REGIONE EMILIA-ROMAGNA

SENTENZA 12 gennaio 2005, n. 34

CORTE COSTITUZIONALE Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 5; 9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41; 44, comma 1, lett. c) della Legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro) promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 19 agosto 2003, depositato in Cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2003

In nome del popolo italiano la Corte Costituzionale composto dai                
signori:                                                                        
Carlo Mezzanotte, Presidente; Fernanda Contri, Guido Neppi Modona,              
Piero Alberto Capotosti, Annibale Marini, Franco Bile, Giovanni Maria           
Flick, Francesco Amirante, Ugo De Siervo, Romano Vaccarella, Paolo              
Maddalena, Alfio Finocchiaro, Alfonso Quaranta, giudici                         
ha pronunciato la seguente                                                      
SENTENZA                                                                        
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 5;             
9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41; 44, comma 1, lett. c) della Legge              
della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per                   
l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e             
per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento                        
dell'istruzione e della formazione professionale, anche in                      
integrazione tra loro) promosso con ricorso del Presidente del                  
Consiglio dei Ministri, notificato il 19 agosto 2003, depositatoin              
Cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 64 del registro                  
ricorsi 2003;                                                                   
visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;                      
udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 2004 il Presidente relatore           
Carlo Mezzanotte;                                                               
uditi l'avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del                
Consiglio dei Ministri e l'avvocato Giandomenico Falcon per la                  
Regione Emilia-Romagna.                                                         
Ritenuto in fatto                                                               
1. Con ricorso notificato il 19 agosto 2003 e depositato il                     
successivo 25 agosto, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha               
proposto questione di legittimita' costituzionale degli artt. 7,                
comma 5; 9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41; 44, comma 1, lett. c) della           
Legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per             
l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e             
per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento                        
dell'istruzione e della formazione professionale, anche in                      
integrazione tra loro).                                                         
Il ricorrente premette che la legge denunciata - che abroga l'intero            
Capo III (recte: Parte III, Titolo VII, Capo III) della precedente              
legge regionale n. 3 del 1999, con cui era disciplinato il sistema              
educativo regionale - si propone di valorizzare la persona umana                
attraverso l'innalzamento dei livelli culturali e professionali. A              
tal fine, la medesima legge inteviene sui "processi dell'istruzione             
non formale", dando rilievo all'integrazione fra le politiche                   
scolastiche autonome e le politiche sociali e  sanitarie, tramite la            
creazione di centri di servizio e di consulenza per le istituzioni              
scolastiche autonome, favorendo altresi' interventi per la                      
continuita' didattica.                                                          
Ad avviso della difesa erariale, la Regione avrebbe pero' travalicato           
le sue competenze, violando, con la normativa appresso specificata,             
gli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettera n), e terzo comma,                 
Cost., in relazione ai principi fondamentali dettati dallo Stato                
nella materia dell'istruzione.                                                  
Piu' in particolare, il ricorrente denuncia le disposizioni della               
legge regionale n. 12 del 2003 che seguono.                                     
1.1. L'art. 7, comma 5, prevede che, per il raggiungimento delle                
finalita' della qualificazione delle risorse umane, "sono concessi,             
assegni di studio da destinare al personale della formazione                    
professionale, nonche' al personale della scuola che si avvalga del             
periodo di aspettativa di cui all'art. 26, comma 24 della Legge 23              
dicembre 1998, n. 448 (. . .)".                                                 
La richiamata norma statale a sua volta stabilisce, in via generale,            
che "i docenti e i dirigenti scolastici che hanno superato il periodo           
di prova possono usufruire di un periodo di aspettativa non                     
retribuita della durata massima di un anno scolastico ogni dieci anni           
(. . .)".                                                                       
Secondo il ricorrente "l'incentivo previsto dalla legge regionale               
altera la regola generale fissata dalla legge statale, violando un              
principio fondamentale da essa posto,  credando disuguaglianza fra              
situazioni identiche dei dipendenti scolastici, disarticolando il               
buon andamento della pubblica Amministrazione".                                 
Di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma, 3 e 97, primo                
comma, Cost.                                                                    
1.2. L'art. 9, comma 3, testualmente recita "l'alternanza                       
scuola-lavoro e' una modalita' didattica, non costituente rapporto di           
lavoro, realizzata nell'ambito dei percorsi di istruzione e di                  
formazione professionale, anche integrati, quale efficace strumento             
di orientamento, preparazione professionale e inserimento nel mondo             
del lavoro. Essa si realizza attraverso esperienze in contesti                  
lavorativi che devono essere adeguati all'accoglienza ed alla                   
formazione".                                                                    
L'Avvocatura osserva che l'istituto "alternanza scuola-lavoro" ha una           
valenza generale e rientra nelle norme generali sull'istruzione,                
tant'e' che e' proprio l'art. 4 della Legge 28 marzo 2003, n. 53                
(Delega al Governo per la definizione delle norme generali                      
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia           
di istruzione e formazione professionale) ad indicare i principi e i            
criteri direttivi che il legislatore statale delegato deve rispettare           
in tema di "alternanza scuola-lavoro".                                          
La censurata disposizione di legge regionale violerebbe, pertanto,              
l'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.                                    
1.3. L'art. 17 della legge regionale definisce le finalita' della               
scuola dell'infanza, e proprio per questo, viene censurata dal                  
ricorrente in quanto la finalita' dei percorsi del sistema                      
dell'istruzione rientra fra le norme generali sull'istruzione                   
riservate alla competenza esclusiva dello Stato. E' l'art. 2, comma             
1, lettera e) della Legge n. 53 del 2003 ad occuparsi specificamente            
della scuola dell'infanza, sicche' la norma regionale si porrebbe in            
contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.                      
1.4. L'art. 26, comma 2, introduce nel sistema formativo norme in               
materia di integrazione tra i sistemi dell'istruzione e della                   
formazione professionale e, quindi, lederebbe il "diritto al                    
riconoscimento dei crediti ed al passaggio tra i sistemi per tutti              
gli studenti che provengono da percorsi non integrati", ponendosi               
cosi' in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. per violazione dei                
principi di eguaglianza e del buon andamento della pubblica                     
Amministrazione.                                                                
1.5. L'art. 41 fornisce la definizione "dell'educazione degli adulti"           
e delle relative attivita'. Una definizione che pero' sarebbe                   
"inficiata da illegittimita' costituzionale" per il fatto che                   
l'educazione degli adulti, finalizzata al rilascio di titoli di                 
studio, rientra pur essa nell'ambito delle norme generali                       
dell'istruzione. La disposizione violerebbe quindi l'art. 117,                  
secondo comma, lettera n), Cost.                                                
1.6. L'art. 44, comma 1, lettera c), stabilisce che il Consiglio                
regionale, su proposta della Giunta regionale, approva, tra l'altro,            
i "criteri per la definizione dell'organizzazione della rete                    
scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni             
scolastiche".Secondo il ricorrente, la disciplina, concernente                  
criteri, metodi e presupposti per riconoscere ed attuare l'autonomia            
delle istituzioni scolastiche, "non potendo disgiungersi dal fine di            
assicurare comunque livelli unitari di fruizione del diritto allo               
studio ed individuare elementi comuni al sistema scolastico                     
nazionale", e' riconducibile alle norme generali sull'istruzione, di            
competenza esclusiva statale ai sensi del piu' volte evocato art.               
117, secondo comma, lettera n), Cost.                                           
2. Si e' costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, la quale             
ha concluso per l'inammissibilita' o l'infondatezza della questione.            
3. In prossimita' dell'udienza la sola Regione Emilia-Romagna ha                
depositato memoria con la quale chiede che il ricorso sia respinto.             
La Regione premette che la legge impugnata e' stata adottata                    
nell'esercizio delle sue competenze legislative in materia di                   
istruzione (art. 117, terzo comma, Cost.) e di istruzione e                     
formazione professionale (art. 117, quarto comma, Cost.), essendo               
volta, come si desume dall'art. 1, comma 1, alla "valorizzazione                
della persona e  all'innalzamento dei livelli culturali e                       
professionali" tramite "qualificate azioni di sostegno ai percorsi              
dell'istruzione e della formazione professionale, anche in                      
integrazione tra loro". Un disegno normativo che si collocherebbe, ad           
avviso della resistente nella cornice delle competenze statali                  
stabilite dalla Costituzione. Cio', del resto, non sarebbe messo in             
dubbio neppure dallo Stato ricorrente, il quale appunta le sue                  
censure soltanto su specifiche disposizioni.                                    
Quanto alle singole censure, la difesa della Regione Emilia-Romagna             
ne contesta la fondatezza in base alle argomentazioni che seguono.              
3.1. L'art. 7, comma 5, non riguarderebbe l'ordinamento                         
dell'istruzione in senso proprio, ma, proponendosi di favorire                  
l'utilizzo a fini di studio delle aspettative che la legge statale              
(art. 26, comma 14 della Legge n. 448 del 1998) prevede in favore del           
personale docente, sarebbe esplicazione di potesta' legislativa                 
regionale residuale in materia di formazione-qualificazione del                 
personale ovvero di sostegno all'innovazione non concernente i                  
"settori produttivi".                                                           
Peraltro, si sostiene nella memoria, anche volendo ricondurre la                
materia nell'alveo dell'art. 117, terzo comma, Cost. e volendo                  
individuare un principio fondamentale della materia "istruzione"                
nella norma che stabilisce l'assenza di retribuzione durante                    
l'aspettativa, non vi sarebba alcun vulnus da parte della                       
disposizione regionale denunciata, giacche' la retribuzione alla                
quale si riferisce la norma statale e' "lo stipendio", il                       
corrispettivo della prestazione resa dal dipendente, esonerato nel              
periodo di aspettativa dal presentare la propria attivita', mentre              
l'art. 7, comma 5 della legge regionale prevede soltanto la                     
corresponsione di un assegno a fini di studio che non ha natura                 
retributiva, ne' richiede o presuppone alcuna prestazione in favore             
della Regione, trovando giustidicazione "nell'interesse pubblico ad             
incentivare cosi' la qualificazione del personale".                             
Del resto, osserva ancora la Regione i docenti potrebbero fruire,               
durante l'aspettativa, di borse di studio universitarie o corrisposte           
da altri enti e sarebbe paradossale che cio' "non lo potrebbe fare              
proprio l'ente che e' maggiormente responsabile di fronte alla                  
propria comunita' della qualita' del servizio". Invero, se fosse                
interpretata la norma statale come un divieto per i docenti di                  
giovarsi di una borsa di studio durante il periodo di aspettativa,              
consentendo, pertanto, la fruizione di quest'ultima solo a coloro che           
possano "vivere di rendita per un anno", sarebbe proprio la norma               
statale a violare agli artt. 3 e 97 Cost.                                       
Tuttavia, si argomenta nella memoria, l'art. 26, comma 14 della Legge           
n. 448 del 1998 non preclude ai docenti di giovarsi di borse di                 
studio per migliorare la propria preparazione, ne' preclude alla                
Regione di prevedere un "sostegno a tale scopo". In definitiva, la              
disposizione dell'art. 7, comma 5, "integra" la legge statale, "nel             
senso che, prevedendo gli assegni di studio, evita che                          
dell'aspettativa per motivi di studio possa giovarsi solo chi puo'              
permetterselo e incentiva la qualificazione del personale".3.2. La              
difesa regionale, nel rammentare che la censura dello Stato sull'art.           
9, comma 3, concernente "l'alternanza scuola-lavoro", evoca il                  
parametro di cui all'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., e              
cioe' la materia di competenza esclusiva "norme generali                        
sull'istruzione", postulando altresi' che il predetto istituto e'               
disciplinato dall'art. 4 della Legge n. 53 del 2003, premette, in               
linea piu' generale, che detta competenza statale, in presenza di una           
potesta' legislativa concorrente in materia di istruzione, non puo'             
considerarsi come "ambito particolare e specifico, distinto e                   
contrapposto a quello dell'istruzione, nel quale qualunque normativa            
regionale sia esclusa (. . .) ma piuttosto come specifica                       
attribuzione allo Stato del compito di dettare non solo i "principi             
fondamentali" della materia (. . .) ma anche direttamente ed                    
operativamente l'ossatura di base del sistema dell'istruzione", e               
cioe' le norme che disciplinano i cicli, le finalita', gli esami                
finali, la durata, la liberta' di insegnamento "e altri istituti di             
pari importanza". In tale quadro, dunque, la legislazione regionale             
in materia di istruzione dovrebbe non solo presupporre le norme                 
statali che conformano direttamente il sistema, ma anche "riprenderle           
ed attuarle", conseguendone che la lesione della competenza statale             
"puo' predicarsi esclusivamente come contrasto con le norme generali            
statali, e non come incompetenza per materia". In definitiva, ad                
avviso della Regione, le norme generali sull'istruzione limitano la             
competenza regionale "in quanto vi siano e in relazione al loro                 
contenuto", come gia' poteva ritenersi per il limite dell'interesse             
nazionale nel precedente assetto costituzionale, sicche' la censura             
sarebbe infondata in quanto non prospetta alcun contrasto con le                
norme generali stesse.                                                          
In ogni caso, argomenta ancora la resistente, la disposizione                   
dell'art. 9, comma 3, non concreterebbe affatto una norma generale              
sull'istruzione, limitandosi a prevedere, nell'ambito delle                     
competenze regionali, "uno strumento di raccordo" tra sistema                   
dell'istruzione - che in nessun caso viene disciplinato - ed il mondo           
del lavoro, riprendendo in termini sintetici, senza discostarsene, il           
contenuto dell'art. 4 della Legge delega n. 53 del 2003.                        
3.3. L'art. 17 non riguarderebbe le finalita' della scuola                      
dell'infanzia - che, nella prospettazione del ricorrente, queste sono           
ricondotte alla competenza statale in materia di norme generali                 
sull'istruzione e alla disciplina dettata dall'art. 2, comma 1,                 
lettera e) della Legge n. 53 del 2003 - ma "le finalita' della                  
Regione e degli Enti locali nell'intervenire a favore della scuola              
dell'infanzia" e cioe' finalita' di intervento che si ricollegano ai            
principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. In                
sostanza l'art. 17, oltre ad essere comunque coerente con l'evocato             
art. 2 della legge delega del 2003, non esprimerebbe una norma                  
generale volta e definire il sistema dell'istruzione, bensi' una                
modalita' organizzativa in attuazione dei predetti principi di ordine           
costituzionale concernenti la persona e la famiglia.                            
La resistente rileva altresi' che, successivamente al ricorso, e'               
intervenuto a disciplinare la materia il decreto legislativo del 19             
febbraio 2004, n. 59, il cui art. 1, comma 1, nel definire contenuti            
e finalita' della scuola  dell'infanzia, risulta coerente con la                
disposizione denunciata, cosi' da non potersi ritenere che, nel caso            
di specie, la nuova disposizione statale abbia abrogato quella                  
regionale. Peraltro, se si ravvisasse un contrasto tra le due fonti,            
si dovrebbe effettivamente reputare venuta meno la disposizione                 
regionale, con conseguente difetto di interesse alla sua                        
impugnazione.                                                                   
3.4. La difesa regionale sostiene che la censura avverso l'art. 26,             
comma 2, sinteticamente argomentata, si fondi su un fraintendimento             
della disposizione, il cui significato non e' quello di "escludere o            
restringere il passaggio tra i sistemi per gli studenti che                     
provengono da percorsi non integrati, ma semplicemente quello di                
affermare che la migliore base per il riconoscimento e per reali (e             
non solo teoriche) possibilita' di passaggio e' costituita                      
dall'integrazione dei sistemi".                                                 
3.5. Ad avviso della Regione, l'educazione degli adulti, di cui                 
all'art. 41 denunciato, non ha quale obiettivo il rilascio diretto di           
titoli di studio, ma riguarda varie iniziative, talune fini a se                
stesse (l'aumento delle conoscenze, lo sviluppo della personalita') e           
senza collegamento al sistema dell'istruzione; altre aventi                     
l'obiettivo del "rientro nel sistema formale dell'istruzione e della            
formazione professionale", ma senza incidere sui predetti sistemi. Ne           
consegue che l'educazione degli adulti, lungi dell'essere un diverso            
percorso di "istruzione", rappresenta piuttosto una attivita'                   
specificamente culturale e formativa, configurandosi come servizio              
sociale, materia, questa, ascrivibile alla potesta' residuale delle             
Regioni.                                                                        
Peraltro, si osserva nella memoria, l'art. 41 riprende un istituto              
previsto dalla legislazione statale (art. 1, comma 3, lettera l)                
della Legge n. 53 del 2003) e il ricorso dello Stato non lamenta                
alcun contrasto tra essa e le norme impugnate.                                  
Infine, ad avviso della difesa regionale, la questione sarebbe                  
formulata in modo generico e perplesso, non comprendendosi se cio'              
che e' contestato sia soltanto la "definizione" di cui al comma 1 o             
anche i disposti dei commi 2 e 3, rispetto ai quali non vengono pero'           
prospettati motivi di censura.                                                  
3.6. La Regione, rammentando che l'art. 44, comma 1, lettera c),                
riguarda "i criteri per la definizione dell'organizzazione della rete           
scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni             
scolastiche", contesta che essa possa  concernere la materia delle              
norme generali sull'istruzione. A tal fine, si osserva nella memoria,           
la normativa statale (art. 21, commi 3 e 4 della Legge 15 marzo 1997,           
n. 59 e il relativo regolamento attuativo di cui al DPR 18 giugno               
1998, n. 233) pone la disciplina sulle dimensioni delle scuole ai               
fini dell'attribuzione ad esse della personalita' giuridica, mentre             
la norma regionale "non collega specificamente la definizione dei               
parametri dimensionali al riconoscimento delle scuole". In ogni caso            
si tratterebbe di aspetti organizzativi e dunque rientranti                     
all'ambito dell'art. 117, terzo comma, Cost., sicche' sarebbe                   
legittima la legge regionale che  "prevede e disciplina una funzione            
amministrativa".                                                                
Secondo la resistente, sarebbe inoltre non pertinente il riferimento            
ai "livelli unitari di fruizione del diritto allo studio", che                  
sembrerebbe evocare la competenza statale di cui all'art. 117, comma            
2, lettera m), Cost., giacche' come risulta dallo stesso art. 1 del             
DPR n. 233 del 1998, le finalita' del "dimensionamento ottimale"                
delle scuole non riguardano i livelli essenziali del diritto allo               
studio, che potrebbero rilevare soltanto rispetto all'unico fine "di            
offrire alle comunita' locali una pluralita' di scelte, articolate              
sul territorio, che agevolino l'esercizio del diritto                           
all'istruzione", nel senso di non porre limiti minimi rigidi che                
potrebbero lasciare sprovviste di scuole vaste aree, scarsamente                
abitate, con conseguente difficolta' per l'esercizio del diritto. Ma            
questa stessa esigenza, soggiunge la Regione, "concorre a fondare la            
competenza amministrativa regionale, nel senso che la definizione dei           
parametri dimensionali deve tener conto delle particolarita'                    
regionali, in relazione alla densita' abitativa, all'eta' degli                 
abitanti, alle condizioni di viabilita', ecc." (art. 21, comma 3                
della n. 59 del 1997); competenza, del resto, gia' prevista dall'art.           
3, comma 1 del DPR n. 233 del 1998.                                             
In definitiva, ad avviso della difesa regionale, la stessa normativa            
statale gia' tiene conto dell'opportunita' che le dimensioni delle              
scuole siano definite a livello locale e sarebbe "paradossale che,              
dopo la riforma del Titolo V e l'attribuzione costituzionale alle               
Regioni di competenza in materia di istruzione, venga contestata una            
norma che ribadisce il sistema vigente"; in termini analoghi                    
peraltro, si sarebbe anche espressa questa Corte con la recente                 
sentenza n. 13 del 2004.                                                        
CONSIDERATO IN DIRITTO                                                          
1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha proposto questione di            
legittimita' costituzionale di talune disposizioni della legge della            
Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per l'uguaglianza           
delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e per tutto                 
l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e                
della formazione professionale, anche in integrazione tra loro).                
E' denunciato, anzitutto, l'art. 7, comma 5, il quale prevede che, ai           
fini della qualificazione delle risorse umane "sono concessi assegni            
di studio da destinare al personale della formazione professionale,             
nonche' al personale della scuola che si avvalga del periodo di                 
aspettativa di cui all'art. 26, comma 14, Legge 23 dicembre 1998, n.            
448". Secondo il ricorrente sarebbero violati gli artt. 117, terzo              
comma, 3 e 97, primo comma, Cost., perche' l'incentivo previsto dalla           
legge regionale altererebbe il principio fondamentale enunciato dalla           
legge statale, secondo il quale e' consentito "un periodo di                    
aspettativa non retribuita della durata massima di un anno scolastico           
ogni dieci anni". Verrebbe in tal modo a determinarsi una                       
irragionevole disparita' di trattamento tra i dipendenti scolastici e           
sarebbe pregiudicato il buon andamento della pubblica                           
amministrazione.                                                                
Un'altra censura investe l'art. 9, comma 3, il quale disciplina                 
l'istituto dell'"alternanza scuola-lavoro", che avrebbe una valenza             
generale e che rientrerebbe nella competenza in materia di norme                
generali sull'istruzione, riservata allo Stato dall'art. 117, secondo           
comma, lettera n), ed esercitata, nella specie, con l'art. 4 della              
Legge 28 marzo 2003, n. 53 (delega al Governo per la definizione                
delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle             
prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), il            
quale indica i principi e i criteri direttivi che il legislatore                
statale delegato deve rispettare in tema di "alternanza                         
scuola-lavoro".                                                                 
Analogamente si argomenta in relazione alle censure che riguardano              
l'art. 17, che definisce le finalita' della scuola dell'infanzia, e             
l'art. 41, che fornisce la definizione "dell'educazione degli adulti"           
e delle relative attivita'. Anche in questi casi sarebbe violato                
l'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., giacche', da un lato,             
la finalita' dei percorsi del sistema dell'istruzione sarebbe oggetto           
delle norme generali sull'istruzione, la' dove e' l'art. 2, comma 1,            
lettera e), della citata legge n. 53 del 2003 ad occuparsi                      
specificamente della scuola dell'infanzia; dall'altro, l'educazione             
degli adulti, finalizzata al rilascio di titoli di studio, atterrebbe           
all'ambito dell'istruzione e la relativa definizione rientrerebbe               
anch'essa nell'ambito riservato alla legislazione statale.                      
E' poi denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost, l'art. 26,            
comma 2, che introduce nel sistema formativo norme in materia di                
integrazione tra i sistemi dell'istruzione e della formazione                   
professionale, ledendo - secondo l'Avvocatura - il "diritto al                  
riconoscimento dei crediti ed al passaggio tra i sistemi per tutti              
gli studenti che provengono da percorsi non integrati".                         
Viene infine censurato l'art. 44, comma 1, lettera c), il quale                 
stabilisce che il Consiglio regionale, su proposta della Giunta                 
regionale, approvi, tra l'altro, i "criteri per la definizione                  
dell'organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i parametri             
dimensionali delle istituzioni scolastiche". Secondo il ricorrente,             
anche nel caso di specie vi sarebbe la violazione della competenza              
esclusiva statale a dettare le norme generali sull'istruzione.                  
2. Nessuna delle questioni sollevate con il ricorso e' fondata.                 
3. La pima denuncia investe l'art. 7, comma 5, nella parte in cui               
prevede in favore del personale scolastico, che si avvalga del                  
periodo di aspettativa di cui all'art. 26, comma 14 della Legge n.              
448 del 1998, la possibilita' di usufruire di assegni di studio alle            
condizioni e secondo le modalita' definite con atto della Giunta                
regionale, nell'ambito degli indirizzi approvati dal Consiglio                  
regionale. Ad avviso del ricorrente, la disposizione contrasterebbe             
con gli artt. 117, terzo comma, 3 e 97, primo comma, Cost., giacche'            
l'incentivo ivi previsto contravverrebbe al principio fondamentale              
posto dal citato art. 26, comma 14, secondo cui "i docenti e i                  
dirigenti scolastici che hanno superato il periodo di prova possono             
usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita della durata              
massima di un anno scolastico ogni dieci anni"; per di piu', nella              
prospettazione del ricorrente, si verrebbe a determinare anche una              
disuguaglianza "fra situazioni identiche dei dipendenti scolastici,             
disarticolando il buon andamento della pubblica Amministrazione".               
La menzionata disposizione di legge statale, invocata come principio            
fondamentale della materia dell'istruzione, introduce un'ulteriore              
ipotesi di aspettativa in favore del personale scolastico che si                
aggiunge a quelle gia' previste dall'art. 24 del contratto collettivo           
nazionale di lavoro (CCNL) del 4 agosto 1995, ora riprodotto                    
dall'art. 18 del CCNL del 24 luglio 2003. Il comma 1 del citato art.            
18 regola l'aspettativa per motivi di famiglia, rinviando a quanto              
gia' stabilito dagli artt. 69 e 70 del DPR 10 gennaio 1957, n. 3. Il            
successivo comma 2 prevede che l'aspettativa possa essere concessa              
anche per motivi di studio, ricerca o dottorato, nonche' per                    
incarichi e per borse di studio, richiamando l'art. 453 del DLgs 16             
aprile 1994, n. 297. Il comma 3 del medesimo art. 18 del CCNL 2003 si           
occupa infine dell'aspettativa per un anno scolastico, a domanda e              
senza assegni, per motivi di lavoro e cioe' "per realizzare,                    
nell'ambito di un altro comparto della pubblica amministrazione,                
l'esperienza di una diversa attivita' lavorativa o per superare un              
periodo di prova". E' in questo quadro normativo che si colloca                 
appunto l'art. 26, comma 14 della Legge n. 448 del 1998, il quale               
facoltizza i docenti ed i dirigenti scolastici ad usufruire di un               
periodo di aspettativa non retribuita della durata massima di un anno           
scolastico ogni dieci anni, stabilendo che "per i detti periodi i               
docenti e i dirigenti possono provvedere a loro spese alla copertura            
degli oneri previdenziali".                                                     
L'aspettativa in esame, diversamente dagli altri casi, non e' dunque            
vincolata ad una specifica finalita' (esigenze di famiglia, di studio           
o di lavoro) e il personale scolastico (docente e dirigente) in ruolo           
(e cioe' che abbia superato il periodo di prova) puo' usufruirne                
senza allegare motivazione alcuna. Inoltre, rispetto alle ipotesi di            
aspettativa per motivi di studio, in quella regolata dal comma 14               
dell'art. 26, e' escluso che nell'anno di astensione lavorativa possa           
godersi della retribuzione, sicche' il periodo trascorso in                     
aspettativa non puo' ascriversi a servizio d'istituto. Del reso, la             
norma e' chiara nello stabilire che sono gli stessi beneficiari a               
provvedere, ove lo ritengano, alla copertura degli oneri                        
previdenziali.                                                                  
Il principio fondamentale che pone la disposizione di legge statale             
e' quindi quello della facolta', concessa al personale scolastico               
ogni dieci anni di servizio, di fruire di un periodo annuale di                 
aspettativa non retribuita, senza dover allegare alcun particolare              
motivo.                                                                         
Il censurato comma 5 dell'art. 7 della legge regionale n. 12 del 2003           
non introduce una ulteriore fattispecie di aspettativa, ma prevede il           
beneficio di assegni di studio, alle condizioni e con le modalita'              
definite con atto della Giunta regionale, nell'ambito degli indirizzi           
approvati dal Consiglio regionale, per il solo personale che, in                
conformita' della normativa statale, si sia avvalso del periodo di              
aspettativa di cui all'art. 26, comma 14 della Legge n. 448 del 1998.           
Gli assegni non costituiscono in ogni caso retribuzione, ne' il                 
periodo di aspettativa puo' essere computato nel servizio di                    
istituto. Il fine della disposizione, come si desume dai commi che la           
precedono (commi 1 e 2) e' soltanto quello di sostenere le                      
"attivvita' di qualificazione", "nel rispetto delle competenze                  
generali dello Stato in materia di formazione iniziale dei docenti              
del sistema nazionale di istruzione e dei relativi titoli abilitanti,           
nonche' delle materie riservate alla contrattazione".                           
In definitiva, la finalita' di elevazione professionale del personale           
scolastico viene perseguita dalla norma censurata senza scalfire il             
principio fondamentale invocato dallo Stato. Inoltre poiche' la                 
disciplina dell'aspettativa posta dall'art. 26, comma 14 della Legge            
n. 448 del 1998, continua a trovare applicazione nei confronti di               
tutto il personale docente e dirigente della scuola, e' da escludere            
che la disposizione denunciata contrasti con i principi di                      
eguaglianza e di buon andamento della pubblica Amministrazione.                 
4. E' poi censurato l'art. 9, comma 3 che riguarda l'istituto                   
dell'"alternanza scuola-lavoro", definito come "modalita' didattica,            
non costituente rapporto di lavoro, realizzata nell'ambito dei                  
percorsi di istruzione o di formazione professionale, anche                     
integrati, quale efficace strumento di orientamento, preparazione               
professionale e inserimento nel mondo del lavoro".Secondo                       
l'Avvocatura, la disposizione violerebbe l'art. 117, secondo comma,             
lettera n), Cost., giacche' l'istituto dell'"alternanza                         
scuola-lavoro" avrebbe portata generale e dovrebbe formare oggetto              
delle norme generali sull'istruzione, conformandosi, in particolare,            
all'art. 4 della Legge 28 marzo 2003, n. 53.                                    
In effetti, e' proprio con l'articolo teste' citato che e' stata                
dettata la disciplina generale dell'istituto dell'"alternanza                   
scuola-lavoro", rivolto agli studenti che hanno compiuto il                     
quindicesimo anno di eta' e dunque ancora in obbligo scolastico,                
giacche' rimane fermo quanto gia' previsto dall'art. 18 della Legge             
24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione                          
dell'occupazione) e cioe' l'"alternanza tra studio e lavoro",                   
attraverso iniziative di tirocini pratici e stages, a favore di                 
soggetti che hanno gia' assolto l'obbligo scolastico.                           
L'"alternanza scuola-lavoro" e', come si afferma nel menzionato art.            
4, "modalita' di realizzazione del percorso formativo progettata,               
attuata e valutata dall'istituzione scolastica e formativa in                   
collaborazione con le imprese, con le rispettive associazioni di                
rappresentanza e con le camere di commercio, industria, artigianato e           
agricoltura, che assicuri ai giovani, oltre alla conoscenza di base,            
l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro". Per            
la sua realizzazione e' prevista, appunto, l'alternanza di periodi di           
studio e di lavoro, sotto la  responsabilita' dell'istituzione                  
scolastica o formativa, attraverso convenzioni da stipularsi con                
soggetti appartenenti al settore produttivo o con Enti pubblici e               
privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, "disponibili ad                  
accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non                        
costituiscono rapporto individuale di lavoro". Si stabilisce,                   
inoltre, che "le istituzioni scolastiche, nell'ambito dell'alternanza           
scuola-lavoro, possono collegarsi con il sistema dell'istruzione e              
della formazione professionale ed assicurare, a domanda degli                   
interessati e d'intesa con le Regioni, la frequenza negli istituti              
d'istruzione e formazione professionale di corsi integrati che                  
prevedano piani di studio progettati d'intesa fra i due sistemi,                
coerenti con il corso di studio e realizzati con il concorso degli              
operatori di ambedue i sistemi".                                                
Dalle disposizioni sommariamente passate in rassegna emerge con                 
chiarezza come l'"alternanza scuola-lavoro", secondo l'aspirazione              
della legge di delegazione n. 53 del 2003, che peraltro riprende in             
parte principi gia' presenti nella precedente legislazione (la citata           
Legge n. 196 del 1997, l'art. 68 della Legge del 17 maggio 1999 n.              
144 e la Legge del 10 febbraio 2000, n. 30, poi abrogata dalla stessa           
legge di delegazione), costituisca uno degli elementi centrali del              
sistema integrato istruzione/formazione professionale, in armonia con           
orientamenti invalsi in ambito comunitario, nel quale si e' andata              
rafforzando sempre piu' una politica indirizzata alla                           
riqualificazione dell'istruzione e della formazione professionale               
quale fattore di sviluppo e di coesione sociale ed economica (da                
ultimo si veda la risoluzione del Parlamento Europeo sulla                      
comunicazione della Commissione sul progetto di programma di lavoro             
dettagliato per il seguito alla relazione circa gli obiettivi                   
concreti dei sistemi di istruzione e formazione, 6 febbraio 2002).              
Non e' un puro accidente se fra i tre obiettivi prioritari dei fondi            
strutturali europei vi sia proprio quello di "favorire l'adeguemento            
e l'ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione,                 
formazione e occupazione" (art. 1 del regolamento CE 1260 del 1999).            
In questo quadro piu' generale la norma denunciata, lungi dal                   
contrastatre con quanto stabilito dalla legge statale, si limita a              
ripeterne sinteticamente il contenuto definitorio, senza porre                  
principi o regole ulteriori. L'art. 9, comma 3 della legge regionale            
n. 12 del 2003 non intende, dunque, mettere in discussione la                   
competenza statale nel definire gli istituti generali e fondamentali            
dell'istruzione, i quali vengono soltanto assunti a base della                  
legislazione regionale, come, del resto, e' reso esplicito dall'art.            
1, comma 2 della medesima legge regionale, secondo il quale la                  
Regione assume "l'ordinamento nazionale dell'istruzione a fondamento            
della presente legge e indirizza le proprie azioni alla                         
qualificazione nel territorio regionale del sistema nazionale di                
istruzione, ed in particolare della scuola pubblica, come definitivo            
dalla legislazione nazionale".5. Sono denunciati gli artt. 17 e 41,             
concernenti, rispettivamente, le "finalita' della scuola                        
dell'infanzia" e la definizione "dell'educazione degli adulti". Anche           
nei casi ora all'esame, come in quello appena scrutinato, e' dedotta            
la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.,                  
sebbene le censure non prospettino un contrasto diretto tra le                  
disposizioni impugnate e quelle dettate dallo Stato quali norme                 
generali sull'istruzione.                                                       
Le censure sono pero' infondate in base a considerazioni analoghe a             
quelle svolte al punto 4.                                                       
5.1. Quanto alla denuncia dell'art. 17, la norma statale evocata nel            
ricorso e' l'art. 2, comma 1, lettera e) della Legge delega n. 53 del           
2003, con cui si delinea il percorso formativo della scuola                     
dell'infanzia, di durata triennale, come volto "all'educazione e allo           
sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e                
sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialta' di            
relazione, autonomia, creativita', apprendimento, e ad assicurare               
un'effettiva eguaglianza delle opportunita' educative". La medesima             
disposizione precisa, altresi', che la scuola dell'infanzia                     
contribuisce, nel rispetto della primaria responsabilita' educativa             
dei genitori, "alla formazione integrale delle bambine e dei bambini            
e, nella sua autonomia e unitarieta' didattica e pedagogica, realizza           
la continuita' educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e            
con la scuola primaria". Definizioni e finalita', queste, che si                
ritrovano, del resto, anche nell'art. 1 del successivo DLgs 19                  
febbraio 2004, n. 59, recante "Definizione delle norme generali                 
relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione,            
a norma dell'art. 1 della Legge 28 marzo 2003, n. 53". Ne' e' senza             
rilievo, d'altronde che la stessa Legge n. 53 de 2003, all'art. 2,              
lettera d), richiami anche per la scuola dell'infanzia il concetto di           
sistema educativo composto dall'istruzione e dalla formazione.                  
Nel contesto descritto, la disposizione denunciata non fa altro che             
modularsi su quanto gia' disciplinato dalla legge statale, senza                
porre in discussione la competenza dello Stato nel definire gli                 
istituti generali e fondamentali sull'istruzione, che come tali, sono           
assunti a base della legislazione regionale, volta a perseguire la              
generalizzazione della scuola dell'infanzia "anche tramite mezzi                
propri, aggiuntivi a quelli statali, destinati in particolare                   
all'estensione dell'offerta scolastica e alla sua qualificazione, per           
promuovere le potenzialita' di autonomia, creativita', apprendimento            
dei bambini e per assicurare un'effettiva uguaglianza delle                     
opportunita' educative". Ove, poi, nel comma 2 dello stesso art. 17             
vengono specificamente rammentate le finalita' di tale percorso                 
formativo, nessun contrasto e' dato ravvisare rispetto alla Legge di            
delega n. 53 - e del resto esso neanche viene dedotto dal ricorrente            
- giacche' la norma sottoposta a scrutinio ne assume i contenuti                
stabilendo che la scuola dell'infanzia "concorre all'educazione e               
allo sviluppo del bambino nel rispetto delle identita' individuali,             
culturali e religiose".                                                         
In definitiva, l'art. 17 si propone non gia' di fornire la                      
definizione del percorso della scuola dell'infanzia, bensi' di                  
predisporre, nell'ambito di quanto stabilito dalla legge statale e in           
forza delle competenze regionali in materia di istruzione, interventi           
a supporto di un'offerta formativa in un settore, quale e' quello               
dell'istruzione per l'infanzia, nel quale sono piu' che mai                     
direttamente coinvolti i principi costituzionali che riguardano                 
l'educazione e la formazione del minore (artt. 2, 29, 30 e 31                   
Cost.).                                                                         
5.2. Quanto alla censura che investe l'art. 41 sulla "educazione                
degli adulti", va osservato che la Legge delega del 2003 prevede                
genericamente, all'art. 2, comma 1, lettera a), che "e' promosso                
l'apprendimento in tutto l'arco della vita e sono assicurate a tutti            
pari opportunita' di raggiungere elevati livelli culturali e di                 
sviluppare le capacita' e le competenze, attraverso conoscenze e                
abilita', generali e sepcifiche, coerenti con le attitudini e le                
scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel             
mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali,                    
nazionale ed europea".                                                          
In tale ambito si innesta la legge regionale impuganta che, con                 
l'art. 40, rende palese la finalita' del suo intervento, rivolto a              
promuovere "l'apprendimento delle persone per tutta la vita, quale              
strumento fondamentale per favorirne l'adattabilita' alle                       
trasformazioni dei saperi nella societa' della conoscenza, nonche'              
per evitare l'obsolescenza delle competenze ed i rischi di                      
emarginazione sociale" (comma 1); stabilendo a questo fine che un               
tale apprendimento si viene a realizzare "nei sistemi dell'istruzione           
e della formazione professionale, nel lavoro e nell'educazione non              
formale attraverso offerte flessibili e diffuse sul territorio,                 
nonche' con il ricorso alla formazione a distanza ed alle tecnologie            
innovative". E' poi il denunciato art. 41, nel solco di quanto gia'             
genericamente previsto dalla disciplina statale, a specificare i                
contenuti dell'"educazione degli adulti", che ricomprende le                    
"opportunita' formative formali e non formali, rivolte alle persone,            
aventi per obiettivo l'acquisizione di competenze personali di base             
in diversi ambiti, di norma certificabili, e l'arricchimento del                
patrimonio culturale". E tramite siffatto percorso formativo si                 
intende favorire: "a) il rientro nel sistema formale dell'istruzione            
e della formazione professionale; b) la diffusione e l'estensione               
delle conoscenze; c) l'acquisizione di specifiche competenze connesse           
al lavoro o alla vita sociale; d) il pieno sviluppo della                       
personalita' dei cittadini". A cio' si aggiunge, inoltre, il sostegno           
alle "iniziative di recupero e di reinserimento nel percorso                    
scolastico e formativo di tutti coloro che non hanno conseguito la              
licenza media" (comma 3).                                                       
La normativa teste' richiamata si pone in linea, dunque, con le                 
finalita' individuate dalla Legge delega del 2003 ed altresi' con               
quelle prefigurate in ambito comunitario dal Consiglio Europeo di               
Lisbona del marzo 2000 e, successivamente, precisate dalla relazione            
del Consiglio (Istruzione) sugli obiettivi futuri e concreti dei                
sistemi di istruzione e di formazione, del 14 febbraio 2001, nella              
quale si evidenzia, tra l'altro, la necessita' di un "apprendimento             
lungo tutto l'arco della vita attraverso i tradizionali percorsi di             
istruzione e formazione o nel quadro dell'apprendimento basato sul              
lavoro". Ed e' in tale contesto che vine appunto a collocarsi il                
denunciato art. 41, la cui disciplina, senza contrastare con quanto             
stabilito dalla legge statale, si muove sul versante del sostegno               
all'acquisizione e al recupero di conoscenze necessarie o utili per             
il reinserimento sociale e lavorativo e, dunque, in un ambito                   
riconducibile a quello affidato alla competenza regionale in materia            
di istruzione e formazione professionale.                                       
6. Con la denuncia dell'art. 26, comma 2, si prospetta la violazione            
dei principi di egualiganza e di buon andamento della pubblica                  
Amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.), giacche' la disposizione,                 
nell'introdurre nel sistema formativo norme in materia di                       
integrazione tra i sistemi dell'istruzione e formazione                         
professionale, recherebbe la lesione "del diritto al riconoscimento             
dei crediti ed al passaggio tra i sistemi per tutti gli studenti che            
provengono da percorsi non integrati".                                          
Per meglio comprendere il senso della censura e' opportuno rammentare           
che l'art. 26 della legge regionale n. 12 del 2003, inserito nella              
Sez. III, rubricata "Integrazione fra l'istruzione e la formazione              
professionale", stabilisce, al comma 1, che: "Nel quadro del sistema            
formativo, al fine di realizzare un positivo intreccio tra                      
apprendimento teorico e applicazione concreta, tra sapere, saper                
fare, saper essere e sapersi relazionare, di sostenere lo sviluppo              
della cultura tecnica, scientifica e professionale, nonche' di                  
consentire l'assolvimento dell'obbligo formativo di cui all'art. 68             
della Legge 17 maggio 1999, n. 144 (. . .), la Regione e gli enti               
locali promuovono l'integrazione tra l'istruzione e la formazione               
professionale attraverso interventi che ne valorizzano gli specifici            
apporti". A questo fine il denunciato comma 2 dispone: "Tale                    
integrazione rappresenta la base per il reciproco riconoscimento dei            
crediti e per reali possibilita' di passaggio da un sistema all'altro           
al fine di favorire il completamento e l'arricchimento dei percorsi             
formativi per tutti".                                                           
L'integrazione tra istruzione e formazione professionale e' pero'               
oggetto, a sua volta, della disciplina recata dalla Legge n. 53 del             
2003, all'art. 2, lettere c), g), h) ed i).                                     
Cio' posto, va osservato che la censura dello Stato, pur non evocando           
una lesione del riparto delle attribuzioni ed anzi presupponendo che            
in materia sussista comunqe la competenza legislativa regionale,                
tuttavia muove, implicitamente ma con evidenza, dall'asserito                   
contrasto della norma regionale impugnata con quanto previsto in                
materia dalla Legge delega del 2003. E difatti la norma generale                
sull'istruzione dettata dallo Stato (art. 2, lettera i), e' che,                
essendo assicurata la possibilita' di cambiare indirizzo all'intero             
del sistema dei licei, nonche' di passare dal sistema dei licei al              
sistema dell'istruzione e della formazione professionale, e                     
viceversa, "la freqenza positiva di qualsiasi segmento del secondo              
ciclo comporta l'acquisizione di crediti certificati che possono                
essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi                    
eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi di cui            
alle lettere g) e h)". Ed e' sempre la normativa statale, di rango              
regolamentare, sebbene da adottarsi con l'intesa delle Regioni, a               
definire gli standard  minimi formativi, richiesti per la                       
spendibilita' nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito           
dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi dai percorsi formativi           
ai percorsi scolastici (si veda l'art. 7, comma 1, lettera c) della             
Legge n. 53 del 2003).                                                          
Proprio alla luce di quanto evidenziato e' da escludersi che il                 
significato della disposizione regionale denunciata sia quello di               
inibire o rendere piu' difficile il passaggio tra i sistemi di                  
istruzione e formazione professionale agli studenti che provengono da           
percorsi non integrati. L'art. 26, comma 2, inserendosi coerentemente           
nel corpo della legge regionale n. 12 del 2003, non postula che                 
soltanto all'interno del sistema integrato sussista il riconoscimento           
di crediti, ne' preclude l'adesione al sistema integrato a chiunque             
sia in possesso dei requisiti necessari. Il senso da ascriversi alla            
norma e' soltanto quello di individuare, come base preferibile per il           
riconoscimento e per reali, e non solo teoriche, possibilita' di                
passaggio, proprio l'istituto dell'integrazione dei sistemi, senza              
percio' eliminare altre forme legali di riconoscimento e,                       
specialmente, di crediti.                                                       
La disposizione denunciata si sottrate, dunque, alla censura mossa              
con il ricorso.                                                                 
7. Infondata e' anche l'ultima censura, quella che investe l'art. 44,           
comma 1, lettera c), il quale, nello stabilire che il Consiglio                 
regionale, su proposta della Giunta regionale, approvi, tra l'altro,            
i "criteri per la definizione dell'organizzazione della rete                    
scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni             
scolastiche", si porrebe in contrasto con l'art. 117, secondo comma,            
lettera n), Cost. Infatti, ad avviso del ricorrente, anche la                   
disciplina concernente criteri, metodi e presupposti, per riconoscere           
ed attuare l'autonomia delle istituzioni scolastiche, "non potendo              
disgiungersi dal fine di assicurare comunque livelli unitari di                 
fruizione del diritto allo studio ed individuare elementi comuni al             
sistema scolastico nazionale", rientrerebbe tra le norme generali               
sull'istruzione.Come gia' affermato da questa Corte con la sentenza             
n. 13 del 2004, l'ampio  decentramento delle funzioni amministrative            
delineato dalla Legge del 15 marzo 1997, n. 59 ed attuato con il                
decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 112, ha visto delegare                
importanti e nuove funzioni alle Regioni, fra cui anzitutto quelle di           
programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e                
formazione professionale (art. 138, comma 1, lettera a), e di                   
programmazione della rete scolastica (art. 138, comma 1, lettera b).            
Ed e' in tal quadro che il DPR del 18 giugno 1998,n. 233 ha disposto,           
all'art. 3, comma 1, che: "I piani di dimensionamento delle                     
istituzioni scolastiche previsti dall'art. 21, comma 4 della Legge 15           
marzo 1997, n. 59, al fine dell'attribuzione dell'autonomia e                   
personalita' giuridica, sono definiti in conferenze provinciali di              
organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di           
programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti               
territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni".                          
Sicche', proprio alla luce del fatto che gia' la normativa                      
antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza                   
regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni                       
scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione              
scolastica di cui all'art. 138 del DLgs n. 112 del 1998, e' da                  
escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 "abbia voluto             
spogliare le Regioni di una funione che era gia' ad esse conferita"             
(cosi' ancora la sentenza n. 13 del 2004).                                      
Contrariamente quindi a quanto dedotto con la censura, la                       
disposizione denunciata e' da ascriversi all'esercizio della                    
competenza legislativa concorrente della Regione in materia di                  
istruzione, riguardando in particolare il settore della                         
programmazione scolastica.                                                      
PER QUESTI MOTIVI                                                               
LA CORTE COSTITUZIONALE                                                         
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale                
degli artt. 7, comma 5; 9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41 e 44, comma             
1, lettera c), della Legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno               
2003, n. 12 (Norme per l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al           
sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il                 
rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche           
in integrazione tra loro), sollevate dal Presidente del Consiglio dei           
Ministri, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, secondo comma,                  
lettera n), e terzo comma, Cost. e in relazione ai principi                     
fondamentali dettati dallo Stato nella materia dell'istruzione, con             
il ricorso indicato in epigrafe.                                                
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo            
della Consulta, il 12 gennaio 2005.                                             
IL PRESIDENTE E REDATTORE  IL CANCELLIERE                                       
Carlo Mezzanotte  Giuseppe Di Paola                                             
Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2005.                                   

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