Chiudi XHTML preview

Relazione

La presente proposta di legge contiene la disciplina del patto civile di solidarietà (PACS).

Il patto civile di solidarietà è uno strumento regolativo pattizio che consente alle coppie con un progetto di vita in comune di regolare i reciproci rapporti patrimoniali e personali. In questo modo si introduce un nuovo istituto giuridico nell’ambito del diritto di famiglia, che si affianca al matrimonio, ma che non entra in competizione con esso né lo sostituisce. La richiesta di avere una molteplicità di istituti giuridici che consentano di organizzare e regolare la vita familiare, è molto sentita nella società italiana e in tutti i Paesi che hanno una tradizione giuridica comune alla nostra. L’Italia, anzi, si presenta oggi come uno dei pochissimi Paesi dell’Europa occidentale a non avere introdotto istituti di questo tipo.

La ripresentazione del Patto civile di solidarietà in questo momento intende anche dare un seguito alle sollecitazioni che sono giunte dalla Corte costituzionale a seguito della sentenza numero 138 dell’aprile del 2010, punto di riferimento importantissimo per il riconoscimento di diritti alle famiglie omosessuali, che oggi non accedono al matrimonio.

E’ nozione acquisita che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi.

Sono molti anni ormai che si discute della necessità di introdurre forme di regolamentazione delle coppie formate da persone dello stesso sesso, ma ogni volta che si avanza una proposta accade puntualmente che si scaglino anatemi politici e religiosi con lo scopo di bloccarla e si manifesta un’animosità che la saggezza della Corte costituzionale oggi consente di eliminare una volta per tutte. Una proposta come questa del Patto civile di solidarietà ha un alto valore pratico e simbolico per il riconoscimento della dignità delle persone e realizza quel programma di valorizzazione della persona umana, al di là delle sue condizioni personali, che è iscritto nella Costituzione.

La Corte costituzionale nella sentenza citata ha chiarito, se mai vi fossero dubbi, che le famiglie omosessuali hanno rilevanza sociale e non rappresentano un fatto ‘privato’ di cui lo Stato possa disinteressarsi. Nell’ambito dell’articolo 2 della Costituzione è racchiuso “il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Oltretutto, chiarisce la Corte, non può trattarsi di un riconoscimento giuridico qualsiasi, ma esso “necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia”.

In questo modo si può garantire il diritto inviolabile dell’uomo di vedersi riconosciuto quel particolare tipo di ‘formazione sociale’ che è la famiglia, quella che costruisce con la persona che ha liberamente scelto, idonea a consentire e favorire il suo libero sviluppo nella vita di relazione; in questo modo si adempiono i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale imposti al consesso sociale. Si tratta, in definitiva, di valorizzare il modello pluralistico racchiuso nella nostra Costituzione.

La sentenza della Corte esalta la discrezionalità del legislatore in questa materia e dall’altra ne definisce i contorni. Il legislatore è infatti chiamato a dettare una disciplina generale che tratti in maniera omogenea le unioni omosessuali e quelle eterosessuali coniugate tutte le volte che il trattamento differenziato non risulti ragionevole. Nel caso in cui ciò non avvenisse, la Corte si riserva la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni. Questa precisazione pone in luce che le unioni omosessuali – alle quali oggi viene impedito l’accesso al matrimonio- non possono essere assimilate alle coppie di fatto eterosessuali, dalle quali si differenziano sostanzialmente, ma possono confrontarsi unicamente con le coppie coniugate, per il riconoscimento e la modulazione dei diritti e doveri.

Va segnalato che solo due mesi dopo la sentenza della nostra Corte costituzionale ne è intervenuta una della Corte europea dei diritti dell’uomo (I sez., 24 giugno 2010, ric. n. 30141/04, Schalk e Kopf c. Austria), anch’essa importante per le famiglie omosessuali. I ricorrenti, una coppia di cittadini austriaci dello stesso sesso, lamentavano di essere stati discriminati a causa del loro orientamento sessuale, a seguito del rifiuto delle autorità austriache di riconoscere loro il diritto di sposarsi, assumendo che il matrimonio potesse essere contratto solo tra due persone di sesso opposto, e a fronte dell’allora mancanza di un’altra possibilità di riconoscimento legale del loro rapporto. Un istituto alternativo al matrimonio, aperto alle coppie dello stesso sesso, è stato introdotto in Austria nel corso dello scorso anno.

La Corte europea conferma la propria giurisprudenza sull’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), secondo la quale tale articolo non obbliga gli Stati a garantire il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tuttavia richiamando il proprio orientamento elaborato per il diritto al matrimonio dei transessuali, secondo cui il diritto di sposarsi non è subordinato alla possibilità per una coppia di procreare o di essere genitori, e l’art. 9 della Carta di Nizza che non omette casualmente il riferimento «ad ogni uomo e donna» come titolari del diritto di sposarsi, conclude che l’applicabilità dell’art. 12 Cedu non può considerarsi limitata in ogni caso al matrimonio tra persone di sesso diverso. La Corte, pur osservando che i legislatori nazionali sono nella condizione migliore per scegliere se ammettere al matrimonio le coppie dello stesso sesso, a ben vedere compie un passo avanti importanti, perché sulla scorta dell’articolo 9 della Carta di Nizza, amplia la portata dell’articolo 12 della Cedu..

Al contempo – e questa è la parte più rilevante ai fini della presente proposta di legge-, la Corte amplia la portata dell’interpretazione dell’art. 8 della Cedu, pur escludendo che ci sia stata la violazione del divieto di discriminazione lamentato dai ricorrenti. Infatti, per la prima volta, la Corte riconosce che le unioni tra persone dello stesso sesso, come già quelle eterosessuali, possono rientrare nella nozione di «vita familiare» tutelata dall’art. 8, mentre in passato la Corte le faceva rientrare solo nella nozione di tutela della «vita privata», contenuta nello stesso articolo 8.

Il PACS consentirà di eliminare una discriminazione subita ingiustificatamente e troppo a lungo dalle famiglie omosessuali e certamente potrà costituire un valido contributo al superamento dello stigma sociale e dell’omofobia che ancora oggi si manifestano troppo spesso, anche in modo violento, e purtroppo anche a livello istituzionale.

L’introduzione del Patto civile di solidarietà se da un lato consente di dare una risposta alla non più rinviabile richiesta di riconoscimento di diritti e doveri da parte delle coppie omosessuali, dall’altro rappresenta, nell’ottica della moltiplicazione degli istituti giuridici in materia di diritto familiare, uno strumento estremamente valido per la regolazione di diritti e doveri delle coppie eterosessuali che non vogliono o non posso accedere al matrimonio. Le stabili convivenze rappresentano un fenomeno che ha ormai acquistato dimensioni socialmente imponenti ed è certo anche largamente sottostimato dalle statistiche, poiché tende a sottrarsi a ogni rilevazione, data l’assenza di qualunque vantaggio a manifestarsi per le attuali famiglie non tradizionali.

La presente proposta di legge non intende imporre autoritativamente il nuovo istituto alle coppie di fatto che vogliano rifuggire da ogni vincolo giuridico, ma soltanto offrire una possibilità di scelta in più a chi desidererà usufruirne. Si tratta, in sostanza, di prendere atto che il pluralismo della nostra società non consente più, se non al prezzo di gravi e inutili costi sociali, di imporre alle famiglie non tradizionali una drastica scelta tra due sole opzioni: il matrimonio tradizionale da una parte, l’assenza assoluta di qualsiasi riconoscimento giuridico e perfino di tutela in caso di eventi imprevisti dall’altra.

Non deve più accadere, a parere dei proponenti, che a chi ha convissuto con una persona, magari per trent’anni, possa essere negato perfino il diritto di assistere il proprio partner morente in ospedale e che le famiglie di origine possano addirittura impedire al partner l’accesso al luogo di cura e lo escludano da ogni decisione riguardante il partner malato e incapace di agire; non deve più accadere che, attraverso l’istituto della riserva in favore dei legittimari, sia vietato al testatore di lasciare in eredità il proprio patrimonio alla persona con cui ha condiviso l’esistenza e che, anche in assenza di eredi legittimari, tale eredità sia falcidiata dalla stessa tassazione prevista per i lasciti a persone del tutto estranee al defunto, discriminazione aggravata dalla modifica del regime fiscale delle successioni.

Non deve accadere che trattamenti punitivi di questo genere siano previsti al solo fine di sanzionare le scelte di vita dei cittadini che semplicemente non ritengano adatta alla propria unione, o non condividano per alcuni suoi aspetti, la normativa matrimoniale vigente. La presente proposta di legge, se offre ai cittadini eterosessuali una possibilità di scelta in più, mira anche a garantire, almeno nella pratica, anche ai cittadini omosessuali un’opportunità di risolvere molti drammatici problemi concreti e una forma di regolamentazione e di riconoscimento giuridici delle proprie unioni che non le confini obbligatoriamente, come ora, nell’impossibilità di fruire di ogni e qualunque forma di tutela e di garanzia.

Come accennato, la regolamentazione dettata per il patto civile di solidarietà non si applica alle famiglie di fatto che intendano effettivamente rimanere tali, poiché decise non solo a non applicare alla propria vita lo strumento della vigente legislazione matrimoniale, ma anche a non attribuire alla propria unione alcun carattere giuridicamente vincolante.

Per quanto riguarda le unioni di fatto di quei cittadini che non intendano neppure ricorrere al nuovo istituto, si dovrà provvedere con un altro progetto di legge che si limiti ad assicurare una qualche minimale forma di tutela necessaria a salvaguardare gli interessati dai possibili effetti esistenziali catastrofici di eventi imprevisti, codificando e conferendo in tale modo sistematicità a regole in gran parte già introdotte dalla giurisprudenza. Infine, la presente proposta di legge non ha lo scopo di modificare in alcun modo lo status giuridico dei figli delle parti del patto civile di solidarietà: si è voluto così togliere ogni pretesto alle campagne demagogiche da tempo in atto che brandiscono tale argomento come giustificazione al diniego di ogni riconoscimento giuridico delle famiglie non tradizionali. Resta ovviamente il fatto che assicurare alle famiglie non tradizionali un nuovo strumento regolativo pattizio significa anche assicurare loro prospettive di maggiori stabilità e consistenza anche formali, a tutto vantaggio della condizione giuridica ed esistenziale di tutti i membri di tali famiglie, inclusi gli eventuali figli delle parti.

Dal punto di vista della posizione costituzionale delle famiglie non tradizionali va preliminarmente sfatata una leggenda, negli ultimi anni sempre più insistentemente propagata dagli avversari di qualunque forma di riconoscimento giuridico delle unioni familiari di tipo non tradizionale. Il primo comma dell’articolo 29 della Costituzione non pone alcun ostacolo a tale riconoscimento. La disposizione afferma che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», ma nulla afferma e nulla vieta circa il riconoscimento di altre forme di convivenza familiare: e ciò per il semplice fatto che un tale riconoscimento non sarebbe suscettibile di modificare, limitare, compromettere o intaccare in nessun modo e in nessuna misura i diritti o la sfera di autonomia delle famiglie tradizionali, che non ne sarebbero neppure sfiorati.

L’articolo 29, primo comma, stabilisce, infatti, soltanto che lo Stato non può fare a meno di garantire «i diritti» delle famiglie fondate sul matrimonio, alle quali è così assicurata una relativa sfera di autonomia rispetto al potere regolativo dello Stato: di qui la pretesa illegittimità costituzionale di una legge ordinaria che mirasse a disconoscere i diritti di tali famiglie. L’autonomia della famiglia fondata sul matrimonio, come «formazione sociale intermedia», non può essere invasa da interventi autoritari, come quelli messi in atto dai regimi fascisti che erano appena tramontati all’epoca dell’approvazione della Costituzione, o da quelli comunisti che stavano nascendo nell’Europa centro-orientale, volti a soppiantarla a vantaggio di regolamentazioni autoritative di taglio statalista o collettivista e di modelli organizzativi o di fini contrastanti con quello di sede del libero e autonomo svolgimento della personalità dei suoi singoli componenti e di tutela dei loro «diritti inviolabili» (così definiti dall’articolo 2 della Costituzione).

Anche in linea più generale, d’altra parte, è del tutto illogico pretendere che la particolare o rinforzata tutela esplicitamente garantita dalla Costituzione a una specifica situazione obblighi positivamente anche a denegare lo stesso trattamento ad altre situazioni socialmente analoghe o identiche: la garanzia costituzionale rinforzata di un diritto non implica di per sé anche l’obbligo costituzionale di negare la parità di trattamento ai casi in cui, pure, essa non sia costituzionalmente dovuta.

Gli articoli 33, primo comma, e 19 della Costituzione tutelano in modo particolare, rispettivamente, la libertà di insegnamento e la libertà di culto, ma nessuno si sogna di trarne la conseguenza che la libertà di espressione del pensiero in altri campi, garantita in modo meno incondizionato dall’articolo 21, debba essere obbligatoriamente limitata al solo fine di sottolinearne un presunto minore valore o una minore dignità nei casi che non sono oggetto della tutela rinforzata prevista dagli articoli 33 e 19.

Affermare in modo particolarmente solenne e impegnativo i diritti di qualcuno (poiché sono la storia recente e gli avvenimenti altrove in corso a consigliare di farlo) non equivale a vietare qualunque minimo riconoscimento dei diritti di qualcun altro; e comunque una così rilevante denegazione di diritti, per essere obbligatoria benché derogatoria rispetto a principi fondamentali della Costituzione, dovrebbe almeno essere stata formulata in modo espresso.

Questo però non significa che, come già accennato, altre indicazioni, anche cogenti, non siano desumibili da altre disposizioni costituzionali. Una norma cardine dell’intero ordinamento costituzionale italiano come l’articolo 3, primo comma, che impone l’eguaglianza formale tra i cittadini come parametro fondamentale di legittimità della legge ordinaria, impone che situazioni giuridiche eguali siano trattate in modo eguale.

Nella misura in cui situazioni giuridiche attinenti alle famiglie tradizionali siano identiche a quelle attinenti a famiglie non tradizionali, queste ultime devono essere trattate in modo identico. Non solo, quindi, l’articolo 29, primo comma, non impone un trattamento differenziato, ma la Costituzione vigente nel suo complesso - e in alcuni casi gli impegni internazionali dell’Italia - impongono, al contrario, parità di trattamento e parità di diritti.

E ancora: si è detto che l’articolo 29, primo comma, colloca la tutela della famiglia nel quadro del sistema delle autonomie riconosciute alle «formazioni sociali intermedie». Tali «formazioni sociali», che dunque ricomprendono anche la famiglia (tradizionale e matrimoniale) come caso speciale, rivestono il ruolo essenziale di luoghi «ove si svolge la personalità» del singolo individuo, come recita l’articolo 2. Come tali esse sono i luoghi all’interno dei quali «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo».

Che tra tali «formazioni sociali» possano riconoscersi anche le «famiglie di fatto» comincia ad essere abbastanza pacificamente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Ed è altrettanto chiaro dalla lettura complessiva delle disposizioni costituzionali riguardanti le «formazioni sociali» e la famiglia che il loro fine comune è il pieno e libero sviluppo della personalità e dei diritti umani fondamentali degli individui che le compongono (tanto che non ha mai avuto successo il tentativo di attribuire alla famiglia - neppure alla famiglia tradizionale e matrimoniale - il carattere di persona giuridica, titolare di situazioni giuridiche soggettive distinte e sovraordinate rispetto a quelle dei singoli componenti): è evidente che, a questi effetti, qualunque discriminazione non potrebbe che ritenersi del tutto illegittima.

Articolo 1. -(Finalità). - Illustra lo scopo della proposta di legge che è quello di rendere esercitabile un diritto inviolabile dell’uomo e della donna (come prescrive l’articolo 2 della Costituzione) e cioè quello di realizzarsi pienamente in una relazione affettiva, senza che una condizione personale (qual è l’essere omosessuale) o una propria convinzione di carattere politico o religioso (che imponga a due partner eterosessuali di non contrarre matrimonio) sia di impedimento a ciò. L’assenza di un qualsiasi strumento giuridico alternativo al matrimonio, istituto non accessibile in particolare alle persone lesbiche e gay, rende fortemente problematiche le convivenze stabili create da questi ultimi, lasciandoli senza alcuna forma di tutela.

Articolo 2. - (Definizione). - È importante sottolineare la portata innovativa nell’ambito del sistema contrattuale italiano della definizione di patto civile di solidarietà. Oggi in Italia i contratti devono rigorosamente avere contenuto di carattere patrimoniale. Senza questa innovazione legislativa due soggetti non possono allo stato attuale stipulare accordi relativi alle questioni di carattere non patrimoniale concernenti la loro convivenza.

Articolo 3. - (Presupposti). - I presupposti elencati in questo articolo stabiliscono dei divieti per alcune persone a contrarre un patto civile di solidarietà. Per esempio, non è possibile stipularlo tra un padre e una figlia, o tra due fratelli o sorelle. Tali divieti sono denominati dalla legge «casi di incapacità speciale», nel senso che alcune persone in ragione delle loro qualità o delle relazioni di parentela o di affinità che le legano non possono avere accesso al patto civile di solidarietà. L’articolo è strutturato sulla falsariga dell’articolo 87 del codice civile che prevede norme analoghe a proposito del matrimonio. L’articolo 87 del codice civile non è stato ripreso integralmente poiché la sua formulazione ha come presupposto l’eterosessualità dei nubendi, circostanza che non si verifica necessariamente in caso del patto civile di solidarietà. Da notare che esplicitamente si commina, al contratto stipulato in violazione del presente articolo, la sanzione della nullità, che può essere rilevata anche dal pubblico ministero, che in genere è legittimato a sollecitare l’intervento giudiziale in materia di status delle persone.

Per contrarre un patto civile di solidarietà non è previsto alcun obbligo preventivo di convivenza tra i due futuri partner.

Articolo 4. - (Costituzione del patto civile di solidarietà). - L’articolo prescrive un obbligo di forma per la validità dell’atto. Se il contratto non è stipulato nella forma dell’atto pubblico sottoscritto alla presenza dell’ufficiale dello stato civile è nullo, non essendo sufficiente un semplice contratto stipulato in forma privata. La procedura per la sottoscrizione e per la registrazione del patto civile di solidarietà prevede che sia presentata una domanda in carta libera all’ufficiale dello stato civile del comune in cui almeno uno dei due contraenti è residente.

La domanda deve contenere: 

a) la richiesta congiunta di essere convocati per la sottoscrizione del patto, che deve essere disposta dall’ufficiale dello stato civile entro un mese dalla data di presentazione dell’istanza;

b) l’autocertificazione che attesta la sussistenza di uno dei presupposti di cui dall’articolo 3. Nel caso manchi questa autocertificazione, che rappresenta uno strumento per lo snellimento dell’attività amministrativa collegata alla sottoscrizione del patto civile di solidarietà, questi non può essere accolto dall’ufficiale dello stato civile. Alla presenza dell’ufficiale dello stato civile le parti sottoscrivono tre copie del patto civile di solidarietà, che sono datate e firmate anche dall’ufficiale, che trattiene per sé una delle tre copie da conservare nel registro dello stato civile in cui è iscritto il patto civile di solidarietà. Dal momento dell’iscrizione nel registro, e fino all’annotazione dell’avvenuto scioglimento, il patto civile di solidarietà è opponibile ai terzi, quindi potrebbe non regolare esclusivamente i rapporti tra le parti contraenti, ma anche i rapporti giuridici tra le stesse e i terzi. Per costituire, modificare o cancellare un patto civile di solidarietà non devono essere pagati tributi, quali per esempio bolli, diritti di segreteria e quant’altro. Infine, è previsto che in caso di grave pericolo di vita l’ufficiale dello stato civile deve convocare le parti per la sottoscrizione entro dodici ore dalla ricezione dell’istanza.

Articolo 5. - ( Rifiuto di presiedere alla sottoscrizione e di iscrivere il patto civile di solidarietà). - Sul modello dell’articolo 98 del codice civile si regola con quest’articolo la fattispecie del rifiuto da parte dell’ufficiale dello stato civile a ricevere e a iscrivere un patto civile di solidarietà. Il rifiuto deve essere scritto e motivato. Tale atto è impugnabile con un ricorso al tribunale ordinario, poiché pur essendo un atto amministrativo esso verte in materia di diritti soggettivi. Il tribunale, che decide con rito camerale, in base agli articoli da 737 a 742-bis del codice di procedura civile (grazie al rinvio operato dal comma 5 del presente articolo), ove accolga il ricorso, può ordinare all’ufficiale dello stato civile di ricevere e iscrivere il patto nei pubblici registri, con sentenza. Se il ricorrente ne avrà fatta espressa richiesta, potrà ottenere dal tribunale anche la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali connessi all’illecito dell’ufficiale dello stato civile. Il tribunale potrà anche decidere per una condanna generica al risarcimento del danno, rinviando a un separato giudizio la quantificazione dello stesso.

Articolo 6. - ( Norme applicabili al patto civile di solidarietà). - Il comma 1 del presente articolo introduce una norma di chiusura, poiché rinvia alle disposizioni del codice civile in materia di contratti per regolare tutti gli aspetti connessi alla stipulazione di un patto civile di solidarietà. Il comma 2 è in linea con il principio per cui gli atti personalissimi non tollerano l’apposizione di termini e di condizioni.

Articolo 7. - ( Contenuto del patto civile di solidarietà). - Questa importante norma, a differenza della precedente, definisce il contenuto non patrimoniale del patto civile di solidarietà nella regolazione dei rapporti personali dei partner. La collaborazione alla vita di coppia è un dovere, ma lo sforzo dei contraenti non si può spingere al di là delle proprie capacità e possibilità. In ogni caso tale sforzo deve essere volto a favorire la solidarietà e la comunione all’interno della vita di coppia.

Articolo 8. - ( Regime patrimoniale). - Le scelte di natura patrimoniale sono rimesse del tutto o quasi alla volontà delle parti. Se i partner nulla convengono a tale proposito, ad essi si applicherà automaticamente il regime patrimoniale della separazione dei beni, regolato dal codice civile. In alternativa potranno liberamente scegliere se il regime degli acquisti realizzati dopo la costituzione del patto civile di solidarietà ricadano in un regime di comunione ordinaria o legale, il che comporta delle grosse differenze di regime soprattutto nell’eventualità dello scioglimento della comunione stessa. La scelta del regime patrimoniale è annotata a margine dell’iscrizione nel registro dello stato civile. L’articolo si preoccupa anche di prevedere un obbligo di contribuzione alla vita di coppia, a cui però le parti possono derogare prevedendo espressamente che sia solo uno dei partner a provvedere alle necessità economiche del ménage. Sempre che le parti non dichiarino espressamente il contrario, dei debiti contratti per soddisfare le esigenze della vita di coppia rispondono entrambi i partner solidalmente, purché si tratti di somme di ammontare ragionevole. Ciò vuol dire che il creditore può - a sua scelta - decidere di soddisfarsi per l’intero credito sul patrimonio di uno dei due. Il partner che ha pagato l’intero debito potrà, poi, rivalersi per la metà sull’altro partner.

Articolo 9. -(Modifica delle convenzioni sul regime patrimoniale). - Essendo il patto civile di solidarietà valido anche nei confronti dei terzi e dello Stato dal momento dell’iscrizione nel registro dello stato civile, questa norma importantissima prevede che, a loro tutela, le modifiche al contenuto patrimoniale sono opponibili ai terzi solo dal momento della loro annotazione nel registro dello stato civile.

Articolo 10. - (Malattia e decisioni successive alla morte). - La norma prevede che a colui che abbia stipulato un patto civile di solidarietà sia consentito di prendere tutte le decisioni relative allo stato di salute e in genere di carattere sanitario, compresa la donazione degli organi, nonché alle modalità di svolgimento della cerimonia funebre qualora il soggetto interessato non le abbia precedentemente prese con un testamento biologico o le abbia delegate a un soggetto diverso dal partner con una procura sanitaria. Qualora fosse necessario nominare un amministratore di sostegno, l’articolo 21, comma 2, della legge dispone, introducendo l’articolo 403-bis del codice civile, che la persona legata ad altra da un patto civile di solidarietà sia equiparata al coniuge. 

Articolo 11.- (Diritti successori). - Solo nel caso in cui il defunto non abbia fatto testamento, al partner a lui legato da un patto civile di solidarietà si applicheranno le norme sulla successione legittima (articoli 565 e seguenti del codice civile) e in particolare gli articoli 581 e seguenti del medesimo codice civile, previsti per la successione del coniuge. Qualora, invece, il defunto abbia fatto testamento, sarà quest’ultimo a fare fede. In ogni casi il partner che sopravvive avrà il diritto di abitare nella casa che occupava con il partner defunto, qualora questa fosse al momento della morte di proprietà del defunto o di entrambi, per la durata di un anno. Tale diritto ha lo scopo di tutelare chi sopravvive, impedendo che a causa della morte del partner esso si ritrovi improvvisamente senza una casa.

Articolo 12. - (Diritto al lavoro). - Questa norma opera una sostanziale equiparazione tra soggetti sposati e soggetti che hanno stipulato un patto civile di solidarietà. Qualora, infatti, lo status di coniuge sia titolo per l’inserimento in graduatorie occupazionali o per l’inserimento in categorie privilegiate di disoccupati o sia titolo di preferenza nello svolgimento di un concorso pubblico, lo stesso avverrà per chi ha stipulato un patto civile di solidarietà, a condizione che questo risulti iscritto nel registro dello stato civile da almeno due anni.

Ciò garantisce una vera libertà di scelta tra il contrarre o il non contrarre matrimonio. Infatti, la prospettiva di avere titolo di preferenza in ragione del matrimonio celebrato, in vista dell’ottenimento di un posto di lavoro, potrebbe indurre il cittadino a sposarsi anche se ciò non è in linea con le sue convinzioni o con quelle del partner.

Dall’altro lato, la previsione di una durata minima di due anni del patto civile di solidarietà impedisce del tutto che siano attuati comportamenti fraudolenti, facendo altresì prova della serietà e della stabilità del patto medesimo.

Articolo 13. - ( Militari e Forze dell’ordine). - Grazie a questa norma la sottoscrizione di un patto civile di solidarietà comporterà la possibilità di ottenere tutti i benefìci legati all’appartenenza a un nucleo familiare. Si potrà finalmente ottenere, per quanto riguarda in particolare le convivenze di militari lesbiche e gay, che queste possano venire alla luce in piena dignità ed essere equiparate per determinati fini alle coppie sposate eterosessuali. Anche in questo caso è previsto che il patto civile di solidarietà duri da almeno due anni, così che non vi siano dubbi sulla serietà e sulla stabilità dell’unione 

Articolo 14. - (Disciplina fiscale e previdenziale). - Con questa norma la pensione di reversibilità, per esempio, spetterà al partner solo se il patto civile di solidarietà dura da almeno due anni, mentre nel caso del matrimonio è sufficiente che questo duri anche da un solo giorno. 

Più in generale nelle materie indicate dal presente articolo (fisco, lavoro, previdenza, pensioni) sono riconosciuti anche ai componenti di un patto civile di solidarietà i diritti, le forme di tutela, di vantaggio e di protezione che la legislazione a ogni livello assegna alle persone in considerazione dell’appartenenza a un nucleo familiare.

La durata minima di due anni del patto civile di solidarietà rappresenta l’elemento probante della serietà e della stabilità dell’unione.

Articolo 15. - ( Assistenza sanitaria e penitenziaria). - Per la prima volta, in maniera espressa, il legislatore precisa chi possa stare vicino al malato o assistere un carcerato, legittimando indirettamente il coniuge (dato che una norma espressa in tale senso ancora non esisteva) e contemporaneamente il partner di un patto civile di solidarietà.

Articolo 16. - ( Scioglimento del patto civile di solidarietà). - La norma prevede le diverse modalità di scioglimento del patto civile di solidarietà ed è improntata al massimo della velocità e all’assenza di formalismo. La morte, il matrimonio e, ovviamente, il mutuo consenso, fanno sciogliere automaticamente il patto. Nel caso in cui invece sia solo uno dei due contraenti a voler sciogliere il patto, ciò sarà possibile con la trasmissione a mezzo dell’ufficiale giudiziario di un documento che contenga la dichiarazione di non voler continuare a rimanere vincolato al contratto. Decorsi tre mesi dal momento della notificazione il patto si considererà sciolto. Ovviamente dovrà essere data pubblicità allo scioglimento del patto attraverso l’annotazione nel registro dello stato civile. Finché non è annotato lo scioglimento del patto registrato, per i terzi lo scioglimento si considera come non avvenuto. Pertanto i terzi devono essere tutelati se acquistano diritti confidando sulla sussistenza del patto, prima dell’annotazione del suo scioglimento.

Articolo 17. - Provvedimenti riguardo ai figli comuni). - Se il patto civile di solidarietà è stipulato tra appartenenti a sessi diversi, la coppia potrebbe mettere al mondo dei figli. Quando ciò avviene, e in caso di successivo scioglimento del patto, la norma stabilisce che, in mancanza di accordo, sia il giudice ad adottare i provvedimenti necessari nell’interesse dei figli, ai sensi degli articoli del codice civile che dispongono allo stesso modo nel caso di figli nati all’interno del matrimonio.Articolo 18. - ( Effetti patrimoniali dello scioglimento). - È rimessa alla libertà delle parti la determinazione delle conseguenze economiche della fine del rapporto, che possono essere indicate direttamente nel patto civile di solidarietà. Tuttavia, nei casi in cui sulle questioni patrimoniali relative alla fine del rapporto dovessero nascere tra i partner delle controversie, la norma prevede una competenza funzionale del tribunale. Articolo 19. - (Disposizioni di diritto internazionale privato). - Con questa norma si intendono adottare quelle norme di diritto internazionale privato rese necessarie dal proliferare di istituti giuridici simili al patto civile di solidarietà presenti in quasi tutti gli Stati europei. 

Tale articolo, trovando una soluzione al suddetto problema, pone delle regole di diritto internazionale privato in base alle quali:

1) si permette a chiunque vive in Italia di contrarre un patto civile di solidarietà;

2) si riconosce per la capacità di accedere a uno degli istituti menzionati e per le altre condizioni della loro validità, la competenza della legge del luogo dove sono contratti;

3) si riconosce per la regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali tra i contraenti, nonché in materia di scioglimento del rapporto, la competenza della legge nazionale comune e, in mancanza, della legge del luogo dove il contratto è stato concluso. Se la legge straniera applicabile non disciplina tali contratti si applica la legge italiana;

4) si riconosce la competenza della giurisdizione italiana in materia di nullità, annullamento, separazione e scioglimento del contratto quando uno dei contraenti è italiano o il contratto è stato concluso in Italia.

Articolo 20. - ( Permesso di soggiorno per motivi familiari e acquisto della cittadinanza italiana). - L’articolo 30 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, regola la fattispecie del permesso di soggiorno per motivi familiari. Con il comma 1 dell’articolo 20 della legge che si propone si è inteso equiparare la posizione del coniuge a quella del partner di un patto civile di solidarietà.In questo modo lo straniero che soggiorni regolarmente in Italia da almeno un anno ad altro titolo e che contragga un patto civile di solidarietà con un cittadino italiano, di uno Stato membro dell’Unione europea o con un cittadino straniero regolarmente soggiornante, potrà ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari, ma dovrà effettivamente convivere con il partner, tranne nel caso in cui dall’unione siano nati dei figli. In caso di morte del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento e in caso scioglimento del patto civile di solidarietà, il permesso di soggiorno può essere convertito in permesso per lavoro subordinato, per lavoro autonomo o per studio. Con il comma 2 dell’articolo 20 la norma sull’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero è novellata, prevedendo come presupposto per l’acquisto della cittadinanza da parte dello straniero anche la sottoscrizione di un patto civile di solidarietà, unitamente alla circostanza di aver risieduto in Italia per almeno cinque anni. Articolo 21. - Modifiche al codice civile). - Per la sostanziale equivalenza degli interessi coinvolti sia nel caso sussista un matrimonio sia nel caso tra le parti sia stato stipulato un patto civile di solidarietà, il presente articolo prevede che i partner di tale patto:

- godano dei benefìci di legge concessi ai coniugi nell’ambito dell’impresa familiare (articolo 230-bis del codice civile);

- siano equiparati ai coniugi qualora sia necessario nominare un amministratore di sostegno;

- abbiano il dovere reciproco di fornirsi gli alimenti in caso di bisogno, fino al termine di due anni dallo scioglimento del patto civile di solidarietà. Tale dovere cessa immediatamente qualora il partner bisognoso contragga matrimonio o un nuovo patto;

- godano della sospensione della prescrizione durante la durata del patto civile di solidarietà.

Articolo 22. - (Modifica all’articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392). - Si tratta della legge sulla locazione degli immobili urbani. Con la norma in commento si porrà definitivamente termine a una querelle che ha visto coinvolta anche la Corte costituzionale. Il partner di un patto civile di solidarietà si vedrà riconosciuto il diritto di subentrare nel contratto di locazione stipulato dal proprio/a compagno/a al momento del suo decesso.

Articolo 23. - ( Modifiche al codice penale). - Alcune norme del codice penale che prevedono delle esimenti in ragione del rapporto di coniugio esistente tra i soggetti protagonisti della fattispecie sono estese ai conviventi di fatto e a coloro che hanno stipulato un patto civile di solidarietà: si tratta dell’assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata (articolo 307 del codice penale) e di alcuni reati contro l’amministrazione della giustizia (articolo 384 del codice penale).

Articolo 24. - ( Modifiche all’articolo 199 del codice di procedura penale). - Con questa norma i conviventi di fatto o i partner di un patto civile di solidarietà potranno astenersi dal deporre nel caso in cui l’imputato o il coimputato del medesimo reato sia il proprio partner.

Valuta il sito

Non hai trovato quello che cerchi ?

Piè di pagina