n.362 del 13.11.2019 periodico (Parte Seconda)
RISOLUZIONE - Oggetto n. 8680 - Risoluzione per impegnare la Giunta a manifestare nelle idonee sedi di confronto statale la necessità che si giunga in tempi rapidissimi alla definizione di una normativa equa, antidiscriminatoria, efficace nella regolamentazione del professionismo sportivo; ad attuare tutte le azioni opportune e possibili per sostenere le atlete emiliano-romagnole che in ogni ambito praticano l'attività sportiva ai massimi livelli, ed a monitorare che gli investimenti delle realtà regionali siano paritari tra sport maschile e sport femminile e ad impegnarsi produrre dati/ricerche/rilevazioni sul fenomeno dello sport femminile in Emilia-Romagna. A firma dei Consiglieri: Rossi, Mumolo, Calvano, Caliandro, Zappa- terra, Ravaioli, Bessi, Mori, Poli, Serri, Rontini, Campedelli
L’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna
Premesso che
In Italia il professionismo sportivo è regolato dalla Legge 91 del 1983 che ancora oggi, a quasi 40 anni di distanza, norma la forma giuridica delle società sportive professionistiche, il rapporto tra atleti e società, i trasferimenti degli atleti tra le società e i controlli federali.
L’anacronismo di tale norma non è neppure il suo peggiore difetto, stabilendo essa che “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.
Insomma, non solo la rinuncia del legislatore a regolamentare la materia, affidandone l’onere a soggetti privati - seppur con finalità pubblica come le Federazioni Sportive Nazionali -, ma anche il presupposto per una disparità di trattamento dovuta al fatto che spetta proprio alle singole federazioni stabilire a propria discrezione chi è un professionista dello sport e chi no. Ciò che ne deriva è un sistema in cui, ad oggi, solo quattro sport in Italia sono considerati passibili di professionismo: calcio, golf, basket e ciclismo. Non solo, ma anche in questi quattro sport, a potere ambire al professionismo sono solo gli atleti maschi, essendo esplicitamente escluse le donne.
Rilevato che
ai ragionevoli dubbi sulla legittimità di un provvedimento che tratta in maniera diversa fattispecie simili, si affianca lo sconcerto per la lapalissiana discriminazione di genere, contraria a tutte le politiche che questo Paese e l’UE portano avanti trasversalmente in ogni settore ormai da decenni e che, nello specifico, ha trovato voce - evidentemente inascoltata - nella risoluzione 5 giugno 2003 del Parlamento europeo, che chiedeva agli Stati membri di assicurare alle donne e agli uomini pari condizioni di accesso alla pratica sportiva e li sollecitava a sopprimere, nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello, la distinzione fra pratiche maschili e femminili.
Questa assurda situazione ha risvolti pratici non indifferenti, poiché non essere professionista significa non fruire di una contrattazione collettiva e di diritti minimi quali assicurazione medica, tutela in caso di invalidità, copertura della maternità (anzi, spesso i contratti, che altro non sono che accordi fra privati, prevedono la risoluzione in caso di maternità). E poi ci sono i risvolti fiscali, perché spesso quello che è erogato non è uno stipendio, ma fittizi rimborsi spese, premi e indennità, non assoggettati alla contribuzione INPS né INAIL e che al termine della carriera sportiva non danno diritto né a pensione né a TFR.
Questa condizione di deregolamentazione induce gli atleti e le atlete degli sport individuali a trovare “rifugio” nei Gruppi Sportivi militari, gli unici che garantiscono assunzione a tempo indeterminato e tutele, portando però il nostro sport di élite ad essere il più militarizzato al mondo e provocando inevitabilmente una depauperizzazione del parco atlete e atleti delle società sportive.
Evidenziato che
più volte negli ultimi anni sono stati calendarizzati in Parlamento DDL di modifica della norma in oggetto, chiaramente discriminatoria ed anticostituzionale oltre che assolutamente incomprensibile, ma ogni volta non c’è stato alcun seguito. Anche attualmente è pendente un DDL, presentato nel novembre 2018 ed ancora in attesa che inizi l’esame.
Che come unica voce di denuncia e di azione vi è stato dal 2000 il lavoro di volontarie e volontari di Assist Associazione Nazionale Atlete, unica realtà in Italia a difesa dei diritti collettivi delle atlete e delle donne operanti nello sport italiano, grazie a cui è stata consapevolezza politica e sociale al problema.
Il risalto che i mondiali femminili di calcio stanno attualmente riscuotendo ha riacceso e amplificato l’attenzione sull’argomento in oggetto, con generici impegni da parte del Governo e del CONI ad occuparsi della vicenda.
Tuttavia, non è più tempo di impegni generici, ma di un provvedimento legislativo che dia adeguata soluzione ad una situazione discriminatoria non più procrastinabile, che ponga in capo al legislatore la responsabilità di fissare i criteri necessari a definire in ogni sport chi è professionista e chi è dilettante, donna o uomo che sia, e che sostenga anche economicamente le società che si troveranno ad approdare nel mondo del professionismo, dovendo affrontare costi che rischierebbero di non potere sostenere.
Sottolineato che
la nostra Regione dedica risorse economiche, umane e programmatiche alla promozione dello sport a tutti i livelli, quale veicolo di principi positivi come antifascismo, antirazzismo ed antisessismo e quale stile di vita fondamentale per il benessere della persona e della collettività.
Impegna la Giunta
a manifestare nelle idonee sedi di confronto statale la necessità che si giunga in tempi rapidissimi alla definizione di una normativa equa, antidiscriminatoria, efficace nella regolamentazione del professionismo sportivo.
Ad attuare tutte le azioni opportune e possibili per sostenere le atlete emiliano-romagnole che in ogni ambito praticano l’attività sportiva ai massimi livelli.
A monitorare che gli investimenti delle realtà regionali siano paritari tra sport maschile e sport femminile e ad impegnarsi produrre dati/ricerche/rilevazioni sul fenomeno dello sport femminile in Emila Romagna.
Approvata all’unanimità dalla Commissione per la parità e per i diritti delle persone nella seduta del 30 ottobre 2019