n.62 del 13.03.2013 periodico (Parte Seconda)
RISOLUZIONE - Oggetto n. 1393 - Risoluzione proposta dai consiglieri Pagani, Moriconi, Mumolo, Piva, Vecchi Luciano, Costi, Ferrari, Pariani, Carini, Alessandrini, Casadei, Zoffoli, Cevenini e Riva per impegnare la Giunta a chiedere al Governo, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, la revisione delle disposizioni contenute nel D.M. 4 giugno 2010 in tema di accertamento della conoscenza della lingua italiana da parte di immigrati, specie al fine dell'ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo
L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
Premesso che
l’evoluzione normativa in tema di immigrazione clandestina ha visto, dopo la legge n. 189 del 2002, c.d. "Bossi-Fini", l’introduzione della legge n. 94 del 2009 (c.d. "pacchetto sicurezza") con la quale la clandestinità è diventata reato penale in Italia;
una recentissima sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito l’incompatibilità del reato di immigrazione clandestina con la normativa europea in materia di rimpatri;
l’UE sottolinea come la legislazione italiana che prevede la pena detentiva possa "compromettere la realizzazione dell’obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali".
Evidenziato che
al fine di legalizzare la propria permanenza nel Paese, gli immigrati devono ottenere il permesso di soggiorno di breve periodo o quello di lungo periodo, equivalente alla vecchia carta di soggiorno;
l’ottenimento del permesso di soggiorno lungo è legato a requisiti piuttosto stringenti, quali la residenza in Italia da almeno 5 anni, il possesso di permesso di soggiorno valido e requisiti minimi di reddito;
d’altra parte, il permesso di soggiorno di lungo periodo ha indubbi vantaggi rispetto a quello breve, sia perché evita estenuanti trafile e considerevoli costi per il rinnovo biennale, sia perché l’immigrato che dovesse perdere il lavoro non rischierebbe di perdere anche il permesso di soggiorno, sia infine perché dà diritto all’assegno di maternità e di invalidità.
Rilevato che
dal 9 dicembre 2010 il rilascio del permesso di soggiorno lungo è assoggettato all’ulteriore requisito della conoscenza della lingua italiana di livello A2, accertato attraverso un esame sostenuto con la prefettura e il cui espletamento è stato affidato ai CTP (Centri territoriali permanenti);
mentre negli altri Paesi europei, dove la conoscenza della lingua viene riconosciuta come requisito fondamentale per l’ottenimento del permesso di soggiorno, sono predisposti e finanziati percorsi formativi, in Italia negli ultimi anni sono stati tagliati risorse e insegnanti ai CTP, a fronte di un incremento fortissimo della richiesta di formazione;
l’ottenimento del permesso di soggiorno breve in Italia, già sottoposto a criteri molto più stringenti rispetto a molti altri Paesi UE, rischia di essere ulteriormente complicato dall’ipotesi di estendere anche ad esso l’esame di lingua italiana.
Sottolineato che
la percentuale della comunicazione orale, in particolare in un contesto di migrazione, è decisamente più alta ed ha maggiore rilevanza rispetto all’utilizzo della lingua scritta, mentre l’esame di lingua per l’ottenimento del permesso di lungo periodo prevede una verifica esclusivamente scritta delle competenze comunicative;
esistono persone, provenienti da paesi in cui la scolarizzazione non è ancora equamente garantita e diffusa, per le quali il test di lingua italiana, laddove non sia affiancato da un deciso potenziamento dell’offerta formativa, si qualifica solo come atto fortemente escludente;
molti insegnanti dei CTP hanno sottolineato con forza il loro disappunto per una norma ritenuta lesiva dei diritti fondamentali della persona, del tutto inutile dal punto di vista formativo, avulsa dalla consolidata prassi vigente in materia di certificazione, eccessivamente onerosa per lo Stato;
come era prevedibile ipotizzare in assenza di adeguati strumenti di formazione, i primi esami espletati con la nuova metodologia hanno visto un alto numero di candidati inidonei che per altro, vista la carenza di personale docente nei CTP, dovranno attendere molti mesi di insicurezza e precarietà prima di potere ritentare la prova.
Rimarcato che
così concepito, l’apprendimento della lingua italiana non diventa per i migranti un diritto, ma l’ostacolo all’accesso ai propri diritti;
il ruolo della scuola e di tutte le istituzioni scolastiche e formative viene svilito dalle disposizioni del decreto, che identificano in esse non luoghi di accrescimento dell’individuo e di possibilità di emancipazione del singolo attraverso l’acculturamento, ma strumenti attuativi di ostacoli alla piena integrazione sociale.
Impegna la Giunta
a chiedere al Governo, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, una revisione dei dispositivi previsti dal D.M. 4 giugno 2010 e che non sia esteso tale accertamento anche all’ottenimento del permesso breve;
ad adoperarsi presso il Governo affinché tutti gli attori sociali, a partire dalle istituzioni formative e dagli insegnanti dei CTP, vengano coinvolti in un percorso che porti alla revisione delle modalità di espletamento della prova;
a chiedere che vengano ripristinate e potenziate le risorse per la formazione tagliate ai CTP - per evitare anche che la formazione privata speculi su questo vuoto proponendosi con corsi a pagamento - magari reperendole da una revisione delle modalità di istituzione delle Commissioni Esaminatrici, che prevedono costi ingentissimi ed ingiustificati;
ad adoperarsi in ogni sede al fine di rendere manifesto il proprio dissenso rispetto ad una politica dell’immigrazione che non integra ma ghettizza, che non offre possibilità e diritti ma ostacoli e prevaricazioni.
Approvata a maggioranza dei presenti nella seduta pomeridiana del 27 febbraio 2013