COMUNICATO
RELAZIONE SULL'ATTIVITA' SVOLTA DAL DIFENSORE CIVICO REGIONALE NELL'ANNO 2005 (art. 11 della L.R. 16 dicembre 2003, n. 25)
SOMMARIO
Contenuto della relazione
- Le origini regionali dell'istituto della difesa civica e il suo
sviluppo a livello locale e settoriale
- La duplice istituzione del Difensore civico in Emilia-Romagna e la
misteriosa vigente disciplina
a) La Legge 6 luglio 1984, n. 37
b) La Legge 21 marzo 1995, n. 15
c) La vigente Legge 16 dicembre 2003, n. 25
- La parificazione del Servizio del Difensore civico agli altri
Servizi dell'Assemblea legislativa: un ostacolo insormontabile
all'indipendenza del Difensore civico - L'articolo 70 del nuovo
Statuto e la sua attuazione
- Altre funzioni del Difensore civico - Ammissibilita' delle proposte
di legge di iniziativa popolare
- Garante del contribuente nei confronti dell'amministrazione
finanziaria regionale e locale
- Gestione del diritto allo studio universitario
- Competenza giustiziale per il riesame del diniego di accesso ai
documenti amministrativi
- Potere sostitutivo
Tabelle A) - B) - C) - D) - E)
Elenchi 1)-2)
Contenuto della relazione
Presento la relazione sull'attivita' svolta nell'anno 2005.
Essa e' composta di sintetiche schede dei casi definitivamente
trattati riguardanti l'Amministrazione regionale e tutte le altre
Amministrazioni nei cui confronti esercito a vario titolo ovvero ho
esercitato fuori competenza le funzioni di Difensore civico (v.
Tabelle). Si ha, in tal modo, un quadro completo e veritiero
dell'attivita' svolta. Veritiero inteso nel senso attribuito al
diverso criterio di rilevazione dei dati statistici adottato dall'anno
scorso e spiegato nella precedente relazione. In appendice e' aggiunto
l'elenco degli accessi al solo ufficio del Difensore civico regionale
non formalizzati (Elenco 1) e degli enti locali che hanno nominato un
proprio Difensore civico (Elenco 2).
Trattandosi della prima relazione presentata nella nuova legislatura
delineo un quadro breve ma completo dell'istituto del Difensore civico
(regionale e locale) nella nostra regione.
Quindi descrivo il contraddittorio sviluppo legislativo dell'istituto
attraverso le tre leggi che hanno disciplinato l'istituto, la tardiva
prima previsione statutaria e le carenze del regolamento interno che
disciplinano il funzionamento dell'ufficio, marginalizzandolo o
ignorando e contraddicendo il principio legislativo che garantisce
l'indipendenza e l'autonomia del Difensore civico. Cio' anche allo
scopo di offrire un modesto contributo in vista della redazione della
nuova legge per l'attuazione dell'articolo 70 (Difensore civico) del
nuovo Statuto.
Colgo occasione dall'attivita' svolta per segnalare questioni
riguardanti l'ammissibilita' delle proposte di legge di iniziativa
popolare - anche in questo caso come modesto contributo in vista della
redazione della legge sull'ammissibilita' dei referendum e delle
proposte di legge d'iniziativa popolare in conformita' al nuovo
Statuto -, nonche' sui diritti del contribuente soggetto a tributi
regionali o locali.
Espongo inoltre i problemi posti in materia di competenza giustiziale
sul riesame dei provvedimenti riguardanti l'accesso ai documenti
amministrativi dalla mancata emanazione del nuovo regolamento
sull'accesso e, in materia di controlli sostitutivi, da tre sentenze
della Corte Costituzionale e da una sentenza del Tribunale
Amministrativo regionale dell'Abruzzo.
La questione su cui torno a richiamare massimamente l'attenzione
concerne la gestione del diritto allo studio universitario. I
pochissimi reclami che mi sono stati presentati riguardano l'ARSTUD di
Bologna, ma ritengo che essi sono la punta dell'iceberg di una
situazione diffusa, che, stante l'assoluta impotenza del Difensore
civico, non puo' essere risolta se non dall'intervento degli organi
regionali e universitari di governo del settore.
Le relazioni che trasmetto ai Presidenti delle Camere del Parlamento e
ai Presidenti dei Consigli comunali e Sindaci dei Comuni convenzionati
consistono in uno stralcio delle schede di loro pertinenza ed
eventualmente esposizione di questioni specifiche e in elenchi degli
accessi non formalizzati.
Le origini regionali dell'istituto della difesa civica e il suo
sviluppo a livello locale e settoriale
Il Difensore civico e' un istituto che non appartiene alla nostra
cultura ed esperienza giuridica ed e' nato dopo l'istituzione delle
Regioni a statuto ordinario, grazie all'iniziativa di alcune di esse,
cui se ne sono aggiunte man mano altre, ma non ancora tutte.
Negli anni Sessanta, su iniziativa di Costantino Mortati, era stato
promosso un dibattito sull'opportunita' di istituire un Difensore
civico statale e sulle funzioni da attribuirgli e, in Parlamento,
erano stati presentati, senza fortuna, alcuni disegni di legge volti a
istituire, per l'appunto, il Difensore civico statale. Bisogna pero'
attendere il 1997 per trovare un impegno programmatico nella
previsione che attribuisce ai difensori civici delle regioni e delle
province autonome l'esercizio di compiti di difesa civica nei
confronti delle amministrazioni periferiche dello Stato limitatamente
agli ambiti territoriali di propria competenza, con esclusione di
quelle che operano nei settori della difesa, della sicurezza pubblica
e della giustizia, sino all'istituzione del Difensore civico nazionale
(Legge Bassanini bis n. 127 del 15 maggio, art. 16, come sostituito
dall'art. 2, comma 27, della Legge Bassanini ter 16 giugno 1998, n.
191).
In principio il Difensore civico fu previsto solo da tre statuti
regionali (Toscana, art. 61, Lazio, art. 38, e Liguria, art. 14).
Verso la fine degli anni Ottanta, in occasione della riforma dei
rispettivi statuti, il Difensore civico fu previsto anche dagli
statuti dell'Umbria (art. 76), dell'Emilia-Romagna (art. 45) e del
Piemonte (art. 71). Il Difensore civico e' stato istituito, in vari
periodi, anche senza copertura statutaria, nelle stesse regioni che
nei propri statuti hanno previsto il Difensore civico in un secondo
momento e in altre, che non l'hanno affatto previsto.
Le prime iniziative regionali, a livello sia statutario sia di
legislazione ordinaria, sollevarono diversi dubbi di legittimita'. I
dubbi concernenti le norme istitutive del Difensore civico dei primi
tre statuti furono fugati col riconoscimento della compatibilita'
dell'iniziativa regionale con l'autonomia concessa dall'art. 123 Cost.
in materia di organizzazione e funzionamento. Si ritenne, peraltro,
che il Difensore civico potesse essere istituito anche in mancanza di
copertura statutaria in base alla competenza legislativa ex art. 117
Cost. in materia di organizzazione degli uffici.
La circostanza che il legislatore regionale puo' istituire il
Difensore civico sia conformandosi al proprio statuto sia in assenza
di disposizioni statutarie ha indotto ad osservare che, nel primo
caso, il legislatore regionale deve attenersi alle disposizioni
statutarie, mentre la sua discrezionalita' e' piu' ampia laddove lo
statuto non dica stabilisce nulla al riguardo, per cui lo statuto,
piu' che come fonte dell'istituzione del Difensore civico, va inteso
come limite nella determinazione delle sue attribuzioni. Questa
opinione non e' del tutto esatta, perche', se e' vero che la legge non
ha bisogno di copertura statutaria, bisogna esaminare caso per caso se
le previsioni statutarie costituiscono un limite ovvero apprestano
garanzie, indicano obiettivi o attribuiscono valore statutario a
principi essenziali e fondamentali dell'istituto.
Assente a livello nazionale, il Difensore civico non e' neppure
presente in tutte le Regioni. Ora ne sono prive la Calabria, la Puglia
e la Sicilia.
Vi sono, inoltre, difensori civici provinciali e comunali e garanti e
mediatori a diversi livelli e in diversi settori. Nonostante
l'esistenza di convenzioni tra Province e Comuni per l'esercizio di
funzioni di difesa civica da parte del Difensore civico regionale o
provinciale e l'istituzione del Difensore civico a livello
associativo, il Difensore civico e' un istituto diffuso sul territorio
nazionale (e sul nostro territorio regionale) a pelle di leopardo, su
cui le macchie simboleggianti il vuoto sono notevolmente prevalenti
per numero ed estensione. E cio' nonostante non si sfugge
all'impressione, in assenza di un disegno unitario e di un efficace
coordinamento, di una eccessiva proliferazione di organi (difensori
civici e garanti) e sovrapposizione di ruoli e competenze, anche
laddove le competenze sono chiaramente definite.
L'attuale organizzazione della difesa civica non e' pertanto in grado
di assicurare standard uniformi e generalizzati di tutela e il sistema
di difesa civica potra' dirsi compiuto quando l'intervento del
Difensore civico sara' ordinatamente garantito in ogni ambito
territoriale con riferimento a qualsiasi tipo di competenza
amministrativa o di gestione di pubblici servizi, in modo da garantire
a ciascun individuo una tutela omogenea a livelli minimi di garanzia,
senza confusioni e sovrapposizioni di ruoli.
La duplice istituzione del Difensore civico in Emilia-Romagna e la
misteriosa vigente disciplina
a) La Legge 6 luglio 1984, n. 37
La Regione Emilia-Romagna ha istituito il Difensore civico con Legge 6
luglio 1984, n. 37, senza copertura statutaria. Il secondo Statuto del
1989, all'art. 45, stabili' in una norma compresa nel Titolo VI
recante norme sull'amministrazione regionale che: "A garanzia dei
diritti e degli interessi dei cittadini, la legge regionale istituisce
il Difensore civico e ne determina compiti e modi di intervento".
La legge istitutiva del 1984 fu sostituita dalla Legge 21 marzo 1995,
n. 15, che a sua volta e' stata sostituita dalla vigente Legge 16
dicembre 2003, n. 25.
Tutte tre le leggi mostrano, accanto a un crescendo di petizioni di
principio, la tendenza a porre ed accrescere limiti alla procedura di
attivazione degli interventi di tutela civica allo scopo di ridurre il
ricorso al Difensore civico e il raggio dei suoi interventi.
Una costante e' che la richiesta al Difensore civico deve essere
preceduta da tentativi "ragionevoli" finalizzati a rimuovere i
ritardi, le irregolarita' o le disfunzioni. Laddove, poi, sia prevista
ex lege una risposta all'istanza, prima di rivolgersi al Difensore
civico, bisogna attendere trenta giorni dall'invito
all'Amministrazione. Queste disposizioni sono state trasfuse nelle
successive Leggi del 1995 e del 2003, nonostante che le leggi sul
procedimento amministrativo, statale e regionale, rispettivamente del
1990 e del 1993, gia' permettessero di qualificare "illegittimo" il
ritardo o l'omissione e di individuare i casi in cui il Difensore
civico avrebbe potuto essere interpellato immediatamente, senza alcuna
previa messa in mora dell'Amministrazione.
b) La Legge 21 marzo 1995, n. 15
La Legge del 1995 sembra aver voluto attribuire una legittimazione
statutaria all'istituzione del Difensore civico, proclamando
solennemente nel primo comma dell'art. 1: "Per le finalita' di cui
all'art. 45 dello Statuto e' istituito nella Regione Emilia-Romagna il
Difensore civico".
La formula dell'art. 45 del secondo Statuto regionale, riportata nel
paragrafo precedente, mostra chiaramente che il riformatore statutario
riteneva che fosse necessario assicurare copertura statutaria
all'istituzione del Difensore civico e il Legislatore del 1995 appare
addirittura convinto che a questo scopo non sarebbe stata sufficiente
la norma statutaria, ma fosse necessaria una nuova legge istitutiva.
Questo convincimento, peraltro infondato, indusse a sostituire
l'originaria legge istitutiva e, con l'occasione, a ridurre i poteri
del Difensore civico, sottraendogli la competenza a intervenire nei
confronti della dirigenza politica. L'art. 2 della Legge del 1984
disponeva che il Difensore civico poteva intervenire per la tutela dei
cittadini nei confronti di atti o fatti di mala amministrazione
compiuti da uffici e servizi, organi e soggetti; l'art. 2 della Legge
del 1995, invece, omise di prevedere la possibilita' di intervenire
anche nei confronti di organi e uffici. Fu una decisione sbagliata,
perche' talvolta i nodi della cattiva amministrazione non possono
essere sciolti se non con l'intervento degli organi di governo o
interloquendo con essi. Questa relazione e le precedenti contengono
significativi esempi. Ora il nuovo Statuto, al comma 4 dell'art. 70,
ha compensato in un certo qual modo questa situazione, stabilendo che
il Difensore civico puo' segnalare alle Commissioni assembleari
competenti situazioni di difficolta' e disagio dei cittadini
nell'applicazione di norme regionali, avanzando proposte per
rimuoverne le cause. Sarebbe coerente con questa disposizione
statutaria ristabilire la possibilita' di intervenire nei confronti
degli organi di governo regionale.
A questo punto puo' avere interesse confrontare la normativa regionale
con le norme europee sul mediatore (Difensore civico) europeo e
riferire un caso concreto. L'articolo 43 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione, firmata a Nizza il 7 dicembre del 2000,
prevede il diritto per qualsiasi cittadino dell'Unione medesima,
nonche' per qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia
la sede sociale in uno Stato membro di sottoporre al "Mediatore
dell'Unione" casi di mancato funzionamento e di cattiva
amministrazione con l'unica eccezione degli organi giurisdizionali
nell'esercizio delle loro funzioni. Il mediatore interviene presso gli
organi di governo dell'Unione. Ampio riconoscimento e' inoltre
attribuito dal progetto di Costituzione europea alla figura del
"Mediatore europeo"quale organo caratterizzante la stessa "vita
democratica dell'Unione".
Il caso al quale ho accennato e' il seguente. L'Ufficio della
Motorizzazione civile di Bologna ha rifiutato il rilascio della
patente di guida a un cittadino straniero, rifugiato politico e in
possesso di regolare permesso di soggiorno, perche' egli non e' in
grado di esibire un "valido" documento di identita' completo di tutti
i dati anagrafici. E' noto, infatti, che in alcuni Paesi, in passato
soggetti a regime colonialistico, non erano stati istituiti uffici
anagrafici.
Il rifiuto e' legittimo, in quanto imposto da norme in cui il concetto
di "validita'" del documento di identita' e' rapportato all'"esigenza
inderogabile di individuare con certezza i conducenti, nell'interesse
primario della sicurezza e dell'incolumita' dei cittadini" (circolare
del Dipartimento dei Trasporti terrestri delle Infrastrutture e dei
Trasporti del 5/10/2001, prot. n. 2373/M330) ed e' formalmente
motivato in base al disposto di cui all'Allegato 1, punto 2 del
decreto del Ministro dei Trasporti e della Navigazione 8/8/1994, che
ha recepito la direttiva CEE n. 91/439, che indica la data e il luogo
di nascita tra gli elementi essenziali della patente.
Il cittadino straniero di cui si tratta era in grado di documentare
solo l'anno di nascita. E' dunque un caso di forza maggiore, che si
verifica di frequente, data la mancanza di servizi d'anagrafe o le
particolari disposizioni vigenti in materia nei Paesi d'origine o la
condizione di rifugiato, che non consente al soggetto interessato di
prendere contatto con le Autorita' del proprio Paese.
E' evidente che un principio di civilta' del diritto e di rispetto dei
diritti dell'uomo impone di conciliare l'esigenza di sicurezza e di
incolumita' dei cittadini, cui attende la direttiva europea, col
riconoscimento agli immigrati che risiedono regolarmente nei Paesi
Europei di ottenere il rilascio o la conversione della patente.
Dalle indagini effettuate e' risultato che, in passato, alcuni uffici
anagrafici avrebbero risolto il problema indicando convenzionalmente
giorno e mese di nascita (generalmente: l'1 gennaio), altri uffici
avrebbero adottato criteri diversi. Ma poi, date le suddette
direttive, hanno dovuto abbandonare le soluzioni convenzionalmente
adottate e indicare il giorno e il mese di nascita col numero 0.
Funzionari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
contattati telefonicamente erano a conoscenza del problema e mi hanno
informato di averlo sottoposto al Ministero dell'interno. Qui
funzionari del Dipartimento liberta' civile e immigrazione hanno preso
nota della mia segnalazione, assicurandomi che l'avrebbero segnalata
alla Commissione nazionale diritto d'asilo per quanto di loro
competenza.
Esperite queste indagini, ritenni opportuno porre formalmente il
problema ai due citati dicasteri e investirne il Mediatore Europeo, il
quale, con nota rif. Q4/2005/IP dell'1 febbraio c.a., mi ha informato
di aver trasmesso una copia della mia lettera al Presidente della
Commissione europea Jose' Manuel Barroso invitandolo a fornire un
parere entro il 30 aprile.
c) La vigente Legge 16 dicembre 2003, n. 25
La Legge del 1995, come s'e' visto, e' stata sostituita dalla Legge 16
dicembre 2003, n. 25, progettata, discussa e approvata ignorando il
nuovo Statuto, che intanto si veniva progettando, in conformita' alla
Legge costituzionale n. 1 del 1999 sull'autonomia statutaria delle
Regioni, e stava per giungere in porto.
Della legge vigente mi sono episodicamente occupato nelle mie due
precedenti relazioni concernenti l'attivita' del Difensore civico
svolta nel 2003 e nel 2004, ma per completezza di esposizione sono
costretto a correre il rischio di ripetermi.
L'art. 1 attribuisce al Difensore civico "il compito di rafforzare e
completare il sistema di tutela e di garanzia del cittadino nei
confronti della pubblica Amministrazione, nonche' di assicurare e
promuovere il buon andamento e l'imparzialita' dell'azione
amministrativa, secondo i principi di legalita', trasparenza,
efficienza, efficacia ed equita'". Questa proposizione legislativa e'
integralmente mutuata, parola per parola, dal progetto di Legge n. 189
dell'on. Boato, presentato nella legislatura appena scaduta,
concernente l'istituzione del Difensore civico nazionale. Ora,
l'istituzione del Difensore civico nazionale e' la forma di vertice
della difesa civica che si aggiunge a quelle gia' esistenti. Di essa
si puo' quindi dire che completa e rafforza. Ma la proposizione
normativa della legge regionale, sopra trascritta, che cosa completa e
rafforza? Il progetto Boato, inoltre, a differenza della legge
regionale, per rendere possibile la realizzazione della progettata
nuova forma di tutela, prevede concrete soluzioni normative e
organizzative. All'art. 10 stabilisce che, con provvedimento adottato
dal Difensore civico nazionale, sentito il Ministro del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica, e' stabilita la dotazione
organica dell'ufficio, articolata per qualifiche. La legge si limita a
stabilire il numero massimo dei posti in dotazione organica e a
prevedere che i posti previsti in organico saranno coperti da
dipendenti pubblici, collocati in posizione di comando. In un
qualunque momento il Difensore civico nazionale, con provvedimento
motivato, puo' interrompere il rapporto con un dipendente,
sostituendolo con un altro.
A questo punto mi affretto a dichiarare che ho citato le previsioni
del progetto Boato non per formulare analoghe proposte, ma per
riuscire a enunciare meglio una esigenza imprescindibile, e cioe' che
occorre una diversa progettazione funzionale e organizzativa del
servizio del Difensore civico. Ma non spetta a me suggerire o proporre
soluzioni concrete. A me spetta soltanto esporre l'ovvia
considerazione che il Difensore civico non e' indipendente se la
dotazione di risorse umane e strumentali, che, per legge, devono
garantire la sua indipendenza, dipende esclusivamente da libere
decisioni altrui. E, al riguardo, non posso non richiamare la mia
relazione dell'anno scorso, in cui esponevo che l'ufficio era rimasto
quasi del tutto sguarnito per gran parte del 2004.
Tornando al progetto Boato, non e' neppure il caso di osservare che,
nella regione Emilia-Romagna, la tutela civica e' realta' da oltre
venti anni, non e' una novita' come lo sarebbe a livello statale
quando e se il Difensore civico nazionale sara' istituito. La medesima
formula legislativa assume quindi valenze diverse, anzi,
nell'ordinamento regionale non assume alcuna valenza, e' semplicemente
una formula vuota, perche' manca qualsiasi indicazione di concrete
formule organizzative. Il compito di rafforzare e completare il
sistema di tutela e di garanzia dei cittadini nei confronti della
pubblica Amministrazione, ecc., e' paradossalmente attribuito alla
capacita' e alla buona volonta' del Difensore civico come persona
fisica, che non si capisce cosa e come possa fare personalmente di
piu' e di meglio di cio' che e' stato fatto nei precedenti venti anni
dai suoi predecessori. Questo, a ben vedere, sarebbe paradossalmente
l'unico significato possibile della suddetta formulazione normativa,
che percio' e' del tutto insignificante, dal momento che in tutta la
legge non c'e' una sola misura di carattere organizzativo o
procedimentale volta a favorire la realizzazione del suddetto compito
o "rafforzamento".
Al secondo comma segue invero l'affermazione secondo cui "La Regione
assicura al Difensore civico, non sottoposto ad alcuna forma di
dipendenza gerarchica o funzionale, lo svolgimento della sua attivita'
in condizioni di autonomia, liberta', indipendenza, efficacia e
provvede a dotare gli uffici competenti delle adeguate risorse umane e
strumentali". Ma si tratta di una mera petizione di principio, di cui
ho gia' detto, percio' mi limito a ricordare ancora una volta che il
servizio del Difensore civico, appena approvata la nuova legge,
attraverso' una crisi talmente grave che neppure ad arte sarebbe stato
possibile provocarla. Ma devo pure ricordare che si tratta di una
formula di stile, che ritorna nelle tre leggi con un crescendo
retorico: "Il Difensore civico svolge la propria attivita' in piena
liberta' e indipendenza. Non e' sottoposto ad alcuna forma di
dipendenza gerarchica o funzionale" (art. 1, terzo comma, delle Legge
37/84). "La Regione Emilia-Romagna assicura al Difensore civico, non
sottoposto ad alcuna forma di dipendenza gerarchica o funzionale, lo
svolgimento della sua attivita' in condizioni di liberta',
indipendenza, efficacia." (art. 1, comma 3, Legge 15/95). "La Regione
Emilia-Romagna assicura al Difensore civico, non sottoposto ad alcuna
forma di dipendenza gerarchica o funzionale, lo svolgimento della sua
attivita' in condizioni di autonomia, liberta', indipendenza,
efficacia e provvede a dotare gli uffici competenti delle adeguate
risorse umane e strumentali" (art. 1, comma 2, L. Reg. n. 25/03).
Per completezza aggiungo che la nuova legge aggiorna la disciplina del
Difensore civico, per il vero, in quegli aspetti di maggiore evidenza
e di minore problematicita' e attutisce il divieto di rieleggibilita'
del difensore in civico in carica, avendo stabilito, all'art. 10,
comma 1, che puo' essere rieletto per una sola volta a maggioranza dei
due terzi dei consiglieri assegnati alla Regione.
L'innovazione piu' significativa concerne le modalita' di elezione del
Difensore civico, che tendono a favorire con maggiore determinazione
una elezione cui partecipi anche l'opposizione. Il Difensore civico
deve essere eletto dai due terzi dei consiglieri assegnati alla
Regione; dopo la terza votazione, se non si raggiunge il detto quorum,
l'elezione e' rimandata alla seduta del giorno successivo; in questa
seduta, dopo due votazioni, ove il candidato dopo due votazioni non
ottenga i due terzi dei voti, il Difensore civico e' eletto con la
maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati alla Regione.
Occorre anche aggiungere che la nuova legge ha soppresso l'indennita'
di residenza, prevista dalla due precedenti leggi. Torno a parlarne
senza alcun imbarazzo, perche' nelle mie precedenti relazioni ho
segnalato il fatto ma ho dichiarato e ripetuto che, in ogni caso,
l'eventuale ripristino dell'indennita' non sarebbe dovuto valere nei
confronti dell'attuale Difensore civico, ossia del sottoscritto.
In seguito fu sorprendente e sconcertante apprendere, dalla lettura
della Legge 17 febbraio 2005, n. 9, che l'indennita' di residenza
sara', invece, corrisposta al garante dell'infanzia. Nella precedente
relazione ho chiesto, ovviamente, il ripristino di una parita'
istituzionale, in un senso o nell'altro, escludendo sempre che il
Difensore civico in carica benefici dei vantaggi, nel caso di
ripristino dell'indennita'.
La parificazione del servizio del Difensore civico agli altri servizi
dell'Assemblea legislativa: un ostacolo insormontabile
all'indipendenza del Difensore civico
La parificazione del servizio del Difensore civico agli altri servizi
dell'Assemblea legislativa e' un impedimento all'impegno, che la
Regione ha assunto per legge e al quale, ora, ha dato copertura
statutaria, a provvedere a dotare l'ufficio del Difensore civico delle
adeguate risorse umane e strumentali.
Ripeto quanto ho scritto nella relazione per la definizione del
programma di attivita' del 2006, perche' questa e' la sede piu'
appropriata per esporre tali considerazioni.
L'art. 22 del regolamento interno pone a carico dei responsabili dei
servizi regionali l'onere di presentare annualmente una relazione per
la definizione del programma di attivita'. Per quanto concerne il
servizio del Difensore civico quest'onere e' stato trasferito dal
responsabile del servizio al Difensore civico dall'art. 15, comma 1,
vigente Legge 25/03. Si tratta di un adempimento endoprocedimentale
funzionale al compito che spetta all'Ufficio di Presidenza di
deliberare, entro il 31 dicembre d'ogni anno, i programmi di attivita'
delle strutture consiliari per l'esercizio successivo. La
deliberazione dell'Ufficio di Presidenza e' predisposta dalla
Direzione generale dell'Assemblea legislativa, sulla base delle
proposte formulate dai dirigenti responsabili delle strutture
consiliari, ciascuno per il proprio ambito di competenza. I programmi
di attivita' indicano, per ciascun servizio, le finalita' e gli
obiettivi che s'intendono perseguire, le azioni richieste per il loro
raggiungimento e le risorse finanziarie a tal fine necessarie,
determinate sulla base del bilancio di previsione deliberato dal
Consiglio.
Questo procedimento e' l'unico presidio dell'indipendenza del
Difensore civico e non occorre spendere molte parole per dimostrare
che e' inadeguato.
Il Difensore civico, nonostante le solenni proclamazioni legislative,
che innanzi ho voluto richiamare testualmente, in effetti era ed e'
parificato a un servizio consiliare e la sua indipendenza, che puo'
essere garantita solo dalla congruita' di risorse in termini sia di
personale sia finanziari e dalla loro certezza, al pari di ogni altro
servizio era fatta dipendere e dipende da una decisione amministrativa
alla cui formazione il Difensore civico era tenuto estraneo, mentre
vi prendeva parte il responsabile del servizio. L'errore consiste nel
concepire il Difensore civico e il servizio del Difensore civico come
due entita' distinte e persino separate, errore che non consente di
percepire la specificita' del servizio, che e' struttura servente
dell'organo Difensore civico, per adoperare una terminologia
gianniniana, e non articolazione della direzione generale. Il servizio
e' considerato articolazione dell'Assemblea legislativa, ma non e' un
servizio predisposto al funzionamento dell'Assemblea legislativa e,
percio', e' destinato ad essere collocato in posizione marginale. Se
posso autocitarmi, in una intervista rilasciata quando ebbi affidato
l'incarico, affermai che, piuttosto che al Difensore civico, preferivo
riferirmi all'istituzione difesa civica, formata unitariamente dal
Difensore civico e dalla struttura amministrativa che con lui
collabora. Una immedesimazione essenziale, precisai, e invece
misconosciuta. E aggiunsi "Se mi e' consentito parafrasare il titolo
di un noto saggio parlerei di difesa civica forza gentile, che puo'
dare un contributo importante in un momento di crisi evidente nel
rapporto tra cittadini e istituzioni. A condizione che ne sia
realmente garantita l'autonomia e l'indipendenza, una garanzia
(affermo in generale) carente gia' a livello normativo.".
L'attribuzione al responsabile del servizio del compito di presentare
le proposte comportava altresi' una lesione dell'autonomia del
Difensore civico, giacche' quelle proposte non potevano non
riguardare, e in effetti riguardavano, compiti di difesa civica, ai
quali il Difensore civico poteva essere tenuto estraneo, e talvolta lo
era anche realmente. Il citato primo comma dell'art. 15, L.R. 25/03 ha
sostituito il responsabile del servizio col Difensore civico,
stabilendo che sia il Difensore civico, e non il responsabile del
servizio, a presentare all'Ufficio di Presidenza il programma di
attivita' per l'anno successivo con l'indicazione del fabbisogno
finanziario (comma 1). L'Ufficio di Presidenza, previa discussione cui
partecipa anche il Difensore civico, esamina ed approva il programma.
In conformita' al programma approvato sono determinati i mezzi e le
risorse da iscrivere nella previsione di spesa del bilancio del
Consiglio e da porre a disposizione del Difensore civico (comma 2).
La nuova normativa, per alcuni versi, segna addirittura un
peggioramento rispetto al passato, perche' mentre la precedente
normativa si limitava ad omologare il servizio del Difensore civico
alle altre strutture consiliari, la nuova normativa non corregge tale
omologazione e assimila il Difensore civico al responsabile di
servizio, pur continuando a tenere in vita la dicotomia del servizio
rispetto al Difensore civico.
Per concludere questo capitolo della mia relazione non posso non
ricordare che nella relazione sul programma di attivita' 2006 osservai
che dall'esame delle tabelle della struttura organizzativa
dell'Assemblea legislativa emerge che il servizio del Difensore
civico, collocato all'ultimo posto, e' l'unico al quale non sono
operativamente riconosciute P.O. e sarebbe ugualmente rimasto
all'ultimo posto se fosse stata attivata la P.O. indicata nel
programma deliberato dall'Ufficio di Presidenza nel 2004 e quella che
stavo per proporre e che l'Ufficio di Presidenza ha quindi deliberato.
Ma, a tutt'oggi, come la prima, neanche la seconda P.O. e' stata
attivata.
L'articolo 70 del nuovo Statuto e la sua attuazione
Il nuovo Statuto prevede il Difensore civico nell'art. 70, che, con
l'art. 69 (Consulta di garanzia statutaria) e 71 (Garante regionale
per l'infanzia e l'adolescenza) fa parte del Titolo VIII (Garanzie e
controlli).
Non e' questa la sede per commentare le nuove disposizioni statutarie,
se non per rilevare, richiamandomi a quanto detto in precedenza, che
esse non pongono limiti alla disciplina legislativa dell'istituto, ma
stimolano a rimuovere i limiti ora operanti a livello normativo e di
prassi.
L'indipendenza e l'autonomia del Difensore civico sono affermate nei
commi 1 e 3. Si tratta, finalmente, del modo corretto di impostare il
problema dell'indipendenza del Difensore civico: per la prima volta lo
Statuto dice che cos'e' quest'indipendenza e chiarisce che ha due
facce. E' l'indipendenza che il Difensore civico deve dimostrare di
potere e sapere garantire nell'esercizio delle sue funzioni, ossia che
sa decidere con la sua testa senza prendere ordini da qualcuno o da
qualcosa (comma 3) ed e', d'altro canto, l'indipendenza che al
Difensore civico deve essere garantita e assicurata, mettendolo per
legge e con legge in condizione di poter compiere il suo lavoro (comma
1). E, sotto questo profilo, non si tratta soltanto di dotare il suo
servizio di adeguate risorse umane e strumentali, ma anche di
informare adeguatamente la comunita' regionale che la Regione mette a
disposizione di tutti questo servizio.
Il principio secondo cui devono essere create le condizioni affinche'
il Difensore civico sia messo in grado di esercitare le sue funzioni
in condizioni di autonomia e di indipendenza, come s'e' visto, c'era
nella legge ed ora e' stato trasferito nello Statuto. La trasposizione
del principio a livello statutario significa, innanzi tutto, che il
legislatore statutario riconosce che la legge e' stata inefficace ed
esige che il principio non rimanga una formula vuota, scritta su un
pezzo di carta. La legge d'attuazione dell'art. 70 deve percio' farsi
carico di prevedere una disciplina di dettaglio attuativa del
principio statutario. Per rendere l'organo Difensore civico
effettivamente indipendente e per garantirgli l'autonomia
organizzativa e finanziaria occorre che lo Statuto riconosca che
l'organico del servizio sia stabilito con legge, che alla sua gestione
il Difensore civico non sia tenuto estraneo e che il servizio del
Difensore civico sia disciplinato con la stessa legge tenendo conto
del suo specifico compito di struttura servente dell'organo Difensore
civico. Confondere il servizio del Difensore civico con le altre
strutture consiliari, non considerando la sua specifica funzione e
immaginando una inesistente similitudine con gli altri servizi
consiliari, altera le valutazioni del servizio, del suo responsabile e
dell'altro personale che vi e' addetto.
Altre funzioni del Difensore civico
Il Difensore civico, oltre alle funzioni di Difensore civico nei
confronti dell'Amministrazione regionale in tutte le sue articolazioni
(elencate nell'art. 2, comma 1, della L. Reg. n. 25 del 2003):
a) Esercita le funzioni di Difensore civico degli enti locali che
hanno deciso di avvalersi del Difensore civico regionale mediante
convenzione stipulata con l'Assemblea legislativa. Sono diciassette
Comuni, il Nuovo Circondario di Imola, la Comunita' Montana Valle del
Santerno e, dall'1 febbraio 2006, la Provincia di Bologna. I
diciassette Comuni sono: Borgo Tossignano, Budrio, Casalecchio di
Reno, Casalfiumanese, Castel del Rio, Castel Guelfo, Castel San Pietro
Terme, Crevalcore, Dozza, Fontanelice, Imola, Mordano, Pieve di Cento,
Ravenna, Sala Bolognese, Sant'Agata Bolognese, Zola Predosa.
Presso alcuni dei Comuni convenzionati e' assicurata la presenza di
funzionari del servizio del Difensore civico regionale, secondo il
seguente calendario: una volta la settimana a Ravenna, due volte al
mese a Casalecchio e a Zola (la mattina in un Comune e il pomeriggio
nell'altro), una volta al mese nel Comune di Budrio, Castel San Pietro
Terme e Imola. Per quanto riguarda le richieste di difesa civica nei
confronti di questi Comuni occorre tener conto che i procedimenti
formalizzati mediante apertura di fascicolo sono un numero molto
ridotto rispetto agli accessi e che agli accessi non formalizzati
bisogna talvolta dedicare non poco tempo e impegno gravoso.
Colgo l'occasione per segnalare che gia' nella precedente relazione al
Consiglio comunale di Imola feci presente che da parte dei servizi e
uffici di quella amministrazione, forse piu' di quanto accade presso
altre amministrazioni, alle mie richieste del mio ufficio vengono
frapposti ritardi non giustificabili. Con la relazione di quest'anno a
quel Consiglio comunale ho dovuto segnalare il comportamento del
Segretario Generale che si rifiuta provocatoriamente di rispondere a
mie richieste e di darmi la disponibilita' ad un esame congiunto di
una pratica. Avanzo il sospetto che si tratti di deliberata volonta'
di non collaborare col Difensore civico, dati un pregresso dissenso
registratosi con l'alto funzionario comunale. E' una intollerabile
situazione che lede la dignita' istituzionale dell'ente comunale.
In appendice, infine, riporto l'elenco degli enti locali che hanno
nominato o solo istituito il proprio Difensore civico.
b) Esercita le funzioni di Difensore civico nei confronti delle
amministrazioni periferiche dello Stato, limitatamente al proprio
ambito territoriale di competenza, con esclusione delle
amministrazioni che operano nei settori della difesa, della sicurezza
pubblica e della giustizia, con le medesime funzioni di richieste, di
proposta, di sollecitazione e di informazione che l'ordinamento
regionale gli attribuisce nei confronti delle strutture regionali
(art. 16, Legge Bassanini bis n. 127 del 1997).
c) Ha competenza giustiziale per il riesame del diniego di accesso a
documenti amministrativi ex art. 25 della Legge sul procedimento
amministrativo 8 agosto 1990, n. 241.
d) Ha la facolta' di costituirsi parte civile, ai sensi dell'art. 36
della legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate 5 febbraio 1992, n. 104, ove si
proceda per i reati di cui agli articoli 527 (atti osceni) e 628
(rapina), nonche' per i delitti non colposi contro la persona, di cui
al Titolo XII del Codice penale, e per i reati di cui alla Legge 20
febbraio 1958, n. 75, concernente lo sfruttamento della prostituzione,
qualora l'offesa sia una persona handicappata.
Trattasi, peraltro, di funzione mai esercitata e, a mio avviso, per
renderne possibile l'esercizio occorrerebbe che fossero stabilite
norme d'attuazione con legge regionale.
Il Difensore civico, inoltre, nei confronti degli enti locali, era
titolare di poteri di controllo e del potere di controllo sostitutivo.
Riguardo all'intervenuta incompetenza del Difensore civico ad
esercitare interventi sostitutivi non c'e' unanimita' d'opinione e in
argomento tornero' piu' avanti.
Ammissibilita' delle proposte di legge di iniziativa popolare
Nella mia qualita' di Difensore civico ho presieduto la Commissione
regionale per i procedimenti referendari e d'iniziativa popolare,
convocata per esprimere il giudizio d'ammissibilita' della proposta di
legge d'iniziativa popolare (Norme per orientare e sostenere il
consumo dei prodotti agricoli regionali), presentata all'Ufficio di
Presidenza dell'Assemblea legislativa ai sensi dell'art. 5, comma 1,
della L.R. 22 novembre 1999, n. 34 (Testo unico in materia di
iniziativa popolare e referendum), non essendo stata ancora istituita
la commissione di garanzia statutaria prevista dall'art. 69 del nuovo
Statuto alla quale la competenza e' stata attribuita.
Il giudizio di ammissibilita' della proposta, come risulta dalla
motivazione della decisione, ha ottenuto l'unanimita' dei voti dopo un
acceso dibattito e grazie a un compromesso.
La difficolta' del giudizio era data dall'ambiguita' delle
disposizioni che definiscono il compito della commissione, oscillante
tra due diversi concetti, quello di "ammissibilita'" e quello di
"legittimita'", determinata dal fatto che, a un certo punto del
processo di aggiornamento della normativa in materia, sono state
adottate formulazioni non perspicue. L'attuale formulazione
legislativa, sotto il profilo letterale, potrebbe determinare una
ingiustificata disparita' di trattamento tra le proposte di legge di
iniziativa popolare e le proposte di legge di iniziativa dei
consiglieri regionali, a sfavore delle prime, sulle quali si
ammetterebbe un controllo preventivo di legittimita'.
E' il caso di ricordare che l'art. 50, comma 1, del nuovo Statuto
regionale stabilisce, per quanto qui importa rilevare, che
l'iniziativa legislativa "appartiene a ciascun consigliere regionale"
e che "gli elettori dell'Emilia-Romagna esercitano l'iniziativa
legislativa secondo le modalita' previste dallo Statuto". Si badi:
modalita' e non limiti. Peraltro, il preventivo controllo di
legittimita' non aveva fondamento neppure in base ai due precedenti
statuti.
Analizzo ora l'ambiguita' della legge vigente
Il giudizio d'ammissibilita', ai sensi dell'art. 6, comma 1, della
suddetta Legge 34/99, verte sui seguenti oggetti:
"a) competenza regionale nella materia oggetto della proposta;
b) conformita' della proposta alle norme della Costituzione e dello
Statuto regionale;
c) sussistenza dei requisiti di cui all'art. 2;
d) insussistenza dei limiti di cui all'art. 3.".
Si tratta, in effetti, di due giudizi: uno coerente col concetto di
"ammissibilita'" e il secondo che sconfina nel concetto di
"legittimita'". Il fatto che la legge li accomuna nella categoria del
giudizio di ammissibilita' ha reso possibile il compromesso cui si
accennava e ha consentito una interpretazione estensiva del dato
meramente letterale della norma.
L'art. 2, cui rinvia la lett. c), attiene ai requisiti formali della
proposta, che deve contenere il testo del progetto di legge, redatto
in articoli, e una relazione che ne illustri il contenuto e le
finalita' e, se comporta nuove o maggiori spese a carico del bilancio
regionale, deve altresi' contenere, nel testo del progetto di legge o
nella relazione, gli elementi necessari per la determinazione del
relativo fabbisogno. L'art. 3, richiamato dalla lett. d), stabilisce
che l'iniziativa non e' ammessa per la revisione dello Statuto e per
le leggi tributarie e di bilancio. Gli articoli 2 e 3, cui rinviano le
lettere c) e d) dell'art. 6, in sostanza, stabiliscono quali sono i
requisiti di procedibilita' della proposta, che la rendono
ammissibile, mentre le lettere a) e b) sembrano introdurre un
preventivo giudizio di legittimita' costituzionale o statutaria della
proposta.
La Commissione ha raggiunto il compromesso ragionando su una
interpretazione dell'art. 6 basata sulla considerazione che il
giudizio di ammissibilita', voluto dalla legge come esclusivo criterio
di giudizio cosa diversa dal giudizio di legittimita'. La diversita'
tra ammissibilita' e legittimita', in linea generale, corrisponde a un
principio di verita' dommatica. Basti richiamare in proposito la netta
distinzione e affermazione di reciproca autonomia operata dalla Corte
Costituzionale tra giudizio di ammissibilita' dei quesiti referendari
e giudizio di legittimita' degli atti aventi forza e valore di legge.
Distinzione la quale comporta che se il quesito referendario verte su
una legge incostituzionale (che presenti profili di illegittimita'
costituzionale) non per cio' solo il referendum deve essere dichiarato
ammissibile e, viceversa, se la norma residua presenti profili di
illegittimita' costituzionale non per cio' solo la richiesta di
referendum deve essere dichiarata inammissibile.
Pertanto, il giudizio sull'ammissibilita' di una proposta di legge
popolare non puo' trasformarsi in controllo preventivo di legittimita'
dell'atto introduttivo di un procedimento legislativo, che e' pur
sempre un esercizio di sovranita', soffocandolo sul nascere. Sarebbe
davvero curioso se, mentre la riforma del Titolo V della Costituzione
ha soppresso il controllo preventivo sulle leggi regionali,
sostituendolo con un controllo successivo, una disposizione regionale
avesse istituito il controllo preventivo di legittimita' sull'atto di
iniziativa popolare, attribuendolo a un organo amministrativo.
L'eventuale confusione tra giudizio di ammissibilita' e giudizio di
legittimita', come accennato, darebbe luogo a una disparita' rispetto
alle iniziative legislative dei parlamentari e dei consiglieri
regionali, nelle rispettive sfere di competenza, che non sarebbe
facilmente giustificabile alla luce di principi costituzionali sul
procedimento legislativo. Cio' che distingue l'una e l'altra
iniziativa e' il soggetto promotore, persona fisica del parlamentare o
del consigliere regionale ovvero frazione di corpo elettorale,
soggetto collettivo, nel caso di iniziativa popolare. Il giudizio di
ammissibilita' deve essere coerente con questa diversa natura del
soggetto collettivo promotore e non puo' essere esteso a parametri non
giustificati in base a questa differenza, altrimenti risulterebbero
violati principi fondamentali di eguaglianza nel procedimento
legislativo.
La Legge 352/70 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e
sulla iniziativa legislativa del popolo), da parte sua non prevede
alcun controllo di organo terzo (Cassazione o Corte Costituzionale)
sull'iniziativa popolare di legge statale, e si limita a dichiarare
l'applicabilita' delle norme previste per i referendum in ordine
all'autenticazione delle firme e alla vidimazione dei fogli per la
raccolta delle firme. Al Senato e alla Camera, poi, le proposte
popolari seguono la procedura normale, anzi al Senato, nei primi sette
mesi, si puo' applicare la procedura abbreviata, su richiesta del
governo o di venti senatori.
La Commissione, in base a queste considerazioni, ritenne che il
giudizio di ammissibilita', che essa era chiamata ad esprimere,
dovesse essere limitato alla "proposta" nel suo complesso e nella sua
unitarieta', escludendo giudizi riferiti alla legittimita' di singole
disposizioni. E coerentemente escluse che potesse esprimere pareri su
eventuali profili di illegittimita' di singole disposizioni, anche se,
quale soluzione di compromesso, segnalo' ugualmente alcune
disposizioni giudicate non unanimemente illegittime, omettendo di
segnalare, per un lapsus calami, la sola norma sicuramente
illegittima.
La proposta di legge in questione fu quindi dichiarata ammissibile,
avendo la Commissione riscontrato la sussistenza dei requisiti di
regolarita' formale prevista dall'art. 2 e la mancanza di limiti di
cui all'art. 3 del testo unico. Essa, infatti, non propone una
revisione dello statuto ne' una legge tributaria o di bilancio. La
promozione dei prodotti agricoli regionali, mediante riduzione
dell'aliquota IRAP ed erogazione di contributi, previste dall'art. 5,
a parte l'illegittimita' della riduzione dell'IRAP, che e' imposta
statale e non regionale (Sent. n. 296/03 Corte Cost.; cfr. anche Sent.
n. 335/05) non costituiscono legge di spesa configurante il limite
previsto dall'art. 3, ne' una ragione specifica di inammissibilita'
della proposta nella sua interezza. Analogamente deve osservarsi
riguardo alla riduzione dell'addizionale regionale sui carburanti per
i soggetti che si approvvigionano di prodotti agricoli freschi,
prevista dall'art. 7, a parte che, a quanto risulta, tale addizionale
non sia stata prevista dalla Regione.
Gli interventi previsti, inoltre, compreso quello di cui all'art. 1
sugli o.g.m. (Sent. Corte Cost. n. 150/2005) riguardano materie di
competenza regionale e la proposta, a parte gli eventuali profili di
legittimita' di singole disposizioni, e' conforme alle norme dello
Statuto e della Costituzione.
Passo ora ad esporre come, recentemente, si e' arrivati a introdurre,
prima in via consultiva e poi in via decisoria, il giudizio di
ammissibilita' sulle proposte di legge d'iniziativa popolare da parte
di un organo terzo esterno all'organo legislativo regionale e come si
sia fatto "sconfinare" il giudizio di ammissibilita' in quello di
legittimita'.
Il primo Statuto regionale stabiliva, all'art. 51, che il giudizio
sull'ammissibilita' delle proposte di legge e dei referendum competeva
al complesso Ufficio di Presidenza/Consiglio regionale: all'Ufficio di
Presidenza con decisione unanime o, in mancanza, al Consiglio
regionale. Il secondo Statuto stabiliva, all'art. 33, che l'iniziativa
popolare delle leggi si esercitasse secondo le disposizioni dello
Statuto medesimo e della legge e non prevedeva nulla
sull'ammissibilita' della iniziativa. Ma il giudizio rimase
ugualmente affidato al complesso Ufficio di Presidenza/Consiglio
regionale, giacche' la legge regionale d'attuazione della norma del
primo Statuto (L.R. 23 gennaio 1973, n. 7), che continuava a regolare
la materia anche sotto la vigenza del secondo Statuto, aveva
trasferito nella legge, alla lettera, il testo statutario concernente
la decisione. La Legge del 1973 resto' in vigore fino al 1997, quando,
con legge regionale n. 35, fu emanato un c.d. T.U. in materia di
iniziativa popolare e referendum. Il quale T.U. istitui' la
commissione consultiva per i procedimenti referendari e d'iniziativa
popolare (in sostanza: estese ai procedimenti d'iniziativa popolare i
poteri di una commissione per i procedimenti referendari, gia'
istituita nel 1986 con L.R. n. 34) e, all'art. 8, stabili' che la
commissione esprimesse parere obbligatorio sull'ammissibilita' delle
proposte di legge di iniziativa popolare. (Parere che invece, ex art.
16, era vincolante per le proposte di referendum, perche', intanto, lo
Statuto del 1990, come si vedra', aveva stabilito che la competenza a
decidere sull'ammissibilita' della proposta di referendum competeva a
un organo autonomo e indipendente).
La modifica del 1997 e' dunque il frutto di una acritica e
superficiale trasposizione alle proposte di iniziativa popolare di
vicende che riguardavano l'istituto referendario. Rispetto al quale la
competenza del complesso Ufficio di Presidenza/Consiglio regionale, in
occasione di referendum dichiarati inammissibili, era stata
assoggettata a pesanti critiche, anche se, in realta', si trattava di
una scelta obbligata, visto che essa non poteva essere attribuita ne'
ad organi della magistratura ne' alla Corte Costituzionale. Per venire
incontro alle critiche, con L.R. n. 43 del 1986, la decisione
dell'Ufficio di Presidenza/Consiglio regionale fu condizionata al
parere vincolante di una commissione nominata con una procedura molto
complicata, tale da escludere nella sua composizione ogni ingerenza
politica. Approvato il nuovo Statuto nel 1990, il problema fu risolto,
all'art. 36, comma 5, stabilendo che il giudizio sull'ammissibilita'
del referendum fosse espresso da un organo autonomo e indipendente.
Organo che, fino al T.U. del 1997, fu costituito dalla commissione
istituita dalla Legge n. 43 del 1986. Ma nel 1997 accadde che, con la
fusione dei due istituti in un unico testo legislativo, per aderire
alla moda dei testi unici, i due giudizi di ammissibilita', che sono
profondamente diversi, furono confusi tra loro in una pressoche'
identica disciplina e il giudizio di ammissibilita' delle proposte di
legge di iniziativa popolare fu esteso ad elementi di legittimita'
(art. 8 in relazione all'art. 3).
Il T.U. del 1997 e' stato sostituito col vigente T.U. n. 34/1999, che
ha innovato presidenza, composizione e modalita' di nomina della
Commissione, alla quale e' stato attribuito potere decisorio
sull'ammissibilita' delle proposte di legge e di referendum.
Il nuovo Statuto, infine, con l'art. 69, ha istituito la Consulta
statutaria, che, ai sensi della lett. b) dello stesso articolo "
adotta i provvedimenti ed esprime i pareri di propria competenza
previsti dallo Statuto e dalla legge in materia di iniziativa popolare
e di referendum". L'art. 18, rubricato "iniziativa legislativa
popolare" stabilisce al comma 3 che lo Statuto e la legge regionale
disciplinano le forme e le modalita' di presentazione del progetto di
legge popolare e la Consulta di garanzia statutaria verifica la
sussistenza del quorum richiesto e dichiara l'ammissibilita'
dell'iniziativa legislativa, escludendo, quindi, che lo scrutinio di
ammissibilita' possa estendersi anche ad un esame di legittimita'
della proposta.
Garante del contribuente nei confronti dell'amministrazione
finanziaria regionale e locale
Una richiesta d'intervento per una presunta mala applicazione (il caso
non e' ancora chiuso) della Tosap, rivoltami quale Difensore civico
del Comune di Casalecchio di Reno, ha richiamato l'attenzione sul
problema delle garanzie dei contribuenti nei confronti delle
Amministrazioni locali e regionale. Tale garanzia trova la sua
disciplina generale nella Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni
in materia di statuto dei diritti del contribuente), la quale, pur col
dichiarato intento di limitare l'intervento ai soli profili di
garanzia per il contribuente, costituisce una novita' importante nel
nostro panorama legislativo.
L'art. 11, comma 8, del regolamento generale delle entrate tributarie
del Comune di Casalecchio sul Reno prevede che il garante del
contribuente istituito dall'art. 13 dello statuto dei diritti del
contribuente e' competente ad esercitare le proprie funzioni anche in
materia di tributi locali. La disposizione non si presta ad equivoci,
essa e' univocamente una norma attributiva di competenza al garante
del contribuente istituito dall'art. 13, la cui legittimita' va messa
fermamente in dubbio perche' non e' ammissibile che si possa stabilire
con una norma regolamentare comunale di avvalersi di un organo
statale. Anche se la citata disposizione regolamentare fosse
interpretabile nel senso che essa ha carattere meramente dichiarativo
di quanto l'ordinamento gia' disporrebbe, ossia anche se essa non
fosse fonte di diritto ma una disposizione meramente dichiarativa per
l'utilita' degli operatori del diritto, sarebbe da ritenere ugualmente
illegittima per erronea interpretazione dell'art. 13 dello statuto dei
diritti del contribuente. Questa convinzione, peraltro, me la sono
formata dopo aver attentamente studiato il problema ed aver compiuto i
primi atti concernenti il caso che mi era stato proposto in relazione
ad altra norma regolamentare sicuramente illegittima per violazione
della disciplina codicistica delle servitu'.
Lo statuto dei diritti del contribuente si caratterizza come una vera
e propria legge generale, volta a fissare i principi generali della
materia. Per quanto concerne l'attuazione dello statuto da parte delle
regioni e degli enti locali va posta l'attenzione sui commi 3 e 4
dell'art. 1 e sull'art. 13.
L'art. 1 e' rubricato Principi generali ed e' composto di 4 commi. Il
comma 3, prima parte, stabilisce che: "Le regioni a statuto ordinario
regolano le materie disciplinate dalla presente legge in attuazione
delle disposizioni in essa contenute", mentre la seconda parte
riguarda le regioni a statuto speciale e le province autonome di
Trento e di Bolzano. Il comma 4 stabilisce che: "Gli enti locali
provvedono ... ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi
da essi emanati ai principi dettati dalla presente legge". L'articolo
13 istituisce presso ogni direzione regionale delle entrate e
direzione delle entrate delle province autonome il Garante del
contribuente.
Queste disposizioni pongono un quesito rimasto senza meditata
risposta: il garante del contribuente istituito dall'art. 13 e'
competente soltanto nei confronti dei tributi erariali oppure anche
nei confronti dei tributi regionali e locali?
Nel 2003 fu stipulato un patto tra l'Ordine dei commercialisti di
Bologna e il garante del contribuente per l'Emilia-Romagna per la
definizione di strategie di intervento ai fini di una migliore tutela
del contribuente. Con questo patto l'Ordine dei commercialisti si
impegnava a segnalare al garante del contribuente, direttamente o
tramite il sostegno delle indicazioni dei propri iscritti, le
irregolarita', le disfunzioni, le prassi amministrative anomale o
irragionevoli, le scorrettezze e, in genere, ogni violazione dello
statuto dei diritti del contribuente da parte degli uffici tributari,
sia statale sia regionali, provinciali o comunali, ecc. I due soggetti
avevano risolto il problema senza neppure porselo.
Appresa la notizia da un articolo apparso su Il Sole 24 Ore, il
Difensore civico pro-tempore, dott.ssa Paola Gallerani Monaci,
dichiaro' al garante e all'Ordine dei commercialisti il suo dissenso
in ordine all'estensione del patto ai tributi regionali e locali,
rivendicando la competenza dei difensori civici regionale, provinciali
e comunali. Il garante del contribuente, a sua volta, dichiaro' al
Difensore civico il suo dissenso rispetto all'opinione espressa dal
primo, rivendicando la sua competenza per materia anche sui tributi
regionali e locali e informando che non si sarebbe limitato ad
occuparsi solo dei tributi erariali. Fu uno scambio di opinioni
radicalmente dissenzienti formulato in termini altrettanto
radicalmente apodittici, essendosi l'uno e l'altro organo limitati
semplicemente ad affermare la propria competenza sui tributi regionali
e locali.
Res perpensa a causa del caso prospettato nel Comune di Casalecchio,
cerchero' di analizzare il problema, sostenendo a) che il garante del
contribuente non puo' essere ritenuto competente nei confronti dei
tributi regionali e locali e che la Regione (e analogamente le
province e i comuni nell'ambito della propria autonomia statutaria e
regolamentare) dovrebbe istituire il garante del contribuente e
affidare le relative funzioni al Difensore civico, nell'ambito di una
legge recante norme generali sui tributi locali ( o come integrazione
della legge regionale 22 dicembre 2003, n. 30, recante disposizioni in
materia di tributi locali) ovvero della nuova legge sul Difensore
civico in attuazione dell'articolo 70 dello Statuto.
L'art. 13 dello statuto dei diritti del contribuente non ha indicato i
tributi nei confronti dei quali il garante puo' intervenire, non
definisce espressamente, cioe', l'ambito della competenza per materia
del garante del contribuente, non stabilisce se egli puo' o non puo'
intervenire riguardo ai tributi regionali e locali. Peraltro,
argomenti di carattere letterale e sistematico e le (invero
pochissime) posizioni assunte dalle Regioni e dagli Enti locali che
hanno dato attuazione ai principi della Legge n. 212 del 2000, portano
ad escludere che il garante del contribuente possa intervenire
riguardo ai tributi regionali e locali.
Nell'art. 13 si fa riferimento sempre e solo agli uffici
dell'amministrazione finanziaria statale e mai alle amministrazioni
locali, percio' si dovrebbe escludere che il garante sia competente
nei confronti delle amministrazioni sia statali sia regionali e
locali. In particolare, i commi 6 e 11 prevedono, rispettivamente, a)
la comunicazione dell'esito dell'attivita' svolta dal garante e b) la
segnalazione dei casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni
in vigore ovvero i comportamenti dell'Amministrazione determinano un
pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro rapporti
con l'amministrazione alla direzione regionale o compartimentale o al
comando di zona della guardia di finanza competente, nonche' agli
organi di controllo. Se l'esito dell'attivita' svolta e le
segnalazioni di cui tratta il comma 11 possono essere inoltrate solo
agli uffici dell'Amministrazione finanziaria statale deve ritenersi,
di riflesso, che la competenza per materia del garante deve intendersi
limitata alle competenze di detti uffici e non estesa alle
Amministrazioni regionali e locali, nei cui confronti il garante non
ha alcun potere di segnalazione e alcun dovere di riferire l'esito
della propria attivita'.
In tal senso si sono espressi l'Avvocatura Generale dello Stato con il
parere n. 116905 del 29 ottobre 2001 e il SE.C.I.T., relazione del
Gruppo II, Statuto dei diritti del contribuente, Legge n. 212 del
27/7/2000. Problemi applicativi, coordinamento normativo, anno 2002,
pag. 44, disponibile su www.agenziaentrate.it.
Sotto il profilo sistematico sostengono questa interpretazione due
ordini di considerazioni:
a) la modifica del Titolo V della Costituzione che ha sancito il
potere di Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni di
stabilire e applicare propri tributi ed entrate (art. 119, comma 2);
b) la presenza negli ordinamenti locali del Difensore civico al quale
e' stata sempre riconosciuta (anche prima dell'approvazione dello
statuto dei diritti del contribuente) la competenza a ricevere le
segnalazioni relative alle disfunzioni delle amministrazioni "fiscali"
regionali e locali.
Il garante del contribuente e' pero' competente nel caso di
segnalazioni che riguardano i concessionari, perche' eventuali
lamentele dei contribuenti relative a "scorrettezze" dei concessionari
concernenti l'attivita' di riscossione sia di quelli statale sia di
quelli locali, rientrano nella competenza per materia del garante, in
quanto il controllo sui concessionari e' demandato dalla legge
all'amministrazione finanziaria statale.
La tesi che nega la competenza del garante del contribuente nei
confronti dei tributi regionali e locali, come accennato, trova
conferma anche nelle disposizioni adottate dagli enti regionali,
provinciali e comunali, presso cui iniziano ad essere istituiti i
"locali" garanti del contribuente che svolgono la medesima funzione
del garante istituito dall'art. 13.
L'attuazione dello statuto, limitatamente al profilo dell'istituzione
di un garante locale del contribuente da parte delle Regioni, ad oggi,
e' stata concretamente effettuata solo dalla Regione Lombardia e dalla
Regione Toscana, che hanno istituito il garante del contribuente
nell'ambito di una legge regionale generale in materia tributaria e
hanno attribuito le relative funzioni al Difensore civico regionale.
La Regione Lombardia ha istituito il proprio garante con l'art. 22
della L.R. del 14 luglio 2003, n. 10, recante "Riordino delle
disposizioni legislative regionali in materia tributaria - Testo unico
della disciplina dei tributi regionali". Il Difensore civico regionale
lombardo assolve alla funzione di Garante del contribuente in piena
autonomia, limitatamente alle vertenze inerenti i tributi regionali
propri (12 tributi disciplinati dagli articoli da 26 a 81), con
esclusione dell'IVA.
L'art. 23 disciplina le modalita' d'intervento del garante; l'art. 24
le facolta' e i poteri del garante; l'art. 25 i rapporti tra il
garante e l'Amministrazione regionale.
La Regione Toscana ha istituito il proprio garante con l'art. 5 della
Legge n. 31 del 18/2/2005, recante norme generali in materia di
tributi locali. Le funzioni del garante sono esercitate dal Difensore
civico regionale, limitatamente ai tributi regionali, con i poteri e
le facolta' previste dalla legge regionale istitutiva del Difensore
civico regionale. L'art. 6 disciplina le funzioni del garante.
Altri Enti locali, Province e Comuni, hanno pure istituito il garante
del contribuente locale e hanno attribuito le sue funzioni al
Difensore civico, modificando i propri statuti tramite la delega
contenuta nel comma 4 sopraccitato. In alcuni casi gli enti locali si
sono dotati di un vero e proprio garante del contribuente locale,
seguendo pedissequamente le previsioni dell'art. 13 dello statuto, in
particolare quelle sulla sua composizione collegiale, diversa dal
Difensore civico, generando una duplicazione di soggetti in quanto non
sono chiari i limiti dei rispettivi ambiti di competenza. E' il caso
del Comune di Maranello in provincia di Modena, che ha istituito un
garante locale del contribuente composto da tre membri.
L'attribuzione al Difensore civico delle funzioni di garante del
contribuente comporta che il primo puo' intervenire presso le
amministrazioni fiscali locali con maggiore incidenza di quella che il
garante istituito dall'art. 13 dello statuto del contribuente ha
sull'amministrazione finanziaria statale. Infatti il Difensore civico,
nell'attuazione delle suddette funzioni, puo' utilizzare quei poteri
che gli ordinamenti locali gli hanno attribuito.
Gestione del diritto allo studio universitario
Al procedimento 626/04, formalmente archiviato nel 2005, dedicai ampio
spazio nella precedente relazione. Esso poneva il problema della
gestione delle borse di studio, che s'e' riproposto col procedimento
111/2005 (non registrato tra le schede allegate, perche' il fascicolo
e' irreperibile) e, con una diversa fattispecie, col procedimento
271/05.
Le mie decisioni sono formalmente diverse, perche' diverse sono le
fattispecie: i primi due procedimenti sono stati registrati con esito
negativo stante il dissenso dell'Amministrazione, mentre nel terzo
caso mi sono dichiarato incompetente, avendo riconosciuta la
competenza del garante d'ateneo di Bologna. Ma il problema che tutti
tre i procedimenti propongono e' lo stesso.
Mi occupero', inoltre, di un procedimento formalmente non ancora
concluso, riguardante una disparita' di fatto a svantaggio degli
studenti in situazione di handicap.
I singoli casi mostrano una diffusa situazione di malfunzionamento
della gestione del diritto allo studio universitario che ARSTUD
(alludo all'Azienda bolognese perche' i reclami ricevuti riguardano
solo essa, ma sicuramente si tratta di una situazione generalizzata)
non e' in grado di porre rimedio, senza un intervento degli organi
politici cui spetta il governo del settore.
Il malfunzionamento della gestione delle borse di studio, in
particolare, secondo quando potetti rilevare ed esporre nella
precedente relazione, ha forse proporzioni rilevanti, a causa di una
discrasia nel procedimento (o nella sua burocratica gestione, come io
ritengo), che si svolge col concorso dell'Universita' e dell'Azienda
per il diritto allo studio universitario.
L'anomalia e' questa: una borsa di studio viene revocata trascorsi
molti mesi dalla sua erogazione, a causa di tardivi accertamenti.
Quando la causa della revoca non e' il reddito superiore al limite
massimo previsto e' evidente il danno che si arreca allo studente, che
la borsa di studio l'ha spesa per esigenze di vita e di studio. Un
conto e' essere escluso dal beneficio, altro esservi ammesso e vedersi
revocare il beneficio dopo molto tempo. Il danno e' doppio. Senza
considerare che le somme recuperate con ritardo non possono essere
utilizzate a favore di coloro che seguono in graduatoria. Bisogna
dunque che le Amministrazioni siano vincolate al rispetto di un
procedimento che stabilisca precisi termini, precedenti l'erogazione
della borsa di studio, entro cui i controlli devono essere
definitivamente effettuati.
Nella precedente relazione descrissi minutamente il procedimento. Non
mi ripeto e mi limito a riassumerlo nei suoi termini essenziali e a
confermare il mio convincimento che la revoca tardiva, se non soddisfa
esigenze di pubblico interesse, e' illegittima.
I requisiti per concorrere sono:
a) l'iscrizione all'universita' entro una certa data (il 31
dicembre);
b) il merito scolastico;
c) il reddito.
I requisiti sono autocertificati e successivamente controllati. Il
bando non prevede quando deve essere effettuato il controllo, ma,
significativamente, prevede che il controllo del reddito e' effettuato
su un campione del venti per cento, fermo restando che successivi
accertamenti possono comportare la revoca della borsa di studio. Cio'
vuol dire che gli altri accertamenti su elementi in possesso
dell'amministrazione universitaria dal 31 dicembre (iscrizione) e dal
precedente mese di agosto (merito scolastico), debbono essere
definitivamente effettuati in tempi ragionevoli, tali da consentire
un'ordinata erogazione delle borse di studio.
L'Amministrazione aziendale sostiene di avere un ruolo meramente
esecutivo degli accertamenti effettuati dall'Amministrazione
universitaria e, percio', e' tenuta ad adottare i provvedimenti di
revoca che tali accertamenti comportano.
Su questo ruolo ho gia' manifestato dubbi, ampiamente motivati nella
precedente relazione. Posso tuttavia comprendere la scomoda posizione
dei funzionari dell'azienda che debbono assumersene la
responsabilita'.
La soluzione del problema - che e' poi quella imposta dalla legge sul
procedimento amministrativo e che compete agli organi di governo della
Regione e dell'universita' adottare - consiste, dunque, nello
stabilire i termini perentori entro cui gli accertamenti devono essere
effettuati.
La disparita' di fatto a svantaggio di studenti in situazione di
handicap ha avuto origine dal caso di uno studente disabile al 100%,
al quale ARSTUD aveva chiesto (chiesto, non concesso!) un contributo
per il trasporto da un'aula all'altra e fra le varie sedi, in
considerazione del reddito ISEE del nucleo familiare, come prescrive
la regola generale, alla quale si deroga nel caso di studenti che
risiedono fuori casa da due anni, per i quali si fa riferimento al
reddito ISEE dello studente.
Si tratta di una deroga disposta di fatto a favore dei normodotati,
giacche' essa non potra' mai valere nei confronti di studenti con
grave handicap, impossibilitati a condurre vita autonoma, che ha
fondamento nell'art. 5 del DPCM 9/4/2001 (Disposizioni per
l'uniformita' di trattamento sul diritto agli studi universitari, a
norma dell'art. 4 della Legge 22 dicembre 1991, n. 390). L'art. 14
dello stesso DPCM (Interventi a favore degli studenti in situazione di
handicap) stabilisce al comma 8 che: "Nel caso degli studenti in
situazione di handicap le regioni, le province autonome e le
universita', per gli interventi di rispettiva competenza, provvedono a
definire particolari criteri di determinazione delle condizioni
economiche, intesi a favorire il loro accesso ai servizi ed agli
interventi di cui al presente decreto". Mi pare quindi l'art. 5 e
l'art. 14 formano sistema e assicurano un equilibrio negli interventi,
che attualmente manca, a svantaggio degli studenti in situazione di
handicap, essendo operante l'art. 5 ma non attuato l'art. 14, comma 8,
del detto DPCM.
Per completezza aggiungo che parrebbe che in alcune province, in base
ad iniziative delle amministrazioni aziendale e universitaria, siano
state poste in essere misure d'ausilio a studenti in situazione di
handicap, facendo ad esempio ricorso al volontariato.
Competenza giustiziale per il riesame del diniego di accesso ai
documenti amministrativi
Tutte le mie decisioni di riesame del diniego di accesso ai documenti
amministrativi - tranne, ovviamente i casi in cui la richiesta di
riesame del diniego di accesso e' stata dichiarata infondata o e'
stata dichiarata inammissibile per incompetenza -, non sono state
contestate dalle Amministrazioni interessate mediante conferma
motivata del diniego. In alcuni casi, come accennato, ho dovuto
dichiararmi incompetente, ai sensi dell'art. 23, comma 3, della Legge
11 febbraio 2005, n. 15, non essendo stato ancora approvato il nuovo
regolamento sull'accesso, il che mi induce a soffermarmi sulla
perdurante carenza di tutela giustiziale a causa della troppo a lungo
ritardata approvazione del regolamento.
La citata Legge 15/05, n. 15, che ha modificato e integrato la legge
sulla trasparenza amministrativa n. 241 del 1990:
a) ha dettato disposizioni che sono il "concentrato" della
giurisprudenza prevalente che s'era formata sulle disposizioni
originarie;
b) ha organizzato la competenza dei difensori civici a riesaminare, su
segnalazione degli interessati, le decisioni di diniego di accesso ai
documenti amministrativi in modo da coprire tutto il territorio
nazionale, tranne che in quelle regioni che non hanno nominato il
proprio Difensore civico regionale e in cui neppure una o piu'
province abbiano provveduto a nominare il proprio Difensore civico
provinciale;
c) ha sottratto ai difensori civici regionali la competenza nei
confronti delle amministrazioni periferiche dello Stato.
La disposizione transitoria di cui all'art. 23 ha pero' stabilito che
tutte le modifiche alla disciplina dell'accesso hanno effetto dalla
data di entrata in vigore del nuovo regolamento inteso a integrare e
modificare il vigente regolamento sull'accesso n. 352 del 1992. La
stessa disposizione prevede altresi' che il regolamento doveva essere
adottato entro tre mesi, ma, tutt'oggi, il Governo non ha adempiuto a
quest'onere, anche se il procedimento e' in corso e, dopo aver
ottenuto i pareri richiesti, sul testo del regolamento si e' da
ultimo espressa la Commissione consultiva del Consiglio di Stato per
gli atti normativi con parere n. 3586 del 13 febbraio 2006.
Nel rispetto del citato art. 23 della Legge 15/05 ho continuato ad
esercitare le mie funzioni in materia nei confronti delle
amministrazioni periferiche dello Stato e a dichiararmi incompetente
in tutti i casi in cui la richiesta di riesame concerneva il diniego
di accesso a documenti amministrativi opposto da Amministrazioni
locali nei cui confronti la mia competenza, pur prevista dalla Legge
15, non e' ancora operante. Peraltro, nei casi in cui l'interessato
lasci decorrere il termine di trenta giorni per ricorrere al TAR,
ritengo che si possa intervenire non in funzione giustiziale ma di
mera tutela civica fuori competenza.
Atteso che sembra talvolta sussistere una non adeguata consapevolezza
della effettiva innovazione dell'azione amministrativa per effetto del
diritto di accesso ai documenti amministrativi e considerata la
mancata emanazione del nuovo regolamento, che paralizza senza
sostanziale giustificazione l'entrata in vigore della nuova disciplina
dell'accesso, mi pongo il problema di valutare se non sia il caso di
rivedere il mio orientamento. Ritengo che cio' e' insostenibile in
punto di diritto, nonostante qualche opinione contraria, peraltro
immotivata. In punto di fatto si trattera' di riesaminare le richieste
di riesame nei confronti sia delle Amministrazioni locali che non
hanno un proprio Difensore civico sia delle Amministrazioni
periferiche dello Stato e di accettare e gestire questa
contraddizione.
Sulla nuova legge ho ampiamente riferito nella relazione dell'anno
scorso, in cui mi soffermai in particolare sulla necessita' di
modificare la disciplina dell'accesso in ordine alla competenza del
Difensore civico, per accrescere l'effetto deflattivo delle sue
decisioni nei confronti del contenzioso che si accumula presso i TAR.
Non mi ripeto nella relazione al Consiglio regionale, ma ritengo di
dover riproporre le proposte ai Presidenti delle Camere.
Potere sostitutivo
Nella precedente relazione, in base a tre sentenze della Corte
Costituzionale, m'ero pronunciato sulla non configurabilita', in capo
al Difensore civico regionale, del potere d'intervento sostitutivo nei
confronti degli enti locali previsto dall'art. 136 del T.U. delle
Leggi sugli Enti locali 267/00, nonostante che le suddette sentenze
non dichiarassero espressamente l'illegittimita' dell'art. 136.
Ho confermato tale orientamento (fasc. 391/05), nonostante che il TAR
dell'Abruzzo, all'opposto, ha stabilito che la mancata dichiarazione
d'illegittimita' dell'art. 136 non ha fatto venir meno il potere dei
difensori civici e non ha ritenuto di sollevare la questione di
legittimita' costituzionale della detta norma.
La Corte Costituzionale con Sentenze n. 112 e n. 173 del 2004 e con
Sentenza n. 167 del 2005 ha dichiarato costituzionalmente illegittime
norme legislative delle Regioni Marche, Toscana e Abruzzo che
attribuivano potere sostitutivo ai difensori civici regionali.
Il percorso argomentativo della Corte Costituzionale si collega ad
alcune sue sentenze di poco precedenti (nn. 43, 69, 70, 71, 72 e 73
del 2004) relative alla configurazione del potere sostitutivo previsto
dal secondo comma dell'art. 120 Cost., come sostituito con la riforma
del Titolo V, con le quali la Corte Costituzionale ha affermato che le
Regioni hanno il potere di sostituirsi agli Enti locali, benche'
l'art. 120, comma 2, Cost. non lo preveda, purche', in continuita' con
la giurisprudenza pregressa, vengano rispettate alcune condizioni, tra
cui quella che l'esercizio del potere sostitutivo deve essere affidato
a un organo di governo della Regione o deve comunque svolgersi sulla
base di una decisione di questo, stante l'attitudine dell'intervento a
incidere sull'autonomia costituzionale dell'ente sostituito. Secondo
la Corte Costituzionale, in termini piu' semplici, l'autonomia degli
enti locali e' garantita se il potere sostitutivo per l'omesso
compimento dei loro atti e' esercitato da un organo di governo della
Regione e tale non e' il Difensore civico.
Il problema sollevato da tali decisioni e' se la loro ratio decidendi,
benche' costruita nell'ambito delle tre regioni interessate, si
estende a tutte le altre disposizioni statali e regionali e, in
particolare, all'art. 136 del TUEL n. 267 del 2000, che prevedono
poteri sostitutivi del Difensore civico nei confronti degli enti
locali per il mancato o ritardato compimento di atti obbligatori.
I pareri riguardo all'estensione degli effetti delle decisioni della
Corte Costituzionale non sono concordi. Io nella precedente relazione
mi sono dichiarato convinto che gli effetti di tali decisioni si
estendono all'art 136 TUEL. (Non esistono nella Regione Emilia-Romagna
disposizioni regionali che attribuiscano al Difensore civico poteri di
controllo sostitutivo).
Il Difensore civico dell'Abruzzo, che e' di contrario avviso, in un
caso ha esercitato tale potere e il TAR dell'Abruzzo ha dichiarato
legittimo il suo provvedimento.
La controversia era la seguente.
In un Consiglio comunale abruzzese, a seguito delle dimissioni di un
consigliere della maggioranza, si era determinata una condizione di
parita' tra i consiglieri dei due schieramenti di maggioranza e
opposizione (10 e 10), con la conseguenza che quest'ultima aveva
impedito per quattro volte la surroga del dimissionario o facendo
registrare la sua assenza o votando contro, pur essendo il consigliere
subentrante ne' ineleggibile, ne' incompatibile e, cio', anche dopo
l'invito a provvedere rivolto dal Difensore civico regionale. A fronte
di tale situazione di stallo il Difensore civico regionale nomino' un
commissario ad acta, che provvide alla surroga del consigliere
dimissionario. Questo provvedimento fu impugnato dai consiglieri
dell'opposizione con ricorso dichiarato inammissibile e infondato nel
merito alla stregua dell'art.136 del TUEL, ai sensi del quale il
potere sostitutivo, nella specie, era stato esercitato.
Dopo che il TAR abruzzese aveva cosi' deciso fui richiesto di
esercitare un intervento sostitutivo (fasc. 391/05) e, a fronte di
questa richiesta, confermai la mia carenza di potere.
Ho ovviamente attentamente riflettuto sulle motivazioni del giudice
amministrativo abruzzese prima di prendere la mia decisione. Non e'
questa l'occasione per commentarla criticamente. Mi limito a spiegare
la logica del mio ragionamento in termini estremamente semplici.
Il problema e' il seguente. Una disposizione contenente una norma
uguale ad un'altra norma dichiarata incostituzionale rimane in vigore
o, viceversa, e' abrogata? Il contrasto tra una disposizione
legislativa e una norma costituzionale puo' determinare l'abrogazione
della prima o puo' essere risolto soltanto in sede di giudizio di
legittimita' costituzionale?
Generalmente si riconosce che dal contrasto di una fonte primaria con
la Costituzione puo' derivare sia la sua incostituzionalita' sia la
sua abrogazione. La Corte Costituzionale, fin dall'inizio della sua
attivita', ha affermato che il contrasto di norme con la Costituzione
puo' determinare sia la loro abrogazione sia la loro illegittimita'
costituzionale.
Con la prima sentenza pronunciata sotto la presidenza di Enrico De
Nicola (n. 1 del 1956), contrastando l'assunto che il nuovo istituto
della "illegittimita' costituzionale" si riferisse solo alle leggi
posteriori alla Costituzione e non anche a quelle anteriori, ritenne
che non occorresse poi fermarsi ad esaminare se e in quali casi, per
le leggi anteriori, il contrasto con norme della Costituzione
sopravvenuta possa configurare un problema di abrogazione da risolvere
alla stregua dei principi generali affermati nell'art. 15 delle
disposizioni preliminari al codice civile. "I due istituti giuridici
dell'abrogazione e della illegittimita' costituzionale delle leggi -
si legge nella citata sentenza - non sono identici fra loro, si
muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze
diverse. Il campo dell'abrogazione inoltre e' piu' ristretto, in
confronto di quello della illegittimita' costituzionale, e i requisiti
richiesti perche' si abbia abrogazione per incompatibilita' secondo i
principi generali sono assai piu' limitati di quelli che possano
consentire la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una
legge". In sostanza, una norma che e' in contrasto preciso, secondo i
principi generali di cui all'art. 15 delle preleggi, deve ritenersi
abrogata. L'abrogazione richiede una incompatibilita' di qualita'
diversa da quella richiesta dalla incostituzionalita', consistente
nella incompatibilita' o contrasto diretto fra le due norme. Cio'
posto, pare difficile negare nel caso di cui si tratta che sia
ravvisabile la diretta incompatibilita' dell'art. 136 del TUEL con
l'autonomia riconosciuta agli enti locali dalla Costituzione,
nell'interpretazione data dalla Corte.
Inoltre, in materia di decreti legge, e' noto l'orientamento della
Corte Costituzionale a prendere in esame la "sostanza normativa" piu'
che gli enunciati normativi: la Corte giudica su norme, anche se si
pronuncia su disposizioni, si legge nella Sentenza n. 84/1996.
Ricordo, infine, che recentemente i controlli sugli Enti locali hanno
cessato di esistere, nonostante che la normativa statale e regionale
che li prevedeva fosse rimasta formalmente in vigore.
Certo, la mancata eliminazione di disposizioni di contenuto identico a
quelle dichiarate incostituzionali e' in evidente contrasto con la
certezza del diritto, ma non disponiamo di strumenti adeguati per
garantire tale certezza.
IL DIFENSORE CIVICO
Antonio Martino