SENTENZA 12 gennaio 2005, n. 34
CORTE COSTITUZIONALE Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 5; 9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41; 44, comma 1, lett. c) della Legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro) promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 19 agosto 2003, depositato in Cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2003
In nome del popolo italiano la Corte Costituzionale composto dai
signori:
Carlo Mezzanotte, Presidente; Fernanda Contri, Guido Neppi Modona,
Piero Alberto Capotosti, Annibale Marini, Franco Bile, Giovanni Maria
Flick, Francesco Amirante, Ugo De Siervo, Romano Vaccarella, Paolo
Maddalena, Alfio Finocchiaro, Alfonso Quaranta, giudici
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 5;
9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41; 44, comma 1, lett. c) della Legge
della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per
l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e
per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento
dell'istruzione e della formazione professionale, anche in
integrazione tra loro) promosso con ricorso del Presidente del
Consiglio dei Ministri, notificato il 19 agosto 2003, depositatoin
Cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 64 del registro
ricorsi 2003;
visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 2004 il Presidente relatore
Carlo Mezzanotte;
uditi l'avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del
Consiglio dei Ministri e l'avvocato Giandomenico Falcon per la
Regione Emilia-Romagna.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso notificato il 19 agosto 2003 e depositato il
successivo 25 agosto, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha
proposto questione di legittimita' costituzionale degli artt. 7,
comma 5; 9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41; 44, comma 1, lett. c) della
Legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per
l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e
per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento
dell'istruzione e della formazione professionale, anche in
integrazione tra loro).
Il ricorrente premette che la legge denunciata - che abroga l'intero
Capo III (recte: Parte III, Titolo VII, Capo III) della precedente
legge regionale n. 3 del 1999, con cui era disciplinato il sistema
educativo regionale - si propone di valorizzare la persona umana
attraverso l'innalzamento dei livelli culturali e professionali. A
tal fine, la medesima legge inteviene sui "processi dell'istruzione
non formale", dando rilievo all'integrazione fra le politiche
scolastiche autonome e le politiche sociali e sanitarie, tramite la
creazione di centri di servizio e di consulenza per le istituzioni
scolastiche autonome, favorendo altresi' interventi per la
continuita' didattica.
Ad avviso della difesa erariale, la Regione avrebbe pero' travalicato
le sue competenze, violando, con la normativa appresso specificata,
gli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettera n), e terzo comma,
Cost., in relazione ai principi fondamentali dettati dallo Stato
nella materia dell'istruzione.
Piu' in particolare, il ricorrente denuncia le disposizioni della
legge regionale n. 12 del 2003 che seguono.
1.1. L'art. 7, comma 5, prevede che, per il raggiungimento delle
finalita' della qualificazione delle risorse umane, "sono concessi,
assegni di studio da destinare al personale della formazione
professionale, nonche' al personale della scuola che si avvalga del
periodo di aspettativa di cui all'art. 26, comma 24 della Legge 23
dicembre 1998, n. 448 (. . .)".
La richiamata norma statale a sua volta stabilisce, in via generale,
che "i docenti e i dirigenti scolastici che hanno superato il periodo
di prova possono usufruire di un periodo di aspettativa non
retribuita della durata massima di un anno scolastico ogni dieci anni
(. . .)".
Secondo il ricorrente "l'incentivo previsto dalla legge regionale
altera la regola generale fissata dalla legge statale, violando un
principio fondamentale da essa posto, credando disuguaglianza fra
situazioni identiche dei dipendenti scolastici, disarticolando il
buon andamento della pubblica Amministrazione".
Di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma, 3 e 97, primo
comma, Cost.
1.2. L'art. 9, comma 3, testualmente recita "l'alternanza
scuola-lavoro e' una modalita' didattica, non costituente rapporto di
lavoro, realizzata nell'ambito dei percorsi di istruzione e di
formazione professionale, anche integrati, quale efficace strumento
di orientamento, preparazione professionale e inserimento nel mondo
del lavoro. Essa si realizza attraverso esperienze in contesti
lavorativi che devono essere adeguati all'accoglienza ed alla
formazione".
L'Avvocatura osserva che l'istituto "alternanza scuola-lavoro" ha una
valenza generale e rientra nelle norme generali sull'istruzione,
tant'e' che e' proprio l'art. 4 della Legge 28 marzo 2003, n. 53
(Delega al Governo per la definizione delle norme generali
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia
di istruzione e formazione professionale) ad indicare i principi e i
criteri direttivi che il legislatore statale delegato deve rispettare
in tema di "alternanza scuola-lavoro".
La censurata disposizione di legge regionale violerebbe, pertanto,
l'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.
1.3. L'art. 17 della legge regionale definisce le finalita' della
scuola dell'infanza, e proprio per questo, viene censurata dal
ricorrente in quanto la finalita' dei percorsi del sistema
dell'istruzione rientra fra le norme generali sull'istruzione
riservate alla competenza esclusiva dello Stato. E' l'art. 2, comma
1, lettera e) della Legge n. 53 del 2003 ad occuparsi specificamente
della scuola dell'infanza, sicche' la norma regionale si porrebbe in
contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.
1.4. L'art. 26, comma 2, introduce nel sistema formativo norme in
materia di integrazione tra i sistemi dell'istruzione e della
formazione professionale e, quindi, lederebbe il "diritto al
riconoscimento dei crediti ed al passaggio tra i sistemi per tutti
gli studenti che provengono da percorsi non integrati", ponendosi
cosi' in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. per violazione dei
principi di eguaglianza e del buon andamento della pubblica
Amministrazione.
1.5. L'art. 41 fornisce la definizione "dell'educazione degli adulti"
e delle relative attivita'. Una definizione che pero' sarebbe
"inficiata da illegittimita' costituzionale" per il fatto che
l'educazione degli adulti, finalizzata al rilascio di titoli di
studio, rientra pur essa nell'ambito delle norme generali
dell'istruzione. La disposizione violerebbe quindi l'art. 117,
secondo comma, lettera n), Cost.
1.6. L'art. 44, comma 1, lettera c), stabilisce che il Consiglio
regionale, su proposta della Giunta regionale, approva, tra l'altro,
i "criteri per la definizione dell'organizzazione della rete
scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni
scolastiche".Secondo il ricorrente, la disciplina, concernente
criteri, metodi e presupposti per riconoscere ed attuare l'autonomia
delle istituzioni scolastiche, "non potendo disgiungersi dal fine di
assicurare comunque livelli unitari di fruizione del diritto allo
studio ed individuare elementi comuni al sistema scolastico
nazionale", e' riconducibile alle norme generali sull'istruzione, di
competenza esclusiva statale ai sensi del piu' volte evocato art.
117, secondo comma, lettera n), Cost.
2. Si e' costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, la quale
ha concluso per l'inammissibilita' o l'infondatezza della questione.
3. In prossimita' dell'udienza la sola Regione Emilia-Romagna ha
depositato memoria con la quale chiede che il ricorso sia respinto.
La Regione premette che la legge impugnata e' stata adottata
nell'esercizio delle sue competenze legislative in materia di
istruzione (art. 117, terzo comma, Cost.) e di istruzione e
formazione professionale (art. 117, quarto comma, Cost.), essendo
volta, come si desume dall'art. 1, comma 1, alla "valorizzazione
della persona e all'innalzamento dei livelli culturali e
professionali" tramite "qualificate azioni di sostegno ai percorsi
dell'istruzione e della formazione professionale, anche in
integrazione tra loro". Un disegno normativo che si collocherebbe, ad
avviso della resistente nella cornice delle competenze statali
stabilite dalla Costituzione. Cio', del resto, non sarebbe messo in
dubbio neppure dallo Stato ricorrente, il quale appunta le sue
censure soltanto su specifiche disposizioni.
Quanto alle singole censure, la difesa della Regione Emilia-Romagna
ne contesta la fondatezza in base alle argomentazioni che seguono.
3.1. L'art. 7, comma 5, non riguarderebbe l'ordinamento
dell'istruzione in senso proprio, ma, proponendosi di favorire
l'utilizzo a fini di studio delle aspettative che la legge statale
(art. 26, comma 14 della Legge n. 448 del 1998) prevede in favore del
personale docente, sarebbe esplicazione di potesta' legislativa
regionale residuale in materia di formazione-qualificazione del
personale ovvero di sostegno all'innovazione non concernente i
"settori produttivi".
Peraltro, si sostiene nella memoria, anche volendo ricondurre la
materia nell'alveo dell'art. 117, terzo comma, Cost. e volendo
individuare un principio fondamentale della materia "istruzione"
nella norma che stabilisce l'assenza di retribuzione durante
l'aspettativa, non vi sarebba alcun vulnus da parte della
disposizione regionale denunciata, giacche' la retribuzione alla
quale si riferisce la norma statale e' "lo stipendio", il
corrispettivo della prestazione resa dal dipendente, esonerato nel
periodo di aspettativa dal presentare la propria attivita', mentre
l'art. 7, comma 5 della legge regionale prevede soltanto la
corresponsione di un assegno a fini di studio che non ha natura
retributiva, ne' richiede o presuppone alcuna prestazione in favore
della Regione, trovando giustidicazione "nell'interesse pubblico ad
incentivare cosi' la qualificazione del personale".
Del resto, osserva ancora la Regione i docenti potrebbero fruire,
durante l'aspettativa, di borse di studio universitarie o corrisposte
da altri enti e sarebbe paradossale che cio' "non lo potrebbe fare
proprio l'ente che e' maggiormente responsabile di fronte alla
propria comunita' della qualita' del servizio". Invero, se fosse
interpretata la norma statale come un divieto per i docenti di
giovarsi di una borsa di studio durante il periodo di aspettativa,
consentendo, pertanto, la fruizione di quest'ultima solo a coloro che
possano "vivere di rendita per un anno", sarebbe proprio la norma
statale a violare agli artt. 3 e 97 Cost.
Tuttavia, si argomenta nella memoria, l'art. 26, comma 14 della Legge
n. 448 del 1998 non preclude ai docenti di giovarsi di borse di
studio per migliorare la propria preparazione, ne' preclude alla
Regione di prevedere un "sostegno a tale scopo". In definitiva, la
disposizione dell'art. 7, comma 5, "integra" la legge statale, "nel
senso che, prevedendo gli assegni di studio, evita che
dell'aspettativa per motivi di studio possa giovarsi solo chi puo'
permetterselo e incentiva la qualificazione del personale".3.2. La
difesa regionale, nel rammentare che la censura dello Stato sull'art.
9, comma 3, concernente "l'alternanza scuola-lavoro", evoca il
parametro di cui all'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., e
cioe' la materia di competenza esclusiva "norme generali
sull'istruzione", postulando altresi' che il predetto istituto e'
disciplinato dall'art. 4 della Legge n. 53 del 2003, premette, in
linea piu' generale, che detta competenza statale, in presenza di una
potesta' legislativa concorrente in materia di istruzione, non puo'
considerarsi come "ambito particolare e specifico, distinto e
contrapposto a quello dell'istruzione, nel quale qualunque normativa
regionale sia esclusa (. . .) ma piuttosto come specifica
attribuzione allo Stato del compito di dettare non solo i "principi
fondamentali" della materia (. . .) ma anche direttamente ed
operativamente l'ossatura di base del sistema dell'istruzione", e
cioe' le norme che disciplinano i cicli, le finalita', gli esami
finali, la durata, la liberta' di insegnamento "e altri istituti di
pari importanza". In tale quadro, dunque, la legislazione regionale
in materia di istruzione dovrebbe non solo presupporre le norme
statali che conformano direttamente il sistema, ma anche "riprenderle
ed attuarle", conseguendone che la lesione della competenza statale
"puo' predicarsi esclusivamente come contrasto con le norme generali
statali, e non come incompetenza per materia". In definitiva, ad
avviso della Regione, le norme generali sull'istruzione limitano la
competenza regionale "in quanto vi siano e in relazione al loro
contenuto", come gia' poteva ritenersi per il limite dell'interesse
nazionale nel precedente assetto costituzionale, sicche' la censura
sarebbe infondata in quanto non prospetta alcun contrasto con le
norme generali stesse.
In ogni caso, argomenta ancora la resistente, la disposizione
dell'art. 9, comma 3, non concreterebbe affatto una norma generale
sull'istruzione, limitandosi a prevedere, nell'ambito delle
competenze regionali, "uno strumento di raccordo" tra sistema
dell'istruzione - che in nessun caso viene disciplinato - ed il mondo
del lavoro, riprendendo in termini sintetici, senza discostarsene, il
contenuto dell'art. 4 della Legge delega n. 53 del 2003.
3.3. L'art. 17 non riguarderebbe le finalita' della scuola
dell'infanzia - che, nella prospettazione del ricorrente, queste sono
ricondotte alla competenza statale in materia di norme generali
sull'istruzione e alla disciplina dettata dall'art. 2, comma 1,
lettera e) della Legge n. 53 del 2003 - ma "le finalita' della
Regione e degli Enti locali nell'intervenire a favore della scuola
dell'infanzia" e cioe' finalita' di intervento che si ricollegano ai
principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. In
sostanza l'art. 17, oltre ad essere comunque coerente con l'evocato
art. 2 della legge delega del 2003, non esprimerebbe una norma
generale volta e definire il sistema dell'istruzione, bensi' una
modalita' organizzativa in attuazione dei predetti principi di ordine
costituzionale concernenti la persona e la famiglia.
La resistente rileva altresi' che, successivamente al ricorso, e'
intervenuto a disciplinare la materia il decreto legislativo del 19
febbraio 2004, n. 59, il cui art. 1, comma 1, nel definire contenuti
e finalita' della scuola dell'infanzia, risulta coerente con la
disposizione denunciata, cosi' da non potersi ritenere che, nel caso
di specie, la nuova disposizione statale abbia abrogato quella
regionale. Peraltro, se si ravvisasse un contrasto tra le due fonti,
si dovrebbe effettivamente reputare venuta meno la disposizione
regionale, con conseguente difetto di interesse alla sua
impugnazione.
3.4. La difesa regionale sostiene che la censura avverso l'art. 26,
comma 2, sinteticamente argomentata, si fondi su un fraintendimento
della disposizione, il cui significato non e' quello di "escludere o
restringere il passaggio tra i sistemi per gli studenti che
provengono da percorsi non integrati, ma semplicemente quello di
affermare che la migliore base per il riconoscimento e per reali (e
non solo teoriche) possibilita' di passaggio e' costituita
dall'integrazione dei sistemi".
3.5. Ad avviso della Regione, l'educazione degli adulti, di cui
all'art. 41 denunciato, non ha quale obiettivo il rilascio diretto di
titoli di studio, ma riguarda varie iniziative, talune fini a se
stesse (l'aumento delle conoscenze, lo sviluppo della personalita') e
senza collegamento al sistema dell'istruzione; altre aventi
l'obiettivo del "rientro nel sistema formale dell'istruzione e della
formazione professionale", ma senza incidere sui predetti sistemi. Ne
consegue che l'educazione degli adulti, lungi dell'essere un diverso
percorso di "istruzione", rappresenta piuttosto una attivita'
specificamente culturale e formativa, configurandosi come servizio
sociale, materia, questa, ascrivibile alla potesta' residuale delle
Regioni.
Peraltro, si osserva nella memoria, l'art. 41 riprende un istituto
previsto dalla legislazione statale (art. 1, comma 3, lettera l)
della Legge n. 53 del 2003) e il ricorso dello Stato non lamenta
alcun contrasto tra essa e le norme impugnate.
Infine, ad avviso della difesa regionale, la questione sarebbe
formulata in modo generico e perplesso, non comprendendosi se cio'
che e' contestato sia soltanto la "definizione" di cui al comma 1 o
anche i disposti dei commi 2 e 3, rispetto ai quali non vengono pero'
prospettati motivi di censura.
3.6. La Regione, rammentando che l'art. 44, comma 1, lettera c),
riguarda "i criteri per la definizione dell'organizzazione della rete
scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni
scolastiche", contesta che essa possa concernere la materia delle
norme generali sull'istruzione. A tal fine, si osserva nella memoria,
la normativa statale (art. 21, commi 3 e 4 della Legge 15 marzo 1997,
n. 59 e il relativo regolamento attuativo di cui al DPR 18 giugno
1998, n. 233) pone la disciplina sulle dimensioni delle scuole ai
fini dell'attribuzione ad esse della personalita' giuridica, mentre
la norma regionale "non collega specificamente la definizione dei
parametri dimensionali al riconoscimento delle scuole". In ogni caso
si tratterebbe di aspetti organizzativi e dunque rientranti
all'ambito dell'art. 117, terzo comma, Cost., sicche' sarebbe
legittima la legge regionale che "prevede e disciplina una funzione
amministrativa".
Secondo la resistente, sarebbe inoltre non pertinente il riferimento
ai "livelli unitari di fruizione del diritto allo studio", che
sembrerebbe evocare la competenza statale di cui all'art. 117, comma
2, lettera m), Cost., giacche' come risulta dallo stesso art. 1 del
DPR n. 233 del 1998, le finalita' del "dimensionamento ottimale"
delle scuole non riguardano i livelli essenziali del diritto allo
studio, che potrebbero rilevare soltanto rispetto all'unico fine "di
offrire alle comunita' locali una pluralita' di scelte, articolate
sul territorio, che agevolino l'esercizio del diritto
all'istruzione", nel senso di non porre limiti minimi rigidi che
potrebbero lasciare sprovviste di scuole vaste aree, scarsamente
abitate, con conseguente difficolta' per l'esercizio del diritto. Ma
questa stessa esigenza, soggiunge la Regione, "concorre a fondare la
competenza amministrativa regionale, nel senso che la definizione dei
parametri dimensionali deve tener conto delle particolarita'
regionali, in relazione alla densita' abitativa, all'eta' degli
abitanti, alle condizioni di viabilita', ecc." (art. 21, comma 3
della n. 59 del 1997); competenza, del resto, gia' prevista dall'art.
3, comma 1 del DPR n. 233 del 1998.
In definitiva, ad avviso della difesa regionale, la stessa normativa
statale gia' tiene conto dell'opportunita' che le dimensioni delle
scuole siano definite a livello locale e sarebbe "paradossale che,
dopo la riforma del Titolo V e l'attribuzione costituzionale alle
Regioni di competenza in materia di istruzione, venga contestata una
norma che ribadisce il sistema vigente"; in termini analoghi
peraltro, si sarebbe anche espressa questa Corte con la recente
sentenza n. 13 del 2004.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha proposto questione di
legittimita' costituzionale di talune disposizioni della legge della
Regione Emilia-Romagna 30 giugno 2003, n. 12 (Norme per l'uguaglianza
delle opportunita' di accesso al sapere, per ognuno e per tutto
l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e
della formazione professionale, anche in integrazione tra loro).
E' denunciato, anzitutto, l'art. 7, comma 5, il quale prevede che, ai
fini della qualificazione delle risorse umane "sono concessi assegni
di studio da destinare al personale della formazione professionale,
nonche' al personale della scuola che si avvalga del periodo di
aspettativa di cui all'art. 26, comma 14, Legge 23 dicembre 1998, n.
448". Secondo il ricorrente sarebbero violati gli artt. 117, terzo
comma, 3 e 97, primo comma, Cost., perche' l'incentivo previsto dalla
legge regionale altererebbe il principio fondamentale enunciato dalla
legge statale, secondo il quale e' consentito "un periodo di
aspettativa non retribuita della durata massima di un anno scolastico
ogni dieci anni". Verrebbe in tal modo a determinarsi una
irragionevole disparita' di trattamento tra i dipendenti scolastici e
sarebbe pregiudicato il buon andamento della pubblica
amministrazione.
Un'altra censura investe l'art. 9, comma 3, il quale disciplina
l'istituto dell'"alternanza scuola-lavoro", che avrebbe una valenza
generale e che rientrerebbe nella competenza in materia di norme
generali sull'istruzione, riservata allo Stato dall'art. 117, secondo
comma, lettera n), ed esercitata, nella specie, con l'art. 4 della
Legge 28 marzo 2003, n. 53 (delega al Governo per la definizione
delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), il
quale indica i principi e i criteri direttivi che il legislatore
statale delegato deve rispettare in tema di "alternanza
scuola-lavoro".
Analogamente si argomenta in relazione alle censure che riguardano
l'art. 17, che definisce le finalita' della scuola dell'infanzia, e
l'art. 41, che fornisce la definizione "dell'educazione degli adulti"
e delle relative attivita'. Anche in questi casi sarebbe violato
l'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., giacche', da un lato,
la finalita' dei percorsi del sistema dell'istruzione sarebbe oggetto
delle norme generali sull'istruzione, la' dove e' l'art. 2, comma 1,
lettera e), della citata legge n. 53 del 2003 ad occuparsi
specificamente della scuola dell'infanzia; dall'altro, l'educazione
degli adulti, finalizzata al rilascio di titoli di studio, atterrebbe
all'ambito dell'istruzione e la relativa definizione rientrerebbe
anch'essa nell'ambito riservato alla legislazione statale.
E' poi denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost, l'art. 26,
comma 2, che introduce nel sistema formativo norme in materia di
integrazione tra i sistemi dell'istruzione e della formazione
professionale, ledendo - secondo l'Avvocatura - il "diritto al
riconoscimento dei crediti ed al passaggio tra i sistemi per tutti
gli studenti che provengono da percorsi non integrati".
Viene infine censurato l'art. 44, comma 1, lettera c), il quale
stabilisce che il Consiglio regionale, su proposta della Giunta
regionale, approvi, tra l'altro, i "criteri per la definizione
dell'organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i parametri
dimensionali delle istituzioni scolastiche". Secondo il ricorrente,
anche nel caso di specie vi sarebbe la violazione della competenza
esclusiva statale a dettare le norme generali sull'istruzione.
2. Nessuna delle questioni sollevate con il ricorso e' fondata.
3. La pima denuncia investe l'art. 7, comma 5, nella parte in cui
prevede in favore del personale scolastico, che si avvalga del
periodo di aspettativa di cui all'art. 26, comma 14 della Legge n.
448 del 1998, la possibilita' di usufruire di assegni di studio alle
condizioni e secondo le modalita' definite con atto della Giunta
regionale, nell'ambito degli indirizzi approvati dal Consiglio
regionale. Ad avviso del ricorrente, la disposizione contrasterebbe
con gli artt. 117, terzo comma, 3 e 97, primo comma, Cost., giacche'
l'incentivo ivi previsto contravverrebbe al principio fondamentale
posto dal citato art. 26, comma 14, secondo cui "i docenti e i
dirigenti scolastici che hanno superato il periodo di prova possono
usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita della durata
massima di un anno scolastico ogni dieci anni"; per di piu', nella
prospettazione del ricorrente, si verrebbe a determinare anche una
disuguaglianza "fra situazioni identiche dei dipendenti scolastici,
disarticolando il buon andamento della pubblica Amministrazione".
La menzionata disposizione di legge statale, invocata come principio
fondamentale della materia dell'istruzione, introduce un'ulteriore
ipotesi di aspettativa in favore del personale scolastico che si
aggiunge a quelle gia' previste dall'art. 24 del contratto collettivo
nazionale di lavoro (CCNL) del 4 agosto 1995, ora riprodotto
dall'art. 18 del CCNL del 24 luglio 2003. Il comma 1 del citato art.
18 regola l'aspettativa per motivi di famiglia, rinviando a quanto
gia' stabilito dagli artt. 69 e 70 del DPR 10 gennaio 1957, n. 3. Il
successivo comma 2 prevede che l'aspettativa possa essere concessa
anche per motivi di studio, ricerca o dottorato, nonche' per
incarichi e per borse di studio, richiamando l'art. 453 del DLgs 16
aprile 1994, n. 297. Il comma 3 del medesimo art. 18 del CCNL 2003 si
occupa infine dell'aspettativa per un anno scolastico, a domanda e
senza assegni, per motivi di lavoro e cioe' "per realizzare,
nell'ambito di un altro comparto della pubblica amministrazione,
l'esperienza di una diversa attivita' lavorativa o per superare un
periodo di prova". E' in questo quadro normativo che si colloca
appunto l'art. 26, comma 14 della Legge n. 448 del 1998, il quale
facoltizza i docenti ed i dirigenti scolastici ad usufruire di un
periodo di aspettativa non retribuita della durata massima di un anno
scolastico ogni dieci anni, stabilendo che "per i detti periodi i
docenti e i dirigenti possono provvedere a loro spese alla copertura
degli oneri previdenziali".
L'aspettativa in esame, diversamente dagli altri casi, non e' dunque
vincolata ad una specifica finalita' (esigenze di famiglia, di studio
o di lavoro) e il personale scolastico (docente e dirigente) in ruolo
(e cioe' che abbia superato il periodo di prova) puo' usufruirne
senza allegare motivazione alcuna. Inoltre, rispetto alle ipotesi di
aspettativa per motivi di studio, in quella regolata dal comma 14
dell'art. 26, e' escluso che nell'anno di astensione lavorativa possa
godersi della retribuzione, sicche' il periodo trascorso in
aspettativa non puo' ascriversi a servizio d'istituto. Del reso, la
norma e' chiara nello stabilire che sono gli stessi beneficiari a
provvedere, ove lo ritengano, alla copertura degli oneri
previdenziali.
Il principio fondamentale che pone la disposizione di legge statale
e' quindi quello della facolta', concessa al personale scolastico
ogni dieci anni di servizio, di fruire di un periodo annuale di
aspettativa non retribuita, senza dover allegare alcun particolare
motivo.
Il censurato comma 5 dell'art. 7 della legge regionale n. 12 del 2003
non introduce una ulteriore fattispecie di aspettativa, ma prevede il
beneficio di assegni di studio, alle condizioni e con le modalita'
definite con atto della Giunta regionale, nell'ambito degli indirizzi
approvati dal Consiglio regionale, per il solo personale che, in
conformita' della normativa statale, si sia avvalso del periodo di
aspettativa di cui all'art. 26, comma 14 della Legge n. 448 del 1998.
Gli assegni non costituiscono in ogni caso retribuzione, ne' il
periodo di aspettativa puo' essere computato nel servizio di
istituto. Il fine della disposizione, come si desume dai commi che la
precedono (commi 1 e 2) e' soltanto quello di sostenere le
"attivvita' di qualificazione", "nel rispetto delle competenze
generali dello Stato in materia di formazione iniziale dei docenti
del sistema nazionale di istruzione e dei relativi titoli abilitanti,
nonche' delle materie riservate alla contrattazione".
In definitiva, la finalita' di elevazione professionale del personale
scolastico viene perseguita dalla norma censurata senza scalfire il
principio fondamentale invocato dallo Stato. Inoltre poiche' la
disciplina dell'aspettativa posta dall'art. 26, comma 14 della Legge
n. 448 del 1998, continua a trovare applicazione nei confronti di
tutto il personale docente e dirigente della scuola, e' da escludere
che la disposizione denunciata contrasti con i principi di
eguaglianza e di buon andamento della pubblica Amministrazione.
4. E' poi censurato l'art. 9, comma 3 che riguarda l'istituto
dell'"alternanza scuola-lavoro", definito come "modalita' didattica,
non costituente rapporto di lavoro, realizzata nell'ambito dei
percorsi di istruzione o di formazione professionale, anche
integrati, quale efficace strumento di orientamento, preparazione
professionale e inserimento nel mondo del lavoro".Secondo
l'Avvocatura, la disposizione violerebbe l'art. 117, secondo comma,
lettera n), Cost., giacche' l'istituto dell'"alternanza
scuola-lavoro" avrebbe portata generale e dovrebbe formare oggetto
delle norme generali sull'istruzione, conformandosi, in particolare,
all'art. 4 della Legge 28 marzo 2003, n. 53.
In effetti, e' proprio con l'articolo teste' citato che e' stata
dettata la disciplina generale dell'istituto dell'"alternanza
scuola-lavoro", rivolto agli studenti che hanno compiuto il
quindicesimo anno di eta' e dunque ancora in obbligo scolastico,
giacche' rimane fermo quanto gia' previsto dall'art. 18 della Legge
24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione
dell'occupazione) e cioe' l'"alternanza tra studio e lavoro",
attraverso iniziative di tirocini pratici e stages, a favore di
soggetti che hanno gia' assolto l'obbligo scolastico.
L'"alternanza scuola-lavoro" e', come si afferma nel menzionato art.
4, "modalita' di realizzazione del percorso formativo progettata,
attuata e valutata dall'istituzione scolastica e formativa in
collaborazione con le imprese, con le rispettive associazioni di
rappresentanza e con le camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, che assicuri ai giovani, oltre alla conoscenza di base,
l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro". Per
la sua realizzazione e' prevista, appunto, l'alternanza di periodi di
studio e di lavoro, sotto la responsabilita' dell'istituzione
scolastica o formativa, attraverso convenzioni da stipularsi con
soggetti appartenenti al settore produttivo o con Enti pubblici e
privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, "disponibili ad
accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non
costituiscono rapporto individuale di lavoro". Si stabilisce,
inoltre, che "le istituzioni scolastiche, nell'ambito dell'alternanza
scuola-lavoro, possono collegarsi con il sistema dell'istruzione e
della formazione professionale ed assicurare, a domanda degli
interessati e d'intesa con le Regioni, la frequenza negli istituti
d'istruzione e formazione professionale di corsi integrati che
prevedano piani di studio progettati d'intesa fra i due sistemi,
coerenti con il corso di studio e realizzati con il concorso degli
operatori di ambedue i sistemi".
Dalle disposizioni sommariamente passate in rassegna emerge con
chiarezza come l'"alternanza scuola-lavoro", secondo l'aspirazione
della legge di delegazione n. 53 del 2003, che peraltro riprende in
parte principi gia' presenti nella precedente legislazione (la citata
Legge n. 196 del 1997, l'art. 68 della Legge del 17 maggio 1999 n.
144 e la Legge del 10 febbraio 2000, n. 30, poi abrogata dalla stessa
legge di delegazione), costituisca uno degli elementi centrali del
sistema integrato istruzione/formazione professionale, in armonia con
orientamenti invalsi in ambito comunitario, nel quale si e' andata
rafforzando sempre piu' una politica indirizzata alla
riqualificazione dell'istruzione e della formazione professionale
quale fattore di sviluppo e di coesione sociale ed economica (da
ultimo si veda la risoluzione del Parlamento Europeo sulla
comunicazione della Commissione sul progetto di programma di lavoro
dettagliato per il seguito alla relazione circa gli obiettivi
concreti dei sistemi di istruzione e formazione, 6 febbraio 2002).
Non e' un puro accidente se fra i tre obiettivi prioritari dei fondi
strutturali europei vi sia proprio quello di "favorire l'adeguemento
e l'ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione,
formazione e occupazione" (art. 1 del regolamento CE 1260 del 1999).
In questo quadro piu' generale la norma denunciata, lungi dal
contrastatre con quanto stabilito dalla legge statale, si limita a
ripeterne sinteticamente il contenuto definitorio, senza porre
principi o regole ulteriori. L'art. 9, comma 3 della legge regionale
n. 12 del 2003 non intende, dunque, mettere in discussione la
competenza statale nel definire gli istituti generali e fondamentali
dell'istruzione, i quali vengono soltanto assunti a base della
legislazione regionale, come, del resto, e' reso esplicito dall'art.
1, comma 2 della medesima legge regionale, secondo il quale la
Regione assume "l'ordinamento nazionale dell'istruzione a fondamento
della presente legge e indirizza le proprie azioni alla
qualificazione nel territorio regionale del sistema nazionale di
istruzione, ed in particolare della scuola pubblica, come definitivo
dalla legislazione nazionale".5. Sono denunciati gli artt. 17 e 41,
concernenti, rispettivamente, le "finalita' della scuola
dell'infanzia" e la definizione "dell'educazione degli adulti". Anche
nei casi ora all'esame, come in quello appena scrutinato, e' dedotta
la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.,
sebbene le censure non prospettino un contrasto diretto tra le
disposizioni impugnate e quelle dettate dallo Stato quali norme
generali sull'istruzione.
Le censure sono pero' infondate in base a considerazioni analoghe a
quelle svolte al punto 4.
5.1. Quanto alla denuncia dell'art. 17, la norma statale evocata nel
ricorso e' l'art. 2, comma 1, lettera e) della Legge delega n. 53 del
2003, con cui si delinea il percorso formativo della scuola
dell'infanzia, di durata triennale, come volto "all'educazione e allo
sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e
sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialta' di
relazione, autonomia, creativita', apprendimento, e ad assicurare
un'effettiva eguaglianza delle opportunita' educative". La medesima
disposizione precisa, altresi', che la scuola dell'infanzia
contribuisce, nel rispetto della primaria responsabilita' educativa
dei genitori, "alla formazione integrale delle bambine e dei bambini
e, nella sua autonomia e unitarieta' didattica e pedagogica, realizza
la continuita' educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e
con la scuola primaria". Definizioni e finalita', queste, che si
ritrovano, del resto, anche nell'art. 1 del successivo DLgs 19
febbraio 2004, n. 59, recante "Definizione delle norme generali
relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione,
a norma dell'art. 1 della Legge 28 marzo 2003, n. 53". Ne' e' senza
rilievo, d'altronde che la stessa Legge n. 53 de 2003, all'art. 2,
lettera d), richiami anche per la scuola dell'infanzia il concetto di
sistema educativo composto dall'istruzione e dalla formazione.
Nel contesto descritto, la disposizione denunciata non fa altro che
modularsi su quanto gia' disciplinato dalla legge statale, senza
porre in discussione la competenza dello Stato nel definire gli
istituti generali e fondamentali sull'istruzione, che come tali, sono
assunti a base della legislazione regionale, volta a perseguire la
generalizzazione della scuola dell'infanzia "anche tramite mezzi
propri, aggiuntivi a quelli statali, destinati in particolare
all'estensione dell'offerta scolastica e alla sua qualificazione, per
promuovere le potenzialita' di autonomia, creativita', apprendimento
dei bambini e per assicurare un'effettiva uguaglianza delle
opportunita' educative". Ove, poi, nel comma 2 dello stesso art. 17
vengono specificamente rammentate le finalita' di tale percorso
formativo, nessun contrasto e' dato ravvisare rispetto alla Legge di
delega n. 53 - e del resto esso neanche viene dedotto dal ricorrente
- giacche' la norma sottoposta a scrutinio ne assume i contenuti
stabilendo che la scuola dell'infanzia "concorre all'educazione e
allo sviluppo del bambino nel rispetto delle identita' individuali,
culturali e religiose".
In definitiva, l'art. 17 si propone non gia' di fornire la
definizione del percorso della scuola dell'infanzia, bensi' di
predisporre, nell'ambito di quanto stabilito dalla legge statale e in
forza delle competenze regionali in materia di istruzione, interventi
a supporto di un'offerta formativa in un settore, quale e' quello
dell'istruzione per l'infanzia, nel quale sono piu' che mai
direttamente coinvolti i principi costituzionali che riguardano
l'educazione e la formazione del minore (artt. 2, 29, 30 e 31
Cost.).
5.2. Quanto alla censura che investe l'art. 41 sulla "educazione
degli adulti", va osservato che la Legge delega del 2003 prevede
genericamente, all'art. 2, comma 1, lettera a), che "e' promosso
l'apprendimento in tutto l'arco della vita e sono assicurate a tutti
pari opportunita' di raggiungere elevati livelli culturali e di
sviluppare le capacita' e le competenze, attraverso conoscenze e
abilita', generali e sepcifiche, coerenti con le attitudini e le
scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel
mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali,
nazionale ed europea".
In tale ambito si innesta la legge regionale impuganta che, con
l'art. 40, rende palese la finalita' del suo intervento, rivolto a
promuovere "l'apprendimento delle persone per tutta la vita, quale
strumento fondamentale per favorirne l'adattabilita' alle
trasformazioni dei saperi nella societa' della conoscenza, nonche'
per evitare l'obsolescenza delle competenze ed i rischi di
emarginazione sociale" (comma 1); stabilendo a questo fine che un
tale apprendimento si viene a realizzare "nei sistemi dell'istruzione
e della formazione professionale, nel lavoro e nell'educazione non
formale attraverso offerte flessibili e diffuse sul territorio,
nonche' con il ricorso alla formazione a distanza ed alle tecnologie
innovative". E' poi il denunciato art. 41, nel solco di quanto gia'
genericamente previsto dalla disciplina statale, a specificare i
contenuti dell'"educazione degli adulti", che ricomprende le
"opportunita' formative formali e non formali, rivolte alle persone,
aventi per obiettivo l'acquisizione di competenze personali di base
in diversi ambiti, di norma certificabili, e l'arricchimento del
patrimonio culturale". E tramite siffatto percorso formativo si
intende favorire: "a) il rientro nel sistema formale dell'istruzione
e della formazione professionale; b) la diffusione e l'estensione
delle conoscenze; c) l'acquisizione di specifiche competenze connesse
al lavoro o alla vita sociale; d) il pieno sviluppo della
personalita' dei cittadini". A cio' si aggiunge, inoltre, il sostegno
alle "iniziative di recupero e di reinserimento nel percorso
scolastico e formativo di tutti coloro che non hanno conseguito la
licenza media" (comma 3).
La normativa teste' richiamata si pone in linea, dunque, con le
finalita' individuate dalla Legge delega del 2003 ed altresi' con
quelle prefigurate in ambito comunitario dal Consiglio Europeo di
Lisbona del marzo 2000 e, successivamente, precisate dalla relazione
del Consiglio (Istruzione) sugli obiettivi futuri e concreti dei
sistemi di istruzione e di formazione, del 14 febbraio 2001, nella
quale si evidenzia, tra l'altro, la necessita' di un "apprendimento
lungo tutto l'arco della vita attraverso i tradizionali percorsi di
istruzione e formazione o nel quadro dell'apprendimento basato sul
lavoro". Ed e' in tale contesto che vine appunto a collocarsi il
denunciato art. 41, la cui disciplina, senza contrastare con quanto
stabilito dalla legge statale, si muove sul versante del sostegno
all'acquisizione e al recupero di conoscenze necessarie o utili per
il reinserimento sociale e lavorativo e, dunque, in un ambito
riconducibile a quello affidato alla competenza regionale in materia
di istruzione e formazione professionale.
6. Con la denuncia dell'art. 26, comma 2, si prospetta la violazione
dei principi di egualiganza e di buon andamento della pubblica
Amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.), giacche' la disposizione,
nell'introdurre nel sistema formativo norme in materia di
integrazione tra i sistemi dell'istruzione e formazione
professionale, recherebbe la lesione "del diritto al riconoscimento
dei crediti ed al passaggio tra i sistemi per tutti gli studenti che
provengono da percorsi non integrati".
Per meglio comprendere il senso della censura e' opportuno rammentare
che l'art. 26 della legge regionale n. 12 del 2003, inserito nella
Sez. III, rubricata "Integrazione fra l'istruzione e la formazione
professionale", stabilisce, al comma 1, che: "Nel quadro del sistema
formativo, al fine di realizzare un positivo intreccio tra
apprendimento teorico e applicazione concreta, tra sapere, saper
fare, saper essere e sapersi relazionare, di sostenere lo sviluppo
della cultura tecnica, scientifica e professionale, nonche' di
consentire l'assolvimento dell'obbligo formativo di cui all'art. 68
della Legge 17 maggio 1999, n. 144 (. . .), la Regione e gli enti
locali promuovono l'integrazione tra l'istruzione e la formazione
professionale attraverso interventi che ne valorizzano gli specifici
apporti". A questo fine il denunciato comma 2 dispone: "Tale
integrazione rappresenta la base per il reciproco riconoscimento dei
crediti e per reali possibilita' di passaggio da un sistema all'altro
al fine di favorire il completamento e l'arricchimento dei percorsi
formativi per tutti".
L'integrazione tra istruzione e formazione professionale e' pero'
oggetto, a sua volta, della disciplina recata dalla Legge n. 53 del
2003, all'art. 2, lettere c), g), h) ed i).
Cio' posto, va osservato che la censura dello Stato, pur non evocando
una lesione del riparto delle attribuzioni ed anzi presupponendo che
in materia sussista comunqe la competenza legislativa regionale,
tuttavia muove, implicitamente ma con evidenza, dall'asserito
contrasto della norma regionale impugnata con quanto previsto in
materia dalla Legge delega del 2003. E difatti la norma generale
sull'istruzione dettata dallo Stato (art. 2, lettera i), e' che,
essendo assicurata la possibilita' di cambiare indirizzo all'intero
del sistema dei licei, nonche' di passare dal sistema dei licei al
sistema dell'istruzione e della formazione professionale, e
viceversa, "la freqenza positiva di qualsiasi segmento del secondo
ciclo comporta l'acquisizione di crediti certificati che possono
essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi
eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi di cui
alle lettere g) e h)". Ed e' sempre la normativa statale, di rango
regolamentare, sebbene da adottarsi con l'intesa delle Regioni, a
definire gli standard minimi formativi, richiesti per la
spendibilita' nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito
dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi dai percorsi formativi
ai percorsi scolastici (si veda l'art. 7, comma 1, lettera c) della
Legge n. 53 del 2003).
Proprio alla luce di quanto evidenziato e' da escludersi che il
significato della disposizione regionale denunciata sia quello di
inibire o rendere piu' difficile il passaggio tra i sistemi di
istruzione e formazione professionale agli studenti che provengono da
percorsi non integrati. L'art. 26, comma 2, inserendosi coerentemente
nel corpo della legge regionale n. 12 del 2003, non postula che
soltanto all'interno del sistema integrato sussista il riconoscimento
di crediti, ne' preclude l'adesione al sistema integrato a chiunque
sia in possesso dei requisiti necessari. Il senso da ascriversi alla
norma e' soltanto quello di individuare, come base preferibile per il
riconoscimento e per reali, e non solo teoriche, possibilita' di
passaggio, proprio l'istituto dell'integrazione dei sistemi, senza
percio' eliminare altre forme legali di riconoscimento e,
specialmente, di crediti.
La disposizione denunciata si sottrate, dunque, alla censura mossa
con il ricorso.
7. Infondata e' anche l'ultima censura, quella che investe l'art. 44,
comma 1, lettera c), il quale, nello stabilire che il Consiglio
regionale, su proposta della Giunta regionale, approvi, tra l'altro,
i "criteri per la definizione dell'organizzazione della rete
scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni
scolastiche", si porrebe in contrasto con l'art. 117, secondo comma,
lettera n), Cost. Infatti, ad avviso del ricorrente, anche la
disciplina concernente criteri, metodi e presupposti, per riconoscere
ed attuare l'autonomia delle istituzioni scolastiche, "non potendo
disgiungersi dal fine di assicurare comunque livelli unitari di
fruizione del diritto allo studio ed individuare elementi comuni al
sistema scolastico nazionale", rientrerebbe tra le norme generali
sull'istruzione.Come gia' affermato da questa Corte con la sentenza
n. 13 del 2004, l'ampio decentramento delle funzioni amministrative
delineato dalla Legge del 15 marzo 1997, n. 59 ed attuato con il
decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 112, ha visto delegare
importanti e nuove funzioni alle Regioni, fra cui anzitutto quelle di
programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e
formazione professionale (art. 138, comma 1, lettera a), e di
programmazione della rete scolastica (art. 138, comma 1, lettera b).
Ed e' in tal quadro che il DPR del 18 giugno 1998,n. 233 ha disposto,
all'art. 3, comma 1, che: "I piani di dimensionamento delle
istituzioni scolastiche previsti dall'art. 21, comma 4 della Legge 15
marzo 1997, n. 59, al fine dell'attribuzione dell'autonomia e
personalita' giuridica, sono definiti in conferenze provinciali di
organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di
programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti
territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni".
Sicche', proprio alla luce del fatto che gia' la normativa
antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza
regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni
scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione
scolastica di cui all'art. 138 del DLgs n. 112 del 1998, e' da
escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 "abbia voluto
spogliare le Regioni di una funione che era gia' ad esse conferita"
(cosi' ancora la sentenza n. 13 del 2004).
Contrariamente quindi a quanto dedotto con la censura, la
disposizione denunciata e' da ascriversi all'esercizio della
competenza legislativa concorrente della Regione in materia di
istruzione, riguardando in particolare il settore della
programmazione scolastica.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
degli artt. 7, comma 5; 9, comma 3; 17; 26, comma 2; 41 e 44, comma
1, lettera c), della Legge della Regione Emilia-Romagna 30 giugno
2003, n. 12 (Norme per l'uguaglianza delle opportunita' di accesso al
sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il
rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche
in integrazione tra loro), sollevate dal Presidente del Consiglio dei
Ministri, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, secondo comma,
lettera n), e terzo comma, Cost. e in relazione ai principi
fondamentali dettati dallo Stato nella materia dell'istruzione, con
il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 12 gennaio 2005.
IL PRESIDENTE E REDATTORE IL CANCELLIERE
Carlo Mezzanotte Giuseppe Di Paola
Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2005.