COMUNICATO
SENTENZA 23 febbraio 2004, n. 73
CORTE COSTITUZIONALE
Sentenza n. 73 del 23 febbraio 2004 nel giudizio di legittimita'
costituzionale degli articoli 7 e 22 della Legge della Regione
Emilia-Romagna del 19 dicembre 2002, n. 37, recante "Disposizioni
regionali in materia di espropri, promosso con ricorso del Presidente
del Consiglio dei Ministri, notificato il 18 febbraio 2003,
depositato in Cancelleria il 27 successivo ed iscritto al n. 13 del
Registro Ricorsi 2003
La Corte Costituzionale composta dai signori:
dott. Gustavo Zagrebelsky - Presidente; dott. Valerio Onida, dott.
Carlo Mezzanotte, dott.ssa Fernanda Contri, dott. Guido Neppi Modona,
dott. Piero Alberto Capotosti, dott. Annibale Marini, dott. Franco
Bile, dott. Giovanni Maria Flick, dott. Francesco Amirante, dott. Ugo
De Siervo, dott. Romano Vaccarella, dott. Paolo Maddalena, dott.
Alfio Finocchiaro, giudici
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
udito nell'udienza pubblica dell'11 novembre 2003 il Giudice relatore
Ugo De Siervo;
uditi l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del
Consiglio dei Ministri e l'avvocato Giandomenico Falcon per la
Regione Emilia-Romagna.
RITENUTO IN FATTO
1) Con ricorso notificato il 18 febbraio, e depositato il 27 febbraio
2003 e iscritto al n. 13 del Registro Ricorsi 2003, il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello
Stato, ha impugnato gli articoli 7 e 22 della Legge della Regione
Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in
materia di espropri) per violazione dell'art. 120, secondo comma,
della Costituzione e dell'art. 117, secondo comma, lettere l) e m), e
terzo comma della Costituzione.
Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata, al fine di
armonizzare la legislazione regionale in materia di pianificazione
territoriale e urbanistica con la disciplina di cui al DPR 8 giugno
2001, n. 327 (Testo Unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita'), ha
dettato un complesso di norme volte a regolare le procedure per
l'acquisizione di immobili o di diritti relativi ad immobili per
l'esecuzione, nel territorio regionale, di opere ed interventi
pubblici o di pubblica utilita'.
La legge regionale, dopo aver conferito ai Comuni le funzioni
amministrative per i procedimenti di espropriazione per la
realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilita' di competenza
regionale (art. 6), dispone, all'art. 7, che in caso di inerzia dei
Comuni nel compimento di un atto loro spettante, la Giunta assegna
all'ente un termine per provvedere, non inferiore a 15 giorni e che,
trascorso inutilmente tale termine, "la Giunta assume i provvedimenti
necessari per il compimento dell'atto, ivi compresa la nomina di un
commissario ad acta".
Tale previsione, secondo la difesa erariale, contrasterebbe con
l'art. 120 della Costituzione, che riserva al Governo il potere
sostitutivo, secondo procedure definite con legge che salvaguardi i
principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione. Ad avviso
dell'Avvocatura, se la titolarita' del potere sostitutivo e' del
Governo, la legge cui l'art. 120 della Costituzione demanda la
disciplina delle modalita' di esercizio di tale potere non potrebbe
che essere una legge statale. Il potere sostitutivo della Regione nei
confronti del Comune, pur teoricamente ammissibile, necessiterebbe,
dunque, della mediazione di un atto normativo dello Stato. L'art. 7
della legge regionale impugnata, nell'attribuire alla Regione il
potere di sostituirsi al Comune, violerebbe la riserva di legge
statale posta dalla Costituzione.
2) L'Avvocatura dello Stato censura inoltre l'art. 22 della L.R. n.
37 del 2002, la quale - sotto la rubrica "edificabilita' di fatto" -
dispone che, salva la necessita' della edificabilita' legale, un'area
possiede anche i caratteri della edificabilita' di fatto quando sono
gia' presenti o in corso di realizzazione, nell'ambito territoriale
cui l'area stessa inerisce, le dotazioni territoriali richieste dalla
legge o dagli strumenti urbanistici.
Premette la difesa erariale che l'espropriazione per pubblica
utilita' e il relativo indennizzo atterrebbero al regime
costituzionale della proprieta', quale delineato dall'art. 42 della
Costituzione, dunque alla materia dell'ordinamento civile, la cui
disciplina e' riservata alla legislazione esclusiva statale.
L'art. 22 sarebbe volto a dare rilevanza, ai fini della
determinazione dell'indennita' di esproprio, anche alla
edificabilita' di fatto, in contrasto con il diritto vivente
formatosi sull'art. 5-bis del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333
(Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), che
riconosce alla edificabilita' di fatto valore meramente sussidiario,
cioe' solo in assenza dello strumento urbanistico.
Anche laddove l'art. 22 dovesse intendersi nel senso di richiedere la
compresenza della edificabilita' legale e della edificabilita' di
fatto, esso contrasterebbe con il diritto vivente che ritiene
sufficiente la sola edificabilita' legale per conferire ad un'area il
carattere della edificabilita'.
Sotto tale profilo la norma censurata, riconoscendo valore anche alla
edificabilita' di fatto e dunque introducendo un "tertium genus" nel
regime dei suoli, violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettere l) e
m) della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza
esclusiva a disciplinare l'ordinamento civile (nel cui ambito
rientrano la proprieta' privata e la qualificazione giuridica dei
beni che ne sono oggetto) e le prestazioni concernenti i diritti
civili, tra cui rientrerebbe l'uniforme applicazione dei criteri per
la determinazione dell'indennita' di esproprio.
Tali parametri, ed in particolare l'art. 117, secondo comma, lettera
m), sarebbero violati anche per il fatto che l'art. 22 individua i
requisiti per la edificabilita' di fatto. In base alla normativa
vigente - art. 5-bis del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 e art.
37, commi 5 e 6 del DPR n. 327 del 2001 - la definizione di tali
criteri sarebbe rimessa ad un decreto del Ministro delle
Infrastrutture, da emanarsi ai sensi dell'art. 17 della Legge n. 400
del 1988 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri), per esigenze di unificazione
della disciplina in tema di determinazione dell'indennita' di
esproprio.
Sostiene infine l'Avvocatura che, anche a voler ritenere che la
individuazione dei criteri per la definizione dell'edificabilita' di
fatto rientri nella materia del "governo del territorio", l'art. 22
violerebbe l'art. 117, terzo comma della Costituzione, in quanto
darebbe rilievo alle previsioni degli strumenti urbanistici in
dispregio dei principi fondamentali dettati o da desumersi da un atto
di normazione statale.
3) Si e' costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato inammissibile e infondato.
Nella successiva memoria depositata in data 29 ottobre 2003, la
Regione da' preliminarmente atto che l'art. 7, il quale disponeva che
"in caso di persistente inerzia nel compimento di un atto spettante
ai soggetti di cui all'articolo 6, comma 1, nell'esercizio delle
funzioni conferite, la Giunta regionale assegna all'ente medesimo un
termine per provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni" e
che "trascorso inutilmente tale termine, la Giunta assume i
provvedimenti necessari per il compimento dell'atto, ivi compresa la
nomina di un commissario ad acta", e' stato modificato dall'art. 21
della legge regionale 3 giugno 2003, n. 10 (Modifiche alle leggi
regionali 24 marzo 2000, n. 20, 8 agosto 2001, n. 24, 25 novembre
2002, n. 31 e 19 dicembre 2002, n. 37 in materia di governo del
territorio e politiche abitative). A seguito di tale modifica, la
norma risulta adesso cosi' formulata: "Per le opere pubbliche
regionali, in caso di persistente inerzia del Comune o del soggetto
attuatore nel compimento degli atti del procedimento espropriativi ad
esso spettanti ai sensi degli articoli 6 e 6- bis, la Giunta
regionale assegna all'ente medesimo un termine per provvedere,
comunque non inferiore a quindici giorni. Trascorso inutilmente tale
termine, la Giunta assume i provvedimenti necessari per il compimento
dell'atto, ivi compresa la nomina di un commissario ad acta".
In merito alle censure formulate nel ricorso e concernenti l'art. 7
della legge regionale n. 37 del 2002, la Regione osserva come la
soluzione del dubbio di costituzionalita' dipenda dalla
interpretazione che si ritenga di dare all'art. 120 della
Costituzione, invocato quale parametro nel ricorso introduttivo, e in
particolare, "se essa esaurisca le possibilita' di interventi
sostitutivi nei confronti degli enti locali oppure se, accanto ai
poteri sostitutivi esercitabili dal Governo a garanzia degli speciali
valori costituzionali indicati nella disposizione, altri ve ne
possano essere, in particolare a garanzia dell'effettivo esercizio
delle funzioni pubbliche affidate agli enti locali". La difesa
regionale ritiene preferibile la seconda delle soluzioni appena
citate, e cio' in quanto "la possibilita' di una sostituzione di
organi regionali in caso di non esercizio di una funzione che la
stessa legge regionale affida all'ente locale o che essa comunque
disciplina, non solo non contraddirebbe alcuna disposizione
costituzionale, ma sarebbe coerente con il complessivo sistema del
decentramento".
Peraltro sostiene la Regione - la stessa Avvocatura dello Stato
ritiene, in linea di principio, ammissibile un intervento sostitutivo
nei confronti degli enti locali operato dalla Regione: solo che
sarebbe necessaria - in virtu' della riserva di legge di cui all'art.
120 della Costituzione - la interpositio della legge statale. Secondo
la difesa regionale pero', sarebbe contraddittorio ritenere che
l'art. 120, che concerne il potere sostitutivo del Governo in
presenza di determinati presupposti, possa legittimare lo Stato a
regolare il differente fenomeno dei poteri sostitutivi della Regione
nei confronti degli enti locali, da attivarsi in ipotesi ulteriori. A
sostegno di tali affermazioni la Regione Emilia-Romagna cita la
recente decisione della Corte Costituzionale n. 313 del 2003, nella
parte in cui afferma che, ove dovesse ritenersi costituzionalmente
ammissibile un potere sostitutivo delle Regioni nei confronti degli
enti locali, "occorrerebbe un procedimento definito dalla legge,
adottata secondo l'ordine delle competenze rispettivamente statali e
regionali fissato dalla Costituzione" ed individua i presupposti in
presenza dei quali una legge regionale puo' legittimamente prevedere
un potere sostitutivo nei confronti degli enti locali. La legge
regionale censurata, secondo la resistente, rispetterebbe ante
litteram tali requisiti, in quanto attribuirebbe l'esercizio del
potere sostitutivo regionale alla competenza della Giunta regionale,
e lo subordinerebbe alla sussistenza di una "persistente inerzia" ed
alla previa diffida dell'ente locale.
In relazione all'art. 22 della legge regionale impugnata, la Regione
ritiene che, contrariamente a quanto affermato nel ricorso dalla
difesa erariale, la disposizione non "renderebbe sufficiente
l'edificabilita' di fatto" ai fini della determinazione della
indennita' di esproprio in quanto essa sarebbe "chiarissima nel
mantener ferma la necessita' dell'edificabilita' legale". Anzi, la
norma regionale sarebbe volta proprio a "prevenire quei dubbi
interpretativi che sono sorti in relazione alla disposizione statale,
come testimoniano le numerose sentenze con cui la Cassazione e'
dovuta intervenire ad affermare la necessita' dell'edificabilita'
legale per l'applicazione dell'art. 5-bis, comma 1 del DL n. 333 del
1992".
L'art. 22 non potrebbe essere interpretato neppure nel senso di
ritenere necessaria la compresenza della edificabilita' legale e
dell'edificabilita' di fatto. La norma, infatti, non si pronuncerebbe
"ne' sulla necessaria presenza di entrambi gli elementi ne' sulla
sufficienza dell'edificabilita' legale, come del resto non si
pronuncia su cio' la legge statale". Peraltro, sostiene la Regione,
l'interpretazione dell'art. 5-bis piu' sopra citato non sarebbe
affatto univoca nel ritenere sufficiente la sussistenza
dell'edificabilita' legale, esistendo viceversa numerose decisioni
che richiedono anche la compresenza dell'edificabilita' di fatto. In
ogni caso, la stessa normativa statale - sia l'art. 5-bis del DL n.
333 del 1992, sia l'art. 37 del DPR n. 327 del 2001 -
prescriverebbero di valutare le possibilita' sia legali sia effettive
di edificare.
Sarebbe necessario allora, ad avviso della difesa regionale, valutare
i requisiti relativi alla edificabilita' di fatto individuati dalla
normativa statale. L'art. 37, comma 5 del DPR n. 327 del 2001 rinvia
tale individuazione ad un regolamento ministeriale; e secondo
l'Avvocatura dello Stato tale norma risponderebbe alla esigenza di
uniformita' della disciplina concernente il punto de quo: e a cio'
corrisponderebbe la violazione, causata dalla legge regionale
impugnata, dell'art. 117, secondo comma, lettera m) della
Costituzione. Al riguardo, la Regione anzitutto osserva come il
Regolamento ministeriale non risulti ancora adottato; in secondo
luogo, evidenzia come - a seguito della modifica del Titolo V della
Parte II della Costituzione - la previsione di un Regolamento
ministeriale in materia di competenza regionale sia del tutto
inammissibile. Conseguentemente, l'art. 37, comma 5 del DPR n. 327
del 2001 dovrebbe ritenersi abrogato dalla Legge Costituzionale n. 3
del 2001 (in quanto la norma era comunque gia' esistente al momento
dell'entrata in vigore di quest'ultima); e nel caso in cui non lo si
volesse considerare abrogato, sarebbe senz'altro da reputare
incostituzionale.
Quanto poi all'asserito contrasto della norma regionale con i
principi fondamentali della legge dello Stato, la censura sarebbe
inammissibile perche' generica, mancando l'indicazione dei principi
che si assumono violati.
In ogni caso, conclude la Regione, la definizione della
edificabilita' di fatto contenuta nell'art. 22 non contrasterebbe ne'
con l'art. 5-bis del DL n. 333 del 1992, che non specifica tale
nozione, ne' con la definizione contenuta nell'art. 37, comma 6 del
DPR n. 327 del 2001. In definitiva la norma regionale impugnata non
solo non sarebbe illegittima, ma anzi contribuirebbe a chiarire e a
dare maggiore certezza giuridica alle norme statali.
4) Anche l'Avvocatura generale dello Stato, in prossimita'
dell'udienza, ha depositato una memoria nella quale si ribadiscono le
argomentazioni gia' esposte in sede di ricorso introduttivo a
sostegno della incostituzionalita' della norma regionale impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1) Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge regionale
dell'Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali
in materia di espropri), per violazione dell'art. 120, secondo comma
della Costituzione.
La difesa erariale ritiene che l'art. 7 della legge regionale - il
quale prevede un intervento sostitutivo della Regione nei confronti
dei Comuni per il caso di persistente inerzia nel compimento di un
atto loro spettante - violi l'art. 120, secondo comma della
Costituzione, il quale conferisce la titolarita' del potere
sostitutivo al Governo, e demanda la disciplina delle modalita' di
esercizio di tale potere ad una legge statale.
Nel ricorso si censura inoltre l'art. 22 della legge regionale n. 37
del 2002, in relazione all'art. 117, secondo comma, lettere l) e m),
della Costituzione. Sostiene l'Avvocatura che la norma regionale, nel
disciplinare l'edificabilita' di fatto di un'area, riconoscerebbe a
tale carattere un valore non meramente sussidiario ai fini della
determinazione dell'indennita' di espropriazione. In tal modo la
norma inciderebbe sul regime della proprieta' e della qualificazione
giuridica dei terreni, la cui disciplina e' riservata alla potesta'
legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile,
nonche' sulla uniforme applicazione dei criteri di determinazione
dell'indennizzo espropriativo, anch'essa riservata alla potesta'
statale, attenendo alla materia delle prestazioni concernenti i
diritti civili che devono essere garantiti uniformemente su tutto il
territorio nazionale.
L'art. 22, inoltre, contrasterebbe con l'art. 117, secondo comma,
lettera m), anche nella parte in cui individua i requisiti della
edificabilita' di fatto, dal momento che sarebbe compito esclusivo
della legislazione statale salvaguardare le esigenze di uniformita'
di disciplina degli effetti sulla determinazione dell'indennita' di
esproprio.
Infine, la disposizione impugnata contrasterebbe con l'art. 117,
terzo comma della Costituzione, in quanto assegnerebbe rilevanza alle
previsioni degli strumenti di pianificazione urbanistica in dispregio
dei principi fondamentali "dettati o da desumersi" da un atto di
legislazione statale ai fini della determinazione dell'edificabilita'
di fatto delle aree.
2) Prima di affrontare nel merito le censure mosse dal ricorrente
avverso l'art. 7 della legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 37 del
2002, e' necessario richiamare l'assetto costituzionale dei poteri
sostitutivi, sui quali questa Corte ha di recente avuto modo di
soffermarsi nella sentenza n. 43 del 2004.
Come si e' messo in luce in tale decisione, i poteri che comportano
la sostituzione nel compimento di atti di organi di un ente
rappresentativo ordinariamente competente da parte di organi di un
altro ente, ovvero la nomina da parte di questi ultimi di organi
straordinari dell'ente "sostituito" per il compimento degli stessi
atti, concorrono a configurare e a limitare l'autonomia dell'ente nei
cui confronti opera la sostituzione, e devono quindi trovare
fondamento esplicito o implicito nelle norme o nei principi
costituzionali che tale autonomia prevedono e disciplinano.
Tali affermazioni erano sottese anche alla giurisprudenza formatasi
prima della riforma del Titolo V della Costituzione operata dalla
Legge Costituzionale n. 3 del 2001, sia pure con prevalente
riferimento ad ipotesi di sostituzione dello Stato nei confronti
delle Regioni, previste per la tutela di interessi unitari allora
affidati alla finale responsabilita' dello Stato. In quel contesto,
come e' noto, spettavano alle Regioni le funzioni amministrative
nelle materie di cui all'art. 117, primo comma della Costituzione,
mentre le funzioni degli enti locali territoriali erano determinate
in termini di principio dalle leggi generali della Repubblica di cui
all'art. 128 della Costituzione, e la puntuale individuazione delle
stesse era demandata alle leggi dello Stato per le materie di
competenza statale e per le funzioni di "interesse esclusivamente
locale" pur inerenti alle materie di competenza regionale. La
eventualita' della sostituzione di organi regionali agli enti locali,
esclusa nelle materie in cui la Regione non aveva competenze
legislative e amministrative (sentenza n. 104 del 1973), poteva
invece fondarsi sulle leggi regionali di delega o di "conferimento"
di funzioni per le materie in cui, in base agli articoli 117 e 118
della Costituzione, le Regioni erano costituzionalmente titolari
delle competenze amministrative, oltre che legislative.
Nel sistema del nuovo Titolo V, invece, l'art. 117, secondo comma,
lettera p), comprende nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato la determinazione delle sole "funzioni fondamentali" di Comuni,
Province e Citta' metropolitane, mentre l'art, 118, primo comma,
attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte le materie, "le
funzioni amministrative", salva la possibilita' che esse, al fine di
assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta'
metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. Pertanto, in virtu'
dell'art. 118 della Costituzione, sara' sempre la legge, statale o
regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, ad
operare la concreta allocazione delle funzioni, in conformita' alla
generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa
per esigenze di "esercizio unitario", a livello sovracomunale, delle
funzioni medesime.
In questo quadro, anche l'eventuale previsione di eccezionali
sostituzioni di un livello di governo ad un altro per il compimento
di specifici atti o attivita', considerati dalla legge necessari per
il perseguimento degli interessi di livello superiore coinvolti, e
non posti in essere tempestivamente dall'ente competente, non puo'
che rientrare, in via di principio e salvi i limiti e le condizioni
di cui si dira', nello stesso schema logico, affidato nella sua
attuazione al legislatore competente per materia, sia esso quello
statale o quello regionale. Ragionando altrimenti, infatti, si
giungerebbe all'assurda conseguenza che, per evitare la
compromissione di interessi di livello superiore che richiedono il
compimento di determinati atti o attivita', derivante dall'inerzia
anche solo di uno degli enti competenti, il legislatore (statale o
regionale) non avrebbe altro mezzo se non allocare la funzione ad un
livello di governo piu' comprensivo: conseguenza evidentemente
sproporzionata e contraria al criterio generale insito nel principio
di sussidiarieta' (si veda ancora, al riguardo, la sentenza n. 43 del
2004).
3) Il nuovo art. 120 della Costituzione - il quale non puo' che
essere letto in tale contesto - deriva invece dalla preoccupazione di
assicurare comunque, in un sistema di piu' largo decentramento di
funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilita' di
tutelare, anche al di la' degli specifici ambiti delle materie
coinvolte e del riparto costituzionale delle funzioni amministrative,
taluni interessi essenziali che il sistema costituzionale attribuisce
alla responsabilita' dello Stato, quali sono il rispetto degli
obblighi internazionali e comunitari, il mantenimento dell'ordine e
della sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali, nonche' il mantenimento dell'unita' giuridica ed economica
del complessivo ordinamento repubblicano.
Gli interventi governativi contemplati dall'art. 120, terzo comma,
hanno dunque carattere "straordinario" ed "aggiuntivo", come risulta
sia dal fatto che esso allude alle emergenze istituzionali di
particolare gravita', che comportano rischi di compromissione
relativi ad interessi essenziali della Repubblica, sia dalla
circostanza che nulla, nella norma, lascia pensare che si sia inteso
con essa smentire la consolidata tradizione legislativa che ammetteva
pacificamente interventi sostitutivi, nei confronti degli enti
locali, ad opera di organi regionali.4) Come piu' ampiamente
evidenziato nella gia' citata sentenza n. 43 del 2004, l'art 120
della Costituzione, quindi, non esaurisce, concentrandole tutte in
capo allo Stato, le possibilita' di esercizio di poteri sostitutivi,
ma si limita a prevedere un potere sostitutivo straordinario, da
esercitarsi da parte del Governo nei casi e per la tutela degli
interessi ivi indicati; viceversa, tale norma lascia impregiudicata
l'ammissibilita' di altri casi di interventi sostitutivi,
configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in
capo ad organi dello Stato o delle Regioni, o di altri enti
territoriali. Poiche' pero', come si e' detto, tali interventi
sostitutivi costituiscono una eccezione rispetto al normale
svolgimento di attribuzioni degli enti locali, soggetti
rappresentativi dotati di autonomia politica, attribuzioni definite
dalla legge sulla base di criteri oggi assistiti da garanzia
costituzionale, debbono valere nei confronti di essi condizioni e
limiti non diversi da quelli elaborati nella ricordata giurisprudenza
di questa Corte in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato nei
confronti delle Regioni.
In primo luogo, dunque, le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi
devono essere previste e disciplinate dalla legge (sentenza n. 338
del 1989), che deve altresi' definirne i presupposti sostanziali e
procedurali; in secondo luogo, la sostituzione puo' essere prevista
solo per il compimento di atti o attivita' "prive di discrezionalita'
nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)"
(sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta' sia il riflesso
degli interessi di livello superiore alla cui salvaguardia provvede
l'intervento sostitutivo; ancora, il potere sostitutivo deve essere
esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base di una
decisione di questo, a causa dell'attitudine dell'intervento ad
incidere sull'autonomia costituzionale dell'ente sostituito (sentenze
n. 460 del 1989 e n. 313 del 2003); da ultimo, e' necessario che la
legge predisponga congrue garanzie procedimentali per l'esercizio del
potere sostitutivo, in conformita' al principio di leale
collaborazione: dovra' dunque essere previsto un procedimento nel
quale l'ente sostituito sia messo in grado di interloquire e di
evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento (sentenza
n. 416 del 1995 e ordinanza n. 53 del 2003).
5) Alla luce delle considerazioni svolte le censure prospettate
avverso l'art. 7 della legge regionale n. 37 del 2002 non sono
fondate.
Il Capo II della legge, nel quale e' inserita la norma impugnata,
disciplina le procedure espropriative per la realizzazione di opere
di competenza regionale e per le opere di difesa del suolo e di
bonifica.
L'art. 6 conferisce ai Comuni le funzioni amministrative relative ai
procedimenti di espropriazione per la realizzazione di opere
pubbliche regionali, disponendo che gli enti locali le esercitino
secondo le disposizioni contenute nella legge stessa. L'art. 6-bis,
introdotto dalla legge regionale dell'Emilia-Romagna 3 giugno 2003,
n. 10 (Modifiche alle LL.RR. 24 marzo 2000, n. 20, 8 agosto 2001, n.
24, 25 novembre 2002, n. 31 e 19 dicembre 2002, n. 37 in materia di
governo del territorio e politiche abitative), riserva alla Regione
lo svolgimento delle procedure espropriative concernenti le opere di
difesa del suolo da essa realizzate e attribuisce ai Consorzi di
bonifica la competenza allo svolgimento delle procedure espropriative
per tutte le opere di bonifica da essi realizzate.
L'art. 7, nella sua formulazione originaria, disponeva che "in caso
di persistente inerzia nel compimento di un atto spettante ai
soggetti di cui all'articolo 6, comma 1, nell'esercizio delle
funzioni conferite, la Giunta regionale assegna all'ente medesimo un
termine per provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni" e
che "trascorso inutilmente tale termine, la Giunta assume i
provvedimenti necessari per il compimento dell'atto, ivi compresa la
nomina di un commissario ad acta".
A seguito delle modifiche introdotte dalla L.R. n. 10 del 2003, la
norma stabilisce che "per le opere pubbliche regionali, in caso di
persistente inerzia del Comune o del soggetto attuatore nel
compimento degli atti del procedimento espropriativo ad esso
spettanti ai sensi degli articoli 6 e 6-bis, la Giunta regionale
assegna all'ente medesimo un termine per provvedere, comunque non
inferiore a quindici giorni. Trascorso inutilmente tale termine, la
Giunta assume i provvedimenti necessari per il compimento dell'atto,
ivi compresa la nomina di un Commissario ad acta".
Le modificazioni apportate alla norma impugnata non sono tali da
incidere in modo sostanziale sul contenuto dell'art. 7 per il profilo
per il quale esso e' stato impugnato.
La difesa erariale censura la norma in esame innanzitutto sotto il
profilo per cui una norma regionale non potrebbe disciplinare i casi
di esercizio di potere sostitutivo da parte delle Regioni, essendo
tale disciplina riservata alla legge statale. Tale censura appare
infondata alla luce della considerazione secondo la quale l'art. 120
della Costituzione si limita a disciplinare una specifica ipotesi di
carattere straordinario, ma nulla dispone in ordine ad ulteriori
ipotesi di poteri sostitutivi, i quali dunque dovranno essere
regolati dalla legge statale ovvero dalla legge regionale "secondo
l'ordine delle competenze rispettivamente (...) fissato dalla
Costituzione" (sentenza n. 313 del 2003). Nel caso in esame lo Stato
non ha contestato la competenza della Regione a disciplinare la
materia regolata dalla normativa in esame.
La norma impugnata inoltre soddisfa i requisiti piu' sopra
individuati affinche' possano considerarsi rispettate le prescrizioni
costituzionali.
Innanzitutto, il potere sostitutivo della Regione e' previsto e
disciplinato da una legge che regola i presupposti e le procedure per
il suo esercizio.
In secondo luogo, lo svolgimento di tale potere e' connesso
all'esercizio delle funzioni amministrative conferite dalla Regione
ai Comuni relativamente alle procedure espropriative finalizzate alla
realizzazione di opere pubbliche regionali.
Al riguardo, deve essere evidenziato come nulla nella lettera di tale
disposizione autorizzi a ritenere che essa regoli anche ipotesi di
sostituzione nei confronti di atti o attivita' cui gli enti
sostituendi non siano giuridicamente vincolati quanto meno nell'an;
viceversa, la necessita' di procedere ad una interpretazione conforme
ai precetti costituzionali porta alla conclusione che la norma
oggetto del presente giudizio e' applicabile soltanto a casi di
mancato o irregolare compimento di quegli atti o attivita' che siano
configurati dalla legge regionale n. 37 del 2002 come veri e propri
obblighi giuridici - se non nel quando e nel quomodo, almeno nell'an
- a carico degli enti nei cui confronti puo' essere disposta la
sostituzione.
L'art. 7 inoltre attribuisce l'esercizio del potere ad un organo di
governo della Regione, individuato nella Giunta regionale, disponendo
che essa assuma i provvedimenti necessari al compimento dell'atto
ovvero nomini un commissario ad acta.
La norma impugnata, infine, subordina l'esercizio del potere
sostitutivo alla previa diffida del Comune inadempiente al quale deve
essere assegnato un termine, non inferiore a quindici giorni, entro
il quale l'ente locale puo' provvedere al compimento dell'atto.
La congruita' del termine assegnato all'ente inadempiente e di cui la
legge regionale fissa solo la durata minima dovra' essere valutata
sulla base del principio di leale cooperazione, in relazione ai
singoli atti (o attivita') ed alla loro complessita', con la
conseguenza che nel caso in cui - alla luce del principio richiamato
- tale termine appaia in concreto inadeguato, in quanto troppo breve,
l'ente diffidato potra' attivare gli ordinari rimedi previsti
dall'ordinamento.
6) E' impugnato anche l'art. 22 della legge regionale
dell'Emilia-Romagna che disciplina l'edificabilita' di fatto delle
aree, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere l) ed m),
nonche' terzo comma, della Costituzione.
L'art. 22 dispone che "ferma restando la necessita'
dell'edificabilita' legale di cui all'art. 20, un'area possiede anche
il carattere della edificabilita' di fatto quando sono gia' presenti
o in corso di realizzazione, nell'ambito territoriale in cui l'area
stessa si inserisce, le dotazioni territoriali richieste dalla legge
ovvero dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica".
Il secondo comma della norma, poi, consente alla Regione di integrare
e specificare, con apposita direttiva, "i criteri ed i requisiti per
valutare l'edificabilita' di fatto delle aree".
7) Deve innanzitutto essere esaminata la censura mossa a tale norma
in relazione all'art. 117, terzo comma della Costituzione.
Sostiene l'Avvocatura che l'art. 22 contrasta con i principi
fondamentali dettati o da desumersi dalla normazione statale in
riferimento alla individuazione della edificabilita' di fatto, senza
specificare quali siano i principi che si assumono violati o da dove
questi possano desumersi.
La censura, nei termini in cui e' formulata, si rivela generica e
deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.
8) Nel ricorso si sostiene inoltre che l'art. 22, attribuendo
rilevanza, ai fini della determinazione dell'indennita' di esproprio,
"anche" alla edificabilita' di fatto, ovvero richiedendo la
"compresenza" sia della edificabilita' legale che di quella di fatto,
contrasta con il diritto vivente che ha riconosciuto alla
caratteristica in esame valore meramente sussidiario rispetto alla
possibilita' legale di edificare. In tal modo, la norma regionale
inciderebbe sul regime dei suoli in violazione della competenza
esclusiva dello Stato a legiferare in materia di ordinamento civile,
nonche' di prestazioni concernenti i diritti civili da garantire
uniformemente su tutto il territorio nazionale.
Tale censura non e' fondata.
Il tenore letterale della norma regionale risulta del tutto coerente
con la norma statale contenuta nell'art. 37, comma 3 del DPR 8 giugno
2001, n. 327 (Testo Unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita'), il
quale stabilisce che, ai fini della determinazione dell'indennita' di
esproprio, "si considerano le possibilita' legali ed effettive di
edificazione, esistenti al momento dell'emanazione del decreto di
esproprio o dell'accordo di cessione".
L'art. 22 della legge regionale impugnata stabilisce quando un
terreno presenta i caratteri dell'edificabilita' di fatto; nulla dice
sul ruolo da riconoscere a tale elemento ai fini della determinazione
dell'indennizzo, se non che il medesimo non puo' prescindere dalla
sussistenza dell'edificabilita' legale. L'inciso contenuto nella
disposizione, "ferma restando la necessita' dell'edificabilita'
legale di cui all'art. 20", attesta infatti la volonta' del
legislatore regionale di non dare all'edificabilita' di fatto una
rilevanza autonoma rispetto alla edificabilita' legale.
Il contenuto normativo dell'art. 22 deve dunque rinvenirsi soltanto
nella individuazione degli elementi in presenza dei quali puo'
riconoscersi ad un'area il carattere della edificabilita' di fatto.
La formulazione della norma regionale ne consente una lettura
conforme all'interpretazione che del requisito in esame ha fornito la
piu' recente giurisprudenza di legittimita', la quale ha riconosciuto
all'edificabilita' di fatto un valore esclusivamente suppletivo - in
carenza di strumenti urbanistici - ovvero complementare ed
integrativo agli effetti della determinazione del concreto valore di
mercato dell'area espropriata, incidente sul calcolo
dell'indennizzo.
9) Il ricorrente censura infine l'art. 22 per violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, nella parte in cui
prevede i requisiti che conferiscono ad un'area il carattere della
edificabilita' di fatto. Sostiene infatti l'Avvocatura che la loro
individuazione e' riservata allo Stato dall'art. 5-bis del decreto
legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della
Finanza pubblica) e dall'art. 37 del DPR n. 327 del 2001, che
rinviano ad un regolamento ministeriale, e cio' in ragione di
esigenze di uniformita' che e' compito dello Stato assicurare.
Anche tale censura non e' fondata.
L'art. 22 della legge regionale non regola le prestazioni concernenti
diritti civili, ne' tale contenuto presenta la normativa statale di
riferimento (tanto l'art. 5-bis del DL n. 333 del 1992, quanto l'art.
37 del DPR n. 327 del 2001). Esso neppure incide sull'esigenza di
assicurare uniformita' nella determinazione dell'indennita' di
esproprio. La disposizione censurata, infatti, non individua
modalita' o criteri di calcolo dell'indennizzo, ne' quantifica
l'entita' dello stesso (al cui proposito, semmai, potrebbe porsi
un'esigenza di definizione uniforme), ma - come gia' osservato - si
limita ad affermare la necessita' che siano specificate le condizioni
in presenza delle quali un'area possiede il carattere
dell'edificabilita' di fatto.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 7 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 19 dicembre
2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri),
sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in riferimento
all'art. 120, secondo comma della Costituzione, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 22 della medesima legge regionale n. 37 del 2002, sollevata
dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in riferimento all'art.
117, terzo comma della Costituzione, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 22 della medesima legge regionale n. 37 del 2002, sollevata
dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in riferimento all'art.
117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, con il
ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 23 febbraio 2004
Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2004
IL PRESIDENTE IL REDATTORE
Gustavo Zagrebelsky Ugo De Siervo
IL CANCELLIERE
Maria Rosaria Fruscella