devono far riferimento a quello facente parte integrante del PSC, fatta salva, evidentemente, la possibilità di attuare quegli approfondimenti specialistici e puntuali che risultassero indispensabili per supportare specifiche previsioni del POC, per i quali lo stesso PSC abbia rinviato allo strumento di maggior dettaglio.

Per favorire questo interscambio di elementi conoscitivi e valutativi del territorio, è stato modificato l’articolo 17 della L.R. n. 20 del 2000, specificando che la Regione, le Province ed i Comuni provvedono a rendere disponibili e agevolmente utilizzabili, attraverso gli strumenti tecnologici, il quadro conoscitivo e la Valsat dei propri strumenti nonché le analisi, gli approfondimenti e le informazioni utilizzate per la loro elaborazione, al fine di consentire il loro impiego da parte degli altri strumenti di pianificazione, secondo quanto appena ricordato.

3.1.3. La valutazione ambientale dei piani (art. 5 LR 20/2000)  

3.1.3.1. Il recepimento della disciplina comunitaria e nazionale in materia di VAS

Com’è noto la L.R. n. 20 aveva recepito la direttiva comunitaria in materia di valutazione strategica dei piani e programmi (VAS) in corso di predisposizione all’atto della sua approvazione. E’ stata fatta così la scelta di integrare la valutazione ambientale del piano nell’ambito del processo di formazione degli strumenti territoriali e urbanistici, ponendo in capo all’amministrazione procedente l’onere di elaborare un apposito documento costituente parte integrante del piano, la Valsat, nella quale individuare, descrivere e valutare, alla luce delle ragionevoli alternative, i prevedibili impatti ambientali e territoriali conseguenti alla attuazione delle sue previsioni. Questo elaborato deve accompagnare l’intero iter di formazione e approvazione del piano ed essere aggiornato all’atto di ogni variazione dello stesso. Sulla Valsat, come su ogni altro elaborato del piano, l’amministrazione procedente raccoglie tutti i contributi e le proposte avanzate dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di pianificazione (ove prevista), dal pubblico, dalle autorità chiamate ad esprimere il proprio parere sul piano e dal livello sovraordinato: Provincia o Regione, che partecipano alla formazione e approvazione dello strumento, esprimendosi sui suoi contenuti, in sede di riserve, osservazioni o intesa finale.

La direttiva in materia di Vas è stata approvata nel 2001 (Direttiva 2001/42/CE) e lo Stato Italiano ha provveduto a recepirla con il Decreto legislativo n. 152 del 2006, completamente sostituito, per la parte in esame, dal decreto legislativo n. 4 del 2008.

Questa direttiva ha carattere “procedurale”: per garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente, essa non stabilisce prestazioni o limiti quantitativi da rispettare, ma richiede che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione dei piani siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione.

A tale scopo, fissa adempimenti minimi da osservare per lo svolgimento della valutazione ambientale dei piani. In particolare, per assicurare la trasparenza dell’iter decisionale e la completezza e affidabilità delle informazioni su cui poggia la valutazione, richiede che la valutazione sia contrassegnata:

- dalla consultazione dei soggetti competenti in materia ambientale e dalla partecipazione al procedimento del pubblico (cioè dei cittadini);

- da una specifica motivazione delle scelte di piano, con la quale sia data evidenza a come si sia tenuto adeguatamente conto delle considerazioni ambientali (c.d. dichiarazione di sintesi), e dalla definizione di un programma di monitoraggio dell’attuazione del piano;

- dalla completa informazione e messa a disposizione dei documenti ambientali utilizzati per la valutazione, dei pareri espressi e della decisione assunta.

Il recepimento della Direttiva in materia di VAS ha, di conseguenza, imposto al legislatore regionale una parziale revisione della procedura di approvazione dei piani in sede di approvazione della legge n. 6, dal momento che le previsioni della L.R. n. 20 del 2000, pur prevedendo la valutazione ambientale del piano, non soddisfano in toto quanto prescritto dalla direttiva e dai decreti di recepimento, circa gli adempienti e le fasi procedurali obbligatori.

Anzi, i decreti legislativi di recepimento hanno acuito tale problema, avendo introdotto un ulteriore figura non prevista dalla Direttiva, l’autorità competente, chiamata a concorrere all’istruttoria preliminare della valutazione ambientale e ad assumere gli atti che integrano l’insieme dei contributi e valutazioni di cui dovrà tener conto l’amministrazione procedente in sede di approvazione del piano.

La Regione, per evitare il blocco dei processi di pianificazione in corso, con una legge regionale di prima applicazione, la n. 9 del 2008, e con una circolare esplicativa, emanata il 12 novembre 2008, ha individuato l’autorità competente per i diversi piani e ha recepito nell’ordinamento regionale quanto disposto dalla direttiva e dai decreti di recepimento. E’ apparso tuttavia indispensabile, in attesa di una legge regionale organica in materia di VAS, procedere nell’ambito della legge di riforma a un più completo recepimento, al fine di assicurare la certezza e uniformità dell’azione amministrativa nel campo del governo del territorio.

3.1.3.2. La semplificazione della disciplina attraverso l’applicazione dei principi di integrazione e non duplicazione  

 La legge n. 6 ha improntato il recepimento della disciplina sulla valutazione ambientale dei piani a criteri di massima semplificazione, dando piena applicazione ai principi di integrazione e non duplicazione, introdotti con particolare enfasi dalla stessa direttiva in materia di VAS, proprio per evitare un eccessivo aggravamento delle procedure di approvazione dei piani (1).

Si è innanzitutto confermata la scelta, già operata dalla L.R. n. 20 del 2000, di non ricorrere per i piani territoriali e urbanistici ad una autonoma procedura di VAS, eventualmente preceduta dalla verifica di assoggettabilità, ma di integrare la valutazione ambientale nel procedimento di formazione del piano. Viene riconosciuto a tal fine al documento di Valsat il valore di rapporto ambientale, con il quale l’amministrazione procedente raccoglie e porta a sintesi le valutazioni sugli effetti ambientali del piano.

In tal modo per ciascun piano si continua a seguire il procedimento di elaborazione ed approvazione previsto dalla L.R. n. 20 del 2000, integrato da quegli adempimenti e attività richiesti ai fini della valutazione ambientale dall’art. 5 della medesima legge. La valutazione ambientale diviene parte qualificante del processo di formazione e approvazione di tutti gli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica, fatti salvi i casi di varianti minori e di PUA esclusi dalla valutazione, secondo quanto specificato ai successivi paragrafi 3.1.3.4. e 3.1.3.5.

Sempre applicando il principio di integrazione, si è confermata la scelta già operata dalla L.R. n. 9 del 2008 di individuare l’autorità competente nell’amministrazione che si esprime obbligatoriamente sui piani, la Provincia per i piani comunali e la Regione per i piani provinciali, in modo da assicurare che tali enti si esprimano sulla sostenibilità ambientale dello strumento di pianificazione con lo stesso provvedimento stabilito dalla L.R. n. 20 del 2000 (2). Di conseguenza, anche la valutazione ambientale va espressa, dalla Provincia o dalla Regione, entro i medesimi termini previsti per l’assunzione del provvedimento appena richiamato, i quali però decorrono dal momento in cui siano stati forniti alle medesime autorità tutti gli elementi conoscitivi e valutativi richiesti dalla normativa comunitaria e nazionale (come specificato alla successiva lettera b).

Inoltre, il principio di non duplicazione consente di stabilire che le procedure di deposito, pubblicazione, partecipazione e consultazione, previste per i piani territoriali e urbanistici, sostituiscono ad ogni effetto gli analoghi adempimenti previsti ai fini della valutazione ambientale (art. 5, comma 6, lettera a).

Per soddisfare i restanti requisiti procedurali previsti dalla normativa comunitaria e nazionale, richiamati al paragrafo precedente, l’art. 5 della L.R. n. 20 del 2000 richiede di integrare le ordinarie procedure con i seguenti adempimenti:

a) ai fini della consultazione dei soggetti competenti in materia ambientale, per i POC e per i PUA in variante al POC, si prescrive ai Comuni di trasmettere loro il piano adottato per acquisirne il parere, entro i termini e con le modalità per la presentazione delle osservazioni al piano (art. 5, comma 6, lettera b). Occorre, tuttavia, considerare che buona parte dei soggetti competenti in materia ambientale corrispondono alle Autorità chiamate, secondo la legislazione urbanistica nazionale, ad esprimere il loro parere sui medesimi piani: pertanto appare necessario, sempre in applicazione del principio di integrazione e di non duplicazione della valutazione, che dette autorità esprimano un unico parere sul piano, il quale potrà essere raccolto nelle forme estremamente semplificate appena ricordate ovvero secondo le modalità previste dalla L.R. n. 20 del 2000 (3).

La medesima procedura da seguire si ritiene debba essere seguita nell’ipotesi - considerata dalla legge marginale e per questo neppure disciplinata espressamente – di PUA non in variante al POC, da sottoporre a valutazione ambientale in quanto non rientrante nei casi di cui al comma 4 dell’art. 5 della L.R. n. 20 del 2000, esaminati nel successivo paragrafo 3.1.3.5.

Per quanto attiene ai PTCP e PSC, l’art. 5 della L.R. n. 20 del 2000 non richiede alcun specifico adempimento, in quanto ritiene sufficiente la partecipazione dei soggetti competenti alla conferenza di pianificazione ai sensi dell’art. 14, comma 3, e l’invio agli stessi del piano adottato, ai sensi rispettivamente dall’art. 27, comma 4, e dell’art. 32, comma 4, con l’invito ad esprimersi, ai fini della valutazione ambientale, nei tempi del deposito e in coerenza con la posizione già espressa in sede di conferenza di pianificazione;

b) per consentire alla Regione e alla Provincia, in veste di autorità competente, di esprimersi sulla valutazione ambientale del piano, avendo conoscenza degli esiti della consultazione dei soggetti competenti in materia ambientale e della partecipazione dei cittadini, l’art. 5, comma 7, richiede che le stesse abbiano esaminato le osservazioni relative alla valutazione ambientale del piano. Dalla disposizione, di diretta derivazione comunitaria e statale (4), consegue che:

- l’amministrazione procedente deve inviare all’autorità competente le osservazioni pertinenti alla valutazione degli effetti ambientali del piano adottato;

- che i termini perentori per l’emanazione del provvedimento con il quale Regione e Provincia si esprimono in merito alla valutazione ambientale decorrono dalla data di invio delle medesime osservazioni;

c) per assicurare la conoscibilità del parere dell’autorità competente sulla valutazione ambientale e della decisione finale con cui l’autorità titolare del piano ha tenuto conto delle considerazioni ambientali, ai fini dell’approvazione del Piano, i commi 7 e 2 dell’art. 5 sottolineano rispettivamente che l’atto con il quale la Regione e la Provincia esprimono il loro parere ambientale deve dare “specifica evidenza a tale valutazione” e che “gli atti con i quali il piano viene approvato danno conto, con la dichiarazione di sintesi, degli esiti della Valsat, illustrano come le considerazioni ambientali e territoriali sono state integrate nel piano e indicano le misure adottate in merito al monitoraggio”;

d) gli obblighi di informazione e messa a disposizione del pubblico dei documenti ambientali, dei pareri espressi e della dichiarazione di sintesi, sono assolti:

- con le ordinarie forme di deposito per la libera consultazione del piano approvato, avendo cura di depositare anche gli atti con i quali la Regione e le Province si esprimono in merito alla Valsat, e con la pubblicazione sul BUR dell’avviso dell’avvenuta approvazione;

- con la pubblicazione anche sul sito WEB delle autorità interessate, degli atti con i quali la Regione e le Province si esprimono in merito alla Valsat, della dichiarazione di sintesi e delle misure per il monitoraggio (art. 5, comma 8).

3.1.3.3. Le semplificazioni dei contenuti della Valsat

Il comma 3 dell’art. 5, in applicazione del principio di non duplicazione delle valutazioni introduce importanti elementi di semplificazione dei contenuti della Valsat, che vanno nella direzione di fare di questo elaborato del piano un efficace strumento valutativo, che agevoli sia l’attività del decisore che dei soggetti chiamati a dare attuazione al piano, evidenziando rispetto alle sole decisioni assunte dal piano quali specifici effetti ambientali e territoriali ne potranno derivare.

Per evitare duplicazioni della valutazione, tale disposizione stabilisce, infatti, che la Valsat deve avere ad oggetto solo le prescrizioni del piano e le direttive per l’attuazione dello stesso, valutando poi gli effetti di sistema, alla luce degli esiti della valutazione dei piani sovraordinati e dei piani cui si porti variante. La Valsat deve pertanto considerare i reali effetti sull’ambiente che derivano direttamente dalle politiche e obiettivi stabiliti dal piano, oltre che dalle singole previsioni che ne derivano, tenendo conto delle interazioni di sistema che le scelte operate producono.

 Sempre a fini di semplificazione e di coerenza tra i processi di pianificazione, si dispone poi che per la predisposizione della Valsat sono utilizzati, se pertinenti, gli approfondimenti e le analisi già effettuati e le informazioni raccolte nell’ambito degli altri livelli di pianificazione o altrimenti disponibili.

Le analisi e valutazioni contenute nella Valsat devono essere adeguate, dunque, alle conoscenze disponibili, ma anche al livello di approfondimento proprio di ciascun livello di pianificazione. Pertanto, sempre l’art. 5, comma 3, consente all’amministrazione procedente, di tener conto che “talune previsioni e aspetti possono essere più adeguatamente decisi e valutati in altri successivi atti di pianificazione di propria competenza, di maggior dettaglio, rinviando agli stessi per i necessari approfondimenti”. Ciò opera sia con riguardo alle previsioni del piano generale (regionale, provinciale e comunale) rispetto ai piani settoriali dello stesso livello territoriale, sia con riguardo al PSC rispetto ai piani urbanistici operativi ed attuativi, rimanendo fermo che ciascun livello di pianificazione deve garantire una compiuta valutazione dei profili e delle tematiche che attengono alla sua competenza e, ai fini dell’approvazione di ciascuno strumento, deve considerare compiutamente gli effetti delle prescrizioni e direttive stabilite dallo stesso.

Grazie a tale semplificazione, la Valsat è ricondotta alla sua funzione essenziale, di strumento che individua, descrive e valuta i potenziali impatti solo delle effettive scelte operate dal piano e che individua le misure idonee per impedire, mitigare o compensare tali impatti alla luce delle possibili alternative e tenendo conto delle caratteristiche del territorio, degli scenari di riferimento descritti dal quadro conoscitivo di cui all’articolo 4 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile perseguiti con il medesimo piano (art. 5, comma 2).

3.1.3.4. Le varianti minori esentate dalla valutazione ambientale

Sempre in applicazione del principio di non duplicazione della valutazione, il comma 5 dell’art. 5 individua, in modo tassativo, le varianti minori ai piani che, non presentando significativi ambiti di discrezionalità nei loro contenuti, non comportano la necessità della valutazione ambientale. Tali varianti, infatti, non riguardano, con contenuto innovativo, le tutele e le previsioni sugli usi e le trasformazioni dei suoli e del patrimonio edilizio esistente stabiliti dalla pianificazione vigente. Esse infatti non comportano effetti significativi sull’ambiente in quanto non modificano le scelte localizzative, i dimensionamenti e le caratteristiche degli insediamenti o delle opere già previsti e valutati dai piani variati.

Il comma 5 individua, in particolare, le varianti che hanno come unico contenuto:

a) rettifiche degli errori materiali;

b) modifiche della perimetrazione degli ambiti di intervento, che non incidono in modo significativo sul dimensionamento e la localizzazione degli insediamenti, delle infrastrutture e delle opere ivi previsti;

c) modifiche delle caratteristiche edilizie o dei dettagli costruttivi degli interventi;

d) modifiche necessarie per l’adeguamento del piano alle previsioni localizzative immediatamente cogenti contenute negli strumenti nazionali, regionali o provinciali di pianificazione territoriale, di cui è già stata svolta la valutazione ambientale;

e) la più puntuale localizzazione, ai fini dell’apposizione del vincolo espropriativo, di opere già cartograficamente definite e valutate in piani sovraordinati o la reiterazione del vincolo espropriativo.

3.1.3.5. I PUA che non necessitano di valutazione ambientale

Nella considerazione che anche i PUA di mero recepimento delle previsioni dei POC non comportano effetti significativi sull’ambiente, il comma 4 dell’art. 5 ha stabilito una speciale procedura che, nella piena garanzia dei principi e delle esigenze procedurali stabilite dalla normativa comunitaria e nazionale, consente di esentarli dalla valutazione ambientale. La disposizione prevede che la Provincia, nel provvedimento con il quale si esprime sulla compatibilità ambientale del POC può valutare che il medesimo POC abbia integralmente disciplinato, ai sensi dell’articolo 30, gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e trasformazione del territorio da esso previsti, valutandone compiutamente gli effetti ambientali e che, pertanto, i PUA che non comportino variante al POC non debbano essere sottoposti alla procedura di valutazione, in quanto meramente attuativi dello stesso piano.

L’esenzione dei PUA che non comportino variante al POC è dunque rimessa, di norma, all’apprezzamento della Provincia, caso per caso, circa la sussistenza o meno nel POC dei requisiti appena ricordati.

 Per meglio chiarire la portata di tale disposizione, il comma 6 individua un caso limite in cui certamente si produce tale condizione, stabilendo che, nell’esaminare il POC che presenti tali caratteristiche, la Provincia è tenuta all’espressione della pronuncia di esenzione dalla valutazione del PUA. In tal modo, sono comunque esentati dalla valutazione ambientale «i PUA attuativi di un POC, dotato di Valsat, se non comportano variante e il POC ha definito l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti planivolumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi, dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni previste».

A tal proposito è opportuno che i Comuni all’atto della trasmissione del PUA alla Provincia specifichino se lo stesso debba essere sottoposto o meno a valutazione ambientale (in quanto si tratta di PUA in variante al POC ovvero pur essendo meramente attuativo del POC non rientri nei casi appena richiamati) fornendo i necessari elaborati.

3.2. La governance dei processi di pianificazione

Il secondo caposaldo della pianificazione fissato dalla L.R. n. 20 del 2000, atteneva alla necessità che le amministrazioni nella loro attività di governo del territorio si attenessero al metodo della concertazione istituzionale (art. 13), di modo che gli strumenti di pianificazione fossero elaborati attraverso il confronto con gli altri livelli istituzionali e con gli altri soggetti che esercitano funzioni di tutela e regolazione del territorio. Allo stesso modo, la definizione degli assetti territoriali e degli interventi di trasformazione potevano essere accompagnati da accordi tra amministrazioni e tra queste ed i privati, per ricercare la massima coerenza e condivisione sugli stessi.

La legge di riforma prosegue nel medesimo percorso, ampliando gli strumenti di cooperazione tra enti e prevedendo, anzi, l’obbligatorietà della concertazione preventiva per la determinazione di politiche o di interventi di interesse strategico.

3.2.1. Gli accordi territoriali (art. 13, co. 3-ter, e art. 15 LR 20/2000)  

La prima preoccupazione del legislatore è stata di sviluppare un efficace sistema di governo del territorio multilivello, mosso in ciò, prim’ancora che da considerazioni teoriche, dalla constatazione pratica che l’azione amministrativa può portare a risultati di qualità e alla celere ed efficace realizzazione di interventi di rilievo strategico solo attraverso la stretta collaborazione di tutti e tre i livelli istituzionali.

All’art. 13, comma 3-ter, della L.R. n. 20 del 2000 è stata introdotta una modalità per evitare che questa attività di coordinamento sia episodica e rimessa alla sola iniziativa degli enti interessati, stabilendo che il PTR, il PTCP e gli altri strumenti di pianificazione e programmazione regionale e provinciale individuino gli elementi e i sistemi territoriali per i quali, l’avvio dei processi di regolazione territoriale e urbanistica richiede la preventiva conclusione di accordi territoriali, ai sensi dell’articolo 15, tra Regione, Provincia e Comune territorialmente interessati.

La medesima disposizione specifica anche le finalità e l’oggetto che detti accordi devono perseguire: essi hanno lo scopo di realizzare un migliore coordinamento nella definizione delle politiche territoriali e nella programmazione e attuazione degli interventi attuativi nonché di assicurare l’assunzione negli strumenti di pianificazione di scelte strategiche condivise, anche attraverso la programmazione di ulteriori momenti negoziali.

In considerazione di questa necessaria rilevanza delle scelte strategiche di rilievo sovracomunale, l’art. 15, comma 1-bis, precisa, sotto il profilo soggettivo, che sia la Provincia che la Regione debbano necessariamente partecipare alla stipula degli accordi territoriali di cui all’art. 13, comma 3-ter, appena ricordati, e di quelli che prevedano l’assunzione dell’impegno ad avviare procedure di variante agli strumenti di pianificazione provinciali o regionali. Ciò per evitare che Provincia e Regione siano coinvolti solo in fase attuativa di tali processi di concertazione, nel momento in cui si procede al loro recepimento negli strumenti di pianificazione, trovandosi preclusa la possibilità di dare il proprio contributo alla fase di elaborazione e definizione dei contenuti dell’accordo e potendosi soltanto esprimere sulla variante.

Ne deriva, dunque, un preciso obbligo di legge del coinvolgimento della Provincia e della Regione ad accordi di rilievo sovracomunale, nei seguenti casi:

- sia della Regione che della Provincia, per gli accordi con cui si convengano scelte pianificatorie che dovranno essere recepite con varianti al PTCP e, a maggior ragione, per gli accordi che implichino la modifica di strumenti regionali;

- della Regione o della Provincia o di entrambe negli accordi, diversi dai precedenti, che tocchino aspetti definiti espressamente di interesse strategico sovracomunale da atti di pianificazione o programmazione, regionali o provinciali.

La prima ipotesi risponde dunque ad un criterio oggettivo e di facile accertamento (essendo legato alla previsione o meno nell’accordo di una successiva variante a piani provinciali o regionali); la seconda è una ipotesi residuale, che ricorre solo nel caso in cui l’accordo sia espressamente previsto da un piano o programma provinciale e regionale (5).

3.2.2. Gli ambiti ottimali per l’esercizio delle funzioni di pianificazione e i piani intercomunali (art. 13, co. 3 e 3-bis, LR 20/2000)  

A scala comunale, l’impegno della legge di riforma è stato quello di potenziare gli strumenti che consentano l’esercizio associato dell’attività di pianificazione e delle funzioni amministrative nel campo del governo del territorio, con particolare riguardo ai Comuni caratterizzati dalla limitata dimensione demografica.

Il comma 3, come sostituito, dell’art. 13 della L.R. n. 20 del 2000 introduce, anzi, la possibilità per il PTR e per il PTCP di individuare ambiti ottimali per l’esercizio di dette funzioni in forma associata, previa intesa con le amministrazioni interessate. Si attribuisce, cioè, alla Provincia e alla Regione, attraverso un processo di pianificazione che veda il pieno coinvolgimento delle amministrazioni coinvolte, l’individuazione di ambiti che, presentando una contiguità insediativa ovvero una stretta connessione funzionale nei sistemi urbani, necessitino di particolari forme di cooperazione.

Effetto di tali perimetrazioni, è che i Comuni interessati dovranno predisporre i loro strumenti di pianificazione urbanistica in forma associata ovvero elaborare ed approvare piani urbanistici intercomunali.

Per facilitare l’esercizio associato delle funzioni in parola, la legge n. 6 ha disciplinato, infatti, questo nuovo istituto, in grado di semplificare in modo significativo il complesso quadro degli strumenti di pianificazione: a differenza dei piani associati, che rimangono comunque distinti e seguono autonome procedure di formazione e approvazione, per quanto elaborati e predisposti secondo metodologie ed uffici di piano comuni, il piano intercomunale diviene un unico strumento che opera per tutto il territorio dei comuni associati, con evidenti effetti positivi, in termini di semplificazione, uniformità e coordinamento delle politiche territoriali.

Il piano intercomunale presuppone un’intesa preliminare di ordine politico organizzativo, avente lo scopo di designare il Comune capofila, incaricato di redigere il piano intercomunale, e di definire le forme di partecipazione di ciascun ente all’attività tecnica di predisposizione del piano e alla ripartizione delle relative spese.

L’accordo definisce anche le modalità con cui gli organi politici esplicano le loro funzioni nel corso dell’iter di formazione dello strumento, per quanto riguarda sia il potere di impulso e indirizzo delle Giunte dei Comuni interessati, sia l’espressione dell’intesa sulle previsioni del piano intercomunale da parte dei Consigli comunali, nel rispetto degli Statuti comunali e delle norme statali e regionali che regolano il funzionamento delle forme associative.

In tale ottica di semplificazione procedurale anche l’art. 14, comma 7-bis, prevede espressamente che l’accordo di pianificazione sia sottoscritto solo dalla Provincia e dal Comune capofila, richiedendo tuttavia che quest’ultimo acquisisca preventivamente l’assenso delle altre amministrazioni comunali interessate.

In carenza di specifiche indicazioni, si ritiene che a livello intercomunale possano essere approvati e gestiti tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica.

Il comma 3-bis dell’art. 13 ha cura di precisare che il piano intercomunale può essere assunto dai Comuni facenti parte degli ambiti ottimali appena richiamati, sia come modalità volontaria di esercizio delle funzioni di pianificazione in forma associata.

3.2.3. Gli incentivi alla pianificazione intercomunale (art. 48, co. 4 e 5, LR 20/2000)  

Come la legge n. 20 del 2000 e i conseguenti programmi di finanziamento regionali per la promozione della pianificazione avevano espresso una precisa preferenza nei riguardi della pianificazione associata, considerando prioritario il finanziamento da parte della Regione degli strumenti che presentassero questa modalità di formazione, la legge di riforma, in modo ancor più netto, riserva detti incentivi finanziari esclusivamente per l’elaborazione e approvazione degli strumenti di pianificazione urbanistica intercomunali, da parte delle Unioni di Comuni e delle Nuove Comunità Montane. Il nuovo art. 48, comma 1, della L.R. n. 20 del 2000 richiede in particolare che il Comune abbia effettuato il conferimento “stabile ed integrato” della funzione comunale di elaborazione, approvazione e gestione degli strumenti di pianificazione urbanistica a favore di una di queste forme associative, ai sensi dell’articolo 14 della legge regionale 30 giugno 2008, n. 10 (Misure per il riordino territoriale, l’autoriforma dell’amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni).

Appare evidente, dunque, la spiccata preferenza del legislatore per il piano intercomunale come modalità ordinaria per l’esercizio della funzione pianificatoria nei piccoli Comuni, con particolare riguardo a quelli montani, in modo da raggiungere, attraverso stabili forme di cooperazione, l’adeguato livello organizzativo e funzionale necessario per la gestione di tali compiti.

3.3. La revisione della disciplina degli altri strumenti negoziali

Tra gli istituti innovativi della L.R. n. 20 del 2000, gli accordi con i privati e gli accordi di programma hanno evidenziato sin dall’inizio la loro capacità di incidere sui processi di pianificazione. Essi segnano infatti il passaggio da una gestione del territorio per atti unilaterali dell’Autorità pubblica ad una definizione negoziale, e dunque condivisa, di obiettivi e modalità di intervento. Non si vuol qui negare che anche in precedenza le previsioni urbanistiche trovassero il proprio fondamento, in via di fatto, in intese tra i portatori di interessi pubblici e privati. La rilevante differenza con il passato è che, da una parte, detti accordi hanno efficacia giuridica vincolante per le parti che li stipulano; dall’altra, che gli stessi devono essere assunti secondo modalità di formazione e approvazione che garantiscono la trasparenza e la imparzialità dell’azione pubblica, l’individuazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, la definizione degli oneri e dei vantaggi che fanno capo a ciascun partecipante.

Inoltre, sin dalla prima fase di sperimentazione di tali atti negoziali è apparso altresì evidente il contributo che gli stessi potevano portare per immettere nella pratica urbanistica una maggiore concorrenzialità tra gli operatori e per ridurre la rendita fondiaria, legando l’assegnazione dell’edificabilità delle aree all’effettivo contributo dato da ciascun operatore allo sviluppo e alla qualificazione delle dotazioni territoriali e ai servizi pubblici, secondo un criterio di progressività e di premialità.

La legge di riforma è intervenuta, dunque, solo per consolidare la disciplina degli articoli 18 e 40 della legge n. 20 del 2000, e per definire meglio l’ambito di applicazione e i requisiti degli accordi, cercando di introdurre, ove possibile, miglioramenti e semplificazioni della loro procedura approvativa.

3.3.1. Gli accordi con i privati (Art. 18 LR 20/2000)  

A. La natura e gli effetti degli accordi con i privati. Gli accordi tra l’amministrazione procedente e i privati, di cui all’art. 18, si ascrivono alla categoria dei così detti “accordi procedimentali o preliminari” e trovano la loro disciplina generale di riferimento nell’art. 11 della legge n. 241 del 1990. Essi vanno inquadrati tra le forme di partecipazione qualificata al procedimento di formazione e approvazione dei piani (6), per assicurare:

- la condivisione dei contenuti del provvedimento di pianificazione, da parte dei destinatari dello stesso e dunque di coloro che sono chiamati a darvi attuazione (7);

- la realizzazione di un risultato di interesse generale ulteriore, e di più elevata qualità, rispetto a quanto è esigibile con gli ordinari precetti legislativi, ai sensi in particolare dell’art. A-26 della L.R. n. 20 del 2000.

L’accordo di cui all’art. 18 ha natura preliminare “in senso stretto”, in quanto la sua sottoscrizione non può impegnare definitivamente l’amministrazione comunale ad assumere nello strumento urbanistico da approvarsi quel determinato assetto urbanistico concordato con il privato. Le scelte urbanistiche sono, infatti, l’esito di un complesso procedimento che vede: lo svolgimento di fasi di concertazione istituzionale; l’intervento qualificato di diversi enti pubblici (8) e la partecipazione del pubblico attraverso la presentazione di osservazioni. Un accordo preliminare che prima dell’adozione del piano già ne ipotecasse i contenuti, finirebbe per rendere inutili tali apporti collaborativi e risulterebbe, dunque, in contrasto con i principi che informano il procedimento di pianificazione (9).

La legge di riforma ha voluto chiarire tale natura dell’accordo, specificando all’art. 18, comma 3, ultimo periodo, che l’accordo è subordinato alla condizione sospensiva del recepimento dei suoi contenuti nella delibera di adozione dello strumento di pianificazione, cui accede, e della conferma delle sue previsioni nel piano approvato. La Giunta comunale si impegna nei confronti dei privati sottoscrittori a proporre e ad promuovere la conclusione dell’iter approvativo del piano, con i contenuti concordati; il privato si obbliga nei confronti dell’amministrazione ad adempiere agli impegni assunti con l’accordo, ove sia approvato l’assetto insediativo concordato; ma l’efficacia dell’accordo è subordinata alla condizione che il Consiglio comunale, nella sua piena autonomia, recepisca i suoi contenuti nel piano adottato e approvato.

Qualora si realizzi tale condizione, l’accordo acquista efficacia a decorrere dalla data di sottoscrizione, nel caso contrario resterà privo di effetti.

Inoltre, sempre in considerazione di tale natura preliminare dell’accordo, il comma 3 dell’art. 18 ha precisato che la stipulazione dell’accordo deve essere preceduta da una determinazione dell’organo esecutivo dell’ente (la Giunta comunale, provinciale, ecc.), in quanto è l’organo che svolge le funzioni di iniziativa e impulso nel campo urbanistico e che può, di conseguenza, impegnarsi verso i terzi a promuovere l’approvazione di uno strumento avente i contenuti concordati. Tale autorizzazione a contrarre non può provenire dall’organo consiliare, la cui pronuncia preventiva, come abbiamo visto in precedenza, porrebbe nel nulla le garanzie procedurali stabilite dalla legge.

Infine, appare opportuno sottolineare che, nel rispetto dei principi generali sull’azione amministrativa, il Consiglio comunale qualora intenda non recepire nel piano adottato o in quello approvato i contenuti dell’accordo con i privati stipulato in precedenza è tenuto a motivare specificamente sul punto, indicando le ragioni per le quali ritiene di disattendere quel contenuto pianificatorio sul quale nel corso del procedimento di formazione ed approvazione del piano si sono espressi favorevolmente altri organi del medesimo ente (il Sindaco all’atto della sottoscrizione e la Giunta comunale con la deliberazione preliminare sopra richiamata).

B. I requisiti degli accordi con i privati. Le altre modifiche al testo dell’art. 18, apportate dalla legge di riforma, attengono alla precisazione dei requisiti degli accordi con i privati, per soddisfare i principi generali che soprintendono all’azione amministrativa e alla pianificazione in particolare.

Innanzitutto, gli accordi possono attenere a quei contenuti del piano che sono definiti discrezionalmente dall’amministrazione titolare del piano cui l’accordo accede, non potendo essere strumento per derogare a previsioni legislative ovvero alla pianificazione sovraordinata vigente. Inoltre gli accordi non possono comportare pregiudizio dei diritti dei terzi (art. 18, comma 1 ultimo periodo).

Sussiste, poi, uno specifico obbligo di motivazione dell’accordo, circa:

- le ragioni di rilevante interesse pubblico che giustificano il ricorso allo strumento negoziale, cioè gli specifici vantaggi che possono derivare per la comunità locale dal ricorso a detto strumento negoziale, in luogo dell’ordinaria applicazione della disciplina sugli obblighi che gravano sugli operatori, di cui all’art. A-26 della L.R. n. 20 del 2000;

- la rispondenza delle scelte di pianificazione concordate ai canoni della disciplina urbanistica e ai criteri di sostenibilità ambientale, nell’osservanza di quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 3, che richiede una esplicitazione delle motivazioni poste a fondamento delle scelte strategiche operate. Questa motivazione sui contenuti pianificatori dell’accordo deve poi dimostrare la coerenza di quanto concordato con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione, del medesimo livello istituzionale (per es. dal PSC) e di quelli sovraordinati (per es. dal PTR e dal PTCP).

L’accordo, infine, deve assicurare l’esigenza della parità di trattamento degli operatori, nel rispetto dei principi di imparzialità amministrativa, di trasparenza e di adeguata motivazione. (comma 1). Tale principio di parità di trattamento degli operatori non comporta la necessità in tutti i casi di attivare procedure concorsuali, in quanto l’amministrazione è chiamata a valutare discrezionalmente, da una parte, le rilevanti ragioni d’interesse pubblico che sottendono alla proposta progettuale d’intervento del privato, anche avanzando nella negoziazione, proposte, soluzioni e ulteriori esigenze di interesse pubblico; dall’altra, se ricorrano o meno le caratteristiche della proposta di intervento, sotto specificate, che possono richiedere il ricorso alla preventiva procedura ad evidenza pubblica.

In particolare, qualora il progetto o l’intervento del proponente si caratterizzi per la sua unicità e specificità, fornisca soluzione a specifici problemi o esigenze relative ad un certo ambito territoriale e si connoti per il rilevante interesse pubblico dell’iniziativa, appare evidente che in questo caso l’accordo non può che essere negoziato e sottoscritto con il solo soggetto proponente.

Viceversa, qualora con l’accordo di cui all’art. 18 l’Amministrazione comunale intenda perseguire un rilevante interesse pubblico per la comunità locale attraverso l’apporto dei privati, quali, a titolo meramente esemplificativo:

- la realizzazione di uno o più interventi che riguardano aree pubbliche;

- la realizzazione di dotazioni territoriali o di infrastrutture per la mobilità che potrebbero essere realizzate da privati e poi cedute al Comune a fronte dell’inserimento di determinati comparti nel POC o nella sua variante;

- l’acquisizione di idee e proposte progettuali che possono essere realizzate da una pluralità di operatori;

in questi casi la stipula dell’accordo ex art. 18 L.R. 20/2000 dovrebbe essere preceduta da una procedura ad evidenza pubblica che consenta a tutti gli operatori interessati di presentare una propria offerta; essa può pertanto assicurare la realizzazione del risultato maggiormente rispondente all’interesse della comunità locale..

3.3.2. Gli accordi di programma (art. 40 LR 20/2000)  

A. La natura e gli effetti dell’accordo di programma. L’accordo di programma svolge una funzione diversa dagli accordi con i privati, nonostante la comune natura negoziale. Esso fa parte della diversa tipologia dei cosiddetti “accordi organizzativi”, i quali trovano il loro primario riferimento normativo nell’art. 15 della legge n. 241 del 1990 (accordi tra amministrazioni). Tali accordi rispondono, infatti, all’esigenza di coordinare l’attività o le politiche di due o più amministrazioni, per realizzare, con il contributo dei sottoscrittori, risultati di interesse comune (10).

Ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 267 del 2000, gli accordi di programma ricoprono, in tale categoria di accordi organizzativi tra amministrazioni, l’ambito attinente al momento realizzativo di opere, interventi o programmi di intervento che richiedano, per la loro completa e tempestiva realizzazione, l’apporto collaborativo di due o più amministrazioni (11). Per sottolineare questo carattere attuativo degli accordi di programma la legge regionale richiede che l’amministrazione competente predisponga, a corredo dell’accordo stesso, una completa progettazione delle opere, interventi e programmi di intervento oggetto dell’accordo e gli elaborati di variante agli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica con la relativa valutazione ambientale.

La L.R. n. 20 del 2000 ha innestato nella disciplina statale la possibilità della partecipazione dei privati, purché l’insieme delle trasformazioni pubbliche e private oggetto dell’accordo rivestano rilevante interesse pubblico, a livello regionale, provinciale o comunale. La partecipazione dei privati non muta dunque la natura e gli effetti dell’accordo, purché sia verificato dai soggetti partecipanti all’accordo la piena rispondenza all’interesse generale del complesso delle trasformazioni del territorio previste dall’accordo. In tal modo il legislatore regionale ha inteso promuovere e valorizzare la realizzazione di processi di partnership pubblico-privato per attuare interventi di particolare complessità e rilevanza per la comunità locale, facendo tesoro delle esperienze amministrative derivanti dall’applicazione delle LL.RR. n. 30 del 1996, sui programmi speciali d’area, e n. 19 del 1998, sui programmi di riqualificazione. L’estensione ai privati consente infatti un più ampio coinvolgimento diretto di tutti i soggetti interessati nella realizzazioni di detti interventi complessi e permette di regolare all’interno dell’accordo l’insieme degli interessi pubblici e privati coinvolti (12).

Il nuovo comma 1-ter dell’art. 40 chiarisce l’ambito di applicazione degli accordi di programma, specificando che «la conclusione di un accordo di programma può essere promossa per la realizzazione, da parte di due o più amministrazioni pubbliche con l’eventuale partecipazione di soggetti privati, di opere, interventi o programmi di intervento di rilevante interesse pubblico».

L’accordo di programma presuppone, dunque, che due o più amministrazioni si impegnino a collaborare tra loro per la realizzazione di un’opera (pubblica o di interesse pubblico), un intervento o un programma complesso (di interventi) che presentino un rilevante interesse pubblico dal punto di vista territoriale, ambientale, economico e sociale, ecc., con l’eventuale partecipazione dei soggetti privati interessati. L’accordo di programma è l’atto negoziale con il quale i soggetti partecipanti concordano il contributo di ciascuno alla realizzazione di tale risultato di interesse generale, disciplinano il rapporto giuridico che ne deriva e le vicende legate alla sua attuazione.

In ragione della particolare rilevanza dell’interesse pubblico perseguito e della complessità dei risultati che consente di realizzare, il legislatore statale ha conferito all’accordo di programma una speciale efficacia. Esso comporta: variante agli strumenti urbanistici, l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità delle opere, esentandolo dal rilascio del titolo abilitativo edilizio.

B. Le varianti ai piani. Sulla possibilità di apportare modifiche alla pianificazione, l’art. 40 della L.R. n. 20 del 2000 precisa che:

- l’accordo può comportare la modifica di tutti gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica (comma 1),

- la variante prevista dall’accordo di programma ha lo scopo di conformare gli strumenti di pianificazione all’insieme delle opere, interventi o programmi di intervento disciplinati dall’accordo. Essa, pertanto, può riguardare le aree interessate dal progetto complessivo di trasformazione del territorio che costituisce oggetto dell’accordo, per adeguare la destinazione urbanistica, gli indici di edificabilità, le modalità di intervento, ecc. a quanto concordato e valutato nell’ambito dell’accordo. Si è così voluto chiarire che l’accordo in nessun caso può essere utilizzato esclusivamente per apportare variante ai piani vigenti, ma che la variazione degli strumenti e un effetto speciale, previsto dalla legge, che deriva dall’approvazione del progetto dell’insieme delle opere, interventi o programma di interventi oggetto dell’accordo (comma 1-bis);

- l’accordo di programma deve essere sottoscritto, oltre che dai soggetti che si impegnano a collaborare per la realizzazione delle trasformazioni del territorio oggetto dell’accordo, dall’ente titolare dello strumento di pianificazione di cui si propongono modificazioni, nonché dalla Provincia, nel caso di modifiche a piani comunali, dalla Provincia e dalla Regione, nel caso di modifiche a piani sovracomunali (comma 1-quater);

- la modifica alla pianificazione vigente è sottoposta a valutazione ambientale, ai sensi del’art. 5 della L.R. n. 20 del 2000. A tale scopo, all’accordo è allegato uno studio degli effetti della sua attuazione sul sistema ambientale e territoriale e delle misure necessarie per il suo inserimento nel territorio, integrativo della Valsat del piano da variare (comma 2 dell’art. 40). Sulla valutazione ambientale della variante, predisposta dall’amministrazione procedente, si esprime la Regione o la Provincia territorialmente competente nell’ambito dell’atto con il quale esprime il proprio assenso alla variante stessa, previa acquisizione delle osservazioni ambientali presentate (art. 5, comma 7, lettera d).

C. L’apposizione del vincolo espropriativo e l’accertamento di conformità sostitutivo del titolo edilizio.  Oltre alla possibilità di apportare varianti alla pianificazione, la disciplina statale stabiliva che l’accordo di programma comportasse la dichiarazione di pubblica utilità solo per le opere pubbliche comprese nei programmi dell’amministrazione, precisando poi che la dichiarazione di pubblica utilità cessava di avere efficacia se le opere non avessero avuto inizio entro tre anni. La legge n. 6 estende il riconoscimento della natura di interesse generale all’insieme delle trasformazioni, pubbliche e private, oggetto dell’accordo di programma. Essa consente al decreto di approvazione dell’accordo di produrre contemporaneamente l’effetto dell’apposizione del vincolo espropriativo e della dichiarazione di pubblica utilità, richiedendo a tale scopo, secondo la legislazione oggi vigente, che all’accordo sia allegato il progetto definitivo delle opere, interventi o programmi di intervento oggetto dell’accordo.

Trovano applicazione le norme regionali previste dalla L.R. n. 37 del 2002, in merito alla durata temporale di tale dichiarazione di pubblica utilità nonché alle comunicazioni ai proprietari delle aree da espropriare e agli altri adempimenti, necessari per una adeguata consultazione degli stessi, i quali devono essere attuati a seguito della conclusione della conferenza preliminare (V. in particolare l’art. 8, comma 2, e l’art. 16 della L.R. n. 37 del 2002).

Infine, occorre ricordare che la legge di riforma ha recepito la disposizione di cui all’art. 7 della L.R. n. 31 del 2002, secondo cui le trasformazioni del territorio oggetto dell’accordo non necessitano di titolo abilitativo edilizio e che, per questa ragione, l’atto con il quale il Consiglio comunale esprime l’assenso all’accordo è assunto previo accertamento, da parte del responsabile dello sportello unico per l’edilizia, della conformità del progetto alle norme urbanistiche ed edilizie, nonché alle norme di sicurezza, sanitarie e di tutela ambientale e paesaggistica.

D. Le modifiche procedurali. Accanto ai chiarimenti circa i soggetti sottoscrittori necessari dell’accordo, di cui ai commi 1-ter e 1-quater, la legge di riforma ha apportato talune importanti modifiche alla procedura di approvazione degli accordi di programma, per superare i problemi operativi riscontrati e per cercare di ampliare gli effetti di questo strumento.

Un primo ordine di modifiche attiene alla possibilità di attivare una più ampia consultazione delle amministrazione, che non prendono parte alla stipula dell’accordo ma che sono chiamate dalla legge ad esprimersi sulle trasformazioni oggetto dell’accordo, e della popolazione direttamente interessata dagli effetti delle stesse.

Il comma 2-bis prevede innanzitutto che l’amministrazione competente possa attribuire alla conferenza preliminare non soltanto il compito di acquisire l’assenso di massima di tutti i soggetti chiamati a sottoscrivere l’accordo, ma anche la funzione di verifica della assentibilità delle trasformazioni territoriali oggetto dell’accordo, da parte degli enti e organismi a cui competono le autorizzazioni, i pareri o gli altri atti di assenso, comunque denominati, richiesti dalla legge per la realizzazione delle opere o interventi oggetto dell’accordo. Questa verifica preliminare può risultare assai utile, non soltanto per accertare, sin dall’inizio del procedimento, eventuali valutazioni negative o fattori impeditivi che sconsiglino la prosecuzione del procedimento, ma anche per acquisire tutti quei contributi e proposte che, adeguatamente accolte con la ridefinizione dei contenuti dell’accordo, possono consentire un percorso approvativo più rapido e certo.

L’amministrazione procedente può così trovare utile, registrata una valutazione preliminare positiva da parte di questi soggetti, attivare assieme al procedimento di conclusione dell’accordo, uno dei procedimenti disciplinati dalla legge che consente la raccolta di ogni atto di assenso richiesto per la realizzazione delle trasformazioni oggetto dell’accordo. Infatti, dando applicazione ai principi di integrazione e non duplicazione ciò consentirà di realizzare significative semplificazioni: svolgendo un’unica procedura di pubblicazione del progetto, valevole anche ai fini VIA e della procedura espropriativa; convocando ad esito della fase di presentazione delle osservazioni un’unica conferenza di servizi che raccolga e sostituisca, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato, di competenza delle amministrazioni partecipanti o comunque invitate a partecipare alla conferenza stessa. A tale scopo potrà applicarsi la disciplina regionale relativa alla VIA, di cui alla L.R. n. 9 del 1999, qualora l’accordo preveda la realizzazione di progetti soggetti a valutazione ambientale, ma anche la disciplina generale sulla conferenza di servizi, di cui all’art. 14 e ss. della legge n. 241 del 1990, nonché il procedimento unico di cui agli articoli 36-ter e seguenti della L.R. n. 20 del 2000.

In secondo luogo si consente, all’amministrazione che promuove l’accordo, di definire modalità e tempi per l’informazione e la partecipazione dei cittadini residenti e operanti nelle aree interessate dall’intervento, in modo da svolgere una più ampia consultazione del pubblico sui contenuti dell’accordo. Tali processi partecipativi, oltre a rispondere ad esigenze generali di maggiore trasparenza e pubblicità sui contenuti dell’accordo, può anch’essa concorrere in modo rilevante ad evitare l’insorgenza di quel clima di diffidenza e di conflittualità che ostacola spesso la realizzazione dei più rilevanti processi di trasformazioni del territorio.

 Un terzo ordine di modifiche tende a specificare meglio le fasi e le modalità per l’espressione dell’assenso alla conclusione dell’accordo da parte degli organi istituzionalmente competenti, con l’obiettivo di semplificarne le forme, per superare le difficoltà applicative riscontrate in passato ([13]).

 Con l’ultimo periodo del comma 2 la legge di riforma ha, innanzitutto, chiarito che il rappresentante di ogni ente sottoscrittore dell’accordo deve essere legittimato ad esprimere l’assenso preliminare all’accordo, attraverso la determinazione dell’organo istituzionalmente competente ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’ente. Ciò sia per rispettare quanto disposto dall’art. 14-ter, comma 6, della legge n. 241 del 2000, ma anche nella considerazione che l’attivazione del complesso iter approvativo dell’accordo deve essere fondato su un pronuncia favorevole da parte di tutti gli enti partecipanti, per evitare che il dissenso o le richieste di rilevanti modifiche espresse in fase conclusiva rimettano in discussione l’intera attività amministrativa già svolta.

La legge n. 6 ha voluto poi semplificare la fase conclusiva, di sottoscrizione dell’accordo, stabilendo che:

- non occorra acquisire un nuovo pronunciamento dell’organo istituzionalmente competente qualora non siano apportate modifiche sostanziali rispetto alla proposta di accordo assentita ai fini della conferenza preliminare. In tal modo si riconosce per legge ai rappresentanti degli enti sottoscrittori di poter apportare all’accordo quelle modifiche che risultino indispensabili per la perfetta condivisione dei suoi contenuti, ovvero per adeguare la proposta di accordo alle osservazioni presentate, ai rilievi emersi in sede di valutazione ambientale, alle proposte e rilievi espresse dalle amministrazioni convocate ai sensi del comma 2-bis, ecc., senza la necessità di una nuova approvazione dei contenuti dell’accordo da parte degli organi competenti di tutti i partecipanti, ove non se ne mutino i contenuti essenziali. Naturalmente a tali fini appare essenziale che l’accordo stesso definisca sin dall’inizio quali siano i contenuti essenziali la cui modifica richieda la nuova determinazione degli enti e dunque i margini di autonomia riconosciuti ai soggetti delegati;

- quand’anche occorra una nuova pronuncia degli organi istituzionalmente competenti, la legge di riforma ha precisato che la stessa può essere espressa sia prima della sottoscrizione dell’accordo sia a ratifica, entro trenta giorni dalla data di sottoscrizione, a pena di decadenza. Si è, in tal modo, prevista la possibilità di superare le rilevanti difficoltà operative derivanti dalla precedente formulazione dell’art. 40, comma 6, che riproduceva il dettato legislativo statale dell’art. 34 del D.Lgs del 2000, imponendo la sola procedura di ratifica, da concludere entro trenta giorni a pena di decadenza. Questa limitazione aveva comportato notevoli difficoltà operative, specialmente nei casi di accordi su opere lineari, in variante a numerosi piani urbanistici, attesa la difficoltà di portare il testo definitivo dell’accordo all’esame di tutti i Consigli comunali interessati entro un così breve termine, pena l’invalidazione dell’intero accordo.><p> 3.4. La revisione del ruolo e della funzione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica Un ulteriore obiettivo della legge di riforma è stato quello di mettere a punto la disciplina degli strumenti di pianificazione introdotti dalla L.R. n. 20 del 2000, alla luce dell’esperienza applicativa di questi anni. L’elemento comune ravvisabile in queste modifiche è quello di accentuare i caratteri peculiari di ciascuno strumento, eliminando quelle previsioni del 2000 che ancora ne rendevano incerta se non contraddittoria la specifica fisionomia. Questo intervento è stato diretto a superare definitivamente la così detta “pianificazione a cascata” e un marcato rapporto gerarchico tra i piani: dopo la legge di riforma è ancor più netta la distinzione dei ruoli e delle competenze di ciascun livello istituzionale e di ciascuno strumento. Analogamente, le modifiche hanno rimarcato l’abbandono del modello tradizionale unico di piano urbanistico, il PRG, evidenziando le funzioni proprie dei diversi strumenti. Per esaminare tali riforme appare utile ripercorrere l’intero sistema di pianificazione, rilevando le principali modifiche apportate e le accentuazioni dei caratteri connotativi dei diversi piani che ne sono derivati. 3.4.1. Il PTR (art. 23 LR 20/2000) Si è innanzitutto consolidata la natura del Piano Territoriale Regionale (PTR) di strumento di programmazione, che definisce gli scenari e gli obiettivi di sviluppo sostenibile della società regionale, in quanto snodo tra le strategie europee e nazionali di sviluppo del territorio e la programmazione e pianificazione delle diverse realtà territoriali della regione. A tale scopo, è stato abrogato il comma 4 dell’art. 23 che consentiva al PTR di dettare prescrizioni, espresse attraverso una rappresentazione grafica atta a individuare puntualmente gli ambiti interessati e che prevaleva sulle diverse previsioni contenute negli strumenti provinciali e comunali. Il ruolo dello strumento regionale generale è ora solo quello di piano di indirizzi e direttive, volto ad orientare la pianificazione di settore e quella provinciale e comunale e, più in generale, le politiche di governo del territorio delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi strategici da esso stesso definiti. 3.4.2. Il PTCP (art. 26 LR 20/2000) Per il piano generale della Provincia si è rafforzata la sua funzione di “piano territoriale di area vasta”, con l’attribuzione allo stesso di un preciso dominio per le tematiche territoriali che non possono essere adeguatamente governate a scala comunale, in quanto coinvolgono interessi di rilievo sovracomunale. Nello sforzo di differenziare con maggior nettezza le funzioni dei diversi livelli istituzionali si è quindi richiamato, in apertura dell’art. 26, il principio di tassatività delle competenze provinciali affermato dall’art. 9, comma 2, lettera c): il PTCP definisce l’assetto del territorio «limitatamente agli interessi sovracomunali, che attengono alle materie e sistemi ivi elencati». Il comma 2 rimarca tale delimitazione del ruolo del piano provinciale, sottolineando che il PTCP assolve alla funzione di “indirizzo e coordinamento per la pianificazione urbanistica comunale” ma solo “ai fini dell’attuazione di quanto previsto al comma 1”. In altre parole, questo piano può svolgere compiti di indirizzo e coordinamento della pianificazione comunale, limitatamente alle materie elencate al comma 1 e per assicurare l’attuazione delle proprie previsioni. Quanto al campo di competenza del PTCP, l’elencazione introdotta dalla legge di riforma richiama tutte le tematiche di area vasta che hanno visto in questi anni crescere e consolidarsi il ruolo della pianificazione provinciale: a) il paesaggio; b) l’ambiente; c) le infrastrutture per la mobilità; d) i poli funzionali e gli insediamenti commerciali e produttivi di rilievo sovracomunale; e) il sistema insediativo e i servizi territoriali, di interesse provinciale e sovra comunale. L’elencazione si conclude con una clausola generale residuale, fondata anch’essa sulla tassatività delle competenze provinciali: “ogni altra materia per la quale la legge riconosca espressamente alla Provincia funzioni di pianificazione del territorio”. Al secondo comma viene confermata la precedente esemplificazione delle principali funzioni del PTCP nelle materie appena richiamate, con l’importante sottolineatura della possibilità di stabilire condizioni e limiti al consumo del territorio non urbanizzato, esaminata al precedente paragrafo 2.3. 3.4.3. Il PSC (art. 28 e A-4, co. 3, LR 20/2000) Con le modifiche apportate dalla legge di riforma si sono accentuate le differenze del PSC rispetto al PRG: già in apertura nel nuovo secondo periodo del comma 1 dell’art. 28 si afferma con nettezza che PSC “non attribuisce in nessun caso potestà edificatoria alle aree né conferisce alle stesse una potenzialità edificatoria subordinata all’approvazione del POC”. Si esclude, dunque, in modo radicale che le previsioni del piano generale comunale, ed in particolare la classificazione del territorio comunale in urbanizzato, urbanizzabile e rurale, possano creare aspettative edificatorie giuridicamente tutelate. Anche nel territorio urbanizzabile, per quanto non venga esclusa l’edificabilità - come avviene nel territorio rurale (salvo che per le esigenze delle aziende agricole ivi insediate) – ciò non di meno il piano non conferisce alle aree una vocazione edificatoria, si limita ad indicare gli ambiti che potranno essere interessati dalle previsioni dei POC, dettando limiti e condizioni di natura strutturale a tali futuri strumenti. Si sottolinea, d’altra parte, che il PSC ha invece efficacia conformativa del diritto di proprietà, limitatamente all’apposizione dei vincoli e condizioni non aventi natura espropriativa, di cui all’articolo 6, commi 1 e 2, in quanto è lo strumento che, attuando la così detta carta unica del territorio di cui all’art. 19, recepisce e coordina i limiti e le condizioni all’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici ed ambientali che derivano dai piani sovraordinati. Sempre per superare ogni specifica competenza del PSC nella definizione della edificabilità delle aree, è stata soppressa la lettera f) del comma 2 dell’art. 28, che consentiva al PSC di definire le trasformazioni che potessero essere attuate attraverso intervento diretto. Allo stesso modo è stato modificato l’art. A-4 dell’Allegato alla L.R. n. 20 del 2000 il quale prevedeva che il PSC potesse stabilire il dimensionamento delle nuove previsioni “per ciascun ambito”. Questa disposizione finiva infatti per attribuire al PSC il compito di assegnare a ciascun ambito del territorio comunale una edificabilità potenziale: la nuova formulazione richiede al PSC la definizione del dimensionamento complessivo del piano, da stabilire con riferimento all’intero fabbisogno locale ed alle indicazioni del PTCP. Di particolare interesse è il nuovo comma 3 dell’art. 28 con il quale la legge di riforma ha voluto rimarcare la differenza del PSC dal previgente PRG e dall’attuale POC, stabilendo innanzitutto che il PSC non è competente a dettare la disciplina urbanistica di dettaglio delle trasformazioni del territorio. Si è così specificato che ogni sua previsione relativa: - alla puntuale localizzazione delle nuove previsioni insediative, - agli indici di edificabilità, alle modalità di intervento, - agli usi e ai parametri urbanistici ed edilizi, non ha efficacia conformativa della proprietà, ma costituisce solo un riferimento di massima circa l’assetto insediativo e infrastrutturale del territorio comunale, la cui puntuale definizione e specificazione è operata dal piano operativo comunale, senza che ciò comporti modificazione del PSC. In altre parole, si è sanzionata l’introduzione nel PSC di puntuali prescrizioni circa la disciplina urbanistica di dettaglio in termini di inefficacia, cioè stabilendo l’inidoneità di tali previsioni del PSC ad attribuire un diritto edificatorio e ad apporre un vincolo di natura espropriativa. Dette indicazioni puntuali dovranno essere comunque intese dagli operatori, per specifica previsione legislativa, in termini di meri riferimenti di massima circa l’assetto del territorio ([14]). In tutti i casi, dunque, sarà il POC a dettare la puntuale disciplina urbanistica degli interventi ipotizzati, tenendo conto delle indicazioni del PSC, avendo solo l’onere di motivare sulle ragioni che portano l’amministrazione comunale a disattendere tali indicazioni di eccessivo dettaglio, senza che ciò comporti un contrasto con il PSC stesso. Per consentire il rapido adeguamento alle previsioni della legge di riforma anche nei Comuni già dotati di un PSC che presenti i contenuti prescrittivi in parola, l’ultimo periodo del comma 3 prevede espressamente che il meccanismo di inefficacia prescrittiva da esso introdotto opera nei riguardi anche delle previsioni dei PSC vigenti. In tal modo, i POC approvati dopo l’entrata in vigore della legge di riforma potranno anch’essi disattendere motivatamente le puntuali indicazioni urbanistiche stabilite dal Piano. Appare corretto parlare del comma 3 come una norma transitoria che consente di adattare al nuovo sistema dei piani urbanistici, voluto dalla L.R. n. 20 del 2000 e rimarcato dalla legge di riforma, i PSC costruiti secondo il modello del piano generale previgente. L’ulteriore forma di flessibilità delle previsioni del PSC introdotta dalla legge n. 6, è relativa alle perimetrazioni degli ambiti del territorio comunale. All’art. 30, comma 2, lettera a), si prevede che il POC possa apportare “rettifiche non sostanziali ai perimetri degli ambiti individuati dal PSC, purché non riguardino ambiti soggetti a disciplina di tutela”. La legge di riforma stabilisce che le perimetrazioni degli ambiti in cui si articola il territorio comunale, individuate dal PSC ai soli fini di stabilirne “[15]). gli obiettivi sociali, funzionali, ambientali e morfologici e i relativi requisiti prestazionali”(art. 28, comma 2, lettera f), hanno valore meramente indicativo, ad eccezione degli ambiti di tutela (ambientale, paesaggistica, storico culturale, ecc.), la cui modifica si è voluta riservare alle valutazioni di ordine generale del medesimo PSC. In fase attuativa il POC può adeguare tali perimetrazioni a seguito di una più approfondita considerazione delle caratteristiche del territorio e delle condizioni di fattibilità degli interventi, purché tali rettifiche non incidano in modo significativo sul dimensionamento e sulle caratteristiche territoriali, morfologiche e ambientali, degli interventi previsti (15). 3.4.4. Il POC (art. 30 LR 20/2000) Per il POC i principali obiettivi della legge di riforma sono stati quelli di chiarire gli effetti della efficacia quinquennale delle sue previsioni e di rafforzare i contenuti programmatici del piano. Inoltre, come abbiamo richiamato in precedenza al paragrafo 2.1., sono stati ampliati i contenuti del POC, qualora lo stesso disciplini gli ambiti di riqualificazione, inserendoli tra le trasformazioni da attuare nei prossimi cinque anni. A. L’efficacia quinquennale del POC. Il comma 1 dell’art. 30, dopo aver ribadito, nel primo periodo, la durata quinquennale delle previsioni del POC - che decorrono dalla data di pubblicazione sul BUR dell’avviso dell’avvenuta approvazione del piano (art. 34, comma 9) -, precisa al secondo periodo gli effetti giuridici che derivano dalla scadenza di tale arco temporale di validità: le previsioni del POC non attuate cessano di avere efficacia, “sia quelle che conferiscono diritti edificatori sia quelle che comportano l’apposizione di vincoli preordinati all’esproprio”, con la conseguente cessazione di tutte le posizioni giuridiche soggettive che ne derivano. Per evitare che la durata, spesso significativa, dei procedimenti amministrativi previsti dalla legge per i piani e provvedimenti attuativi del POC comporti la sostanziale riduzione del termine di efficacia del piano, la legge di riforma ha precisato che per evitare la decadenza del termine è sufficiente il formale avvio del procedimento attuativo, ed in particolare: a) nel caso di intervento indiretto, l’adozione dei PUA di iniziativa pubblica o la presentazione della richiesta di autorizzazione al deposito dei PUA di iniziativa privata, prescritti dal POC stesso; b) nel caso di intervento diretto, la presentazione della denuncia di inizio attività ovvero della domanda per il rilascio del permesso di costruire; c) nel caso di vincoli espropriativi, l’avvio del procedimento di approvazione di uno degli atti che comporta dichiarazione di pubblica utilità, secondo la legislazione vigente. Pertanto, una volta avviato l’iter amministrativo entro la scadenza del termine quinquennale, gli atti esecutivi del POC appena ricordati raggiungono i propri fini in conformità alle previsioni del medesimo POC, concludendo il loro iter approvativo o autorizzativo con le modalità e i tempi disposti dalla legislazione vigente. B. Il rafforzamento della funzione programmatica del POC. La seconda rilevante innovazione alla disciplina del POC riguarda il rafforzamento dei suoi contenuti di programmazione dell’attuazione delle previsioni del PSC, sia per quanto attiene alla declinazione degli obiettivi generali, delle scelte strategiche e delle priorità stabilite dal PSC, sia per quanto attiene alla verifica di fattibilità e alla programmazione operativa dei principali interventi disciplinati. Il comma 2, lettera a)-bis, richiede, infatti, tra i contenuti essenziali del POC, un apposito elaborato denominato “Documento programmatico per la qualità urbana”, il quale individua “i fabbisogni abitativi, di dotazioni territoriali e di infrastrutture per la mobilità, definendo gli elementi di identità territoriale da salvaguardare e perseguendo gli obiettivi del miglioramento dei servizi, della qualificazione degli spazi pubblici, del benessere ambientale e della mobilità sostenibile”, in coerenza con le previsioni del PSC. Tale documento, analogo a quello richiesto dalla legge di riforma per il programma di riqualificazione, attribuisce al POC un ruolo fondamentale per perseguire gli obiettivi di miglioramento dei servizi, della qualificazione degli spazi pubblici, del benessere ambientale e della mobilità sostenibile, individuando le priorità e i fabbisogni reali che appare necessario soddisfare nel medio periodo. Tale documento deve aver riguardo a parti significative della città più ampie di quelle disciplinate dal POC stesso, con l’evidente obiettivo di considerare anche gli effetti indotti non solo dalle trasformazioni regolate dal piano ma anche dalle dotazioni e infrastrutture pubbliche da esso stesso considerate indispensabili.. In tal modo, si rafforza dunque la funzione del POC di strumento di coordinamento delle politiche pubbliche e di raccordo degli interventi privati con la necessaria infrastrutturazione del territorio, mettendo in campo una strategia progettuale di medio periodo che porti a sistema l’insieme degli interventi e delle trasformazioni necessarie allo sviluppo della città, evitando che quest’ultimo derivi dalla sommatoria di processi insediativi o di trasformazione non coordinati tra loro e non supportati dal contestuale sviluppo delle necessarie dotazioni. Quanto al secondo profilo, la nuova lettera f)-bis del comma 2 richiede, sempre quale elaborato costitutivo del POC, una relazione sulle condizioni di fattibilità economico-finanziaria dei principali interventi disciplinati. Data la natura immediatamente operativa e la limitata efficacia nel tempo del POC, si vuole che tale valutazione non sia ipotetica ma che tenga conto degli scenari a breve periodo e delle condizioni concretamente presenti sul territorio. La relazione deve, infatti, essere accompagnata da un cronoprogramma, nel quale devono essere individuati i tempi, le risorse e i soggetti pubblici e privati chiamati ad attuarne le previsioni, con particolare riferimento alle dotazioni territoriali, alle infrastrutture per la mobilità e agli interventi di edilizia residenziale sociale. Non vi possono essere dubbi, dunque, sul fatto che il legislatore abbia voluto rimarcare che non possono essere ricompresi nel POC gli interventi per i quali all’atto dell’approvazione del piano non siano presenti le effettive condizioni di realizzabilità nell’arco temporale di riferimento. 3.4.5. Il RUE (art. 29 LR 20/2000) Per il solo regolamento urbanistico ed edilizio (RUE) la legge n. 6 ha apportato innovazioni dirette a modificare in modo significativo la sua funzione nel sistema degli strumenti di pianificazione. Alcune modifiche hanno attribuito al RUE, sia pure in termini facoltativi, compiti di pianificazione di talune trasformazioni ammissibili sul territorio secondo le indicazioni del PSC; altre modifiche ne hanno alleggerito i contenuti regolamentari dell’attività edilizia, a fronte del potenziamento degli atti di indirizzo, di cui al paragrafo successivo. Complessivamente il RUE ha assunto un maggior profilo urbanistico, sia pure limitato esclusivamente agli interventi diretti, abrogando quella sua funzione di raccolta e rielaborazione della normativa edilizia che attiene all’iter amministrativo per il rilascio dei titoli edilizio, alla definizione e alla disciplina generale dei parametri urbanistici ed edilizi, delle modalità di intervento, degli usi, ecc., per i quali la legge di riforma ha sentito l’esigenza di assicurare una maggiore omogeneità per tutto il territorio regionale. A. La disciplina generale delle aree edificabili e l’eventuale disciplina particolareggiata degli interventi sul patrimonio edilizio esistente. Per comprendere appieno i contenuti della prima innovazione, occorre considerare gli elementi distintivi del RUE fissati dall’art. 29, commi 1, 2 e 3: a) gli interventi da esso regolati non sono soggetti a POC e sono dunque attuati attraverso intervento diretto (comma 3); b) il RUE (comma 1) regola l’ “attività di costruzione, di trasformazione fisica e funzionale e di conservazione delle opere edilizie … e dell’ambiente urbano”, tra cui (comma 2) le trasformazioni edilizie e gli interventi diffusi relativi ad immobili che siano riconosciuti dalla legge regionale come edificabili o edificati (ambiti consolidati e patrimonio edilizio esistente) ovvero che siano vocati a soddisfare le esigenze delle aziende agricole insediate o per regolare le trasformazioni dei fabbricati già rurali che abbiano perduto i requisiti di ruralità (territorio rurale). In sintesi, il RUE disciplina esclusivamente interventi edilizi, purché realizzabili direttamente attraverso il rilascio dei titoli abilitativi. Detti interventi possono interessare solo il territorio urbanizzato (comportando la trasformazione del patrimonio edilizio esistente o il completamento dei lotti non edificati) ovvero il territorio rurale, nei limiti stabiliti dalla legge appena richiamati. Questi precisi limiti derivanti dalla legge consentono di comprendere il contenuto del nuovo comma 2-bis dell’art. 29. Il PSC può individuare, all’interno degli ambiti sopra elencati, le parti del territorio che necessitino di una disciplina particolareggiata degli usi e delle trasformazioni ammissibili, attraverso appositi elaborati cartografici e norme tecniche di attuazione, di modo da stabilire la disciplina urbanistica di dettaglio da applicare. In altre parole, tenendo conto delle caratteristiche e dei fabbisogni del territorio urbanizzato e rurale, il PSC può demandare al RUE la definizione della disciplina particolareggiata degli usi e delle trasformazioni ammissibili, (cioè la disciplina degli interventi edilizi e delle trasformazioni funzionali, i parametri edificatori, gli interventi e gli usi ammessi, ecc.), predisponendo una disciplina articolata e differenziata, maggiormente aderente alle peculiarità e alle esigenze dei diversi specifici contesti. In tali casi, il PSC, dovrà orientare efficacemente le scelte del RUE, definendo le politiche e gli obiettivi qualitativi generali di riferimento, per i diversi ambiti del territorio comunale da sottoporre a disciplina particolareggiata. Il RUE “con cartografia” assume, dunque, almeno per queste sue previsioni, la natura di strumento di pianificazione, con l’effetto di assoggettarlo ai principi che attengono al procedimento di approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, che saranno richiamati al successivo paragrafo 3.5.1. B. La semplificazione del contenuto del RUE. Una delle esigenze di semplificazione più sentite nella società regionale concerne il superamento dell’eccessiva complessità della normativa sui processi edilizi, causata dalla produzione in ciascun Comune di apparati regolamentari eccessivamente diversi tra loro, anche in realtà contermini. Questa situazione deriva dall’attribuzione alla più ampia autonomia comunale della regolazione dell’attività edilizia e dalla sedimentazione nel tempo di discipline locali fondate su atti di diversa natura ed efficacia (regolamenti, deliberazioni, determinazioni dirigenziali, circolari interne, ecc.), e su prassi applicative spesso non perfettamente aderenti al dettato normativo. Anche i RUE vigenti appaiono in taluni casi l’esito di questa precedente esperienza amministrativa, avendo spesso recepito l’insieme di tali normative comunali. Così, sin dalla L.R. n. 33 del 1990 è stata sentita dal legislatore regionale l’esigenza di uniformare la disciplina dell’attività edilizia, ancorandola a definizioni e modalità di calcolo di tutti i parametri, requisiti ed elementi urbanistici ed edilizi, uniformi e valevoli per tutto il territorio regionale e la cui interpretazione ed implementazione, anche al fine di recepire la normativa sopravvenuta, sia operata in modo unitario. Ciò avrebbe evidenti benefici anche per il sistema economico e sociale, in quanto consentirebbe agli operatori economici, ai progettisti ed anche ai singoli cittadini di poter esercitare la propria attività su tutto il territorio regionale, approcciandosi agli strumenti di pianificazione sulla base di un unico linguaggio comune. Questa riforma non comporterebbe alcuna limitazione all’autonomia di ciascuna amministrazione nella definizione dei contenuti del proprio strumento, né nella scelta dei parametri di riferimento per governare i dimensionamenti, le caratteristiche dell’edificazione, ecc.; essa richiederebbe soltanto all’intero sistema regionale di utilizzare un apparato di definizioni omogenee, secondo un lessico condiviso. Per cercare di raggiungere questo risultato la L.R. n. 20 del 2000 ha introdotto la possibilità per la Regione di emanare atti di indirizzo e coordinamento tecnico, senza però intervenire sul sistema, semplificando i contenuti dei regolamenti comunali. La legge di riforma è intervenuta sul punto, escludendo espressamente che rientrino tra i contenuti obbligatori del RUE gli apparati normativi: - descrittivi delle tipologie e delle modalità di attuazione degli interventi edilizi, in quanto le stesse sono puntualmente disciplinate dall’allegato alla L.R. n. 31 del 2002, - definitori delle destinazioni d’uso, dei parametri edilizi ed urbanistici e delle metodologie per il loro calcolo (comma 1 e comma 4, lettera a), in quanto possono essere oggetto di appositi atti di coordinamento tecnico, di cui al successivo paragrafo 3.4.6. Si ritiene che lo stesso processo di semplificazione debba essere esteso all’insieme delle disposizioni comunali di mero recepimento di provvedimenti legislativi e regolamentari statali e regionali, per consentire anche per essi un unitario processo interpretativo e di adeguamento, operante su tutto il territorio regionale. 3.4.6. Gli atti di indirizzo e coordinamento tecnico (art. 16 LR 20/2000) Come accennato al paragrafo precedente, l’art. 16 della L.R. n. 20 del 2000 ha previsto l’approvazione di atti di indirizzo e di coordinamento tecnico, allo scopo di assicurare lo sviluppo coordinato ed omogeneo dell’attività di pianificazione territoriale ed urbanistica e di regolazione dei processi edilizi. Per evitare che tale disciplina uniforme risultasse in contrasto con il principio di autonomia comunale la L.R. n. 20 del 2000 ha previsto che gli atti di indirizzo e di coordinamento tecnico siano predisposti dalla regione con l’intesa degli enti locali, espressa nell’ambio della Conferenza Regione-Autonomie locali (ora Consiglio autonomie locali) e che gli stessi siano approvati dall’Assemblea legislativa, in quanto organo rappresentativo dell’intera comunità regionale. Gli atti di indirizzo e di coordinamento tecnico possono aver riguardo: alle modalità di attuazione della legislazione regionale nel campo del governo del territorio, ai contenuti essenziali dei piani e dei relativi elaborati, alle definizioni e modalità di calcolo e di verifica degli indici, parametri, destinazioni d’uso, modalità di intervento, ecc. La legge n. 31 del 2002 ha poi ampliato l’indicazione esemplificativa delle tematiche nelle quali vi è una particolare esigenza di omogeneità dell’azione amministrativa, prevedendo l’emanazione di tali atti: per una più puntuale individuazione degli interventi edilizi, per la definizione degli elaborati progettuali; per la specificazione delle variazioni essenziali e per la disciplina dei requisiti tecnici delle opere edilizie. La legge di riforma ha affrontato la tematica dell’efficacia di questi atti, attribuendo agli stessi l’effettiva capacità di semplificare e rendere omogenea la disciplina vigente nell’intero sistema regionale. Il nuovo comma 3-bis chiarisce a tal fine che gli atti di indirizzo e di coordinamento tecnico trovano diretta applicazione, senza la necessità di un loro recepimento da parte degli enti locali. Essi possono prevalere sulle previsioni incompatibili degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica vigenti e trovare diretta applicazione fino all’eventuale recepimento nei medesimi piani. È tuttavia fatta salva la possibilità che detti atti dispongano una più graduale entrata in vigore delle proprie previsioni, attraverso una disciplina transitoria che ne regoli l’impatto sugli strumenti e atti regolamentari in essere e sui processi in corso. In conclusione, la contestuale abolizione, tra i contenuti obbligatori del RUE, degli apparati normativi descrittivi dei parametri, requisiti ed altri elementi oggetto degli atti di indirizzo (descritta al precedente paragrafo n. 3.4.5. lettera B.), evidenzia il fatto che il legislatore regionale ritiene preferibile che l’adeguamento degli strumenti di pianificazione e regolamentari non avvenga attraverso la riproduzione o la rielaborazione dei contenuti degli atti in parola, per evitare che ciò reinnesti un processo di progressiva differenziazione degli ordinamenti locali e irrigidisca il sistema, non consentendone l’interpretazione, l’implementazione e aggiornamento unitari e condivisi. 3.5. Le modifiche al procedimento di formazione e approvazione del RUE e del PUA 3.5.1. Il procedimento per i RUE contenenti la disciplina particolareggiata del territorio (art. 33 LR 20/2000) Come è stato illustrato al precedente paragrafo 3.4.5., il Rue può assumere dopo la riforma apportata dalla legge n. 6 anche i contenuti di uno strumento di pianificazione, sia pure nei rigorosi limiti fissati dalla legge. La natura ibrida che assume in tali casi questo strumento, di regolamento e di strumento di pianificazione, comporta due importanti conseguenze che contraddistinguono il regime giuridico dei piani che regolano gli usi e le trasformazioni del territorio: a) il comma 4-bis dell’art. 33 sottopone il RUE che presenti tali caratteristiche al procedimento di approvazione previsto dall’art. 34 per i POC. La principale differenza che ne deriva, rispetto al procedimento (ordinario) di approvazione del RUE è data dall’obbligo di sottoporlo alla Provincia, affinché la stessa possa, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di ricevimento, formulare riserve relativamente a previsioni del RUE che contrastino con i contenuti del PSC o con prescrizioni di piani sopravvenuti di livello territoriale più ampio. In tali casi, dunque, trova applicazione anche per il RUE il principio fondamentale dell’ordinamento appena ricordato al paragrafo precedente (3.5.1.), secondo cui per tutti i piani deve essere prevista una forma di interlocuzione provinciale; b) il RUE deve essere sottoposto a valutazione ambientale, per le parti che disciplinano gli usi e le trasformazioni ammissibili. In particolare dunque, il RUE deve vedere tra i suoi elaborati costitutivi la Valsat, riferita a dette previsioni pianificatorie, trovando applicazione tutti gli adempimenti e le fasi procedurali disciplinate dall’art. 5 della L.R. n. 20 del 2000, con riguardo al POC, ed indicate ai precedenti paragrafi 3.1.3. e seguenti (16). 3.5.2. Le innovazioni al procedimento di approvazione dei PUA (art. 35 LR 20/2000) La legge n. 6 ha riconsiderato la procedura di formazione e approvazione del PUA, apportando rilevanti modifiche, rispondenti, le une, all’esigenza di assicurare tempi certi e snelli per lo svolgimento di tale procedura; le altre, a recepire una pronuncia giurisprudenziale circa i requisiti minimi del procedimento di approvazione. A. Il termine perentorio di 60 gg. per l’autorizzazione al deposito. Per i PUA di iniziativa privata, l’articolo 35 della L.R. n. 20 del 2000 aveva sancito il principio che per gli stessi non si desse luogo ad adozione (da parte del Consiglio comunale) e che tale provvedimento di apertura del procedimento di approvazione del PUA fosse sostituito da un atto di autorizzazione al deposito del piano, rimettendo all’autonomia organizzativa comunale la definizione delle modalità di svolgimento di questa fase del procedimento. L’assenza nella legge di un termine massimo per l’assunzione dell’atto autorizzativo, ha portato in questi primi anni di applicazione a situazioni di grave incertezza e di eccessiva durata di questa fase del procedimento. La legge di riforma è intervenuta, individuando un punto di equilibrio tra le imprescindibili esigenze istruttorie del Comune e il diritto dei cittadini ad una pronuncia entro tempi certi e ragionevolmente brevi. Il comma 1, secondo periodo, dell’art. 35 stabilisce ora che il Comune deve esprimersi sulla richiesta di autorizzazione al deposito entro il termine perentorio di 60 giorni dal ricevimento della completa documentazione richiesta per il PUA. I passi procedurali che si possono individuare sono pertanto i seguenti: a) una volta ricevuta la richiesta di autorizzazione al deposito del PUA, l’amministrazione comunale dovrà verificare la completezza formale della pratica, cioè la presenza di tutti gli elaborati richiesti dalla normativa o dalla pianificazione, potendo richiedere, per una sola volta la sua integrazione, ai sensi dell’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990. Nella medesima richiesta il Comune potrà rappresentare specifiche esigenze istruttorie, richiedendo elementi di chiarimento o di integrazione degli elaborati di piano. La richiesta di integrazione interrompe i termini per provvedere sulla richiesta, visto il chiaro tenore letterale della modifica legislativa, che assegna al Comune un tempo libero di 60 giorni, decorrente dal ricevimento della documentazione completa; b) acquisiti gli elaborati richiesti, l’amministrazione comunale deve provvedere, nei successivi 60 giorni, all’esame dell’istanza di deposito e all’assunzione: - del provvedimento positivo di autorizzazione, ovvero - della comunicazione all’interessato dei motivi ostativi all’accoglimento della richiesta di deposito (c.d. preavviso di rigetto), cui segue la possibilità per gli interessati di presentare le proprie deduzioni e infine l’emanazione del provvedimento definitivo, secondo quanto previsto dall’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990. B. La conferenza di servizi obbligatoria per acquisire i pareri necessari sui PUA. La seconda innovazione riguarda sia i PUA di iniziativa privata che quelli di iniziativa pubblica e attiene alle modalità di acquisizione dei pareri obbligatori per legge. L’obiettivo del legislatore è stato quello di fissare tempi certi e rapidi per acquisire i pareri sul PUA di competenza di amministrazioni pubbliche diverse dal Comune, anche qui nella constatazione che le leggi statali che li prescrivono non fissano termini perentori per la loro emanazione, con l’effetto di una eccessiva dilatazione ed incertezza della durata di tale fase. Il comma 4, terzo periodo, dell’art. 35 stabilisce che il Comune, prima dell’invio alla Provincia del piano adottato, qualora non siano stati espressi sul PUA i pareri e gli atti di assenso comunque denominati previsti dalla legislazione vigente, convoca per la loro acquisizione una conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990. Per lo svolgimento dei lavori della conferenza di servizi è previsto un termine perentorio molto breve, di trenta giorni, in considerazione del fatto che detto parere interviene a conclusione di un articolato percorso di pianificazione urbanistica che ha visto la ripetuta partecipazione delle autorità competenti al rilascio dei pareri stessi (17). Vista la perentorietà dei termini, nel corso della prima fase di lavoro della conferenza di servizi l’amministrazione procedente, anche su istanza dei partecipanti, può per una sola volta richiedere l’integrazione della documentazione presentata e rappresentare esigenze istruttorie, interrompendo i termini di durata dei lavori della conferenza. A seguito del completo ricevimento della documentazione richiesta l’amministrazione procedente riconvoca la conferenza di servizi, i cui lavori si dovranno concludere entro il termine massimo fissato dalla legge. Trovano, pertanto, applicazione, tra l’altro, tutti i rimedi previsti dalla disciplina della conferenza di servizi, che consentono di concluderne i lavori nei termini stabiliti, anche nel caso in cui le amministrazioni non partecipino ai lavori ovvero il loro rappresentante non esprima tempestivamente la posizione dell’ente rappresentato (art. 14-ter, commi 7 e 9, della L.R. n. 241 del 1990). Per i PUA sottoposti a valutazione ambientale, nel corso della conferenza di servizi gli enti che assumono anche la qualifica di soggetti competenti in materia ambientale esprimono un unico parere, nell’osservanza del principio di non duplicazione delle valutazioni. C. L’invio dei PUA non in variante alla Provincia. Infine, la legge di riforma ha esteso la previsione della interlocuzione della Provincia anche ai PUA meramente attuativi del POC, laddove la L.R. n. 20 del 2000 la limitava ai soli PUA in variante al POC. Tale modifica ha avuto lo scopo di assicurare la legittimità e la certezza delle posizioni giuridiche, essendosi provveduto a recepire quanto disposto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 343 del 2005. La pronuncia, emanata con riguardo di una disposizione della Regione Marche equivalente a quella previgente della nostra Regione, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per il contrasto con una disposizione nazionale costituente principio fondamentale della materia, l’art. 24, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Questa disposizione statale, sottolinea la Consulta, se da una parte persegue l’obiettivo della semplificazione delle procedure in materia urbanistica, eliminando l’approvazione regionale (/provinciale) degli strumenti attuativi, dall’altra, riserva alla Regione (/Provincia) la potestà di formulare osservazioni, sulle quali i Comuni devono esprimersi con una puntuale motivazione, per “soddisfare un’esigenza oltre che di conoscenza per l’ente regionale [/provinciale], anche di coordinamento delle amministrazioni locali”. Per effetto della nuova previsione la Provincia, ai sensi del comma 4 dell’art. 35, può formulare osservazioni, relativamente a previsioni di tutti i PUA che contrastino con i contenuti del PSC o con le prescrizioni di piani sopravvenuti di livello superiore; inoltre, per i PUA, non dichiarati in variante al POC, si deve ritenere che la Provincia possa sollevare osservazioni circa il contrasto con le previsioni del medesimo POC. 3.6. Il passaggio dagli strumenti urbanistici tradizionali ai nuovi strumenti di pianificazione e le misure di salvaguardia Uno dei problemi applicativi della L.R. n. 20 del 2000 rilevato in questi anni attiene alla lentezza con cui i Comuni si sono dotati di tutti e tre i nuovi strumenti di pianificazione urbanistica, con l’effetto di ritardare il completo passaggio al nuovo regime giuridico stabilito dalla medesima legge. Questa circostanza prolunga eccessivamente la fase transitoria nella quale operano sia il PRG, per le parti che non risultino incompatibili con gli strumenti approvati, sia le previsioni dei nuovi piani approvati, nonostante che rispondano a contenuti e a principi del tutto diversi. Una serie di disposizioni della legge di riforma hanno dunque lo scopo di meglio disciplinare questa fase di passaggio dal vecchio al nuovo regime dei piani, e di cercare di accelerare l’assunzione, entro tempi più ravvicinati di tutti gli strumenti comunali. 3.6.1. L’interpretazione autentica dell’art. 41 (art. 57 LR 6/2009) L’art. 41 della L.R. n. 20 del 2000 precisa che «fino alla approvazione del PSC, del RUE e del POC, in conformità alla presente legge, I Comuni danno attuazione alle previsioni contenute nei vigenti piani regolatori generali». Questa disposizione muove dalla considerazione che nel nuovo sistema degli strumenti di pianificazione non è rilevabile un unico piano che ricomprenda l’insieme dei contenuti del PRG, i quali risultano ripartiti (insieme a quelli di numerosi altri atti di pianificazione e regolamentari) in tutti e tre i nuovi piani urbanistici. Per questo, essa sottolinea che, fino alla approvazione di PSC, RUE e POC, talune previsioni del PRG trovino ancora applicazione, allo scopo di garantire la continuità dell’azione amministrativa. La norma è stata però oggetto di diversa interpretazione da parte del TAR Emilia-Romagna, secondo cui l’articolo 41, comma 1, stabilisce una sorta di ultrattività del PRG, di modo che lo stesso troverebbe piena applicazione fino all’approvazione di tutti e tre i nuovi strumenti (sent n. 609 del 2006). Con l’art. 57 della legge n. 6 il legislatore regionale ha stabilito l’interpretazione autentica del citato art. 41, comma 1, della L.R. n. 20 del 2000, precisando che le singole previsioni del PRG sono attuate dai Comuni fino a quando le stesse non siano state, espressamente o implicitamente, sostituite o abrogate da quanto stabilito dal PSC, dal RUE o dal POC. L’entrata in vigore dei nuovi strumenti urbanistici comporta, dunque, la perdita di efficacia di quelle previsioni del PRG che risultino con essi incompatibili ovvero che siano espressamente dichiarate superate dalla nuova disciplina. Occorre sottolineare che, poiché i nuovi strumenti dettano una disciplina totalmente nuova dei sistemi ed elementi territoriali precedentemente regolati dal PRG, il confronto non può essere portato sulla singola disposizione; di modo che si deve considerare superata ogni disposizione attinente ad un determinato contenuto pianificatorio qualora lo stesso sia stato diversamente disciplinato dai nuovi strumenti di pianificazione (18). Pertanto, se si considera anche l’obbligo della contestuale adozione e approvazione del PSC e del RUE, si rileva che, di norma, solamente alcune tematiche residuali del PRG possono rimanere efficaci, avendo l’insieme dei due strumenti generali: definito il sistema dei vincoli e delle tutele; stabilito le nuove perimetrazioni relative alla classificazione del territorio comunale in urbanizzato, urbanizzabile e rurale; previsto a quali dotazioni territoriali, infrastrutture della mobilità e servizi sono subordinati i nuovi insediamenti; fissato i limiti e condizioni di sostenibilità ambientale e territoriale cui devono essere comunque subordinate le future previsioni del POC; dettato la disciplina particolareggiata delle trasformazioni edilizie realizzabili per intervento diretto in tutto il territorio comunale; ecc. Il PRG, di conseguenza, può essere suscettibile di immediata attuazione per quelle previsioni che risultino conformi alle previsioni del PSC e del RUE appena richiamate, e a condizione che siano già presenti le condizioni di sostenibilità ambientale e territoriale fissate da detti piani per gli ambiti interessati dalla trasformazioni e che sia prevista e disciplinata dal piano attuativo la contemporanea realizzazione e attivazione dell’insieme delle dotazioni territoriali e infrastrutture per la mobilità, richieste dai medesimi piani generali per gli ambiti di riferimento in quanto connesse agli interventi di trasformazione ammissibili. 3.6.2. L’applicazione della salvaguardia a tutti i piani e la modifica della durata della stessa (art. 12 LR 20/2000) L’art. 57 della legge n. 6, sempre ai fini di stabilire l’interpretazione autentica dell’art. 41 della L.R. n. 20 del 2000, precisa inoltre che alle previsioni dei nuovi strumenti di pianificazione (espressamente o implicitamente, sostitutive o abrogative di contenuti del PRG) si applicano le misure di salvaguardia di cui all’art. 12 della L.R. n. 20 del 2000. La norma ha voluto affermare un secondo principio, anch’esso disatteso dalla citata pronuncia del TAR Bologna, secondo cui le misure di salvaguardia operano a favore di tutti gli strumenti di pianificazione previsti dalla legge regionale n. 20 del 2000. Così, per esempio, la classificazione di un’area come territorio rurale prevista dal PSC adottato è idonea a sospendere il rilascio di titoli abilitativi edilizi fondati sulla classificazione di PRG come zona di completamento, soggetta ad intervento diretto; similmente, la medesima classificazione di PSC comporta la sospensione dell’esame di strumenti urbanistici attuativi del PRG che avesse destinato l’area ad espansione urbana, residenziale o produttiva, subordinandone l’attuazione alla presentazione di piano particolareggiato. (art. 12, comma 1, lettere a. e b.) Il medesimo principio è alla base della nuova stesura del comma 1 dell’art. 12 dove si specifica che le misure di salvaguardia si applicano a decorrere dalla data di adozione di ognuno degli strumenti di pianificazione disciplinati dalla L.R. n. 20 del 2000. Appare infine opportuno richiamare le modifiche al comma 2 dell’art. 12, circa la durata della salvaguardia, derivanti dalla necessità di recepire una giurisprudenza di legittimità ormai consolidata che ha riconosciuto nell’art. 16 del T.U. dell’edilizia (DPR n. 380 del 2001) un principio fondamentale della materia. Secondo tale disposizione la salvaguardia opera per non più di tre anni, se il piano non è inviato alla Provincia per il suo esame entro un anno dall’adozione; per cinque anni se il piano è inviato entro un anno dall’adozione. Per quanto la L.R. n. 20 del 2000 stabilisca che tutti piani debbano essere inviati all’ente di livello più ampio (Provincia o Regione) immediatamente dopo l’adozione, è apparso necessario recepire questa disposizione legislativa statale che stabilisce gli effetti che conseguono all’invio del piano, per l’espressione delle riserve o delle osservazioni, dopo un anno dall’adozione. 3.6.3. La contemporanea adozione di PSC e RUE (art. 43, co. 3, LR 20/2000) Per accelerare i tempi di adeguamento della pianificazione urbanistica alla nuova legge, l’art. 43, comma 3, stabilisce che i Comuni debbano provvedere all’elaborazione e adozione contemporanea del PSC e del RUE. Questa scelta si era dimostrata fino ad ora opportuna dal punto di vista tecnico, in quanto l’insieme dei due strumenti assicura la regolazione generale dell’intero territorio comunale e fornisce l’inquadramento normativo complessivo, delle tutele, degli usi e delle trasformazione del territorio. Inoltre l’esperienza amministrativa dei Comuni che hanno attivato in sequenza i tre strumenti evidenzia eccessivi e defatiganti tempi di rinnovo della strumentazione urbanistica. La legge di riforma ha ritenuto pertanto di rendere obbligatoria questa soluzione attesi gli evidenti vantaggi che la stessa comporta. L’art. 43 continua a non prevedere alcun termine massimo per l’assunzione del POC, a seguito dell’approvazione del PSC. Rimane salvo, in ogni caso, il rispetto dei tempi massimi per l’adeguamento complessivo della strumentazione urbanistica stabiliti dal commi 4 dell’art. 43. Per favorire la rapida approvazione dei nuovi strumenti, è stata confermata la previsione speciale che consente la contemporanea adozione di PSC, RUE e POC, in deroga in particolare al principio secondo cui il POC, dovendo essere “predisposto in conformità alle previsioni del PSC” (art. 30, comma 1-bis) dovrebbe essere adottato a seguito del’approvazione del PSC. Tuttavia, per evitare incoerenze tra le previsioni dei due strumenti si ritiene che l’iter approvativo del POC non possa essere comunque concluso fino all’approvazione del PSC stesso. ><p><b>4. L&#8217;EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE (ERS)<b>

4.1. L’ERS tra gli obiettivi e i contenuti primari della pianificazione (art. 7-bis e art. A-6-bis LR 20/2000)

La terza tematica affrontata dalla Legge n. 6 attiene ad un nuovo modo di incardinare la realizzazione delle politiche pubbliche abitative tra gli obiettivi primari dell’urbanistica. Si richiede alla pianificazione di disciplinare gli interventi volti a soddisfare le esigenze abitative delle fasce meno abbienti, integrandole alle altre trasformazioni insediative residenziali o ai processi di riqualificazione urbana. Alla base di questa riforma vi è, dunque, l’idea che l’elevazione degli standard qualitativi delle città debba essere contrassegnato anche dalla crescita di tale servizio pubblico, diretto a soddisfare un bisogno primario della persona.

Attraverso tale collocazione, l’ERS diventa uno dei risultati che la pianificazione comunale deve dimostrare di poter conseguire e uno dei principali oneri posti in capo agli operatori, quale sviluppo del principio generale di perequazione urbanistica, secondo cui i soggetti che attuano le trasformazioni urbane sono interessati sia dai vantaggi che ne derivano, sia dai costi per la realizzazione delle dotazioni funzionali alle stesse.

La legge di riforma prescrive al PSC di definire il fabbisogno di ERS, cioè la quota di alloggi la cui realizzazione è comunque sostenuta da politiche pubbliche, e fissa una soglia di riferimento: la percentuale del 20% del fabbisogno complessivo di residenza da realizzare nell’arco temporale preso in considerazione dal piano. Tale quota è ridotta al 10% per i Comuni montani con meno di 5000 abitanti e può essere adattata dal PTCP alle specifiche esigenze locali, come avviene per la quota delle altre dotazioni territoriali. Compito del POC è quello di definire concretamente quale parte di tale fabbisogno di ERS dovrà realizzarsi nel corso dei cinque anni di vigenza delle proprie previsioni, stabilendo gli ambiti da destinare a tali interventi, le loro caratteristiche e la qualità ambientale e dei servizi da assicurare.

4.2. Il concorso degli operatori alla realizzazione dell’ERS (art. A-6-ter LR 20/2000)

Agli operatori si chiede di concorrere alla realizzazione di tale fabbisogno con modalità differenziate:

- per i nuovi insediamenti residenziali, si richiede la cessione a titolo gratuito al patrimonio indisponibile del Comune del 20% della superficie fondiaria del comparto di intervento (del 10% per i Comuni montani con meno di 5000 abitanti);

- per i nuovi insediamenti produttivi e per gli interventi di riqualificazione urbana, la legge non quantifica il contributo dovuto, rimettendone la definizione ad un accordo ai sensi dell’art. 18, in coerenza con le indicazioni del PSC.

Quest’ultima soluzione risponde ad una pluralità di ragioni: innanzitutto alla circostanza che gli insediamenti produttivi sono per definizione caratterizzati dalla presenza di attività incompatibili con la residenza e che gli ambiti da riqualificare non sempre consentono di individuare aree libere da trasferire in proprietà comunale. Ma soprattutto essa consente di individuare caso per caso attraverso lo strumento negoziale, il contributo che meglio risponde alle esigenze del Comune: si potrà trattare di alloggi, di aree, di somme di denaro, per le quali la legge stabilisce un vincolo di destinazione esclusiva alla attuazione degli interventi di ERS; ma anche della realizzazione di interventi di recupero del patrimonio edilizio pubblico esistente e della realizzazione di dotazioni e servizi pubblici in quartieri di edilizia pubblica, ecc.

Il Comune può incentivare il concorso dei soggetti privati nella realizzazione degli interventi di edilizia residenziale sociale attraverso appositi incentivi, permute ovvero altre misure compensative. In tal modo, attraverso per esempio indici premiali, si potrà favorire la conclusione degli accordi con i privati di cui all’art. 18 appena richiamati, ma anche concordare la diretta realizzazione di alloggi ERS da parte degli operatori secondo quanto sarà specificato al successivo paragrafo 4.3.

4.3. Le modalità di realizzazione degli alloggi di ERS (art. A-6-ter LR 20/2000)

Anche per l’attuazione degli interventi di ERS, la Legge n. 6 indica innanzitutto il modello operativo proprio delle dotazioni territoriali: gli operatori attraverso la stipula di apposita convenzione urbanistica possono provvedere direttamente alla realizzazione degli alloggi, in luogo della cessione della quota dell’area di intervento o di ogni altro contributo (art. A-6-ter, comma 6). I medesimi alloggi sono poi realizzabili direttamente dal Comune attraverso le modalità previste dal codice dei contratti pubblici, tra cui la legge richiama espressamente la finanza di progetto (art. A-6-ter, comma 7). Inoltre, il Comune può conferire le aree acquisite per le finalità dell’ERS ad operatori privati in diritto di superficie, in luogo di un contributo economico finanziario, secondo quanto previsto dalla L.R. n. 24 del 2001 (art. A-6-ter, comma 8)..

5. La semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti

5.1. L’integrazione delle fonti normative, l’omogeneità della disciplina edilizia e la semplificazione degli elaborati costitutivi dei piani

Il quarto obiettivo generale perseguito dal legislatore regionale consiste nella ricerca di una maggiore efficienza del sistema e della semplificazione e accelerazione dei procedimenti di pianificazione.

Innanzitutto, si evidenzia il metodo seguito dalla Legge n. 6 di intervenire sull’insieme delle leggi in materia di governo del territorio, per accentuarne l’omogeneità e la coerenza: per esempio buona parte delle modifiche sui programmi di riqualificazione urbana hanno avuto sia lo scopo di recepire nella L.R. n. 19 i principi innovativi dettati dalla L.R. n. 20 del 2000, sia di trasferire in quest’ultima legge gli aspetti positivi registrati nell’esperienza giuridica ed amministrativa della prima.

Tuttavia l’impegno più rilevante per realizzare una significativa semplificazione normativa è quello appena richiamato, per superare l’eccessiva differenziazione delle normative locali sull’attività edilizie.

Il progetto di legge prevedeva poi l’integrazione nella L.R. n. 20 del 2000 della disciplina del paesaggio: questa previsione è stata stralciata nel corso dei lavori consiliari, per consentire l’approvazione della legge entro il termine massimo stabilito dall’intesa del primo aprile, ma è stata riassunta con i medesimi contenuti e finalità attraverso un nuovo progetto di legge, per rendere la tutela del paesaggio parte essenziale degli strumenti di pianificazione.

La Legge n. 6 è intervenuta per semplificare gli elaborati costitutivi dei piani attinenti alla valutazione ambientali, per evitare che gli stessi siano predisposti quali meri esercizi metodologici, troppo costosi e di lunghissima elaborazione; riconducendoli piuttosto alla funzione di riferimento necessario per il decisore politico e di orientamento per l’operatore chiamato a dare attuazione allo strumento di pianificazione.

5.2. Il procedimento unico per l’approvazione delle opere pubbliche e di interesse pubblico (artt. 36-bis e ss. LR 20/2000)

Occorre poi accennare all’innovativo procedimento unico per l’approvazione delle opere pubbliche e di interesse pubblico, anch’esso integrato dalla legge di riforma nella disciplina urbanistica di cui alla L.R. n. 20 del 2000. Si tratta di un articolato procedimento volto a raccogliere, nel corso dello sviluppo delle diverse fasi di progettazione di un’opera, l’insieme degli atti di approvazione (tra cui innanzitutto la variante localizzativa), i pareri, le autorizzazioni e ogni altro atto di assenso richiesto dalla legge per la sua realizzazione. Si prevedono significative riduzioni dei tempi procedurali di approvazione e soprattutto un miglioramento della qualità della progettazione delle opere, attraverso l’esame congiunto da parte di tutti gli enti che sono chiamati ad esprimersi sul progetto. Questo procedimento, senza apportare deroghe alle competenze dei diversi soggetti, consente infatti di evitare sovrapposizioni e incoerenze delle valutazioni ed evita di dover ripetere fasi procedurali o rivedere la progettazione dell’opera.

5.3. La riduzione dei tempi di svolgimento del procedimento di pianificazione (art. 14, co. 2, e art. 37 LR 20/2000)

Infine, la Legge n. 6 è intervenuta per cercare di ridurre ulteriormente i tempi di approvazione degli strumenti di pianificazione, fissando termini perentori per quelle attività, preliminari alla predisposizione degli strumenti urbanistici, la cui durata massima non era stata stabilita dalla L.R. n. 20 del 2000.

Occorre richiamare innanzitutto la riduzione dei termini per l’autorizzazione al deposito dei PUA di iniziativa privata e le modalità semplificate per l’acquisizione dei pareri sui PUA attraverso conferenza di servizi obbligatoria, di cui al precedente paragrafo 3.5.2. lettere A. e B.

Inoltre, è fissata una durata massima di novanta giorni per lo svolgimento delle conferenze di pianificazione, prevedendo a tale scopo una notevole semplificazione degli elaborati di piano esaminati dalla stessa. Vista la perentorietà dei termini di svolgimento della conferenza, è opportuno ricordare che nel corso dei lavori della stessa è possibile procedere alla verifica della completezza e adeguatezza del documento preliminare e della documentazione che lo correda, potendo i partecipanti richiedere, per una sola volta, l’integrazione degli elaborati e rappresentare esigenze istruttorie. Per effetto di tale richiesta i termini di durata dei lavori della conferenza di pianificazione sono interrotti e l’amministrazione procedente, a seguito dell’elaborazione della documentazione integrativa, provvederà a riconvocare la conferenza di pianificazione, i cui lavori si dovranno concludere entro il termine massimo fissato dalla legge.

Anche l’eventuale stipula di un accordo di pianificazione, è stato sottoposto ad un termine perentorio di pari durata, decorrente dalla conclusione della conferenza stessa. Non si è con ciò voluto disconoscere la rilevanza dei processi di concertazione istituzionale, i quali anzi, come abbiamo accennato in precedenza, sono stati potenziati e ampliati, ma è apparso necessario apportare una correzione alle esperienze troppe volte segnalate, di fasi preliminari aventi una durata e modalità operative eccessivamente estese, tali da compromettere l’efficacia stessa dei processi di pianificazione.

5.4. La variante speciale per le attività produttive già insediate nel territorio urbanizzato (art. A-14-bis LR 20/2000)

Ed infine, appare opportuno richiamare una nuova fattispecie di variante, introdotta dalla legge di riforma con il nuovo articolo A-14-bis della L.R. n. 20 del 2000, per favorire la ripresa economica nella nostra regione. Si tratta di una procedura speciale analoga a quanto stabilito dall’art. 5 del DPR n. 447 del 1998, che trova applicazione nel caso di imprese, già insediate nel territorio urbanizzato, che vogliano ampliare o ristrutturare le proprie attività in essere. Essa è caratterizzata dall’obbligatorietà dell’avvio del procedimento e da una serrata scansione dei termini per il suo svolgimento, di complessivi centosessanta giorni: alla presentazione del progetto di ampliamento o di ristrutturazione segue, entro dieci giorni, la convocazione di una conferenza di servizi, per il suo esame e l’acquisizione di ogni atto di assenso richiesto dalla legge per la sua realizzazione. La conferenza deve completare i suoi lavori entro sessanta giorni e, in caso di esito positivo, la determinazione motivata di conclusione del procedimento assume il valore e gli effetti di proposta di variante urbanistica. Ad essa consegue, per sessanta giorni, la pubblicazione del progetto e della variante per la presentazione di eventuali osservazioni e la pronuncia finale del Consiglio comunale, nei successivi trenta giorni. Infine, per accelerare la realizzazione di tali interventi si stabilisce che gli stessi sono attuati direttamente attraverso il rilascio di titolo abilitativo edilizio.

* * *

(1) Si richiama, in particolare, il preambolo alla Direttiva, 9° considerando: “la presente direttiva ha carattere procedurale e le sue disposizioni dovrebbero essere integrate nelle procedure esistenti negli stati membri o incorporate in procedure specificamente stabilite. Gli stati membri dovrebbero eventualmente tener conto del fatto che le valutazioni saranno effettuate a diversi livelli di una gerarchia di piani e programmi, in modo da evitare duplicati.” I principi di integrazione e non duplicazione sono più volte richiamati nel testo della Direttiva ed in particolare: agli articoli 4, commi 2 e 3; 5, commi 2 e 3; 11 comma 2.

(2) Dispone in particolare il comma 7 dell’art. 5 della L.R. n. 20 del 2000:

«7. La Regione e le Province, in veste di autorità competente, si esprimono in merito alla valutazione ambientale rispettivamente dei piani provinciali e comunali nell’ambito dei seguenti provvedimenti di loro competenza, dando specifica evidenza a tale valutazione:

a) per il PTCP e i PSC, nell’ambito dell’intesa, di cui agli articoli 27, comma 10, e 32, comma 10, ovvero, ove sia stato stipulato l’accordo di pianificazione, nell’ambito delle riserve al piano adottato, di cui agli articoli 27, comma 7, e 32, comma 7, previa acquisizione delle osservazioni presentate;

b) per il POC, nell’ambito delle riserve al piano adottato di cui all’articolo 34, comma 6, previa acquisizione delle osservazioni presentate;

c) per i PUA in variante al POC, nell’ambito delle osservazioni al piano adottato, di cui all’articolo 35, comma 4, previa acquisizione delle osservazioni presentate;

d) per gli accordi di programma di cui all’articolo 40 e per le conferenze di servizi, intese o altri atti, comunque denominati, che comportino variante a strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica secondo la legislazione vigente, nell’ambito dell’atto con il quale la Regione o le Province esprimono il proprio assenso alla variante stessa, previa acquisizione delle osservazioni presentate».

(3) Si consideri in particolare che l’art. 35 della L.R. n. 20 del 2000 prescrive il ricorso ad una conferenza di servizi per acquisire tutti i pareri obbligatori richiesti dalla legge per i PUA, secondo quanto meglio specificato al paragrafo 3.5.2. lettera B.

(4) L’art 15, comma 1, del D. Lgs. n. 152 del 2006 - la cui rubrica recita significativamente “Valutazione del rapporto ambientale e degli esiti e risultati della consultazione” - stabilisce infatti che “L’autorità competente, in collaborazione con l’autorità procedente, svolge le attività tecnico-istruttorie, acquisisce e valuta tutta la documentazione presentata, nonché le osservazioni, obiezioni e suggerimenti inoltrati ai sensi dell’articolo 14 ed esprime il proprio parere motivato entro il termine di novanta giorni a decorrere dalla scadenza di tutti i termini di cui all’articolo 14.

(5) Si noti che tale seconda ipotesi può solo attenere a misure e interventi attuativi di piani provinciali o regionali non potendo avere ad oggetto, a differenza della prima ipotesi, la modifica di strumenti di pianificazione.

(6) Appare infatti significativa la stessa collocazione sistematica dell’art. 11 nel Capo III della legge n. 241 del 1990 dedicato agli istituti di “Partecipazione al procedimento amministrativo”, e l’apertura del comma 1 dell’art. 11, secondo cui l’amministrazione procedente può concludere accordi con gli interessati, “in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10”.

(7) Detta condivisione assume rilievo primario se solo si considera l’efficacia quinquennale del POC e la conseguente esigenza che le sue previsioni insediative riguardino operatori pronti a dare immediata attuazione alle stesse.

(8) Al procedimento di formazione dei piani comunali partecipa necessariamente la Provincia, in qualità di livello sovraordinato che verifica la conformità degli strumenti urbanistici alla pianificazione sovraordinata e di autorità competente alla valutazione ambientale: i soggetti chiamati ad esprimere pareri obbligatori per legge sugli strumenti urbanistici, nonché, a vario titolo, i rappresentanti dei Comuni contermini, le altre amministrazioni che esercitano funzioni regolative del territorio, ecc.

(9) Non è privo di significato il fatto che l’art. 13 (Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione) della legge n. 241 del 1990 specifichi che le disposizioni del Capo sulla partecipazione al procedimento, comprensivo della norma sugli accordi con i privati, non si applicano agli atti di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Tale disposizione è stata mantenute nonostante l’introduzione, con la legge n. 15 del 2005, del così detto “principio negoziale”, (cioè della generale possibilità per la P.A di realizzare i suoi obiettivi pubblici non con atti amministrativi autoritativi e unilaterali bensì attraverso accordi con i soggetti interessati), sottolineando il permanere dell’esigenza di stabilire una disciplina di settore – come l’art. 18 in commento - che tenga conto dei limiti al ricorso agli accordi nel campo della pianificazione, ricordati in precedenza.

(10) Anche in questo caso è significativa la stessa collocazione dell’art. 15 nel Capo IV della legge sul procedimento edilizio, relativo alla “Semplificazione dell’azione amministrativa”. L’accordo tra amministrazioni risponde infatti all’esigenza di semplificare il quadro sempre più complesso ed eccessivamente frazionato delle competenze pubbliche; inoltre esso consente alle amministrazioni che lo stipulano di perseguire un risultato che non rientra nelle proprie esclusive competenze e capacità ma che può derivare dalla collaborazione e cooperazione di tutti i sottoscrittori.

(11) Appare utile riportare la definizione di accordo di programma di cui al comma 1 dell’art. 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000: “1. Per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull’opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento”.

(12) In precedenza, in vigenza dell’art. 14 della L.R. n. 6 del 1995 che per primo aveva regolamentato nella nostra regione gli accordi di programma in variante, limitandoli alle sole amministrazioni pubbliche, il medesimo risultato del coinvolgimento dei privati veniva realizzato in modo ben più complesso attraverso atti unilaterali d’obbligo o accordi con i privati, giuridicamente autonomi dagli accordi di programma.

(13) Com’è noto è principio generale del procedimento che “ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa (art. 14-ter, comma 6 della legge n. 241 del 1990). L’organo competente sarà quello che ordinariamente è chiamato, dalla legge o dallo Statuto, ad assumere le determinazioni che verranno rappresentate dal soggetto che interviene nella conferenza: il Consiglio comunale per una variante alla pianificazione urbanistica, la Giunta provinciale per l’interlocuzione sulla stessa, ecc…).

(14) In tal modo il legislatore regionale ha inteso superare alla radice il problema dei PSC elaborati ed approvati in contrasto con le disposizioni della legge regionale e di fatto equivalenti, per molte loro previsioni ai PRG della legislazione previgente. Questi piani, se non sono (parzialmente) annullati dall’autorità giudiziaria o dalla medesima amministrazione per autotutela, vincolano comunque gli operatori e irrigidiscono il sistema: grazie alla prescrizione legislativa anche queste previsioni del PSC devono essere intese dall’operatore come non direttamente conformative del diritto all’edificazione né costitutive di un vincolo espropriativo o ablatorio.

(15) La medesima forma di flessibilità è già stata sperimentata in attuazione dell’art. 3, comma 5, della L.R. 46 del 1988 (introdotto dall’art. 15 della L.R. n. 6 del 1995), il quale aveva riconosciuto ai piani attuativi la possibilità di apportare rettifiche non sostanziali alle perimetrazioni stabilite dal PRG.

(16) In via di prima applicazione, poiché l’art. 43 richiede che il PSC ed il RUE siano adottati contemporaneamente, è possibile: predisporre un unico elaborato di Valsat, che esamini complessivamente gli effetti ambientali dei due strumenti generali comunali, prevedere lo svolgimento unitario delle attività di consultazione e di espressione della Provincia sulla valutazione ambientale.

(17) Tali autorità, infatti:

- partecipano obbligatoriamente alla conferenza di pianificazione per il PSC (ai sensi dell’art. 14, comma 3);

- esprimono i pareri sul POC ai sensi dell’art. 34, comma 3.

La partecipazione di tali soggetti all’intero ciclo della pianificazione urbanistica è stata una precisa scelta della L.R. n. 20 del 2000, per metterli in grado di esprimere le proprie valutazioni e proposte sin dalla fase di elaborazione dei contenuti strategici del PSC e fino alla loro puntuale definizione della disciplina dei singoli interventi nel POC o nel PUA. La presenza costante di queste autorità, consentendo loro di dare il proprio contributo ai diversi livelli di definizione delle previsioni urbanistiche, assicura infatti l’omogeneità e la coerenza delle valutazioni espresse nei pareri sugli strumenti operativi ed attuativi rispetto alle posizioni assunte in precedenza.

(18) Così, se per esempio il PRG perimetrava un ambito come edificabile ed attribuiva allo stesso un determinato indice di edificabilità, stabiliva gli usi ammessi ecc, dettando una serie di disposizioni circa l’attuazione di tale urbanizzazione, la previsione del PSC che classifica l’area come territorio rurale fa venir meno l’insieme delle previsioni di PRG che attenevano all’area stessa in quanto dichiarata edificabile.

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