COMUNICATO
PUBBLICAZIONE DISPOSTA DAL PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE A NORMA DELL'ART. 24 DELLE NORME INTEGRATIVE DEL 16 MARZO 1956
CORTE COSTITUZIONALE
(Ricorso n. 58 depositato il 17 settembre 2002)
Ricorso per il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato
dall'Avvocatura generale dello Stato, nei confronti della Regione
Emilia-Romagna, in persona del suo Presidente della Giunta, avverso
la L.R. 15 luglio 2002, n. 16, intitolata "Norme per il recupero
degli edifici storico-artistici e la promozione della qualita'
architettonica e paesaggistica del territorio", pubblicata nel
Bollettino Ufficiale n. 101 del 15 luglio 2002
La determinazione di proposizione del ricorso e' stata approvata dal
Consiglio dei Ministri nella riunione del 30 agosto 2002 (si
depositera' estratto del relativo verbale).
La legge regionale in esame contrasta palesemente con l'art. 117,
secondo comma, lettera S) nonche' - marginalmente - lettera L) Cost.,
ed anche, per quanto non considera i principi da desumersi dal DLgs
29 ottobre 1999, n. 490 e le disposizioni - del resto da rielaborare
alla luce del predetto comma secondo lettera S) - contenute negli
articoli da 148 a 155 del DLgs marzo 1998, n. 112, l'art. 117, comma
terzo ("valorizzazione dei beni culturali ed ambientali") Cost.
Potrebbe persino dirsi che la legge regionale quasi sistematicamente
accantona la competenza legislativa esclusiva e le competenze
amministrative dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e
dei beni ambientali (tra questi ultimi devono includersi i beni
paesaggistici di cui agli artt. 138, 139 e 146 del citato DLgs n. 490
del 1999); e, quanto alla valorizzazione, sostanzialmente amputa e
declassa le "forme di cooperazione . . . tra Stato Regioni ed Enti
locali" previste dal citato DLgs n. 112 del 1998, da un lato da esse
escludendo gli uffici statali, e d'altro lato accentuando la
subalternita' degli Enti locali. Sembra quasi di poter scorgere una
sorta di riserva alla Regione (e forse al suo Istituto IBACN) delle
cognizioni e della sensibilita' architettoniche storico-artistiche e
paesistiche; riserva che si cerca di legittimare attraverso la
commistione con gli strumenti giuridici dell'urbanistica.
Nell'art. 1 della legge in esame e' presente due volte la parola
"recupero", familiare agli urbanisti; essa tende a porsi come
sinonimo di "restauro" o ad assorbire in se' quest'ultima nozione
(art. 34 del DLgs n. 490 del 1999). Ne discende una ambiguita'
foriera di incertezze e di possibili conflitti. Ne' va sottovalutato
che l'intera legge e' finalizzata alla "realizzazione di interventi"
(deve ritenersi, edilizi) su edifici e luoghi "di interesse
storico-artistico", e non (o quanto meno non soltanto) sul generico
patrimonio immobiliare.
L'art. 2 reca al comma 1 una elencazione dei "tipi di intervento". La
lettera a) prevede piani (urbanistici) di recupero; e pero' - oltre
ad usare daccapo la parola "recupero" in accezione non univoca -
consente "interventi di integrazione funzionali e spaziale" dei
predetti edifici e luoghi. La lettera b) prevede una "integrazione
fra le risorse e gli interventi pubblici e privati", integrazione da
attuarsi (cfr. art. 3, commi 4 e 5 della legge) ad opera della
Regione e mediante un programma dalla stessa deliberato, salvo
eventuali (e non necessari) accordi "con altre Amministrazioni
pubbliche (non si vuole menzionare lo Stato), con fondazioni bancarie
e altri soggetti privati". La lettera c) si prevede il "ridisegno" di
piazze e "complessi insediativi storici" volto a "ricostituire" (?)
un rapporto architettonico e urbanistico tra tali spazi e il tessuto
edilizio (anche storico-artistico) circostante.
Ancor piu' manifestatamente invasiva delle competenze statali e' la
disposizione contenuta nella successiva lettera d). Non e' chiaro se
la disposizione concerna soltanto i beni "compresi" (o che avrebbero
dovuto essere compresi) negli elenchi "di cui all'art. 5 del DLgs n.
490 del 1999", od invece anche i beni notificati "appartenenti a
soggetti diversi da quelli indicati all'art. 5, comma 1", come recita
l'art. 6 del medesimo decreto legislativo. Comunque e' palese che
"manutenzione restauro e risanamento conservativo di edifici di
interesse storico-architettonico e delle loro aree di pertinenza"
sono interventi inerenti alla tutela di beni culturali e quindi la
relativa disciplina e' di indubbia competenza statale.
Invasiva anche la lettera g) dell'art. 2, comma 1: l'inserimento di
"opere d'arte" (o reputate tali) in edifici di interesse
storico-architettonico deve essere valutato ed autorizzato dalla
competente autorita' statale. Analogo discorso deve farsi per la
"eliminazione di opere incongrue" (o reputate tali), di cui alla
successiva lettera m) e sulle quali si tornera' nel prosieguo.
L'art. 149, comma 3, lettera b) del citato DLgs n. 112 del 1998
riserva univocamente allo Stato ". . . prescrizioni . . . e altri
provvedimenti, anche di natura interinale, diretti a garantire la
conservazione l'integrita' e la sicurezza" dei beni culturali; e gli
articoli dal 37 al 46 (nonche' l'art. 27) del DLgs n. 490 del 1999
attribuiscono allo Stato compiti e responsabilita'. L'art. 2 in
esame, alla lettera l) prevede che la Regione possa programmare
autonomamente "interventi urgenti su edifici di valore
storico-architettonico, culturale e testimoniale". Anche quest'ultima
disposizione appare, per come e' scritta, invasiva.
L'art. 3 della legge regionale, nel comma 2 proclama - con enfasi
persino un po' paradossale - "il programma regionale stabilisce gli
obiettivi e le politiche generali per la tutela e valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali della (rectius, nella) Regione".
Soprattutto (ma non soltanto) per quanto attiene alla tutela di detti
beni, la disposizione - come quella contenuta nel successivo comma 3
- invade competenze statali.
L'art. 5 della legge in esame, nei primi suoi quattro commi, prevede
la presentazione delle domande di contributo recanti "elementi
tecnici" e di regola corredate da studi di fattibilita', alla
Regione, al Comune e talvolta anche alla Provincia, non anche - e la
cosa non puo' non stupire - gli organi del Ministero dei Beni ed
attivita' culturali, unici titolari di compiti e responsabilita',
come stabilito da molteplici disposizioni (ad esempio, art. 21, commi
1 e 2, articoli da 23 a 29, artt. 151 e 153) del DLgs n. 490 del
1999.
L'art. 7 della legge in esame prevede la stipula di una convenzione
tra soggetto privato proprietario di edificio sottoposto ad
intervento di cui all'art. 2, comma 1, lettera d), da un lato, - e il
Comune ove l'edificio e' situato, parrebbe (salvo ipotizzare
convenzione a favore del Comune terzo) - dall'altro lato. Ancora una
volta lo "isolazionismo" regionale ha condotto ad ignorare
l'Amministrazione statale preposta alla tutela dei beni culturali. La
disposizione ricalca l'art. 45 del DLgs n. 490 del 1999, e pero' non
si fa carico ne' delle prioritarie esigenze di tutela, ne'
dell'ipotesi di un contributo anche statale, e neppure della
opportunita' empirica di coordinamenti.
Non e' chiaro se le disposizioni del Titolo II della legge in esame
concernano "oggetti" diversi da quelli indicati nell'art. 1. Se cosi'
fosse - come pare, malgrado detto art. 1 non faccia parte del Titolo
I - l'art. 8 non sarebbe costituzionalmente censurabile; diversamente
dovrebbero riproporsi le considerazioni dianzi svolte.
Piu' complesso discorso deve farsi per l'art. 9. Qualora esso fosse
applicabile anche per gli edifici qualificati o da qualificarsi beni
culturali, si avrebbe invasione della competenza statale in materia,
come gia' osservato con riferimento all'art. 2, comma 1, lettere d)
ed l), e cioe' con riguardo agli artt. 37 e seguenti del DLgs n. 490
del 1999. Peraltro, anche qualora l'art. 9 fosse applicabile soltanto
ad edifici diversi da quelli beni culturali una questione di
legittimita' costituzionale sarebbe prospettabile: ivi si prevedono
infatti ordinanze del Sindaco a salvaguardia della non incolumita'
(come gia' previsto nell'ordinamento) ma "del decorso e dell'ornato
pubblico", valori questi oltremodo soggettivi ed opinabili. Pare
quindi consentito dubitare della compatibilita' di una siffatta
limitazione delle proprieta' pubbliche e private con la competenza
esclusiva dello Stato ex art. 117, comma secondo, lettera L) Cost.
("ordinamento civile").
Analogo dubbio con riferimento a questo parametro puo' essere
prospettato dall'art. 10: anche la nozione di opere incongrue
presenta margini di opinabilita', la cui riduzione non pare possa
essere devoluta ad un atto amministrativo regionale di indirizzo e
coordinamento indirizzato ai comuni. I commi 4 e 5 prevedono la
"eliminazione totale o parziale delle opere incongrue", ed il comma 8
consente l'espropriazione in assenza di un accordo con i soggetti
proprietari. Si pone quindi il problema se una legge regionale possa,
nel caso considerato e senza l'avallo di una legge statale, prevede
l'espropriazione.
Inoltre, anche per l'art. 10 (e per l'art. 11) si pone il problema
interpretativo se le disposizioni del Titolo III della legge in esame
concernano "oggetti" diversi da quelli indicati nell'art. 1. Se cosi'
non fosse, se cioe' esse si applicassero ai beni culturali, dovrebbe
muoversi anche all'art. 10 la censura della omessa considerazione
delle competenze legislative ed amministrative dello Stato.
Nel complesso, l'intera legge risulta invasiva di ambiti di
competenza statale, e in particolare singolarmente priva di
qualsivoglia considerazione dei compiti e delle responsabilita'
attribuiti alla Soprintendenza. E cio' per quanto attiene sia agli
interventi sugli edifici sia agli interventi sugli edifici sia agli
interventi sul paesaggio.
Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita'
costituzionale della legge sottoposta a giudizio, con ogni
conseguenziale pronucia e con invito alla Regione a non procedere
alla attuazione della legge stessa in pendenza del giudizio.
Roma, 10 settembre 2002
VICE AVVOCATO GENERALE DELLO STATO
Franco Favara