Testo

1.2. – Con una seconda questione il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 48 della legge regionale n. 24 del 2009.

In particolare, censura il comma 1, nella parte in cui attribuisce ai cittadini di Stati parti dell’Unione europea il diritto di accedere alla fruizione dei servizi privati in condizione di parità e senza discriminazione. La norma, secondo il ricorrente, nel sancire «il corrispondente obbligo per gli operatori economici privati di non rifiutare la loro prestazione», introdurrebbe un obbligo legale a contrarre, peraltro già previsto dal legislatore statale all’art. 187 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza) e, pertanto, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

1.3. – Con una terza questione il ricorrente impugna il comma 2 del citato art. 48. La disposizione è impugnata nella parte in cui prevede che la Regione «assume le nozioni di discriminazione diretta ed indiretta previste» dalla direttiva 2000/43/CE del Consiglio dell’Unione europea relativa al principio della parità di trattamento fra persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, dalla direttiva del Consiglio dell’Unione europea 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la Regione, nel recepire dalla normativa comunitaria la nozione di discriminazione diretta e indiretta, sarebbe intervenuta in un ambito di competenza esclusiva dello Stato, poiché «il concetto di discriminazione» attiene alla materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con l’art. 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), e quindi violerebbe l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, in quanto la Regione avrebbe «recepito una direttiva in una materia che esula dalla propria competenza».

Il ricorrente ritiene, inoltre, che la disposizione impugnata violi l’art. 3 della Costituzione, a norma del quale spetta alla Repubblica il compito di rimuovere ogni ostacolo di ordine economico e sociale che limiti di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. A suo avviso, non potrebbe essere lasciata alle singole Regioni la disciplina in materia di discriminazione, in quanto ciò «potrebbe comportare il rischio di avere diverse forme di tutela sull’intero territorio nazionale, con evidenti pregiudizi ed ingiustificate difformità normative».

1.4. – La quarta questione investe il comma 3 dell’art. 48 della legge regionale n. 24 del 2009. Detta disposizione è impugnata nella parte in cui prevede che «i diritti generati dalla legislazione regionale nell’accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi, si applicano» anche «alle forme di convivenza», di cui all’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 (Applicazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente).

Secondo il ricorrente, il richiamo operato dal legislatore regionale alle «forme di convivenza», di cui al citato d.P.R. che, nel definire la «famiglia anagrafica», ricomprende «l’insieme delle persone legate da vincoli affettivi», eccederebbe le competenze regionali, comportando un’invasione della potestà legislativa esclusiva dello Stato nelle materie di «cittadinanza, stato civile e anagrafi» e dell’«ordinamento civile». Al riguardo, il ricorrente precisa che, secondo la giurisprudenza amministrativa, la nozione di famiglia nucleare è diversa da quella di famiglia anagrafica e che, alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 253 del 2006), le Regioni possono adottare «misure di sostegno a favore di determinate categorie di persone» solo nell’ambito delle materie riservate alla propria competenza legislativa.

1.5. – Con una quinta questione il Presidente del Consiglio dei ministri impugna il comma 4 dell’art. 48 che prevede la promozione «di azioni positive per il superamento di eventuali condizioni di svantaggio derivanti da pratiche discriminatorie».

Il ricorrente ritiene che il citato comma sia in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in quanto esso «è strettamente connesso al primo comma e segue di conseguenza l’interpretazione attribuita a quest’ultimo. Conseguentemente risulta illegittimo per gli stessi motivi che affliggono tale disposizione».

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ultima modifica 2011-01-18T13:42:39+02:00

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