Testo

2. – Con atto depositato il 6 aprile 2010 si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna.

2.1. – Con riferimento alla censura rivolta all’art. 35 della legge regionale n. 24 del 2009 e relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, la difesa regionale eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità della stessa, in quanto, premesso che secondo la giurisprudenza costituzionale i livelli essenziali delle prestazioni farmaceutiche sono stabiliti dal D.P.C.M. 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli essenziali di assistenza), il ricorrente non avrebbe indicato quale disposizione del citato decreto sia stata violata dalla Regione.

La difesa regionale precisa, inoltre, che il cennato D.P.C.M. disciplina i livelli di assistenza farmaceutica come livelli di erogazione territoriale dei farmaci, mentre, la norma impugnata si riferisce alla somministrazione di farmaci nell’ambito dell’assistenza ospedaliera.

La Regione ritiene, poi, inconferenti le norme statali richiamate dal Presidente del Consiglio dei ministri a sostegno della censura, in particolare, l’art. 6 del citato d.lgs. n. 219 del 2006 a norma del quale nessun farmaco può essere immesso in commercio senza aver ottenuto la prescritta autorizzazione. La disposizione impugnata, infatti, avrebbe ad oggetto «farmaci regolarmente autorizzati, dal momento che ne disciplina l’uso off label: “label” essendo l’uso indicato nell’autorizzazione».

Inoltre, sempre in via preliminare, ad avviso della Regione resistente, il ricorrente avrebbe citato disposizioni che, «allo scopo di impedire l’aumento della spesa, limitano le possibili prestazioni del servizio sanitario nazionale, la cui violazione dunque concettualmente» non potrebbe essere riferita alla violazione dei livelli essenziali, posto che «la Regione darebbe semmai un di più, non un di meno».

Nel merito, la difesa regionale ritiene infondata la censura, in quanto la norma impugnata non introdurrebbe alcuna restrizione alla disponibilità dei farmaci ed al loro utilizzo nel servizio sanitario ospedaliero. La norma impugnata si limiterebbe, infatti, a consentire alle strutture del servizio sanitario di utilizzare, nel rispetto della libertà del medico e del consenso informato dei pazienti, «farmaci regolarmente immessi in commercio, per usi cd. off label, quando sia scientificamente accertata la “parità di efficacia e di sicurezza rispetto a farmaci già autorizzati” e quando questo consenta “una significativa riduzione della spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale”»; «il tutto», precisa ancora la difesa regionale, attraverso lo strumento del Prontuario terapeutico regionale e sotto il controllo tecnico di un’apposita commissione (Commissione regionale del farmaco), formata da esperti (medici, farmacisti, farmacologici, clinici del Servizio sanitario regionale, nonché da componenti delle Commissioni provinciali del farmaco).

Del pari infondata sarebbe poi la censura riferita alla violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Con riferimento al citato art. 6 del decreto legislativo n. 219 del 2006, la Regione ribadisce che detta disposizione non può venire in rilievo nella presente controversia, in quanto essa sancisce il divieto di immettere in commercio farmaci non autorizzati, laddove la disposizione impugnata ha ad oggetto farmaci regolarmente autorizzati.

Riguardo all’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 536 del 1996, secondo la difesa regionale detta disposizione deve essere letta come una «norma che fissa un livello essenziale di prestazione», con la conseguenza che la Regione non potrebbe precludere «l’erogabilità di tali farmaci».

La norma impugnata non contrasterebbe con quanto disposto dalla indicata norma statale in quanto il legislatore avrebbe provveduto proprio nel senso da essa indicato, stabilendo, in particolare, che, anche qualora esista «una alternativa terapeutica “scientificamente valida”», ma risultasse «impraticabile per ragioni di costo», come nel caso di specie, l’assistenza ospedaliera fornita dal Servizio sanitario possa utilizzare off label «principi attivi ricavati da farmaci autorizzati per altri usi». E ciò, prosegue la Regione, «quando tale estensione consenta, a parità di efficacia e di sicurezza rispetto a farmaci già autorizzati», di ridurre la spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale.

Non risulterebbe, altresì, violato, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, l’art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 23 del 1998, in quanto la disposizione impugnata non inciderebbe sulla discrezionalità del medico, la quale risulterebbe, al contrario, oggetto di specifica tutela.

Quanto all’asserito contrasto della disposizione regionale con l’art. 1, comma 796, lettera z), della legge n. 296 del 2006, la difesa regionale sottolinea che lo scopo della citata norma statale, al pari di quella regionale, è limitare la spesa. Ciò premesso, la Regione precisa che la norma impugnata non permetterebbe «un uso generale e sistematico dei farmaci in modalità off label», ma soltanto in casi specifici e «a parità di efficacia»; efficacia stabilita non dalla Regione, ma dalla «comunità scientifica dei medici».

Del tutto infondata, prosegue la difesa regionale, sarebbe anche la censura secondo la quale la norma regionale attribuirebbe ad organi politici il compito di decidere in merito a scelte che, invece, dovrebbero «basarsi su valutazioni scientifiche e della scienza medica». Al riguardo, la Regione puntualizza che la legislazione statale (sia quella che in generale prevede l’obbligo dell’equilibrio finanziario del Servizio sanitario regionale sia quella sul servizio farmaceutico e sull’uso dei farmaci nell’ambito dell’assistenza fornita dalle strutture del servizio sanitario), pone in capo alle Regioni il compito di effettuare «una “politica del farmaco”» che non «si traduce in una sovrapposizione degli organi politici alle scelte del medico […] bensì nell’organizzare le strutture tecniche del servizio sanitario», affinché «con le proprie scelte possano raggiungere gli obiettivi posti dal legislatore statale». Nella realizzazione della suddetta “politica del farmaco”, la Regione, pertanto, non potrebbe che avvalersi delle «risorse tecnico-scientifiche delle proprie strutture»; risorse che non possono essere delegittimate solo per il fatto di operare a livello regionale.

La difesa regionale, in subordine, sottolinea che in capo alle Regioni sussiste l’obbligo, la cui violazione è sanzionata dalla legislazione statale, di pareggiare i conti del Servizio sanitario e di rispettare i limiti percentuali relativi alla spesa farmaceutica. Pertanto, a suo avviso, sarebbe costituzionalmente illegittimo «porre a carico delle Regioni un obbligo», sanzionarne il mancato rispetto, «senza contestualmente attribuire il potere di controllare la spesa». Ne consegue, che qualora le disposizioni statali e, in particolare, l’art. 1, comma 796, lettera z), dovessero essere intese nel senso di «precludere al Servizio sanitario regionale l’utilizzo off label di farmaci di minor costo ma di pari efficacia dei farmaci registrati per uso specifico, quando ne fosse accertato il pari valore terapeutico», esse risulterebbero in contrasto sia con l’art. 97, primo comma, della Costituzione, con riferimento al principio di buon andamento dell’amministrazione, sia con l’art. 119 della Costituzione, «in relazione all’autonomia finanziaria dal lato della spesa».

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ultima modifica 2011-01-18T13:42:40+02:00

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