Testo

L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna
Premesso che

l’aborto spontaneo è la più comune causa di morte prematura del feto o dell’embrione durante la gravidanza. Nello specifico, in Italia, la morte in utero viene classificata come tale dopo la ventesima settimana, prima si parla di aborto spontaneo. Questa definizione, però, è esclusivamente di tipo anatomico-clinico, non ha nulla a che vedere con gli aspetti psicologici della perdita e con il lutto percepito dalla gestante e dalla coppia.

L’85% degli aborti spontanei si verifica nelle prime dodici settimane di gestazione, mentre il rimanente 15% degli stessi avviene fra le tredici e le venti settimane.

Considerato che

aborto e perdita perinatale sono associati a considerevoli problemi psicosociali: infatti, una parte sostanziale delle donne che hanno sofferto della morte prematura del feto o dell’embrione sviluppa un disturbo psicologico. Depressione, disturbi d’ansia, disturbo da stress post-traumatico e disturbo somatoforme sono stati tutti collegati a reazioni di dolore in risposta alla perdita perinatale.

Esiste il rischio potenziale che le donne che hanno avuto un aborto spontaneo possano essere a rischio di stress materno durante la loro successiva gravidanza, che a sua volta è associata a esiti avversi correlati alla gestazione.

Il sostegno psicologico e il supporto empatico alla donna - ai genitori - dovrebbero pertanto iniziare contestualmente all’evento di perdita, e divenire parte integrante dell’assistenza ginecologica ed ostetrica, che occupandosi esclusivamente, o quasi, degli aspetti organici e medici minimizza o evita completamente la cura del dolore “psichico” intrinseco alla morte perinatale.

Dopo un aborto, una donna può sentirsi angosciata, triste, in collera, colpevole o ansiosa per le successive gravidanze. Dare sfogo ai propri sentimenti con un professionista può aiutare la donna a gestire le proprie emozioni e ad aumentare i sentimenti positivi. Inoltre, le donne possono erroneamente pensare di aver fatto qualcosa che abbia indotto l’aborto.

I disturbi psichici che spesso affliggono le donne che hanno perso un bambino durante la gestazione possono perdurare anche mesi, o anni; addirittura, possono permanere anche dopo una gravidanza andata buon fine: questi sintomi, in parte, possono essere normali in quanto l’aborto è un evento significativo, riguarda l’immagine di sé nella sua interezza: a livello mentale e fisico. Il problema è quando i sintomi sono persistenti e mettono in crisi la persona. Se la persona ha vissuto l’aborto con difficoltà (senso di costrizione, o critiche dei familiari, o dal partner), la sintomatologia potrebbe essere quindi maggiore.

L’esperienza dell’aborto - spontaneo o volontario - può essere vissuta come un trauma, con tutte le conseguenze tipiche dei traumi: ansia, senso di colpa, rabbia, pensieri intrusivi. Nel caso specifico dell’aborto, alcune donne possono vivere negativamente le successive gravidanze, o possono diventare molto ansiose nella gestione - cura dei figli, oppure assumere atteggiamenti di non curanza verso gli stessi: come ben rammenta R. Coleman (et al. 2002, Journal of Psychology and Psychiatry): “I lutti irrisolti possono avere un impatto negativo sulla risposta genitoriale ai bisogni dei figli, far scatenare la rabbia, che è una componente comune nel lutto, o al contrario, può aumentare l’ansia genitoriale nei confronti del benessere dei figli”.

L’aborto come detto può quindi essere vissuto come un trauma perché spesso questo evento non viene considerato come in realtà è: un lutto, una perdita di una parte di sé. Infatti, per motivi pratici si è sempre ricorsi ad una “disumanizzazione” del processo, diventando una procedura: ancora oggi, è molto raro incontrare operatori pronti ad accogliere il lutto e le sue dinamiche, disponendosi all’ascolto di queste donne, di queste coppie. Invitare le madri a “farsene una ragione”, generalizzare in un’ottica fatalista, non aiuta a superare la sofferenza e il senso di perdita; portando i genitori a sentirsi soli, non compresi, abbandonati, senza i necessari riferimenti medici e psicologici.

La colpevolizzazione aumenta lo stress e quindi potenzia il ricorso a strategie di compenso. Sarebbe opportuno investire la giusta quantità di tempo per lavorare con le donne e le coppie con una storia di aborto spontaneo o morte in utero, in modo da creare la giusta alleanza terapeutica e favorire l’adesione, se necessaria, a eventuali stili di vita più corretti, riducendo lo stress anziché aumentarlo.  

Gli aspetti biomedici e fisiologici della cura devono essere integrati con il supporto sociale, culturale, emotivo e psicologico. Il linguaggio usato per parlare di aborto spontaneo e morte in utero può essere di per sé molto traumatico, e sarebbe opportuno curare le parole quando si parla con donne e coppie che stanno affrontando un evento altamente traumatico.

Preso atto che

in Italia, ad oggi non esiste una procedura univoca rispettata da tutti i punti nascita e la gestione dell’aborto spontaneo, soprattutto di quello del primo trimestre, è fortemente legato alle scelte aziendali. Anche nei paesi ad alto sviluppo, molte donne partoriscono il loro bambino morto nei reparti di ostetricia, circondate da donne con bambini in salute.

È necessario offrire sostegno fin dal momento della diagnosi di aborto e morte in utero. Non ha alcun senso aspettare di curare solo le donne che, dopo anni, si ammalano di depressione, ansia o qualunque altra patologia correlata.

Ancora alla data attuale, sul sito istituzionale della Regione Emilia - Romagna, alle donne che necessitano di supporto informativo sul tema dell’aborto spontaneo e della perdita perinatale, le uniche scarne informazioni sull’argomento si trovano  nella sezione “Informa famiglie e bambini”, che rimandando alle sottosezioni territoriali del sito indica solamente - in caso di aborto spontaneo - che “A seconda del caso clinico, l'aborto spontaneo, trattato in Ospedale presso il reparto di Ginecologia Ostetricia, può prevedere un ricovero in regime di day - hospital o di più lunga durata. Perdere un bambino è un'esperienza dolorosa per superare la quale è possibile usufruire di una consulenza psicologica attraverso un percorso di alcuni incontri con personale specializzato.”.

Ritenuto che

Si crede fermamente nell’ottica di garantire un sostegno attento e rispettoso fin dal momento della diagnosi infausta, ritenendo che l’accompagnamento alle coppie che vivono questo evento come un lutto da parte dell’equipe curante debba proseguire anche dopo il ritorno a casa a braccia vuote.

Per aiutare ad elaborare il lutto della perdita di un bimbo occorre che il personale sanitario mostri sensibilità ed empatia, capisca come si sentono i genitori, fornisca informazioni chiare e che intuisca che i genitori potrebbero aver bisogno di un sostegno specifico.

Impegna il Presidente della Regione Emilia-Romagna e la Giunta regionale

a valutare di attivare eventuali azioni mirate ad un idoneo approfondimento diagnostico in tutti i casi di morte in utero, intrapartum e postpartum, e ad offrire a partire dai luoghi di cura e consultori un eventuale supporto psicologico per l’elaborazione, garantendo nel caso percorsi il più possibile individualizzati.

Approvata all'unanimità dei votanti nella seduta antimeridiana del 16 gennaio 2024

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ultima modifica 2024-01-22T17:10:50+02:00

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