Testo

2.2. – Successivamente la Regione procede all’esame dei motivi di censura riferiti all’art. 48 della legge n. 24 del 2009.

Per quanto attiene all’asserita illegittimità del comma 1, la resistente, nel concludere per l’infondatezza della censura, precisa che la disposizione in parola non intende attribuire ai cittadini dell’Unione specifici diritti verso «la generalità dei privati». Essa, nella parte in cui prevede che la Regione «riconosce» a tutti i cittadini dell’Unione europea i diritti di accesso ai servizi, si limiterebbe «a prendere atto della loro esistenza, ed informare il proprio comportamento al loro riconoscimento». Si tratterebbe, precisa ancora la difesa regionale, di garantire l’accesso «alle strutture private – ed in questo senso ai servizi “privati” - nell’ambito dell’azione pubblica che direttamente o indirettamente fa capo alla Regione». La disposizione pertanto non troverebbe applicazione in relazione ai pubblici esercizi ed il richiamo alla sentenza n. 253 del 2006 risulterebbe inconferente, considerato che «la situazione è del tutto diversa» rispetto a quella che ha portato la Corte a dichiarare incostituzionale, con la predetta sentenza, la disposizione regionale che prevedeva obblighi di contrarre tra privati, sanzionandone l’eventuale inosservanza.

2.3. – Anche la censura che investe il comma 2 dell’art. 48 sarebbe infondata, poiché la disposizione in parola non avrebbe «un vero carattere normativo»; essa si limiterebbe ad esprimere «in forma solenne l’adesione della Regione ai valori di civiltà espressi dalle direttive». La resistente contesta poi l’assunto del ricorrente secondo cui la nozione di non discriminazione rientrerebbe nell’ambito della materia «ordinamento civile». Al riguardo, secondo la difesa regionale, si tratterebbe, piuttosto, di una nozione di diritto costituzionale generale «che può e deve trovare applicazione nei diversi settori dell’ordinamento, ivi compreso quello dei servizi dell’amministrazione».

Quanto all’asserito contrasto del citato comma 2 con l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, la difesa regionale ritiene che la censura, fondandosi sulla presunta incompetenza della Regione in materia di non discriminazione, risulterebbe una mera «ripetizione della censura precedente». Non essendovi, inoltre, alcun «profilo specifico», in relazione al suddetto parametro costituzionale, sempre secondo la resistente, la censura sarebbe anche inammissibile.

La Regione ritiene poi infondata la censura avente ad oggetto la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto il disposto costituzionale asseritamente violato, nel sancire che spetta alla Repubblica rimuovere ogni ostacolo di ordine economico e sociale che limiti di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, non intenderebbe riferirsi solo allo Stato, come erroneamente affermato dal ricorrente, ma «a tutti gli enti che costituiscono la Repubblica, ciascuno nell’ambito della propria competenza». Inoltre, la resistente precisa che la legge regionale non disciplina in materia di discriminazione, introducendo forme differenziate di tutela, «ma si limita ad applicare nell’esercizio della propria competenza il principio di non discriminazione, evitando discipline discriminatorie».

2.4. – Riguardo alla censura che investe il comma 3 del citato art. 48, la difesa regionale eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità della stessa per genericità. Il ricorrente, infatti, avrebbe «semplicemente affermato, ma per nulla illustrato» i motivi dell’asserito contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere i) e l), della Costituzione. Nel merito, la censura sarebbe infondata, in quanto la disposizione regionale si limiterebbe ad «utilizzare la nozione fornita dalla legge statale per individuare i destinatari delle proprie norme», senza disciplinare nelle materie della «cittadinanza, stato civile e anagrafi» e «ordinamento civile». La resistente sottolinea al riguardo che, sulla base della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 253 del 2006), una legge regionale può utilizzare nozioni derivanti dalla legislazione statale.

2.5. – Infine, anche la censura relativa al comma 4 sarebbe inammissibile per genericità, non avendo il ricorrente illustrato «la presunta connessione con il comma 1, né quale interpretazione di questo potrebbe o dovrebbe essere seguita».

Nel merito, la censura risulterebbe comunque infondata perché la disposizione prevede interventi promozionali «che non si traducono in atti di autorità, ma suggeriscono azioni di contrasto alle pratiche discriminatorie su base puramente volontaria».

3. – In prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale ribadisce le argomentazioni esposte nel ricorso ed insiste per la declaratoria di incostituzionalità delle norme regionali impugnate.

4. – Anche la difesa regionale ha depositato una memoria, allegando tra l’altro alcuni documenti, con la quale insiste per l’infondatezza del ricorso.

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ultima modifica 2011-01-18T13:42:40+02:00

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