n. 121 del 03.08.2011 periodico (Parte Seconda)
Oggetto n. 1546 - Risoluzione proposta dai consiglieri Naldi, Monari, Sconciaforni e Barbati in ordine alla ricerca e sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi
L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
Premesso che
nel nostro paese i giacimenti di idrocarburi sono di proprietà dello Stato (sistema demaniale), la loro ricerca e sfruttamento sono considerati di interesse pubblico e vengono effettuati da imprese private (italiane, comunitarie o provenienti da Paesi per i quali esiste reciprocità nei riguardi delle imprese italiane) in un regime giuridico di concessione;
i principi alla base della normativa mineraria sono rimasti sostanzialmente inalterati dal 1927, mentre le procedure amministrative per i titoli, gestite dal Ministero dello Sviluppo Economico, si sono aggiornate con la previsione di valutazioni di impatto ambientale preventive gestite dal Ministero dell’Ambiente o dai competenti uffici regionali;
i titoli minerari previsti dalla normativa si dividono in permessi di prospezione in mare, permessi di ricerca in terraferma e nel sottofondo marino e concessioni di coltivazione in terraferma e nel sottofondo marino (la cui VIA è di competenza esclusiva del Ministero dell’Ambiente);
secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, al 28 febbraio 2011 in Emilia-Romagna sono state rilasciate 36 concessioni di coltivazione in terraferma e 35 permessi di ricerca sempre in terraferma, mentre alla stessa data risultano presentate al Ministero altre 18 istanze di permesso di ricerca in terraferma e altre 4 istanze di concessione di coltivazione;
secondo gli stessi dati, reperiti sul sito della Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del Ministero, in Emilia-Romagna nel 2010 sono stati estratti 29.075.670 kilogrammi di olio greggio e 148.726.029 Standard metri cubi di metano per un gettito di 9.026.555,37 euro di royalties a favore della Regione Emilia-Romagna e di 128.052,07 euro di royalties a favore dei Comuni che ospitano i pozzi.
Considerato che
i numerosi studi eseguiti negli ultimi decenni sulla subsidenza in Pianura Padana hanno consentito di capire che i valori di subsidenza così elevati (benché in evidente calo secondo gli ultimi monitoraggi) sono da attribuire al massiccio prelievo di fluidi dal sottosuolo (in prevalenza acqua e in misura minore idrocarburi) che è stato protratto in tutto il secondo dopoguerra;
le carte dell’abbassamento del suolo in Emilia-Romagna elaborate dagli uffici regionali mettono in luce le aree di pianura più critiche dal punto di vista della subsidenza, ovvero le conoidi alluvionali allo sbocco delle valli appenniniche. Fra queste la conoide del Fiume Reno, su cui si sviluppa una parte rilevante della città di Bologna, registra il preoccupante record di valori di subsidenza maggiori ai 3 cm all’anno negli ultimi decenni. A queste si deve aggiungere la pianura deltizia del Po e la costa emiliano-romagnola, dove i tassi di subsidenza arrivano a 0,8-1,6 cm/anno;
d’altro canto la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in aree appenniniche fragili da un punto di vista idrogeologico potrebbero causare danni non preventivabili, soprattutto se venissero trovati giacimenti di petrolio o gas utilizzati con metodi “non convenzionali”;
con il termine petrolio o gas “non convenzionale” (shale oil o shale gas) si definisce l’idrocarburo che, una volta raggiunto dalla trivella, non esce da solo e per la sua estrazione possono venire utilizzate tecniche che aumentano l’impatto ambientale dell’attività estrattiva (trivellazione orizzontale, fratturazione con cariche esplosive o con iniezioni di acqua o gas ad alta pressione addizionati con diverse sostanze chimiche, ecc.);
nel caso del gas non convenzionale, esso viene estratto dagli scisti con un processo detto di fratturazione idraulica per cui si inietta acqua mista a sabbia e sostanze chimiche diverse a seconda del tipo di rocce e tale procedimento causerebbe il depauperamento e l’inquinamento delle falde idriche, per ridurre i quali le soluzioni sono ancora in fase di studio;
in un recente studio realizzato negli Stati Uniti, paese in cui è più sviluppata l’estrazione di idrocarburi non convenzionali, si stima che, nell’intero ciclo di vita del gas dagli scisti, e in gran parte durante l’estrazione, dal 3,6 al 7,9% del metano vada a finire in atmosfera: fino al doppio di quel che accade per il gas convenzionale. Avendo il metano un potere climalterante decine di volte superiore a quello della CO2, ciò sarebbe in contrasto con la politica europea di riduzione delle emissioni.
Valutato che
anche le fasi della ricerca di idrocarburi, fino alla perforazione del pozzo esplorativo, comportano spese molto ingenti che possono essere compensate soltanto dall’ottenimento della concessione per la coltivazione del giacimento.
Preso atto che
in Emilia-Romagna la ricerca e coltivazione di idrocarburi sono sottoposte a tre procedure di VIA: per il permesso di ricerca, per la perforazione del pozzo di ricerca e per la coltivazione del sito;
nelle procedure di cui alla L.R. n. 9/1999 e s.m.i. relative a richieste di ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio regionale è prevista la partecipazione del Servizio Energia ed economia Verde;
nelle procedure di autorizzazione riguardanti la ricerca e la coltivazione di idrocarburi la Regione ha basato il proprio parere sullo studio e sul controllo delle eventuali ricadute sul territorio in termini di dissesto idrogeologico e subsidenza;
in tutti i casi in cui sono stati autorizzati gli interventi è stato imposto un costante monitoraggio degli effetti dell’attività di coltivazione, ai fini della verifica della sua prosecuzione;
la Giunta regionale si è espressa pubblicamente contro il ricorso a tecniche non convenzionali di coltivazione di giacimenti di idrocarburi.
Ribadito che
l’esito delle procedure di VIA è vincolante ai fini del rilascio o della negazione delle autorizzazioni.
Impegna la Giunta regionale
a confermare il parere negativo a tutte le richieste di coltivazione che prevedano l’utilizzo di tecniche non convenzionali, specificando da subito, anche per le richieste di ricerca, che non saranno consentite tecniche non convenzionali per le eventuali fasi successive di perforazione del pozzo di ricerca o di coltivazione del sito;
a dare il proprio parere negativo a tutte le richieste di ricerca e coltivazione presentate in aree del territorio regionale colpite dalla subsidenza e da fenomeni franosi;
a dare il proprio parere negativo a tutte le richieste di ricerca e coltivazione che interessino i territori compresi all’interno di Aree protette nazionali o regionali oppure di siti di rete Natura 2000 e delle seguenti aree individuate dai PTPR e PTCP:
- alvei;
- zone di tutela naturalistica;
- calanchi;
- zone di interesse archeologico;
- sistema forestale boschivo;
- sistema dei crinali;
- zone di tutela agro naturalistica;
- aree tutelate dalla legge Galasso;
- terreni siti a quote superiori a 1.200 metri;
vigilando rigorosamente sui vincoli del piano paesistico e delle altre norme regionali di tutela del territorio; nel caso di richieste di ricerca su area vasta, al cui interno si trovino i siti e le aree suddette, a vietare l’attività di ricerca al loro interno e ad attenersi scrupolosamente al parere delle attività preposte alla loro gestione e tutela;
ad attivarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni per aumentare la percentuale delle royalties a favore degli Enti locali;
ad esigere, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, il rispetto sostanziale del principio dell’intesa preventiva con la Regione territorialmente interessata, nelle fasi conclusive del procedimento per il rilascio degli eventuali permessi di ricerca e coltivazione.
Approvata a maggioranza dei presenti nella seduta pomeridiana del 12 luglio 2011