SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 12 luglio 2000, n. 378
Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale sui ricorsi riuniti proposti dalla "Rimini Rimini SpA" e dal Comune di Rimini contro la Regione Emilia-Romagna
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
La Corte Costituzionale
composta dai signori:
Cesare Mirabelli - Presidente; Fernando Santosuosso; Massimo Vari;
Cesare Ruperto; Riccardo Chieppa; Gustavo Zagrebelsky; Valerio Onida;
Carlo Mezzanotte; Fernanda Contri; Guido Neppi Modona; Piero Alberto
Capotosti; Annibale Marini; Franco Bile; Giovanni Maria Flick -
giudici;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma, della Legge della
Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del
territorio) nel testo introdotto dagli artt. 2 e 3 della L.R. 29
marzo 1980, n. 23 (Norme per l'acceleramento delle procedure relative
agli strumenti urbanistici, nonche' norme modificative ed integrative
delle Leggi regionali 31 gennaio 1975, n. 12, 24 marzo 1975, n. 18,
12 gennaio 1978, n. 2, 2 maggio 1978, n. 13, 1 agosto 1978, n. 26, 7
dicembre 1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n. 7), nonche' degli artt. 15
della L.R. 5 settembre 1988, n. 36 (Disposizioni in materia di
programmazione e pianificazione territoriale) e 55 della predetta
L.R. n. 47 del 1978, promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1996
dal Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sede di
Bologna, Sezione Seconda, sui ricorsi riuniti proposti dalla "Rimini
Rimini SpA" e dal Comune di Rimini contro la Regione Emilia-Romagna,
iscritta al n. 792 del Registro ordinanze 1998 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale,
dell'anno 1998.
Visti gli atti di costituzione della "Rimini Rimini SpA", del Comune
di Rimini, nonche' l'atto di intervento della Regione Emilia-Romagna;
udito nell'udienza pubblica dell'11 aprile 2000 il Giudice relatore
Riccardo Chieppa;
uditi gli avvocati Francesco Paolucci per la "Rimini Rimini SpA",
Giancarlo Mengoli per il Comune di Rimini e Alberto Predieri per la
Regione Emilia-Romagna.
RITENUTO IN FATTO
1. - Il Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sede
di Bologna, Sezione Seconda, chiamato a pronunciarsi
sull'impugnazione delle delibere della Giunta regionale
dell'Emilia-Romagna di sospensione dei lavori ed annullamento di una
concessione edilizia rilasciata dal Comune di Rimini, con ordinanza
del 4 luglio 1996 (r.o. n. 792 del 1998) ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 117 e 128
della Costituzione, del combinato disposto degli artt. 5, terzo
comma, e 6, secondo comma, della Legge della Regione Emilia-Romagna 7
dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del territorio), nel testo
introdotto dalla L.R. 29 marzo 1980, n. 23 (Norme per l'acceleramento
delle procedure relative agli strumenti urbanistici, nonche' norme
modificative ed integrative delle Leggi regionali 31 gennaio 1975, n.
12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio 1978, n. 2, 2 maggio 1978, n.
13, 1 agosto 1978, n. 26, 7 dicembre 1978, n. 47 e 13 marzo 1979,
n.7) nella parte in cui prevede che le previsioni e le prescrizioni
contenute nei piani territoriali stralcio (categoria comprendente
anche il Piano territoriale paesistico regionale), che comportino
vincoli di carattere generale o particolare, sono immediatamente
precettive nei confronti di chiunque e prevalgono sulle diverse
destinazioni d'uso contenute negli strumenti urbanistici vigenti o
adottati, nonche' degli artt. 15 della L.R. 5 settembre 1988, n.36
(Disposizioni in materia di programmazione e pianificazione
territoriale) e 55 della predetta L.R. n. 47 del 1978, nella parte in
cui rispettivamente prevedono l'applicazione delle misure di
salvaguardia sulla domanda di rilascio di concessione edilizia quale
conseguenza dell'adozione dei predetti piani e la protrazione in
regime transitorio dei predetti effetti.
2. - Il Tribunale amministrativo regionale si e' pronunciato in sede
di impugnazione proposta con quattro separati ricorsi dal Comune di
Rimini e dalla societa' "Rimini Rimini SpA" avverso le delibere con
cui la Giunta regionale dell'Emilia- Romagna ha dapprima sospeso i
lavori e poi annullato la concessione edilizia n. 688 del 21 giugno
1991, relativa all'esecuzione delle opere di recupero e
ristrutturazione dell'ex Colonia Murri (variante al progetto
approvato con delibera del Consiglio comunale di Rimini n. 634 del 10
aprile 1989), nonche' avverso il piano territoriale paesistico
regionale adottato con delibera del Consiglio regionale n. 2620 del
29 giugno 1989 ed approvato con delibera del medesimo Consiglio n.
1338 del 28 gennaio 1993.
La predetta concessione edilizia era stata rilasciata, in favore
della societa' "Rimini Rimini SpA", a seguito dell'approvazione, da
parte del Consiglio comunale, del progetto dell'opera di interesse
pubblico di recupero dell'edificio ex Colonia Murri, presentato dal
privato interessato.
Tale ultimo progetto era stato anche approvato in data 4 agosto 1989
con decreto del Ministro del Turismo e dello Spettacolo, ai sensi
degli artt. 1 e 2 del DL n. 465 del 1988, convertito nella Legge n.
556 del 1988. Quindi, il Consiglio comunale, con delibera del 15
marzo 1990, aveva approvato lo schema di convenzione con la societa'
"Rimini Rimini SpA" per la realizzazione e gestione dell'opera e tale
convenzione era poi stata effettivamente stipulata il 26 aprile 1991.
L'annullamento della concessione disposto dalla Regione era dovuto al
fatto che il predetto Piano territoriale paesistico regionale aveva
definito di interesse storico-testimoniale la Colonia Murri,
consentendo su di essa, fino all'intervento di ulteriori specifiche
prescrizioni programmatiche regionali, solo interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria.
I motivi di impugnazione sono stati estesi dai ricorrenti anche al
Piano territoriale paesistico regionale (PTPR), sia perche' esso e'
stato identificato quale atto presupposto dei successivi
provvedimenti cautelari e di annullamento della concessione (presi in
attuazione delle misure di salvaguardia poste a presidio del piano in
oggetto), sia perche' esso e' stato considerato autonomamente lesivo
delle rispettive posizioni soggettive dei ricorrenti, a causa dei
vincoli di inedificabilita' imposti nell'area interessata.
Il giudice a quo, in particolare, ha posto l'accento sulla censura,
dedotta da entrambi i ricorrenti avverso il PTPR, con la quale si
collegava l'asserita illegittimita' del piano ai vincoli ed alle
prescrizioni precettive ed immediatamente operative da esso
introdotte, non solo nei confronti del Comune (nei limiti della
programmazione territoriale condizionante i piani regolatori
generali), ma anche nei confronti dei privati e dei singoli Comuni
interessati. Questa circostanza, secondo i ricorrenti, si sarebbe
tradotta nella violazione della disciplina urbanistica posta con la
legge statale, in contrasto con l'autonomia riservata ai Comuni in
materia urbanistica e con la centralita' del loro potere di
pianificazione territoriale.
Il Tribunale amministrativo regionale ha condiviso l'impostazione dei
ricorrenti ed ha, pertanto, rilevato che il PTPR dell'Emilia-Romagna,
in applicazione degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma, della
L.R. n. 47 del 1978, nel testo introdotto dalla L.R. n. 23 del 1980,
e degli artt. 15 della L.R. n.36 del 1988 e 55 della predetta L.R.
n. 47 del 1978, non si limitava a produrre l'effetto tipico del piano
di direttive, orientando l'azione dei soggetti pubblici investiti di
competenze urbanistiche (in coerenza con i presupposti e gli effetti
del piano territoriale di coordinamento disciplinato dagli artt. 5 e
6 della Legge n. 1150 del 1942), ma introduceva anche prescrizioni e
vincoli immediatamente efficaci verso i privati.
Questo peculiare effetto del PTPR, a parere del Tribunale,
provocherebbe anzitutto il sospetto di incostituzionalita' della
disciplina di fonte regionale su cui e' fondato, per contrasto con
l'art. 117 della Costituzione.
Ai sensi della L.R. n. 47 del 1978, il PTPR dell'Emilia-Romagna si
inquadrerebbe nella categoria generale dei piani territoriali di
coordinamento, sebbene specificamente orientati alla considerazione
di valori paesistici ed ambientali, ai sensi dell'art. 1 bis della
Legge 8 agosto 1985, n. 431.
Cio' posto, atteso che la potesta' legislativa regionale in materia
urbanistica deve attuarsi, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione,
nel rispetto dei limiti derivanti dai principi fondamentali fissati
dalle leggi statali, secondo il giudice rimettente gli artt. 5 e 6
della Legge 17 agosto 1942, n. 1150, che fissano le caratteristiche e
gli effetti dei piani territoriali di coordinamento, costituirebbero
principi fondamentali vincolanti per la Regione. Il piano
territoriale di coordinamento sarebbe configurato dalla legge statale
quale piano di direttive, ossia strumento di controllo, indirizzo e
di orientamento generale, avente effetto diretto solo nei confronti
dei Comuni e, segnatamente, limitativo solo del loro potere di
pianificazione, attuato col piano regolatore generale; sicche' un
piano territoriale, che contenesse prescrizioni e vincoli
immediatamente incidenti sulle posizioni soggettive dei proprietari,
come il PTPR dell'Emilia-Romagna, esorbiterebbe dallo schema, a sua
volta inderogabile, delineato dal legislatore statale.
La tendenziale sottrazione ai Comuni della posizione di centralita'
loro assegnata nella pianificazione del territorio e la potenziale
eliminazione dell'indispensabile ruolo di intermediazione affidato al
piano regolatore generale implicherebbe anche un contrasto con
l'autonomia che a tali enti e' solennemente riconosciuta dall'art.
128 della Costituzione.
Il Tribunale ha incidentalmente rilevato che l'art. 1 bis della Legge
n. 431 del 1985 ha posto sul medesimo piano, quanto a funzione ed
effetti, il piano paesistico ed il piano urbanistico territoriale e
che la Corte costituzionale (sentenze n. 327 del 1990 e n. 379 del
1994) ha rispettivamente riconosciuto sia la legittimita' del PTPR
dell'Emilia-Romagna, sia la legittimita' e l'efficacia delle misure
di salvaguardia imposte da legge regionale a presidio di vincoli
prescritti dal piano regionale. Tuttavia, ha precisato il giudice a
quo, il principio di equivalenza dei piani paesistici ed urbanistico
territoriali, ai sensi dell'art. 1 bis, non varrebbe per tutto il
territorio regionale, ma solo per i beni e le aree elencate nell'art.
82, quinto comma, del DPR 24 luglio 1977, n. 616, come modificato ed
integrato dall'art. 1 della Legge n. 431 del 1985; ne' il giudice
delle leggi avrebbe ancora esaminato il profilo del potenziale
contrasto delle leggi regionali con gli artt. 117 e 128 della
Costituzione, nel presupposto del confronto con i principi desunti
dagli artt. 5 e 6 della Legge n.1150 del 1942.
3. - Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti la societa'
"Rimini Rimini SpA" ed il Comune di Rimini, che hanno condiviso e
sostenuto le ragioni dedotte dal Tar nell'ordinanza di rimessione.
In particolare, la societa' privata ha ribadito che il PTPR
dell'Emilia-Romagna, nella parte in cui contiene prescrizioni
direttamente vincolanti nei confronti dei soggetti interessati
all'attivita' edificatoria, si porrebbe in contrasto con le regole
fondamentali che la legge quadro statale stabilisce in materia
urbanistica per i piani territoriali di coordinamento. Inoltre, a
sostegno della violazione degli artt. 117 e 128 della Costituzione da
parte delle norme regionali individuate dal giudice a quo, si e'
espressamente richiamato il principio costituzionale che impone di
salvaguardare l'autonomia degli enti infraregionali in materia
urbanistica non solo nei confronti dello Stato, ma anche nei
confronti delle Regioni (Corte costituzionale, sentenza n. 83 del
1997).
Il Comune di Rimini ha riepilogato le profonde diversita' che corrono
tra il piano formato a livello comunale ed il piano territoriale di
competenza regionale. Il primo contiene norme di dettaglio, e'
destinato a disciplinare esaurientemente l'intero territorio e
presuppone la partecipazione diretta ed individuale dei cittadini, ai
quali e' cosi garantito l'accesso ad un procedimento che sfocia
nell'adozione di un atto (Piano regolatore generale) che non si
arresta ad una mera programmazione dello sviluppo urbanistico, ma
importa la disciplina specifica ed effettiva del territorio. Il
secondo sarebbe, invece, atto di mera programmazione, avrebbe effetto
solo indiretto verso i cittadini (per il tramite necessario del PRG),
non richiederebbe la previa partecipazione degli interessati, sarebbe
caratterizzato da una larga scala di previsione (senza norme di
dettaglio), avrebbe finalita' programmatoria, solo per
l'individuazione di specifici obiettivi di interesse sovracomunale e
soprattutto di coordinamento tra i vari piani regolatori generali,
anche per il coordinamento interregionale. I piani territoriali, in
definitiva, non presenterebbero una disciplina onnicomprensiva, non
si estenderebbero all'intero territorio di ogni Comune,
stabilirebbero previsioni e prescrizioni episodiche, strutturali e
nodali, non riguardanti, appunto, l'intero territorio e necessitanti
sempre di prescrizioni di dettaglio.
Ne seguirebbe, secondo la parte costituita, l'impossibilita' tecnica,
l'innaturalezza e l'illogicita' di un effetto diretto del piano
territoriale, soprattutto se, come nel caso di specie, esteso
all'intero territorio regionale, con la sostanziale privazione del
Comune del suo ruolo centrale nella pianificazione urbanistica.
Inoltre, a parere del Comune di Rimini, la configurazione di un piano
territoriale regionale, contenente vincoli di inedificabilita' ad
efficacia diretta, implicherebbe la violazione dell'art. 117 della
Costituzione anche per un diverso profilo. Ne risulterebbe, invero,
la violazione di un altro principio fondamentale stabilito dalla
legge statale e, segnatamente, della previsione dell'art. 2 della
Legge n. 1187 del 1968, che ha sancito la decadenza, decorso il
termine di cinque anni, delle prescrizioni del piano regolatore
generale che impongono vincoli di inedificabilita' o vincoli
preordinati all'esproprio. Cio' in considerazione del fatto che
questo principio e' fissato dalla legge-statale solo per il piano
regolatore generale e che per i piani territoriali non e' stabilito
alcun limite temporale. In breve, l'inserimento di previsioni e
vincoli a contenuto specifico e direttamente efficaci nel piano
territoriale di coordinamento si tradurrebbe in una surrettizia
violazione del principio fondamentale di temporaneita' dei vincoli di
inedificabilita'.
Per cio' che concerne, poi, il dedotto contrasto tra le norme
censurate e l'art. 128 della Costituzione, si e' richiamato il
trattato di Strasburgo del 15 ottobre 1985, ratificato con Legge 30
dicembre 1989, n. 439, che ha approvato la convenzione europea
relativa alla Carta europea delle autonomie locali, ed, in
particolare, gli artt. 2, 3 e 4. Queste disposizioni, prevalenti su
quelle interne di rango primario, ai sensi dell'art. 11 della
Costituzione, affermano a chiare lettere che il rispetto delle
autonomie locali si impone al legislatore statale e che esso deve
attuarsi secondo criteri di effettivita' e mediante l'assegnazione di
compiti e responsabilita' rilevanti alle istituzioni piu' vicine ai
cittadini. In tale quadro si inserisce armonicamente il principio di
sussidiarieta', affermato dagli artt. 1, commi 2 e 3, e 4 della Legge
15 marzo 1997, n. 59, che espressamente annovera l'urbanistica tra le
materie riservate agli enti locali e che prevede, anche per essa, il
conferimento alle Province ed ai Comuni di tutte quelle funzioni che
non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale.
4. - Si e' costituita anche la Regione Emilia-Romagna, che ha chiesto
dichiararsi l'infondatezza della dedotta questione di
costituzionalita', depositando, in prossimita' dell'udienza, una
memoria difensiva.
In essa si sono, anzitutto, puntualizzate le seguenti circostanze: a)
il medesimo Piano territoriale paesistico regionale impugnato nel
giudizio a quo e' stato oggetto della pronuncia n.327 del 1990 della
Corte costituzionale, in occasione di un conflitto a quel tempo
sollevato dalla Regione nei confronti dell'atto di annullamento
disposto in sede tutoria dall'organo statale; b) la ex colonia marina
Murri e' immobile di proprieta' comunale ed e' proprio il Comune che
figura quale destinatario della concessione edilizia impugnata
davanti al TAR; c) esso e' vincolato con decreto del Ministero dei
Beni Culturali, ai sensi della Legge n. 1089 del 1939, in
considerazione del suo valore culturale, secondo una visione che pone
l'accento sul valore di memoria, di testimonianza e di civilta'
insita in tali beni, giustificandone la conservazione come mezzo per
assicurare la continuita' tra presente e passato e per rafforzare il
vincolo di coesione del gruppo; d) la Regione ha provveduto ad
applicare le misure di salvaguardia previste dall'art. 55 della L.R.
n. 47 del 1978.
La Regione Emilia-Romagna, ha, quindi, osservato che proprio il
giudice rimettente, nella sentenza n. 179 del 1998 (avente il
medesimo oggetto qui controverso), ha riconosciuto, in armonia con
quanto gia' affermato dalla Corte costituzionale nella predetta
sentenza n. 327 del 1990, che il piano impugnato non costituisce un
piano paesistico puro, bensi' un piano urbanistico territoriale, con
specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, ai
sensi dell'art. 1 bis della Legge n. 431 del 1985.
Cio' premesso, il dubbio che contrasti con l'art. 117 della
Costituzione la previsione legislativa di un piano paesistico, con
effetti immediatamente vincolanti per i privati, si rivelerebbe,
secondo la Regione, del tutto infondato. La questione di
costituzionalita', invero, si fonderebbe sull'asserita inosservanza
dei principi generali che la Legge statale n. 1150 del 1942 ha
fissato in ordine al piano territoriale di coordinamento, configurato
quale piano di direttive, in funzione meramente programmatica, ed
estraneo percio' a prescrizioni di dettaglio. Ma il piano urbanistico
territoriale (alla cui categoria sicuramente appartiene quello in
discussione) non sarebbe piano paesistico ma urbanistico,
suscettibile come tale di abbracciare l'intero territorio regionale e
di imporre vincoli e prescrizioni direttamente efficaci nei confronti
dei privati. Il piano urbanistico territoriale con specifica
considerazione dei valori paesistici ed ambientali - prosegue la
Regione - e' diverso tanto dal piano paesistico quanto dal piano
territoriale di coordinamento della legge del 1942 (cui pure il TAR
si e' richiamato): esso e' un genere di piano che ha in comune il
carattere territoriale, ma che ha funzioni ed effetti diversi, sia
dai piani paesaggistici sia dai piani di coordinamento.
La sentenza n. 327 del 1990 della Corte costituzionale, del resto,
sarebbe molto chiara sull'argomento: l'inquadramento del piano
adottato dalla Regione Emilia-Romagna nella categoria dei piani
territoriali stralcio impone di riferire ad esso non solo gli effetti
propri di un piano di direttive - destinato ad orientare e
condizionare l'azione dei soggetti pubblici investiti di competenze
urbanistiche - ma anche quelli connaturati ad un piano di
prescrizioni, immediatamente vincolante per i soggetti privati.
Inoltre, tale piano, avendo natura di strumento urbanistico, ben
potrebbe estendere la sua azione all'intero territorio comunale,
senza limitarsi alla disciplina dei singoli vincoli ambientali
precostituiti; purche', evidentemente, cio' avvenga in coerenza con
l'indefettibile funzione di salvaguardia di valori paesistici ed
ambientali.
Oltretutto, il riferimento all'art. 5 della Legge n. 1150 del 1942,
quale norma che descrive in via esclusiva il piano territoriale come
piano di direttive, non sarebbe neppure pertinente. Osserva in
proposito la Regione che vi sono piani territoriali che consentono
effetti diretti verso i privati soprattutto per quanto attiene alle
misure di salvaguardia, cosi' come lo consentono i piani regolatori
delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale istituiti dalla Legge
29 luglio 1957, n. 634 e poi disciplinati dagli artt. 50-55 del DPR 5
marzo 1978, n. 218. La legge prevede che nella redazione di tali
piani i consorzi devono seguire "in quanto applicabili" criteri e
direttive di cui al comma 2 dell'art. 5 della Legge n. 1150 del 1942
e che "i piani approvati producono gli stessi effetti giuridici del
piano territoriale di coordinamento di cui alla Legge 17 agosto 1942,
n. 1150"; tuttavia, il piano per le aree industriali non contiene
solo direttive, poiche' la legge autorizza i Sindaci ad adottare le
misure di salvaguardia previste dall'articolo unico di cui alla Legge
3 novembre 1952, n. 1902 e successive modificazioni.
Inoltre, secondo la Regione, se pure si riconoscesse al piano
paesistico adottato in Emilia-Romagna la natura di piano territoriale
e, di conseguenza, un effetto limitato all'enunciazione di direttive
programmatiche, nondimeno il Comune di Rimini, nel caso di specie,
sarebbe stato comunque costretto ad osservare siffatte direttive,
trattandosi del rilascio di una concessione edilizia a proprio favore
e non a favore di un privato.
Non sussisterebbe poi alcuna violazione dell'art. 117 della
Costituzione con riferimento alla disposta introduzione di misure di
salvaguardia.
La previsione ed applicazione di queste misure, secondo l'esponente,
sarebbe frutto di un principio fondamentale delle leggi statali per
l'assetto del territorio e la tutela dei beni culturali ed
ambientali, sicche' le leggi regionali legittimamente potrebbero
stabilire un effetto vincolante immediato anche nei confronti dei
soggetti privati, in caso di piani urbanistico- territoriali (come
accade nel caso in esame), sia di piani territoriali di
coordinamento, sia infine di piani paesistici.
Le misure di salvaguardia, invero, erano gia' previste dall'art. 8
della Legge n. 1497 del 1939, che conferiva poteri di inibire e
sospendere alterazioni dello status quo anche per i beni non
vincolati ne' notificati. Quando la Legge 8 agosto 1985, n.413 ha
introdotto il nuovo strumento del piano urbanistico territoriale, con
specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, questo
strumento di piano ha assunto quali suoi elementi caratterizzanti,
proprio per il fine di tutela urbanistica ed ambientale, quantomeno
anche i meccanismi di tutela gia' individuati dalla Legge n. 1497 del
1939, ivi compreso quello delle misure di salvaguardia. La
conclusione e' che una legge regionale, che introduce un piano
urbanistico territoriale con valenze paesistiche, rispetta i principi
fondamentali delle leggi statali se configura il piano come avente
effetti vincolanti su soggetti pubblici e privati, imponendo misure
di salvaguardia di ordine generale e, segnatamente, misure di
salvaguardia particolarmente rafforzate a tutela di valori
ambientali.
La prevalenza delle misure di salvaguardia, dunque, risulterebbe
principio fondamentale della legislazione urbanistica, rispondente ad
una esigenza generalizzata di tutela cautelare che garantisca
l'effettivita' del diritto.
La Regione ritiene parimenti infondata la questione di legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 128 della Costituzione.
L'art. 9 della Legge n. 1150 del 1942 prevede che le funzioni
amministrative che riguardano il territorio siano di competenza del
Comune per quanto non espressamente attribuito ad altri soggetti
dalla legge statale e regionale, ferme restando le funzioni di
carattere unitario spettanti alla regione per il suo territorio.
L'autonomia comunale in tema di poteri di pianificazione si svolge,
dunque, in un ambito circoscritto da norme di tre livelli: norme
costituzionali, norme di legge ordinaria e norme di legge regionale.
Indubbiamente, la competenza regionale in materia urbanistica non
puo' attuarsi in modo che ne risulti vanificata l'autonomia dei
Comuni. Tuttavia sarebbe legittima e conforme ai precetti
costituzionali una legge regionale che, per la tutela di interessi
sovracomunali, come quelli della difesa dei beni culturali, in
attuazione di valori fondamentali recepiti nella stessa Costituzione
(art. 9 della Costituzione), comporti dei limiti indiretti al potere
pianificatorio dei Comuni, attraverso previsioni e prescrizioni che,
per la considerazione specifica di valori paesistici ed ambientali,
creano vincoli nei confronti dei privati.
La tutela del patrimonio culturale sarebbe compito fondamentale
dell'intero apparato della Repubblica in tutte le sue articolazioni
soggettive ed uffici, poiche' l'art. 9 della Costituzione impone alla
Repubblica di perseguire il fine precipuo di tutela del paesaggio e
del patrimonio storico ed artistico nazionale. A questa esigenza di
valore fondamentale, prosegue la Regione, non possono opporsi le
competenze di singoli enti od uffici, anche se ricevono, per altro
verso, garanzie di rango costituzionale.Le competenze comunali
incontrerebbero un limite anche a livello di legge statale, poiche'
una riserva di competenza esclusiva cederebbe di fronte ad una legge
di grande riforma economico-sociale, quale espressamente si atteggia
la disciplina di cui alla Legge n. 431 del 1985. Questa legge,
peraltro, assegna alle Regioni un potere pianificatorio che assume un
ruolo centrale per la tutela paesistica, qualora la Regione opti sia
per la formazione di piani paesistici, sia per i piani
urbanistico-territoriali. Il nucleo centrale della riforma attuata
con la detta Legge n.431 del 1985, in armonia con i valori protetti
dall'art. 9 della Costituzione, si articolerebbe dunque in un
rafforzamento del potere regionale, che puo' tutelare i beni
culturali con i piani territoriali avvalendosi di quegli effetti, che
i piani territoriali previsti alla Legge urbanistica del 1942 ancora
non possedevano.
Anche la societa' "Rimini Rimini SpA", in data prossima all'udienza
pubblica, ha depositato una memoria, con la quale ribadisce le
ragioni che dovrebbero giustificare la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale delle norme impugnate, per contrasto
con gli artt. 117 e 128 della Costituzione.
In particolare, l'esponente pone l'accento sul procedimento di
formazione del piano territoriale disciplinato dall'art. 6 della L.R.
n. 47 del 1978, per sottolineare come non sarebbe prevista alcuna
forma di partecipazione necessaria dei Comuni interessati; cio'
sarebbe dimostrato dal fatto che il Comune di Rimini avrebbe proposto
alcune osservazioni spontaneamente ed in veste di mero soggetto
"interessato".
Questa disciplina in primo luogo risulterebbe, secondo la parte, in
palese contraddizione con le previsioni dello Statuto della Regione
Emilia-Romagna, che eleva a regole indefettibili della sua azione
legislativa ed amministrativa la "collaborazione" con Province e
Comuni al fine di realizzare un coordinato sistema delle autonomie ed
il "raccordo" tra gli strumenti di programmazione della Regione,
delle Province e dei Comuni. In secondo luogo, siffatta disciplina
apparirebbe in evidente violazione del principio di autonomia dei
Comuni, costituzionalmente garantito dall'art. 128 della
Costituzione: l'autonomia e la centralita' del potere pianificatorio
attribuito al Comune, qualora si riconosca allo strumento urbanistico
regionale un effetto immediatamente vincolante nei confronti dei
singoli, eccedente la funzione meramente programmatoria del piano
territoriale di coordinamento, sarebbero inevitabilmente sacrificate
da una disciplina che non concedesse all'Ente locale quantomeno una
possibilita' di partecipazione effettiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Le questioni di legittimita' costituzionale, sottoposte in via
incidentale all'esame della Corte, riguardano il combinato disposto
degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma, della Legge della
Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del
territorio) nel testo introdotto dalla L.R. 29 marzo 1980, n. 23
(Norme per l'acceleramento delle procedure relative agli strumenti
urbanistici, nonche' norme modificative ed integrative delle Leggi
regionali 31 gennaio 1975, n. 12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio
1978, n. 2, 2 maggio 1978, n. 13, 1 agosto 1978, n. 26, 7 dicembre
1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n. 7) nella parte in cui prevede che le
previsioni e le prescrizioni contenute nei piani territoriali
stralcio (ed in particolare nel piano territoriale paesistico
regionale) che comportino vincoli di carattere generale o
particolare, sono immediatamente precettive nei confronti di chiunque
e prevalgono sulle diverse destinazioni d'uso contenute negli
strumenti urbanistici vigenti o adottati, nonche' gli artt. 15 della
L.R. 5 settembre 1988, n. 36 (Disposizioni in materia di
programmazione e pianificazione territoriale), e 55 della predetta
L.R. n. 47 del 1978, nella parte in cui rispettivamente prevedono
l'applicazione delle misure di salvaguardia sulla domanda di rilascio
di concessione edilizia quale conseguenza dell'adozione dei predetti
piani e la protrazione in regime transitorio dei predetti effetti. E'
denunciata la violazione dell'art. 117 della Costituzione, per
contrasto con i principi fondamentali in materia stabiliti dalla
Legge quadro statale n. 1150 del 1942, e dell'art. 128 della
Costituzione, per lesione dell'autonomia riservata ai Comuni in
materia di pianificazione urbanistica.2. - Le questioni non sono
fondate.
Preliminarmente, sulla base della precedente sentenza n.327 del
1990, deve essere precisata la natura del piano territoriale
paesistico regionale (PTPR), in base al quale e' stata applicata la
contestata misura di salvaguardia, ed il potere conferito dalle leggi
statali e regionali alla Regione di approvazione del piano stesso,
con previsione di misure di salvaguardia.
Il PTPR della Regione Emilia-Romagna trova il proprio fondamento nel
combinato disposto dell'art. 82, quinto comma, del DPR 24 luglio
1977, n. 616, nel testo integrato dal Decreto-Legge 27 giugno 1985,
n. 312, convertito, con modificazioni, in Legge 8 agosto 1985, n.
431, e dell'art. 1 bis del citato Decreto-Legge n. 312 del 1985,
nonche' dell'art. 15 della Legge della Regione Emilia-Romagna 5
settembre 1988, n. 36 e del punto 2, primo comma, dell'art. 4 della
L.R. 7 dicembre 1978, n. 47.
Pertanto il suddetto piano deve essere ricondotto alla categoria dei
"piani urbanistici territoriali con specifica considerazione dei
valori paesistici ed ambientali" e specificamente inquadrato nei
"piani territoriali stralcio relativi all'intero territorio
regionale", piani, questi ultimi, qualificati come "tematici", in
quanto destinati a disciplinare - ove estesi all'intero territorio
regionale - non il complessivo assetto urbanistico della regione, ma
determinati settori funzionali (sentenza n. 327 del 1990).
Il PTPR opera con le tecniche e gli effetti propri degli strumenti di
pianificazione urbanistica, ancorche' teleologicamente orientato
verso l'obiettivo preminente della protezione di valori
estetico-culturali (sentenze n. 327 del 1990; n. 151 e n. 153 del
1986; v. anche sentenza n. 529 del 1995).
Ma proprio perche' il legislatore regionale, in linea con la
previsione della legislazione statale, ha seguito la via alternativa
(al piano paesistico) dello strumento di pianificazione urbanistica,
sia pure anche con valenza paesistica e ambientale, non esiste un
limite territoriale alle sole zone elencate nel quinto comma
dell'art. 82 del DPR n. 616 del 1977 (come modificato dal DL n. 312
del 1985 e dalla Legge di conversione n. 431 del 1985). Anzi gli
strumenti di pianificazione urbanistica hanno una efficacia
normalmente orientata verso l'assetto dell'intero territorio
dell'ente investito dello specifico potere di pianificazione
(sentenza n. 379 del 1994), di modo che, essendo nel caso in esame un
piano della Regione, questo poteva essere configurato con
"l'estensione all'intero territorio regionale" (art. 4, primo comma,
numero 2, della Legge della Regione Emilia-Romagna n.47 del 1978;
sentenza n. 327 del 1990).
Del resto la tutela paesistico-ambientale svolta attraverso uno
strumento di pianificazione urbanistica puo' comportare la protezione
di un territorio ben piu' vasto delle aree strettamente vincolate,
per le necessarie connessioni con le zone contermini e per esigenze
di coinvolgimento di una sfera piu' ampia. Ed infatti questa Corte ha
avuto occasione di sottolineare che la protezione preordinata dalla
Legge n. 431 del 1985, sia pure "minimale", non esclude ne' preclude
"normative regionali di maggiore o pari efficienza" (sentenze n. 379
del 1994; n. 327 del 1990; n. 151 del 1986), soprattutto quando vi
siano esigenze di una valutazione complessiva (e piu' ampia) dei
valori sottesi alla disciplina dell'assetto urbanistico.
3. - Il PTPR, inquadrato nella categoria dei "piani territoriali
stralcio", deve avere gli effetti tipici, che la legislazione
regionale prevede per questo tipo di piani. Quindi questi piani
possono essere configurati per produrre non solo gli effetti propri
di un piano territoriale di coordinamento urbanistico, destinato ad
orientare e condizionare (con direttive) l'azione dei soggetti
pubblici investiti di competenze di pianificazione urbanistica (ed in
primo luogo i Comuni per la pianificazione del loro territorio).
Infatti, per la parte contenente previsioni e prescrizioni
comportanti vincoli di carattere generale o particolare - conformi
alle specifica "tematica", come sopra sottolineato -, detti piani
hanno una immediata operativita' vincolante per i soggetti privati
(sentenza n. 327 del 1990), con efficacia impeditiva e paralizzante
di qualsiasi intervento edificatorio difforme, e quindi possono
contenere imposizioni anche immediatamente vincolanti a difesa dei
valori paesistici ed ambientali (sentenza n. 529 del
1995).L'impostazione dell'ordinanza di rimessione muove da una
concezione dei piani territoriali ormai superata ed ancorata al
sistema inizialmente descritto nella Legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150: essa era imperniata sulla divisione delle funzioni di
pianificazione tra Stato e Comuni e configurava il piano territoriale
di coordinamento come semplice piano di direttive, operante nei
confronti della pianificazione a livello comunale, quale mero
strumento di indirizzo e di orientamento generale ed avente funzione
di esplicazione del potere di controllo. Di conseguenza, nei
confronti del proprietario di un suolo, i vincoli e le prescrizioni
urbanistiche obbligatorie potevano sorgere solo con l'entrata in
vigore dello strumento di pianificazione a livello comunale (piano
regolatore generale).
Anche a non considerare la scarsa incisivita' del sistema dell'epoca
(1942), caratterizzato dalla pressoche' totale inutilizzazione dello
strumento di coordinamento e da una modesta pianificazione
urbanistica, questo modello di regolazione del territorio deve
intendersi ormai sostituito da un sistema di pianificazione diretto
soprattutto all'efficacia dei vincoli. Esso privilegia il livello
piu' idoneo di pianificazione nella protezione di alcuni assetti
territoriali ed ambientali individuati. Si registra, invero, nella
legislazione statale la sopravvenienza di una serie di istituti
anticipatori e di salvaguardia delle prescrizioni programmatiche
intese ad evitare l'utilizzazione selvaggia del territorio, mediante
il riconoscimento di effetti anticipati con l'adozione dei piani,
rispetto alla stessa pianificazione definitiva ed al perfezionamento
dei vincoli (vedi l'evoluzione delle norme di salvaguardia, trasposte
nel campo urbanistico dapprima facoltativamente, poi in modo
obbligatorio, ed i diversi espedienti normativi volti a comprimere le
facolta' di utilizzazione edilizia, in mancanza di una pianificazione
o di sistemi di blocco di opere edilizie, salvo interventi di
manutenzione, adoperati soprattutto in presenza di preminenti
interessi estetico-culturali ed ambientali da tutelare).
Ma soprattutto il sopravvenire delle Regioni, con le competenze
legislative ed amministrative in materia urbanistica garantite
dall'art. 117 della Costituzione, e gli interventi legislativi
regionali hanno consentito una piu' ampia esplicazione degli
anzidetti principi della legislazione statale, che si sono
sovrapposti alla Legge urbanistica del 1942, provocandone una
modificazione sostanziale.
Di conseguenza deve escludersi la violazione denunciata dell'art. 117
della Costituzione.
4. - Egualmente privo di fondamento e' il profilo di
incostituzionalita' connesso alla dedotta lesione dell'autonomia
comunale in materia di programmazione urbanistica, con richiamo
all'art. 128 della Costituzione.
Questa Corte ha avuto occasione, anche di recente, di sottolineare
che gli artt. 5 e 128 della Costituzione presuppongono una posizione
di autonomia dei Comuni, che le leggi regionali non possono mai
comprimere fino a negarla (sentenze nn. 286 e 83 del 1997). Ma
l'autonomia comunale non implica una riserva intangibile di funzioni
e non esclude che il legislatore regionale possa, nell'esercizio
della sua competenza, individuare le dimensioni della stessa
autonomia, valutando la maggiore efficienza della gestione a livello
sovracomunale degli interessi coinvolti.
Cio' per quanto riguarda la materia urbanistica in particolare deve
essere inteso nel senso che "il potere dei Comuni di autodeterminarsi
in ordine all'assetto e alla utilizzazione del proprio territorio non
costituisce elargizione che le Regioni, attributarie di competenza in
materia urbanistica siano libere di compiere", in quanto l'art. 128
della Costituzione "garantisce, con previsione di principio,
l'autonomia degli enti infraregionali, non solo nei confronti dello
Stato, ma anche nei rapporti con le stesse Regioni" (sentenza n. 83
del 1997).
In realta', il rispetto delle autonomie comunali deve armonizzarsi
con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali,
collegati ad una valutazione piu' ampia delle esigenze diffuse nel
territorio: cio' giustifica l'eventuale emanazione di disposizioni
legislative (statali e regionali) che vengano ad incidere su funzioni
gia' assegnate agli enti locali (sentenza n. 286 del 1997).Nella
specie considerata del PTPR, la giustificazione dell'intervento
legislativo a livello regionale si rinviene nella tipologia stessa
del piano "tematico" e nella natura delle prescrizioni e previsioni
vincolanti attinenti alla protezione di valori estetico-culturali ed
ambientali, interessi che esigono previsioni programmatiche (ma anche
precettive) estese ad un ambito territoriale piu' vasto ed anche con
maggior rigore e con maggiore efficienza, rispetto alle valutazioni
di ambito comunale (v., per la convergenza in materia di territorio
di rilevanti e specifici interessi, affidati ad analitiche competenze
statali, regionali e degli enti locali, sentenza n. 499 del 1988).
Del resto, la pianificazione urbanistica a livello comunale non ha
carattere esaustivo e non riassorbe, con funzione di prevalenza, le
altre forme di pianificazione o gli altri vincoli non urbanistici,
poiche' qualsiasi intervento che modifica il territorio non deve
porsi in contrasto con tutti gli altri vincoli su di esso esistenti
(paesistici, culturali, di rispetto delle ferrovie e delle
autostrade, del demanio marittimo ecc.), ancorche' la pianificazione
urbanistica comunale non escluda tale tipo di intervento o lo
consenta. Il principio e' reciproco anche nei rapporti tra vincoli
non urbanistici e vincoli derivanti da pianificazione urbanistica
comunale.
Riguardo alla sfera degli interessi coinvolti e delle esigenze
relative al territorio, giova sottolineare che la tutela del bene
culturale e' nel testo costituzionale contemplata insieme a quella
del paesaggio e dell'ambiente come espressione di principio
fondamentale unitario dell'ambito territoriale in cui si svolge la
vita dell'uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela
costituiscono una endiadi unitaria. Detta tutela costituisce compito
dell'intero apparato della Repubblica, nelle sue diverse
articolazioni ed in primo luogo dello Stato (art. 9 della
Costituzione), oltre che delle Regioni e degli enti locali.
Rispetto a dette materie non puo' configurarsi ne' un assorbimento
nei compiti di autogestione del territorio, come espressione
dell'autonomia comunale, ne' tanto meno una esclusivita' delle
funzioni comunali in forza della stessa autonomia in campo
urbanistico. Invece, attraverso i piani urbanistici il Comune puo',
nella sua autonomia, in relazione ad esigenze particolari e locali,
imporre limiti e vincoli piu' rigorosi o aggiuntivi anche con
riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed
ambientali.
5. - Il Comune ha il diritto a partecipare, in modo effettivo e
congruo, nel procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici
regionali che abbiano effetti sull'assetto del proprio territorio
(sentenza n. 83 del 1997).
Sul punto le censure mosse sono prive di fondamento, essendo basate
sull'erroneo presupposto della mancanza di previsione della
partecipazione necessaria dei Comuni interessati, come sarebbe
comprovato dalla presentazione di alcune osservazioni spontanee da
parte del Comune di Rimini, in veste di mero soggetto interessato.
Invece, in armonia con il principio di partecipazione dei Comuni e
degli altri enti locali contenuto nell'art. 4, primo comma, della
Legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47, in base
all'art. 5 della stessa Legge n. 47 del 1978, come novellato dalla
L.R. 29 marzo 1980, n. 23, il procedimento di formazione ed
approvazione dei piani territoriali prevede che, sul piano "per la
tutela e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali", vengano
sentiti, tra l'altro, le Comunita' Montane ed il Circondario di
Rimini, i Comuni e le Province, che "dovranno formulare pareri e
proposte entro novanta giorni dalla richiesta della Regione".
Inoltre, dopo l'adozione del piano da parte della Giunta regionale,
viene disposta la pubblicazione del piano adottato, per sessanta
giorni, e quindi vi e' un termine di ulteriori trenta giorni per i
privati e gli enti interessati dalle previsioni e destinazioni di
zona, che comportino vincoli di carattere generale o particolare, per
presentare osservazioni ai Comitati comprensoriali, che entro 30
giorni le trasmettono, con il proprio parere, alla Giunta regionale.
Trattasi quindi di possibilita' plurime di intervento - tali da
assicurare al Comune una sostanziale partecipazione (sentenza n. 357
del 1998; n. 61 del 1994) -, con termini congrui e cadenze
procedimentalizzate, non solo nella fase di approvazione, ma estesa
alla formazione del piano, con facolta' di intervento anche
propositivo, oltre che di espressione di parere, da cui consegue un
obbligo per la Regione di prendere in considerazione i punti di vista
prospettati dal Comune. Pertanto non sussistono i vizi lamentati,
essendo congrua ed effettiva la partecipazione di Comuni interessati,
tenuto anche conto della natura e finalita' delle prescrizioni per
una tutela ambientale e culturale.
6. - Le anzidette considerazioni in ordine alla natura e agli
obiettivi di tutela estetico-culturali ed ambientali del PTPR
escludono che abbia qualsiasi rilevanza la mancata fissazione di un
limite massimo di durata del vincolo, in relazione alla previsione
dell'art. 2 della Legge n. 1187 del 1968.
Infatti, si e' al di fuori dei vincoli urbanistici, ancorche' le
prescrizioni immediatamente precettive siano incluse in strumento
avente carattere misto (urbanistico e di tutela
culturale-ambientale), e si e' in presenza di previsioni che non sono
preordinate all'espropriazione e non comportano una inedificabilita'
assoluta, ma solo il mantenimento di costruzioni esistenti, oggetto
di apposita valutazione per la tutela di un interesse
estetico-culturale rilevante.
I beni, oggetto della contestazione, soggetti al vincolo di tutela
delle cose di interesse artistico e storico di cui alla Legge 1
giugno 1939, n. 1089, comprendono fabbricati e terreni annessi (che
includono anche una striscia di demanio marittimo lungo la spiaggia);
sono ad una distanza assai ravvicinata dalla battigia e percio'
rientrano nella previsione del quinto comma, lettera a) e del sesto
comma del vigente art. 82 del DPR 24 luglio 1977, n. 616; comprendono
anche una porzione di superficie di demanio marittimo; costituiscono
(dal 1911) l'ospizio marino provinciale bolognese, intitolato poi ad
Augusto Murri; fanno parte del "complesso delle colonie marine" e del
"patrimonio delle colonie" del Comune di Rimini, caso unico del
litorale romagnolo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale del
combinato disposto degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma,
della Legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47
(Tutela ed uso del territorio), nel testo introdotto dagli artt. 2 e
3 della L.R. 29 marzo 1980, n. 23 (Norme per l'acceleramento delle
procedure relative agli strumenti urbanistici, nonche' norme
modificative ed integrative delle Leggi regionali 31 gennaio 1975, n.
12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio 1978, n. 2, 2 maggio 1978, n.
13, 1 agosto 1978, n. 26, 7 dicembre 1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n.
7), nonche' degli artt. 15 della L.R. 5 settembre 1988, n. 36
(Disposizioni in materia di programmazione e pianificazione
territoriale), e 55 della predetta L.R. n. 47 del 1978, sollevate,
per violazione degli artt. 117 e 128 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sede di
Bologna, Sezione Seconda, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 12 luglio 2000.
PRESIDENTE REDATTORE
Cesare Mirabelli Riccardo Chieppa
CANCELLIERE
Giuseppe Di Paola
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2000
IL DIRETTORE DI CANCELLERIA
G. Di Paola