Testo
Premessa
Le ragioni di una legge di metodo
Gli ultimi vent’anni di legislazione italiana sull’azione amministrativa hanno reso del tutto evidente il fallimento della via meramente tecnico-giuridica alla semplificazione.
La proposta di legge, nell’ottica di perseguire in maniera più adeguata gli obiettivi di qualità dell’azione amministrativa, offre un’alternativa radicale per affrontare in modo sostanziale il tema della semplificazione.
Tale alternativa consiste nel proporre non una legge fondata su norme contenutistiche - siano esse relative alla riduzione dei termini procedimentali, ovvero tese a implementare forme di liberalizzazione delle attività economiche - bensì una legge di metodo per la costruzione di un sistema unitario e condiviso di semplificazione.
Si ritiene, infatti, che la semplificazione debba costituire un ordinario metodo di azione e non una misura correttiva da applicare a sistemi decisionali e procedure frastagliate, per giunta, poco incisive.
Dotarsi e dotare gli enti territoriali di una metodologia tesa a garantire non solo formalmente la qualità dei processi decisionali, ma anche e soprattutto dal punto di vista concreto e sostanziale, implica la consapevolezza che le tecniche e gli interventi sinora adottati, specie a livello nazionale, si sono dimostrati tutt’altro che soddisfacenti rispetto alla crescente domanda di semplificazione.
La via metodologica alla semplificazione offre la possibilità di individuare la cornice dentro la quale ciascun livello di governo agisce, allo scopo di fornire modalità d’azione che permettano ai soggetti istituzionali coinvolti di districarsi all’interno di un coacervo di norme molto eterogenee. La frammentarietà, insita in un sistema multilivello, così come la coesistenza di molteplici fonti regolative, oltre ad essere connotata naturalmente da norme e procedure eterodirette, risente di una crescente incertezza determinata dal progressivo riaccentramento in capo allo Stato di competenze normative anche in materia di procedimento amministrativo.
Al fine di ridurre la complessità che così si determina, è necessario dotarsi di una metodologia atta a realizzare una diversa regionalizzazione degli interventi di semplificazione, sfruttando al meglio gli spazi di regolazione che residuano in capo alla Regione e agli enti territoriali, anche attraverso l’interdisciplinarità, che opera sia all’interno della Regione sia nel rapporto con il sistema delle autonomie.
Una legge di metodo rappresenta una novità sostanziale nel panorama legislativo regionale italiano, anche e in quanto vengono dati per acquisiti e impliciti gli strumenti di semplificazione già vigenti nell’ordinamento. Ciò nell’intento di evitare quelle che risulterebbero delle inutili duplicazioni. Del resto, la norme statali operano in ogni caso, a prescindere da un loro formale recepimento.
Nella direzione di non creare sovrapposizioni e ridondanze ma garantendo contemporaneamente la piena legittimità dell’azione amministrativa, la proposta metodologica punta, da un lato, a valorizzare istituti e tecniche già esistenti (es. la misurazione degli oneri amministrativi, l’analisi e la valutazione di impatto della regolamentazione, ecc.), dall’altro, a garantire il raggiungimento delle finalità insite nella disciplina statale in materia di procedimento amministrativo(certezza dei tempi procedimentali, responsabilità amministrativa, ecc…).
La proposta di una legge di metodo, superando la separatezza tra strumenti di semplificazione e disciplina del procedimento amministrativo - propria della nozione di semplificazione data a livello statale - si pone l’ambizioso obiettivo di realizzare un sistema unitario e condiviso di miglioramento dell’azione amministrativa che tenga insieme tali strumenti, solo apparentemente diversi.
Stato e Regioni nella semplificazione e nel procedimento
Il modello che ispira il provvedimento legislativo qui proposto, fondato su una duplice azione, da un lato politica, dall’altro tecnico-amministrativa, porta in sé l’esperienza - di fine anni ’90 - dell’Osservatorio Bassanini (istituito con d.P.C.M. 6 aprile 1999 in attuazione dell’ art. 1, comma 2, legge n. 50/1999) e del Nucleo per la semplificazione (struttura tecnica prevista dalla stessa legge n. 50/1999). In particolare, l’idea di istituire l’Osservatorio discendeva dal Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione (c.d. Patto di Natale), del 22 dicembre 1998. L’accordo, al quale partecipavano istituzioni e categorie economiche, sanciva l’importanza del metodo concertativo nella riforma dell’amministrazione statale, indicando concrete misure per la partecipazione dei soggetti firmatari all’elaborazione delle politiche di semplificazione.
Tale modello, come noto, si fondava sull’azione politica-istituzionale che guidava gli interventi di semplificazione amministrativa. In sostanza, si trattava di un trittico Nucleo-Osservatorio - parti sociali, nel quale il primo svolgeva compiti di studio e predisposizione degli interventi che il secondo trasmetteva alle associazioni, per poi raccogliere le loro proposte e ritrasmetterle al Nucleo. Quest’ultimo di seguito le doveva recepire nella predisposizione delle misure di semplificazione.
Va ricordato che l’esperienza Bassanini nasceva in un contesto istituzionale e amministrativo molto diverso da quello attuale, agli albori della più rilevante riforma del sistema amministrativo italiano, dopo quella di istituzione delle Regioni. In tale contesto, gli effetti prodotti in materia di semplificazione furono significativi e duraturi nel tempo. Basti pensare anche solo alla nuova disciplina della conferenza di servizi e all’istituzione e disciplina dello sportello unico per le attività produttive.
Il punto di forza del modello realizzato mediante l’Osservatorio e il Nucleo era la formalizzazione della rappresentanza degli interessi di tipo economico all’interno dei processi decisionali di cui restavano titolari le istituzioni pubbliche, a cominciare da quelle territoriali.
Alla luce di quanto ricordato sull’esperienza “Bassanini” e tenuto conto del già richiamato fallimento delle politiche di semplificazione più recenti, la presente proposta di legge mira a costruire un modello organizzativo fondato sulla rappresentanza degli interessi economici e a riattivare quel circuito virtuoso tra società civile e istituzioni pubbliche, in assenza del quale nessuna effettiva politica di semplificazione può sperare di avere successo.
La necessità di ideare un metodo che renda effettive le politiche di semplificazione in un territorio origina dalla consapevolezza, come già detto in premessa, dell’esistenza di un sistema eterogeneo di fonti regolative, connotato da pluralismo istituzionale.
Fino a prima della riforma costituzionale del 2001, l’impostazione tradizionale in tema di semplificazione amministrativa e qualità delle regolazione attribuiva allo Stato un ruolo guida, attraverso l’imposizione di direttive vincolanti anche per regioni ed enti locali.
Il nuovo assetto delle competenze ha comportato una radicale modificazione di tale sistema, tanto che la qualità della regolazione è divenuta sempre più appannaggio regionale, in particolare nei settori delle attività produttive. Tale aspetto è evidente, per fare alcuni esempi, sia che si guardi anche solo all’introduzione negli Statuti regionali di norme in materia di A.I.R. e V.I.R., sia che si guardi alle varie sperimentazioni regionali in tema di M.O.A.. Tutto ciò, inoltre, ha una sostanziale ricaduta nella regolazione dei procedimenti amministrativi in un quadro che ha visto rafforzarsi l’idea di una competenza sul procedimento che segue la competenza a regolare la “materia”, determinando la perdita di egemonia statale sulla regolazione amministrativa in tutta una serie di settori. Questo è generalmente frutto della riconduzione della disciplina del procedimento alla materia dell’organizzazione amministrativa, ascritta alla potestà legislativa regionale “residuale”. Tale lettura, tuttavia, non trova conferma nelle recenti modifiche alla legge n. 241/1990 che ha riaccentrato in capo al legislatore statale la disciplina uniforme del procedimento amministrativo, collocando tutta una serie di disposizioni in essa contenute nell’alveo della disciplina sui “livelli essenziali delle prestazioni” da garantire sull’intero territorio nazionale.
In generale, va constatato che la più recente legislazione statale in tema di semplificazione e di procedimento amministrativo è connotata da una duplice natura, una puntuale, mirata a regolare questioni specifiche (es. la riduzione degli adempimenti burocratici), l’altra trasversale, riferita ad ambiti molto più ampi (es. la riduzione dei termini procedimentali, la revisione di specifici istituti di semplificazione, quali la segnalazione certificata di inizio attività, il silenzio-assenso e la conferenza dei servizi).
La disomogeneità degli interventi statali e, come già sottolineato, il progressivo riaccentrarsi in capo allo Stato delle competenze - sia amministrative che legislative – ha reso molto incerto il contesto giuridico e normativo di riferimento, più di quanto la costituzionalizzazione di un sistema multilivello non avesse già comportato.
L’accentuato policentrismo normativo che caratterizza l’ordinamento italiano, quindi, implica forti ripercussioni anche sulle politiche di semplificazione, come annotato nell’ “Esame Ocse sulla riforma della regolazione, Italia, assicurare la qualità della regolazione a tutti i livelli di governo” (2007). Per tali ragioni e secondo i suggerimenti dell’Ocse, è auspicabile l’implementazione di un metodo coordinato e condiviso tra Stato, Regioni ed enti territoriali. In tale direzione, sono già stati compiuti significativi tentativi ai quali tuttavia non hanno fatto seguito azioni concrete. Ad esempio, il 29 marzo 2007 veniva siglato - in sede di Conferenza unificata - l’Accordo per la semplificazione e il miglioramento della qualità della regolamentazione, sottoscritto in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 246/2005 (ultima legge di semplificazione varata dal legislatore statale).
L’Accordo informava ai principi della collaborazione e del coordinamento interistituzionale tecniche e metodi che l’ordinamento, sia nazionale che sovranazionale, già approntava a fini della semplificazione e della qualità della regolamentazione, richiamando strumenti quali l’A.I.R., l’A.T.N. (analisi tecnico normativa), l’analisi di fattibilità, la VIR e la M.O.A.. Così come l’Accordo del 2007 è rimasto sostanzialmente lettera morta, anche la compagine organizzativa statale in materia di semplificazione, oltre a dimostrarsi già formalmente disomogenea e macchinosa, non ha prodotto alcun apprezzabile risultato, nonostante il coordinamento interistituzionale ne rappresentasse una fondamentale missione (si vedano ad es. le competenze dell’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione e quelle del Tavolo permanente di raccordo con regioni ed enti locali).
A distanza di quasi un quinquennio, nel maggio di quest’anno, con l’emanazione del D.L. n. 70 (cd. Decreto Sviluppo), il Governo ha provveduto alla messa a punto, per quanto attiene ai profili organizzativi, di quello che sembra potersi definire un sistema di coordinamento stabile tra Stato, regioni ed enti locali in tema di semplificazione degli oneri amministrativi, con la previsione di un Comitato paritetico, incardinato nella Conferenza Unificata, per le attività di misurazione e riduzione degli adempimenti burocratici (art. 6, D.L. n. 70/2011) anche nelle materie di competenza legislativa regionale.
Le misure di semplificazione nella Regione Emilia-Romagna
La legge che si propone è l’approdo di un percorso che, in tema di semplificazione, la Regione ha intrapreso da tempo, già dalla revisione statutaria del 2005. Lo Statuto regionale, approvato con la l.r. n. 13/2005, impone infatti sia il ricorso a strumenti e tecniche per la qualità della normazione (art.53), sia il rispetto di principi cardine dell’azione amministrativa, quali la semplificazione, la partecipazione, la responsabilità, la trasparenza, la certezza dei tempi del procedimento (art.61).
Alla semplificazione e alla trasparenza è dato inoltre specifico risalto nell’Intervento programmatico del Presidente Errani con l’impegno di procedere, in questa legislatura, alla misurazione e riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, ma anche di individuare e superare, con il fondamentale ausilio di province e comuni, le eventuali “strozzature” che affliggono le procedure amministrative. Lo stesso Programma di mandato prevede a tal fine lo strumento del Patto delle azioni concrete, passaggio fondamentale fatto oggetto del provvedimento legislativo qui proposto. Il Patto dovrebbe ricalcare precedenti esperienze quali: a) il “Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione” (cd. Patto di Natale) del 22 dicembre 2008, firmato dal Governo e le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative al livello nazionale; b) il “Patto per attraversare la crisi” firmato nel 2009 dalla Regione Emilia-Romagna, l’UPI, l’ANCI regionali, le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali regionali (v. Delib. G.R. n. 692 del 18 maggio 2009).
Nell’ottica di dare attuazione agli impegni programmatici assunti, il 15 novembre 2010 la Giunta Regionale ha approvato gli “Indirizzi metodologici per la rifunzionalizzazione del sistema e per il miglioramento dei processi decisionali” dove sono enucleate le finalità per la realizzazione di una politica di semplificazione quale principale strumento di garanzia della qualità dell’azione amministrativa e dei processi decisionali. Tale rilevantissimo documento, dando recepimento e seguito all’input politico del Programma di mandato, anticipa alcuni tra i più significativi strumenti che oggi trovano espressa previsione e disciplina nel provvedimento legislativo proposto. Si tratta, in particolare, del Patto delle azioni concrete e della Sessione di semplificazione.
Il percorso tracciato dalla Giunta Regionale sul tema della semplificazione e della qualità della regolazione, tuttavia, non si limita all’assunzione di impegni programmatici, ma ha anche trovato esplicitazione nella formalizzazione di un metodo di lavoro che coinvolge tutti i settori interni all’amministrazione regionale, le amministrazioni locali e le forze economiche e sociali di volta in volta interessate e coinvolte su specifici temi e profili. Il riferimento è alla istituzione della cd. Area di integrazione “Qualità della regolazione e semplificazione”(Deliberazione della G.R. n. 2163 del 27/12/2007) all’interno della quale è data specifica evidenza alle funzioni esercitate dal Comitato di Direzione, di cui all’art. 35 della l.r. n. 43/2001, che esprime un parere di natura tecnica in merito ai profili di semplificazione normativa e procedimentale avvalendosi, a questo fine, dell’Area di integrazione. Il ruolo del Comitato, di fondamentale importanza sia nella valutazione delle singole proposte di intervento in materia sia quale sede di raccordo tra direzione politica e direzione amministrativa, è oggi richiamato nel provvedimento legislativo proposto.
Il modello adottato dalla Giunta Regionale è fortemente ispirato ai principi di collaborazione e concertazione con le Associazioni di categoria, come dimostra la circostanza che le attività sinora svolte dall’Area di Integrazione “Qualità della regolazione e semplificazione” sono state organizzate in stretto raccordo e sinergia con le rappresentanze delle forze economiche del territorio, coniugando le priorità dettate dalla Regione e le istanze provenienti dalle Associazioni imprenditoriali.
Il progetto di legge: principi, finalità e modello
Il modello di semplificazione che la presente proposta legislativa mira a realizzare si regge su un insieme di principi guida dell’azione amministrativa, operando una scelta di fondo che punta al miglioramento della macchina amministrativa attraverso una diversa declinazione della nozione stessa di qualità delle prestazioni.
Anzitutto, per quanto concerne precipuamente la regolazione del procedimento, a fronte di una legislazione statale fortemente sbilanciata a favore di una nozione di qualità delle prestazioni intesa come celerità del procedimento e riduzione generalizzata dei tempi per il suo svolgimento, la proposta di legge mira a valorizzare gli aspetti relativi alla certezza dei tempi amministrativi e delle relative decisioni. In tale scelta, solo apparentemente discordante con i principi generali in materia di procedimento amministrativo, risiede un’accurata e preventiva valutazione delle istanze provenienti dalle Associazioni delle categorie produttive emiliano-romagnole che avvertono come problematica non tanto, o non solo, la “durata” dei procedimenti amministrativi, spesso complessi ed articolati, ma la crescente incertezza dei tempi per la loro conclusione. Sotto altro profilo, alla certezza dei tempi e delle decisioni amministrative deve corrispondere un’opera di omogeneizzazione interpretativa delle norme che regolano le singole procedure,di cui talvolta sono titolari soggetti istituzionali diversi, anche al fine di dare attuazione al principio di semplicità dei rapporti tra amministrazioni e amministrati.
La certezza dei tempi procedimentali, inoltre, si coniuga con un altro dei principi che ispirano il modello proposto: quello della responsabilità dei soggetti istituzionali chiamati ad eseguire le procedure e ad adottare le decisioni. Anche in questo caso, tale principio trova una sua autentica e originale declinazione in quanto è considerato un processo dinamico che può realizzarsi solo attraverso l’appropriatezza delle funzioni esercitate, delle risorse finanziarie ed organizzative disponibili e il loro necessario adeguamento alle sempre più complesse istanze delle imprese e dei cittadini.
Per quanto concerne più specificamente il profilo dell’organizzazione e degli strumenti di semplificazione, assume rilevanza il principio collaborativo che, proprio per superare la frammentarietà delle competenze, deve operare non solo nel rapporto tra la Regione e le autonomie locali di riferimento, ma anche tra esse, lo Stato e le sue amministrazioni decentrate. La collaborazione con lo Stato è prevista in particolare per quel che riguarda il ricorso sistematico a tecniche e misure atte a ridurre gli oneri burocratici per le imprese attraverso l’adozione, in linea di continuità con quanto stabilito a livello nazionale e comunitario dalle norme vigenti, dei cc.dd. “Piani di riduzione degli oneri”. In particolare, occorre che tali misure siano ispirate al principio della compensazione degli oneri, prevedendo che ad ogni nuovo adempimento introdotto corrisponda l’eliminazione di un adempimento di pari peso ed entità, in termini di costo per l’impresa.
Infine, affinché siano perseguiti al meglio gli obiettivi indicati, il provvedimento legislativo prevede anche la più ampia informatizzazione delle procedure, valorizzando in particolare l’interoperabilità tra le amministrazioni operanti nel territorio regionale.
Ciò consente di superare la frammentarietà delle competenze attribuite ai diversi livelli di governo e di conseguire l’unicità dell’azione amministrativa, proponendo le singole amministrazioni del territorio come interlocutore unico per cittadini e imprese.
Nell’ottica di realizzare un metodo coordinato per la semplificazione e ponendo le basi per la costruzione di un modello di lavoro condiviso dalle istituzioni locali e dalle forze economiche del territorio, il progetto di legge persegue la finalità di valorizzare gli strumenti applicati e applicabili già vigenti, introducendone altresì uno nuovo: l’AVP (analisi e valutazione permanente dei procedimenti).
Il metodo proposto, in particolare, si fonda su alcuni perni fondamentali:
a) la stipula di un “Patto delle azioni concrete di semplificazione” con gli enti locali e le altre amministrazioni interessate, nonché con le Associazioni imprenditoriali e di categoria;
b) l’istituzione di un Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure, quale sede tecnica di analisi;
c) la costituzione di un Tavolo permanente per la semplificazione, quale sede politica di consultazione delle parti sociali e dei consumatori;
d) la previsione di una sessione assembleare annuale dedicata alla semplificazione, all’interno della quale vengono esaminati gli esiti dell’A.V.P. e le proposte formulate dal Nucleo tecnico e dal Tavolo permanente, ai fini dell’eventuale adozione di opportune modifiche legislative.