Testo

Il presente progetto di legge è un atto di testimonianza ed un promemoria rispetto ad un’occasione – a giudizio del proponente – non sfruttata nell’VIII legislatura regionale dell’Emilia-Romagna. Altre Regioni han saputo decidere in materia di sistema elettorale. L’Emilia-Romagna – intesa come classe politica regionale presente nell’Assemblea legislativa - no. Non ha voluto aprire il cantiere elettorale e, più oltre, si tratteggeranno i motivi supposti di tale “non expedit”. Naturalmente c’è chi ritiene invece sia stata buona cosa non modificare il sistema elettorale. Accenneremo anche a questi motivi, segnalando che i dubbi pro e contro, mai assurti a dibattito pubblico ma comunque presenti nel circuito politico, sono stati trasversali. Resta agli atti dunque questo progetto di legge anche come traccia per futuri eventuali ripensamenti ed eventuali elaborazioni migliorative e, possibilmente, condivise. In quanto tale è un progetto di legge volutamente imperfetto, non rifinito nei molti e complicatissimi dettagli che riguardano strutturalmente i meccanismi elettorali. Del resto qualche politico e intellettuale fin dai secoli passati ha sempre sostenuto che una delle leggi chiave per la democrazia è quella elettorale. Essendo la democrazia una sorta di delega temporanea che il popolo fa, su base contrattuale, di parte del proprio potere deliberante, il meccanismo individuato per definire i termini della “delega” ed i soggetti “delegati” a rappresentare e gestire temporaneamente la “delega” popolare è quanto mai rilevante.

A maggior ragione questo progetto viene depositato sul finale di legislatura come improbabile auspicio per favorire in futuro eventuali ponderate riflessioni, mancando oggettivamente qualsivoglia margine per aprire sul finire di legislatura questo complesso cantiere. Lo si deposita ugualmente se non altro per segnalare che qualcuno ci ha provato e ha lavorato su questa complicata materia.

Perché un’occasione mancata? Perché le premesse c’erano per ridiscutere la legge elettorale; le possibilità costituzionali, normative e statutarie erano altrettanto attive; infine perché si è fatto nell’arco della legislatura un atto politico assolutamente rilevante e attinente e che poteva costituire la premessa maggiore per aprire la partita elettorale: la riduzione a 50 dei consiglieri regionali previsti nello Statuto regionale (dopo che si era deciso di portarli a 67). Quale migliore occasione per mettere mano alla problematica elettorale? Lo stesso precedente Statuto e gli impegni politici connessi, con tanto di documento associato, erano rilevanti. Ad esempio la previsione dell’incompatibilità tra assessore ed eletto: il nodo statutario fu bersagliato dalla Corte costituzionale, ma la volontà politica poteva riformalizzarlo legittimamente in una legge ordinaria, come indicato dalla stessa Corte (la materia delle incompatibilità non poteva in questo caso essere definita in Statuto, ma solo con legge ordinaria). Non è stato fatto. C’è naturalmente, come si accennava in premessa, chi sostiene che l’attuale sistema elettorale ha dato buoni frutti, a cominciare dalla stabilità degli esecutivi regionali, e allora non va cambiata. Supponiamo che chi ha formulato questa asserzione possa far parte dei beneficiati degli aspetti più discutibili dell’attuale sistema (ad esempio il cosiddetto listino di maggioranza, che consente di selezionare una parte della politica senza il vaglio diretto popolare). Altre Regioni hanno comunque modificato la legge vigente. E non ci pare abbiano sofferto di instabilità. C’erano insomma ragioni per provare ad intervenire come minimo su: incompatibilità assessori / consiglieri; rimodulazione del listino (ad esempio andando verso il modello che si ritiene più soddisfacente da varie parti: quello dei comuni, dove il premio di maggioranza è “spalmato” tra chi ha corso la gara elettorale tra le varie formazioni in lizza). Altri temi affrontabili – e certamente più controversi ma parimenti meritevoli di discussione – possono essere la soglia di accesso all’Assemblea legislativa, la riconferma delle preferenze come metodo di selezione del ceto politico, una soglia di garanzie per le minoranze. C’è infine da rammentare, come punto non irrilevante, anche se oggetto di pareri diversi, che attualmente la classe politica regionale – considerando assemblea elettiva e Giunta regionale - è per oltre 20 esponenti di fatto selezionabile esclusivamente dal solo presidente vincente (se consideriamo i 10 del listino di maggioranza ed inoltre i 12 assessori più il sottosegretario previsto dallo Statuto, in teoria potenzialmente tutti esterni). Per selezione popolare, sono quindi potenzialmente meno di 40 i consiglieri eletti direttamente dal popolo con le preferenze. Naturalmente c’è chi obietta che queste scelte derivano comunque da accordi, non dalla volontà di un singolo, e sono comunque parte del “pacchetto” selezionato dal corpo elettorale. Il tema in ogni caso anche in un eventuale riequilibrio di poteri e rappresentanze, stante gli accresciuti poteri del “governatore”, resta aperto, ma oggettivamente rinviato sine die.

Cosa ha frenato l’avvio della eventuale e non scontata discussione? Sostanzialmente paure e insicurezze trasversali agli schieramenti, sia a sinistra che nel centrodestra. Il timore che è emerso nelle retrovie politiche regionali – se ne da conto informalmente sotto responsabilità dello scrivente – è stato che l’apertura del cantiere elettorale non aveva sufficienti garanzie di fiducia tra maggioranza e opposizione, tanto da far temere esiti non soddisfacente per una parte o per l’altra. Si temeva insomma, da varie parti, un possibile effetto “boomerang” controproducente rispetto alle attese dello stesso progetto di legge. Poteva esistere altresì e legittimamente in formazioni minori il timore che un eventuale accordo tra i partiti maggiori andasse a sfavore dei partiti minori. Non si aprirà poi qui il tema del bipolarismo e del bipartitismo, ma indubbiamente anche questo è un filo rosso di ragionamento che meritava e merita di essere fatto, sempre nella direzione di assicurare la bussola orientata sul volere degli elettori. Lo stesso tema delle preferenze e delle rappresentanze territoriali tra le province è stato un nodo che generava insicurezza. Ragion per cui questo testo, in corso di elaborazione da qualche tempo, non sembrava avere le premesse temporali e politiche per riuscire ad aprire il confronto, a parte poi l’avvicinarsi della fine della legislatura che è divenuto preclusivo oggettivamente all’affronto del pdl. Una test ulteriore di insicurezza trasversale sul tema c’è stato a fronte dell’iniziale proposta formulata dallo scrivente, volutamente provocatoria, di introdurre addirittura due preferenze nel sistema elettorale, anziché una. Era una ipotesi che voleva sostanzialmente, da una parte, polemizzare con enfasi contro la selezione della classe politica parlamentare per cooptazione, com’è ora, dall’altra porre a tema il delicato problema delle spese elettorali sempre più crescenti (è dimostrato che più preferenze potrebbero contribuire a ridurre i costi di una campagna elettorale, pur presentando altre controindicazioni degenerative poco oltre accennate). L’ipotesi, solo accennata in una precedente stesura di questa proposta, è stata vista come foriera di possibili complicate manovre e accordi ed è stata perciò abbandonata. Resta il tema aperto però della selezione della classe politica, così come resta quello delle spese elettorali (non credo si possa essere entusiasti se la politica diventa sempre più una possibilità per i già abbienti, e sempre più difficoltosa, almeno nei livelli più importanti, per i meno abbienti. Certo, l’obiezione sulla previsione di pluripreferenze sarebbe stata la stessa utilizzata contro la “prima Repubblica” e certificata da un famoso esito referendario, ovvero che avrebbe consentito, con accordi interni alle oligarchie politiche, la perpetuazione autoreferenziale della stessa classe politica o di parti di essa, obiezione seria e recepita dal proponente, fermo restando che il problema dell’autoreferenzialità della classe politica è certamente ancora più rilevante con un sistema senza preferenze.

In generale, parlando del complesso di questo progetto di legge, è d’uopo risottolineare che tutta questa proposta normativa in realtà non voleva essere chiusa, non voleva insomma essere un prendere o lasciare. Voleva semmai tentare di avviare un percorso virtuoso, aprire una riflessione che non c’è stata. L’occasione, per l’VIII legislatura, è perciò passata, cionondimeno lasciamo traccia del problema e della proposta.

L’attuale testo, con alcune prime ed utili correzioni di rafting recepite anche dagli uffici legislativi (e solo iniziali rispetto alla complessità della materia) prende lo spunto da altre proposte di legge avviate in altri Consigli regionali, per diversi aspetti ad esempio da una proposta del gruppo FI-Pdl in Liguria, sia da leggi già in vigore in varie Regioni. La finalità è disciplinare, in conformità a quanto disposto dall’articolo 122 della Costituzione e nell’ambito dei principi normativi approvati dallo Stato con la legge-quadro 2 luglio 2004, n. 165 “Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione”, il procedimento per l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e dell’Assemblea legislativa.

E’ necessario rammentare in premessa che, fino all’emanazione della legge costituzionale n. 1 del 22 novembre 1999, la disciplina della materia elettorale relativa alle Regioni a statuto ordinario era riservata alla legge statale. La citata revisione costituzionale del 1999 ha innovato il quadro normativo, attribuendo alla legge regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, la disciplina del sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali. L’articolo 122 stabilisce infatti che “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”. Tale legge stabilisce, tuttavia, che “fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali… l’elezione del Presidente della Giunta regionale è contestuale al rinnovo dei rispettivi Consigli regionali e si effettua con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali”.

Ne deriva una sorta di via transitoria, sino all’introduzione da parte delle singole Regioni dello Statuto e della legge elettorale; l’art. 5 della detta legge costituzionale implica che per le elezioni regionali si è continuato ad applicare il sistema normativo posto dall’ordinamento statale, e cioè la legge 17 febbraio 1968, n. 108 “Norme per l’elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale”, come modificata ed integrata dalla successiva legge 23 febbraio 1995, n. 43 “Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario”. Si aggiungono a ciò le disposizioni statali vigenti in materia elettorale, quali, ad esempio, la legge 23 aprile 1981, n. 154 “Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale….”, cui anche le leggi elettorali di alcune Regioni rimandano.

Va altresì rammentato che dopo la riforma costituzionale, è stata approvata dal Parlamento la legge-quadro 2 luglio 2004, n. 165, “Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione”, che ha dettato i principi fondamentali cui le Regioni devono attenersi nel disciplinare il sistema elettorale regionale, in particolare:

 

  1. l’individuazione di “un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze” (art. 4);

 

  1. la contestualità dell’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, qualora si scelga l’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente. Previsione, nel caso, invece, in cui la Regione scelga l’ipotesi di elezione del Presidente della Giunta regionale secondo modalità diverse dal suffragio universale e diretto, di termini temporali tassativi, comunque non superiori a novanta giorni, per l’elezione del Presidente e per l’elezione o la nomina degli altri componenti della Giunta;

 

  1. il divieto di mandato imperativo per i consiglieri regionali.

 

Nel 2005 solo quattro Regioni si sono recate alle urne con un’autonoma disciplina elettorale: Toscana, Puglia, Calabria e Lazio. Negli altri casi le norme consistono in un sistema misto, con elezione diretta del Presidente, che può definirsi proporzionale con premio di maggioranza, i cui seggi sono attributi secondo due diverse modalità: l’80% (4/5 dei Consiglieri) a liste provinciali mediante un sistema proporzionale e il 20% (1/5 dei Consiglieri) a liste regionali bloccate attraverso un sistema maggioritario, sulla base di liste regionali concorrenti, vale a dire il cosiddetto “listino”, che costituisce il premio di maggioranza, ovvero una maggiore garanzia di governabilità, mediante la formazione di stabili maggioranze in Consiglio regionale, a differenza di quanto avveniva con il precedente sistema elettorale, giudicato causa di frammentarietà e l’instabilità del quadro politico regionale.

Nel nostro dibattito regionale, già svolto in sede statutaria sul finire della scorsa legislatura, da diverse parti si è in effetti sostenuto che tale sistema ha prodotto stabilità, ragion per cui – sempre secondo queste fonti – il sistema non andrebbe modificato. E’ indubbiamente vero che i nuovi assetti regionali, basati sostanzialmente sul principio simul stabunt, simul cadent – codificato anche nel nuovo statuto regionale all’art 32, assieme al premio di maggioranza, hanno manifestato una maggiore stabilità e capacità di governo. Il dibattito già in parte fatto, anche in seno alla commissione statuto, ha tuttavia evidenziato diversi nodi che meritano di essere affrontati e che attengono alla effettiva incidenza della partecipazione popolare nella selezione della classe politica ed alla necessità di superare meccanismi che rischiano di rendere più autoreferenziale la classe politica stessa, come ad esempio il discusso “listino”, del quale non si discute la finalità come premio di maggioranza per assicurare governabilità, quanto l’aspetto che sterilizza la selezione “popolare”.

Sono poi emersi, come nodi rilevanti, la problematicità della frammentazione politica, alimentata dall’assenza di efficacia delle soglie di sbarramento per i partiti che entrano a far parte di una coalizione, con l’abbassamento della soglia d’accesso, sia per l’utilizzo del listino come forma di “cooptazione” autoreferenziale della politica, anziché – come poteva essere nello spirito iniziale – strumento per valorizzare competenze, professionalità e per precostituire in parte o in toto una squadra di governo.

Per queste ragioni, questa proposta è finalizzata, tra le altre cose, al superamento del listino nella sua attuale formulazione, prevedendo comunque un premio di maggioranza, ma stabilendo che la selezione degli eletti deve restare nell’ambito degli effettivi “concorrenti”, tramite preferenze, al ruolo di consigliere regionale. A tali considerazioni si può aggiungere che il recente insuccesso, quanto a partecipazione, dei referendum elettorali, non ha privato la materia elettorale di motivazione e urgenze. Al contrario. Il mancato quorum ai referendum è stato interpretato come una indicazione di necessaria assunzione di responsabilità del Parlamento e della classe politica, che è chiamata a farsi carico di questa specifica materia, per la sua complessità e per la sua radicale importanza come “regola del gioco” in democrazia. Detto questo, a livello di Assemblea legislativa si sarebbe potuto dare il buon esempio proprio in questa direzione di assunzione di responsabilità, nei limiti delle competenze regionali, per dare un migliore e più partecipato assetto al sistema elettorale regionale.

Considerando che il nuovo statuto regionale è in vigore da oltre 4 anni e che è stato recentemente modificato il numero dei consiglieri regionali – ridefinito nel numero tradizionale di 50 -, poteva essere opportuno dare il via, nei tempi necessari, ad possibile un ampio confronto sulla legge elettorale. Se mai ci siano le premesse e le motivazioni, lo si vedrà nella IX legislatura.

I punti più qualificanti del progetto, tutti ampiamente discutibili e modificabili:

  1. l'abolizione del “listino” (ma, ovviamente, non del premio di maggioranza);
  2. l'assegnazione alla coalizione vincente, o alle liste collegate al candidato Presidente eletto, comunque, del 60% dei seggi, anche se tale quota non venisse raggiunta; il 60% sarebbe la soglia stabilita anche nel caso di superamento del 60% da parte della coalizione vincente; ne consegue che alle minoranze è comunque assicurata una rappresentanza pari al 40% dell’Assemblea; tale soluzione assicura comunque le condizioni numeriche per la governabilità della regione, tutelando nel contempo il ruolo di controllori delle minoranze, dando quindi forza all’Assemblea legislativa, da tempo ridotta ad un ruolo generalmente ed eccessivamente subordinato all’esecutivo; in linea teorica, ma da verificare, si prevede anche una possibilità di ballottaggio nel caso un candidato non superi la soglia del 50% dei consensi;
  3. applicazione della formula elettorale, per la trasformazione dei voti in seggi, con il metodo d'Hondt, così come previsto per i Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, salvo le necessarie modifiche apportate dalla presente legge;
  4. previsione di una clausola di sbarramento, pari al 5%, valida per ogni singola lista provinciale, e dunque per ogni partito, a prescindere dalla percentuale di preferenze ottenute dalla lista regionale collegata o dalla coalizione;
  5. previsione di un'effettiva “rappresentanza di genere”;
  6. esclusione di candidature multiple per i candidati consiglieri, cioè in più circoscrizioni;
  7. previsione che la futura Giunta regionale possa avere solo metà assessori “esterni”;

 

E’ opportuno precisare che il D.P.R. n. 570 del 1960 non contempla la possibilità di ballottaggio qualora il candidato sindaco più votato non abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi. Tale previsione, invece, è stata introdotta dall’art. 6 della L. 81 del 1993, e poi ripresa dall’art. 72, comma 5 del d.lgs. n. 267 del 2000 ai sensi del quale, nel caso in cui nessun candidato abbia ottenuto la maggioranza, si procede ad un secondo turno elettorale che ha luogo la seconda domenica successiva a quella del primo turno.

Pertanto, per l’introduzione del ballottaggio all’interno del progetto di legge, all’articolo 18, comma 5 lettera a) è stato ripreso integralmente, con le opportune modifiche, l’articolo 72, comma 5 del d.lgs. n. 267 del 2000. Il d.lgs. n. 267 del 2000, all’art. 73, comma 10, secondo periodo prevede, inoltre, che qualora un candidato sia proclamato eletto al secondo turno venga comunque assegnato alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate il 60% dei seggi sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50% dei voti validi. Tale ultima previsione non è stata richiamata dal progetto di legge e quindi non troverà applicazione nell’elezione del Presidente della Giunta, sempre che non si decida di introdurla, ma al momento non la si è introdotta per non determinare il cosiddetto fenomeno dell’“anatra zoppa”, vale a dire un Presidente privo della maggioranza consiliare.

I punti principali di continuità con la vigente legislazione sono costituiti dall'elezione diretta del Presidente della Giunta, dalla competizione tra coalizioni regionali, tra liste circoscrizionali provinciali, tra candidati alla Presidenza della Giunta e dall'attribuzione di un premio di maggioranza alla coalizione vincente secondo modalità più “vicine” al corpo elettorale.

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ultima modifica 2010-01-14T09:34:16+02:00

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