Testo

2.− Si è costituita la Regione Emilia-Romagna, limitandosi a chiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato. Con successiva memoria, la medesima Regione − dopo un’ampia esposizione del quadro normativo e della giurisprudenza costituzionale nel quale si inseriscono le disposizioni impugnate − denuncia l’erroneità dell’identificazione, operata dal ricorrente, tra il “metodo tariffario”, quale disciplinato dall’art. 161, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, e la “tariffa di riferimento”, oggetto del censurato art. 28 della legge reg. Emilia-Romagna n. 10 del 2008. Secondo la resistente, infatti, il “metodo tariffario” e la “tariffa di riferimento” attengono a profili completamente diversi, perché il primo, predisposto dal CO.VI.RI, «rappresenta […] l’insieme dei criteri che consentono l’individuazione del costo complessivo del servizio» e ne individua le varie componenti (costi operativi, aliquote di ammortamento, etc.); la seconda esprime, invece, «il valore complessivo dei costi del servizio, calcolati in base ai criteri definiti nel metodo», valore che «costituisce la base per la determinazione della tariffa da applicare all’utenza, articolata per fasce di consumo e tipologia di utenze». In particolare, per la resistente, la “tariffa di riferimento” costituisce attuazione del “metodo tariffario” e definisce, a sua volta, la “tariffa reale” applicata dal gestore, quale risultante dalla tariffa di riferimento «divisa per i volumi di acqua che si prevede di erogare alle diverse tipologie di utenze».

2.1. – Da tali premesse, la Regione Emilia-Romagna desume, innanzitutto, l’insussistenza della denunciata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Per la resistente, infatti, il denunciato comma 2 dell’art. 28 non si riferisce al metodo tariffario, ma al «costo complessivo del servizio» e, pertanto, la Regione «non si è attribuita una competenza che spettava allo Stato in base al d.lgs. n. 152 del 2006», ma si è limitata ad esercitare una competenza mai esercitata prima dallo Stato, «data l’impossibilità di definire centralmente il costo complessivo del servizio idrico erogato nelle diverse zone». La Regione, cioè, avrebbe emanato la norma oggetto di censura in forza della propria potestà primaria in materia di servizi pubblici – materia in cui rientrerebbe l’individuazione della tariffa di riferimento –, al fine di evitare una determinazione tariffaria «frammentata», ad opera delle diverse Autorità d’àmbito territoriale ottimale (AATO), «accentrandola» a livello regionale. La resistente contesta, in particolare, l’assunto del ricorrente secondo cui sussisterebbe una «riserva statale sulla determinazione della tariffa di riferimento». Per la Regione, infatti, il d.lgs. n. 152 del 2006 attribuisce allo Stato solo la competenza a determinare le “componenti di costo” ed il “metodo tariffario”, ma non anche la “tariffa di riferimento”. Inoltre − argomenta ancora la Regione − la disposizione regionale censurata, proprio in quanto unifica a livello regionale le diverse tariffe di riferimento elaborate dalle varie Autorità d’àmbito, assicura una positiva omogeneità della tariffa stessa a livello regionale, cosí da: a) consentire «l’uniformità delle condizioni di mercato» ed il «coordinamento delle situazioni tariffarie necessariamente diverse nei diversi ambiti»; b) non pregiudicare in alcun modo, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, l’affidamento del servizio secondo «uguali criteri di partecipazione competitiva [ed] all’esito di specifiche procedure di gara». Sotto il primo profilo, infatti, la «partecipazione competitiva» non potrebbe mai risolversi in una tariffa identica «posta ovunque a base della gara», perché la tariffa effettiva è pur sempre funzione delle caratteristiche specifiche delle zone da servire, delle componenti organizzative, della rete di distribuzioni e simili, con la conseguenza che il principio della «partecipazione competitiva» si riferisce necessariamente «alle condizioni di eguaglianza di fronte alla singola gara». Sotto il secondo profilo, la disposizione impugnata non sottrae l’affidamento del servizio «all’esito di specifiche procedure di gara», perché la determinazione da parte della Regione della tariffa di riferimento si applica a prescindere dalla forma e dalla modalità di affidamento del servizio e, pertanto, non attiene alla fase di tale affidamento. La Regione resistente afferma infine che, anche a ritenere desumibile dagli artt. 154 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 una riserva di disciplina statale della tariffa di riferimento, «si tratterebbe di una norma che non tutela la concorrenza» e, dunque, non sarebbe idonea a vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale in materia di servizi pubblici locali.

2.2. − Anche la denunciata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. risulterebbe, secondo la resistente, priva di fondamento, in considerazione dell’erroneità del presupposto da cui muove il ricorso. Secondo la Regione, infatti, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la garanzia di «standard qualitativi e quantitativi della risorsa idrica» a presidio della tutela dell’ambiente viene assicurata dallo Stato non già attraverso la determinazione del costo complessivo del servizio, in base alla “tariffa di riferimento” (oggetto della normativa regionale censurata), ma attraverso l’individuazione delle sole componenti di costo e, quindi, esclusivamente in base al “metodo tariffario” di cui all’art. 161, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006.

Del resto − argomenta ancora la resistente −, anche nell’ipotesi in cui si volesse ricomprendere nel metodo tariffario la determinazione della tariffa di riferimento, sarebbe comunque arbitrario ricondurre l’art. 161, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 alla materia della tutela dell’ambiente, «data la totale assenza di riferimenti alle esigenze ambientali nella norma statale». Infatti, risulterebbe evidente «l’estraneità dell’art. 161, co. 4, lett. a) alla materia dell’ambiente, perché la determinazione del costo complessivo del servizio avviene in applicazione di criteri già fissati e non può implicare la definizione di standard di tutela della risorsa idrica». Inoltre − afferma la Regione − la normativa censurata rientra nella materia dei servizi pubblici locali e, pertanto, costituisce il legittimo esercizio della potestà legislativa regionale.

2.3. − In relazione, infine, alla censura riguardante il comma 7 dell’art. 28 impugnato, la resistente ne deduce l’infondatezza, negando che la legge regionale «si discosti dai principi che ispirano la legge statale sul punto». Per la Regione, infatti, la censurata norma regionale – accentrando a livello regionale una parte delle funzioni in precedenza svolte a livello locale e, quindi, realizzando una maggiore uniformità ed un piú intenso coordinamento – avrebbe ottenuto vantaggi «in termini economici», derivanti dalla riduzione dei costi del sistema, ed avrebbe, perciò, rispettato la normativa statale, la quale stabilisce il principio secondo cui la tariffa deve coprire integralmente i costi delle funzioni pubbliche esercitate, compresi quelli di «funzionamento dell’assetto pubblico di regolazione». Pertanto − argomenta ancora la resistente −, è del tutto legittimo, secondo i princípi della legislazione statale e del diritto comunitario, che i costi di regolazione del servizio siano inglobati nella tariffa. Secondo la Regione, dunque, la disciplina censurata si traduce non in un costo aggiuntivo, ma in un risparmio di risorse rispetto al passato, per effetto dell’individuazione di un’unica struttura organizzativa regionale. In ogni caso − prosegue la resistente − risulta indimostrata l’affermazione del ricorrente secondo cui la disciplina del comma 7 dell’art. 28 darebbe «origine a meccanismi competitivi sul territorio nazionale», violando cosí la disciplina della tutela della concorrenza. Per la Regione, infatti, la circostanza che un minimo elemento di costo della tariffa sia imputabile alle spese di funzionamento della struttura regionale di supporto non altera, in sé, la concorrenza, perché non modifica la situazione di ciascun concorrente alle varie gare. Ancor piú radicalmente, la difesa della resistente afferma che, quand’anche la tariffa di riferimento comportasse un costo aggiuntivo, essa non avrebbe alcuna incidenza sulla tutela della concorrenza, perché «non esiste un unico mercato rilevante a livello nazionale ai fini delle concessioni di affidamento del servizio idrico, che sono invece assegnate su base delle Autorità d’ambito». Secondo la resistente, pertanto, la tutela della concorrenza non potrebbe mai essere violata, ove si consideri che l’imputazione dei costi alla tariffa non incide sulla possibilità che si sviluppi un mercato concorrenziale; al contrario, proprio la possibilità di stabilire un criterio oggettivo per quantificare la tariffa di riferimento a livello regionale consentirebbe che «(almeno) a questo livello i concorrenti si trovino di fronte a pari condizioni, prestabilite secondo un metodo oggettivo razionale e certo».

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ultima modifica 2010-02-11T15:45:30+01:00

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