SUPPLEMENTO SPECIALE N.249 DEL 09.05.2014

Relazione

L’Italia è il Paese europeo che conta il maggior numero di dialetti in rapporto alla propria superficie. Facilmente le motivazioni sono rinvenibili nella storia anche relativamente recente di Stati e Staterelli diversi per culture, tradizioni e poteri politici.

L’Unità d’Italia ha significato, dal punto di vista linguistico, l’imposizione di una lingua nazionale non avvertita come naturale dalla maggior parte dei nuovi italiani, inculcata attraverso i programmi scolastici ed affermatasi veramente come lingua madre solo con la diffusione dei mass media.

Il prezzo di questa conquista è stato il sacrificio degli idiomi dialettali sull’altare della presunta emancipazione da una situazione di subalternità sociale e culturale da essi incarnata.

Ciò fino a quando, a partire dagli anni ’80 del 1900, l’approccio nei confronti dei vernacoli è cambiato e ci si è resi conto che insieme all’uso del dialetto si stava perdendo anche un patrimonio culturale e valoriale davvero inestimabile. Per dirla con le parole del prof. Raimondi, si è allora compreso che “occorre tutelare anche il paesaggio della lingua, oltre quello naturale. Oggi che la barbarie dominante cancella ogni radice si riscopre il dialetto nel teatro, nella musica, nella letteratura. Non come folclore consumistico ma come lingua dell'anima”.

E’ così che i programmi scolastici si sono riaperti ad ospitare retaggi e culture ormai lontane dalle nuove generazioni e le Istituzioni sono corse ai ripari per evitare la dispersione di una ricchezza culturale che andava scomparendo.

Anche l’Emilia-Romagna, con l.r. 45/94, ha affidato all’IBC il compito di conservare, proteggere e trasmettere quello che a tutti gli effetti è un bene culturale e l’Istituto si è proposto di farlo attraverso un programma ambizioso che prevedeva l’istituzione di un osservatorio linguistico, di un archivio lessicale, di un corpus di documentazione toponomastica e di una banca dati della memoria contadina, artigiana e industriale.

Un progetto che voleva organizzare attività promozionali, artistiche e didattiche, supportare manifestazioni letterarie, teatrali e musicali per mezzo di borse di studio; realizzare interventi didattici in ambito scolastico e produrre alcune collane di pubblicazioni editoriali e audiovisive.

In realtà, sebbene alcuni risultati importanti siano stati raggiunti, la legge ha sofferto dell’esiguità degli stanziamenti e dunque non ha mai visto una piena realizzazione delle finalità per cui era nata, fino a farla ritenere superata ed assorbibile dai finanziamenti previsti sulla legge regionale 37 del 1994 sulla promozione culturale.

Tuttavia, sebbene effettivamente la legge 45 non fosse sovvenzionata da tempo e la 37 garantisse comunque un canale di finanziamento, la sua abrogazione non ha tenuto conto del valore aggiunto rappresentato da una legge specifica di tutela del patrimonio linguistico regionale, soprattutto in una regione come la nostra, fortemente legata alla cultura atavica da questo rappresentata e che negli ultimi anni ne ha riscoperto e riproposto le manifestazioni colte letterarie e teatrali.

Ecco dunque i motivi di riproposizione di una legge regionale per la conservazione e la trasmissione del patrimonio dialettale regionale, una rivisitazione aggiornata della l.r.45/94, arricchita dall’esperienza nel frattempo maturata e, speriamo, in grado di alimentarsi di un’entrata economica sufficiente alla sua realizzazione.

Andando nel dettaglio, la proposta si compone di 7 articoli, che illustrano le finalità, le azioni previste e le modalità di finanziamento.

L’art. 1 stabilisce che la Regione Emilia-Romagna riconosce e valorizza i dialetti regionali quali parte integrante del patrimonio storico e culturale e si adopera affinché tale patrimonio sia trasmesso alle future generazioni.

L’art.2 elenca le azioni e gli interventi previsti dalla legge: la promozione di studi e ricerche sui dialetti locali in collaborazione con Università e centri di ricerca, l’organizzazione di seminari, convegni e corsi di aggiornamento, la costituzione di un fondo bibliografico specialistico ed un archivio documentale liberamente consultabili on-line, la messa in rete degli archivi e dei fondi pubblici e privati esistenti e la creazione di specifiche sezioni nelle biblioteche. Accanto a queste azioni sono previsti progetti didattici rivolti alle nuove generazioni ed il sostegno a manifestazioni artistiche e letterarie di vario genere.

Anche in questo caso, come stabilisce l’art.3, la gestione è affidata all’IBACN, l'istituto dei beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, che agisce sulla base di un programma annuale.

All’art.4 la proposta prevede premi e sovvenzioni per studi e ricerche, tesi di laurea e di dottorato già discusse, associazioni impegnate nell’attività di tutela e diffusione dei dialetti regionali. Inoltre sono possibili convenzioni e contributi a università, centri di documentazione e ricerca pubblici o privati, enti e associazioni, istituti scolastici.

L’art.5 costituisce il Comitato scientifico a cui sono affidati compiti consultivi e propositivi rispetto alle azioni previste dalla presente legge. Il Comitato è formato da 11 membri esperti, nominati dalla Giunta regionale previo avviso pubblico ed opera a titolo gratuito a supporto dell’IBACN.

L’art.6 redige la norma finanziaria nelle modalità previste dalle nuove disposizioni emanate dall’UP. Stanzia 50.000€ per il 2014 che andranno a valere sui fondi riservati alla promozione culturale. Le modalità di calcolo e di reperimento sono illustrate nell’allegata scheda tecnico-finanziaria.

Infine l’art.7 contiene la clausola valutativa, come ormai è prassi in tutte le ultime leggi approvate in Regione. In questo caso è prevista una relazione triennale della Giunta all’Assemblea che dia conto del grado di attivazione della legge, dei risultati ottenuti, dei destinatari raggiunti, delle risorse stanziate e delle iniziative e progetti finanziati.

 

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