REGIONE EMILIA-ROMAGNA

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 12 luglio 2000, n. 378

Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale sui ricorsi riuniti proposti dalla "Rimini Rimini SpA" e dal Comune di Rimini contro la Regione Emilia-Romagna

REPUBBLICA ITALIANA                                                             
In nome del Popolo Italiano                                                     
La Corte Costituzionale                                                         
composta dai signori:                                                           
Cesare Mirabelli - Presidente; Fernando Santosuosso; Massimo Vari;              
Cesare Ruperto; Riccardo Chieppa; Gustavo Zagrebelsky; Valerio Onida;           
Carlo Mezzanotte; Fernanda Contri; Guido Neppi Modona; Piero Alberto            
Capotosti; Annibale Marini; Franco Bile; Giovanni Maria Flick -                 
giudici;                                                                        
ha pronunciato la seguente                                                      
SENTENZA                                                                        
nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato disposto              
degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma, della Legge della               
Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del                
territorio) nel testo introdotto dagli artt. 2 e 3 della L.R. 29                
marzo 1980, n. 23 (Norme per l'acceleramento delle procedure relative           
agli strumenti urbanistici, nonche' norme modificative ed integrative           
delle Leggi regionali 31 gennaio 1975, n. 12, 24 marzo 1975, n. 18,             
12 gennaio 1978, n. 2, 2 maggio 1978, n. 13, 1 agosto 1978, n. 26, 7            
dicembre 1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n. 7), nonche' degli artt. 15             
della L.R. 5 settembre 1988, n. 36 (Disposizioni in materia di                  
programmazione e pianificazione territoriale) e 55 della predetta               
L.R. n. 47 del 1978, promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1996             
dal Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sede di             
Bologna, Sezione Seconda, sui ricorsi riuniti proposti dalla "Rimini            
Rimini SpA" e dal Comune di Rimini contro la Regione Emilia-Romagna,            
iscritta al n. 792 del Registro ordinanze 1998 e pubblicata nella               
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale,                
dell'anno 1998.                                                                 
Visti gli atti di costituzione della "Rimini Rimini SpA", del Comune            
di Rimini, nonche' l'atto di intervento della Regione Emilia-Romagna;           
udito nell'udienza pubblica dell'11 aprile 2000 il Giudice relatore             
Riccardo Chieppa;                                                               
uditi gli avvocati Francesco Paolucci per la "Rimini Rimini SpA",               
Giancarlo Mengoli per il Comune di Rimini e Alberto Predieri per la             
Regione Emilia-Romagna.                                                         
RITENUTO IN FATTO                                                               
1. - Il Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sede            
di Bologna, Sezione Seconda, chiamato a pronunciarsi                            
sull'impugnazione delle delibere della Giunta regionale                         
dell'Emilia-Romagna di sospensione dei lavori ed annullamento di una            
concessione edilizia rilasciata dal Comune di Rimini, con ordinanza             
del 4 luglio 1996 (r.o. n. 792 del 1998) ha sollevato questione di              
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 117 e 128               
della Costituzione, del combinato disposto degli artt. 5, terzo                 
comma, e 6, secondo comma, della Legge della Regione Emilia-Romagna 7           
dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del territorio), nel testo                  
introdotto dalla L.R. 29 marzo 1980, n. 23 (Norme per l'acceleramento           
delle procedure relative agli strumenti urbanistici, nonche' norme              
modificative ed integrative delle Leggi regionali 31 gennaio 1975, n.           
12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio 1978, n. 2, 2 maggio 1978, n.              
13, 1 agosto 1978, n. 26, 7 dicembre 1978, n. 47 e 13 marzo 1979,               
n.7) nella parte in cui prevede che le previsioni e le prescrizioni             
contenute nei piani territoriali stralcio (categoria comprendente               
anche il Piano territoriale paesistico regionale), che comportino               
vincoli di carattere generale o particolare, sono immediatamente                
precettive nei confronti di chiunque e prevalgono sulle diverse                 
destinazioni d'uso contenute negli strumenti urbanistici vigenti o              
adottati, nonche' degli artt. 15 della L.R. 5 settembre 1988,  n.36             
(Disposizioni in materia di programmazione e pianificazione                     
territoriale) e 55 della predetta L.R. n. 47 del 1978, nella parte in           
cui rispettivamente prevedono l'applicazione delle misure di                    
salvaguardia sulla domanda di rilascio di concessione edilizia quale            
conseguenza dell'adozione dei predetti piani e la protrazione in                
regime transitorio dei predetti effetti.                                        
2. - Il Tribunale amministrativo regionale si e' pronunciato in sede            
di impugnazione proposta con quattro separati ricorsi dal Comune di             
Rimini e dalla societa' "Rimini Rimini SpA" avverso le delibere con             
cui la Giunta regionale dell'Emilia- Romagna ha dapprima sospeso i              
lavori e poi annullato la concessione edilizia n. 688 del 21 giugno             
1991, relativa all'esecuzione delle opere di recupero e                         
ristrutturazione dell'ex Colonia Murri (variante al progetto                    
approvato con delibera del Consiglio comunale di Rimini n. 634 del 10           
aprile 1989), nonche' avverso il piano territoriale paesistico                  
regionale adottato con delibera del Consiglio regionale n. 2620 del             
29 giugno 1989 ed approvato con delibera del medesimo Consiglio n.              
1338 del 28 gennaio 1993.                                                       
La predetta concessione edilizia era stata rilasciata, in favore                
della societa' "Rimini Rimini SpA", a seguito dell'approvazione, da             
parte del Consiglio comunale, del progetto dell'opera di interesse              
pubblico di recupero dell'edificio ex Colonia Murri, presentato dal             
privato interessato.                                                            
Tale ultimo progetto era stato anche approvato in data 4 agosto 1989            
con decreto del Ministro del Turismo e dello Spettacolo, ai sensi               
degli artt. 1 e 2 del DL n. 465 del 1988, convertito nella Legge n.             
556 del 1988. Quindi, il Consiglio comunale, con delibera del 15                
marzo 1990, aveva approvato lo schema di convenzione con la societa'            
"Rimini Rimini SpA" per la realizzazione e gestione dell'opera e tale           
convenzione era poi stata effettivamente stipulata il 26 aprile 1991.           
L'annullamento della concessione disposto dalla Regione era dovuto al           
fatto che il predetto Piano territoriale paesistico regionale aveva             
definito di interesse storico-testimoniale la Colonia Murri,                    
consentendo su di essa, fino all'intervento di ulteriori specifiche             
prescrizioni programmatiche regionali, solo interventi di                       
manutenzione ordinaria e straordinaria.                                         
I motivi di impugnazione sono stati estesi dai ricorrenti anche al              
Piano territoriale paesistico regionale (PTPR), sia perche' esso e'             
stato identificato quale atto presupposto dei successivi                        
provvedimenti cautelari e di annullamento della concessione (presi in           
attuazione delle misure di salvaguardia poste a presidio del piano in           
oggetto), sia perche' esso e' stato considerato autonomamente lesivo            
delle rispettive posizioni soggettive dei ricorrenti, a causa dei               
vincoli di inedificabilita' imposti nell'area interessata.                      
Il giudice a quo, in particolare, ha posto l'accento sulla censura,             
dedotta da entrambi i ricorrenti avverso il PTPR, con la quale si               
collegava l'asserita illegittimita' del piano ai vincoli ed alle                
prescrizioni precettive ed immediatamente operative da esso                     
introdotte, non solo nei confronti del Comune (nei limiti della                 
programmazione territoriale condizionante i piani regolatori                    
generali), ma anche nei confronti dei privati e dei singoli Comuni              
interessati. Questa circostanza, secondo i ricorrenti, si sarebbe               
tradotta nella violazione della disciplina urbanistica posta con la             
legge statale, in contrasto con l'autonomia riservata ai Comuni in              
materia urbanistica e con la centralita' del loro potere di                     
pianificazione territoriale.                                                    
Il Tribunale amministrativo regionale ha condiviso l'impostazione dei           
ricorrenti ed ha, pertanto, rilevato che il PTPR dell'Emilia-Romagna,           
in applicazione degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma, della           
L.R. n. 47 del 1978, nel testo introdotto dalla L.R. n. 23 del 1980,            
e degli artt. 15 della L.R.  n.36 del 1988 e 55 della predetta L.R.             
n. 47 del 1978, non si limitava a produrre l'effetto tipico del piano           
di direttive, orientando l'azione dei soggetti pubblici investiti di            
competenze urbanistiche (in coerenza con i presupposti e gli effetti            
del piano territoriale di coordinamento disciplinato dagli artt. 5 e            
6 della Legge n. 1150 del 1942), ma introduceva anche prescrizioni e            
vincoli immediatamente efficaci verso i privati.                                
Questo peculiare effetto del PTPR, a parere del Tribunale,                      
provocherebbe anzitutto il sospetto di incostituzionalita' della                
disciplina di fonte regionale su cui e' fondato, per contrasto con              
l'art. 117 della Costituzione.                                                  
Ai sensi della L.R. n. 47 del 1978, il PTPR dell'Emilia-Romagna si              
inquadrerebbe nella categoria generale dei piani territoriali di                
coordinamento, sebbene specificamente orientati alla considerazione             
di valori paesistici ed ambientali, ai sensi dell'art. 1 bis della              
Legge 8 agosto 1985, n. 431.                                                    
Cio' posto, atteso che la potesta' legislativa regionale in materia             
urbanistica deve attuarsi, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione,           
nel rispetto dei limiti derivanti dai principi fondamentali fissati             
dalle leggi statali, secondo il giudice rimettente gli artt. 5 e 6              
della Legge 17 agosto 1942, n. 1150, che fissano le caratteristiche e           
gli effetti dei piani territoriali di coordinamento, costituirebbero            
principi fondamentali vincolanti per la Regione. Il piano                       
territoriale di coordinamento sarebbe configurato dalla legge statale           
quale piano di direttive, ossia strumento di controllo, indirizzo e             
di orientamento generale, avente effetto diretto solo nei confronti             
dei Comuni e, segnatamente, limitativo solo del loro potere di                  
pianificazione, attuato col piano regolatore generale; sicche' un               
piano territoriale, che contenesse prescrizioni e vincoli                       
immediatamente incidenti sulle posizioni soggettive dei proprietari,            
come il PTPR dell'Emilia-Romagna, esorbiterebbe dallo schema, a sua             
volta inderogabile, delineato dal legislatore statale.                          
La tendenziale sottrazione ai Comuni della posizione di centralita'             
loro assegnata nella pianificazione del territorio e la potenziale              
eliminazione dell'indispensabile ruolo di intermediazione affidato al           
piano regolatore generale implicherebbe anche un contrasto con                  
l'autonomia che a tali enti e' solennemente riconosciuta dall'art.              
128 della Costituzione.                                                         
Il Tribunale ha incidentalmente rilevato che l'art. 1 bis della Legge           
n. 431 del 1985 ha posto sul medesimo piano, quanto a funzione ed               
effetti, il piano paesistico ed il piano urbanistico territoriale e             
che la Corte costituzionale (sentenze n. 327 del 1990 e n. 379 del              
1994) ha rispettivamente riconosciuto sia la legittimita' del PTPR              
dell'Emilia-Romagna, sia la legittimita' e l'efficacia delle misure             
di salvaguardia imposte da legge regionale a presidio di vincoli                
prescritti dal piano regionale. Tuttavia, ha precisato il giudice a             
quo, il principio di equivalenza dei piani paesistici ed urbanistico            
territoriali, ai sensi dell'art. 1 bis, non varrebbe per tutto il               
territorio regionale, ma solo per i beni e le aree elencate nell'art.           
82, quinto comma, del DPR 24 luglio 1977, n. 616, come modificato ed            
integrato dall'art. 1 della Legge n. 431 del 1985; ne' il giudice               
delle leggi avrebbe ancora esaminato il profilo del potenziale                  
contrasto delle leggi regionali con gli artt. 117 e 128 della                   
Costituzione, nel presupposto del confronto con i principi desunti              
dagli artt. 5 e 6 della Legge  n.1150 del 1942.                                 
3. - Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti la societa'             
"Rimini Rimini SpA" ed il Comune di Rimini, che hanno condiviso e               
sostenuto le ragioni dedotte dal Tar nell'ordinanza di rimessione.              
In particolare, la societa' privata ha ribadito che il PTPR                     
dell'Emilia-Romagna, nella parte in cui contiene prescrizioni                   
direttamente vincolanti nei confronti dei soggetti interessati                  
all'attivita' edificatoria, si porrebbe in contrasto con le regole              
fondamentali che la legge quadro statale stabilisce in materia                  
urbanistica per i piani territoriali di coordinamento. Inoltre, a               
sostegno della violazione degli artt. 117 e 128 della Costituzione da           
parte delle norme regionali individuate dal giudice a quo, si e'                
espressamente richiamato il principio costituzionale che impone di              
salvaguardare l'autonomia degli enti infraregionali in materia                  
urbanistica non solo nei confronti dello Stato, ma anche nei                    
confronti delle Regioni (Corte costituzionale, sentenza n. 83 del               
1997).                                                                          
Il Comune di Rimini ha riepilogato le profonde diversita' che corrono           
tra il piano formato a livello comunale ed il piano territoriale di             
competenza regionale. Il primo contiene norme di dettaglio, e'                  
destinato a disciplinare esaurientemente l'intero territorio e                  
presuppone la partecipazione diretta ed individuale dei cittadini, ai           
quali e' cosi garantito l'accesso ad un procedimento che sfocia                 
nell'adozione di un atto (Piano regolatore generale) che non si                 
arresta ad una mera programmazione dello sviluppo urbanistico, ma               
importa la disciplina specifica ed effettiva del territorio. Il                 
secondo sarebbe, invece, atto di mera programmazione, avrebbe effetto           
solo indiretto verso i cittadini (per il tramite necessario del PRG),           
non richiederebbe la previa partecipazione degli interessati, sarebbe           
caratterizzato da una larga scala di previsione (senza norme di                 
dettaglio), avrebbe finalita' programmatoria, solo per                          
l'individuazione di specifici obiettivi di interesse sovracomunale e            
soprattutto di coordinamento tra i vari piani regolatori generali,              
anche per il coordinamento interregionale. I piani territoriali, in             
definitiva, non presenterebbero una disciplina onnicomprensiva, non             
si estenderebbero all'intero territorio di ogni Comune,                         
stabilirebbero previsioni e prescrizioni episodiche, strutturali e              
nodali, non riguardanti, appunto, l'intero territorio e necessitanti            
sempre di prescrizioni di dettaglio.                                            
Ne seguirebbe, secondo la parte costituita, l'impossibilita' tecnica,           
l'innaturalezza e l'illogicita' di un effetto diretto del piano                 
territoriale, soprattutto se, come nel caso di specie, esteso                   
all'intero territorio regionale, con la sostanziale privazione del              
Comune del suo ruolo centrale nella pianificazione urbanistica.                 
Inoltre, a parere del Comune di Rimini, la configurazione di un piano           
territoriale regionale, contenente vincoli di inedificabilita' ad               
efficacia diretta, implicherebbe la violazione dell'art. 117 della              
Costituzione anche per un diverso profilo. Ne risulterebbe, invero,             
la violazione di un altro principio fondamentale stabilito dalla                
legge statale e, segnatamente, della previsione dell'art. 2 della               
Legge n. 1187 del 1968, che ha sancito la decadenza, decorso il                 
termine di cinque anni, delle prescrizioni del piano regolatore                 
generale che impongono vincoli di inedificabilita' o vincoli                    
preordinati all'esproprio. Cio' in considerazione del fatto che                 
questo principio e' fissato dalla legge-statale solo per il piano               
regolatore generale e che per i piani territoriali non e' stabilito             
alcun limite temporale. In breve, l'inserimento di previsioni e                 
vincoli a contenuto specifico e direttamente efficaci nel piano                 
territoriale di coordinamento si tradurrebbe in una surrettizia                 
violazione del principio fondamentale di temporaneita' dei vincoli di           
inedificabilita'.                                                               
Per cio' che concerne, poi, il dedotto contrasto tra le norme                   
censurate e l'art. 128 della Costituzione, si e' richiamato il                  
trattato di Strasburgo del 15 ottobre 1985, ratificato con Legge 30             
dicembre 1989, n. 439, che ha approvato la convenzione europea                  
relativa alla Carta europea delle autonomie locali, ed, in                      
particolare, gli artt. 2, 3 e 4. Queste disposizioni, prevalenti su             
quelle interne di rango primario, ai sensi dell'art. 11 della                   
Costituzione, affermano a chiare lettere che il rispetto delle                  
autonomie locali si impone al legislatore statale e che esso deve               
attuarsi secondo criteri di effettivita' e mediante l'assegnazione di           
compiti e responsabilita' rilevanti alle istituzioni piu' vicine ai             
cittadini. In tale quadro si inserisce armonicamente il principio di            
sussidiarieta', affermato dagli artt. 1, commi 2 e 3, e 4 della Legge           
15 marzo 1997, n. 59, che espressamente annovera l'urbanistica tra le           
materie riservate agli enti locali e che prevede, anche per essa, il            
conferimento alle Province ed ai Comuni di tutte quelle funzioni che            
non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale.                        
4. - Si e' costituita anche la Regione Emilia-Romagna, che ha chiesto           
dichiararsi l'infondatezza della dedotta questione di                           
costituzionalita', depositando, in prossimita' dell'udienza, una                
memoria difensiva.                                                              
In essa si sono, anzitutto, puntualizzate le seguenti circostanze: a)           
il medesimo Piano territoriale paesistico regionale impugnato nel               
giudizio a quo e' stato oggetto della pronuncia  n.327 del 1990 della           
Corte costituzionale, in occasione di un conflitto a quel tempo                 
sollevato dalla Regione nei confronti dell'atto di annullamento                 
disposto in sede tutoria dall'organo statale; b) la ex colonia marina           
Murri e' immobile di proprieta' comunale ed e' proprio il Comune che            
figura quale destinatario della concessione edilizia impugnata                  
davanti al TAR; c) esso e' vincolato con decreto del Ministero dei              
Beni Culturali, ai sensi della Legge n. 1089 del 1939, in                       
considerazione del suo valore culturale, secondo una visione che pone           
l'accento sul valore di memoria, di testimonianza e di civilta'                 
insita in tali beni, giustificandone la conservazione come mezzo per            
assicurare la continuita' tra presente e passato e per rafforzare il            
vincolo di coesione del gruppo; d) la Regione ha provveduto ad                  
applicare le misure di salvaguardia previste dall'art. 55 della L.R.            
n. 47 del 1978.                                                                 
La Regione Emilia-Romagna, ha, quindi, osservato che proprio il                 
giudice rimettente, nella sentenza n. 179 del 1998 (avente il                   
medesimo oggetto qui controverso), ha riconosciuto, in armonia con              
quanto gia' affermato dalla Corte costituzionale nella predetta                 
sentenza n. 327 del 1990, che il piano impugnato non costituisce un             
piano paesistico puro, bensi' un piano urbanistico territoriale, con            
specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, ai                
sensi dell'art. 1 bis della Legge n. 431 del 1985.                              
Cio' premesso, il dubbio che contrasti con l'art. 117 della                     
Costituzione la previsione legislativa di un piano paesistico, con              
effetti immediatamente vincolanti per i privati, si rivelerebbe,                
secondo la Regione, del tutto infondato. La questione di                        
costituzionalita', invero, si fonderebbe sull'asserita inosservanza             
dei principi generali che la Legge statale n. 1150 del 1942 ha                  
fissato in ordine al piano territoriale di coordinamento, configurato           
quale piano di direttive, in funzione meramente programmatica, ed               
estraneo percio' a prescrizioni di dettaglio. Ma il piano urbanistico           
territoriale (alla cui categoria sicuramente appartiene quello in               
discussione) non sarebbe piano paesistico ma urbanistico,                       
suscettibile come tale di abbracciare l'intero territorio regionale e           
di imporre vincoli e prescrizioni direttamente efficaci nei confronti           
dei privati. Il piano urbanistico territoriale con specifica                    
considerazione dei valori paesistici ed ambientali - prosegue la                
Regione - e' diverso tanto dal piano paesistico quanto dal piano                
territoriale di coordinamento della legge del 1942 (cui pure il TAR             
si e' richiamato): esso e' un genere di piano che ha in comune il               
carattere territoriale, ma che ha funzioni ed effetti diversi, sia              
dai piani paesaggistici sia dai piani di coordinamento.                         
La sentenza n. 327 del 1990 della Corte costituzionale, del resto,              
sarebbe molto chiara sull'argomento: l'inquadramento del piano                  
adottato dalla Regione Emilia-Romagna nella categoria dei piani                 
territoriali stralcio impone di riferire ad esso non solo gli effetti           
propri di un piano di direttive - destinato ad orientare e                      
condizionare l'azione dei soggetti pubblici investiti di competenze             
urbanistiche - ma anche quelli connaturati ad un piano di                       
prescrizioni, immediatamente vincolante per i soggetti privati.                 
Inoltre, tale piano, avendo natura di strumento urbanistico, ben                
potrebbe estendere la sua azione all'intero territorio comunale,                
senza limitarsi alla disciplina dei singoli vincoli ambientali                  
precostituiti; purche', evidentemente, cio' avvenga in coerenza con             
l'indefettibile funzione di salvaguardia di valori paesistici ed                
ambientali.                                                                     
Oltretutto, il riferimento all'art. 5 della Legge n. 1150 del 1942,             
quale norma che descrive in via esclusiva il piano territoriale come            
piano di direttive, non sarebbe neppure pertinente. Osserva in                  
proposito la Regione che vi sono piani territoriali che consentono              
effetti diretti verso i privati soprattutto per quanto attiene alle             
misure di salvaguardia, cosi' come lo consentono i piani regolatori             
delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale istituiti dalla Legge           
29 luglio 1957, n. 634 e poi disciplinati dagli artt. 50-55 del DPR 5           
marzo 1978, n. 218. La legge prevede che nella redazione di tali                
piani i consorzi devono seguire "in quanto applicabili" criteri e               
direttive di cui al comma 2 dell'art. 5 della Legge n. 1150 del 1942            
e che "i piani approvati producono gli stessi effetti giuridici del             
piano territoriale di coordinamento di cui alla Legge 17 agosto 1942,           
n. 1150"; tuttavia, il piano per le aree industriali non contiene               
solo direttive, poiche' la legge autorizza i Sindaci ad adottare le             
misure di salvaguardia previste dall'articolo unico di cui alla Legge           
3 novembre 1952, n. 1902 e successive modificazioni.                            
Inoltre, secondo la Regione, se pure si riconoscesse al piano                   
paesistico adottato in Emilia-Romagna la natura di piano territoriale           
e, di conseguenza, un effetto limitato all'enunciazione di direttive            
programmatiche, nondimeno il Comune di Rimini, nel caso di specie,              
sarebbe stato comunque costretto ad osservare siffatte direttive,               
trattandosi del rilascio di una concessione edilizia a proprio favore           
e non a favore di un privato.                                                   
Non sussisterebbe poi alcuna violazione dell'art. 117 della                     
Costituzione con riferimento alla disposta introduzione di misure di            
salvaguardia.                                                                   
La previsione ed applicazione di queste misure, secondo l'esponente,            
sarebbe frutto di un principio fondamentale delle leggi statali per             
l'assetto del territorio e la tutela dei beni culturali ed                      
ambientali, sicche' le leggi regionali legittimamente potrebbero                
stabilire un effetto vincolante immediato anche nei confronti dei               
soggetti privati, in caso di piani urbanistico- territoriali (come              
accade nel caso in esame), sia di piani territoriali di                         
coordinamento, sia infine di piani paesistici.                                  
Le misure di salvaguardia, invero, erano gia' previste dall'art. 8              
della Legge n. 1497 del 1939, che conferiva poteri di inibire e                 
sospendere alterazioni dello status quo anche per i beni non                    
vincolati ne' notificati. Quando la Legge 8 agosto 1985,  n.413 ha              
introdotto il nuovo strumento del piano urbanistico territoriale, con           
specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, questo            
strumento di piano ha assunto quali suoi elementi caratterizzanti,              
proprio per il fine di tutela urbanistica ed ambientale, quantomeno             
anche i meccanismi di tutela gia' individuati dalla Legge n. 1497 del           
1939, ivi compreso quello delle misure di salvaguardia. La                      
conclusione e' che una legge regionale, che introduce un piano                  
urbanistico territoriale con valenze paesistiche, rispetta i principi           
fondamentali delle leggi statali se configura il piano come avente              
effetti vincolanti su soggetti pubblici e privati, imponendo misure             
di salvaguardia di ordine generale e, segnatamente, misure di                   
salvaguardia particolarmente rafforzate a tutela di valori                      
ambientali.                                                                     
La prevalenza delle misure di salvaguardia, dunque, risulterebbe                
principio fondamentale della legislazione urbanistica, rispondente ad           
una esigenza generalizzata di tutela cautelare che garantisca                   
l'effettivita' del diritto.                                                     
La Regione ritiene parimenti infondata la questione di legittimita'             
costituzionale per violazione dell'art. 128 della Costituzione.                 
L'art. 9 della Legge n. 1150 del 1942 prevede che le funzioni                   
amministrative che riguardano il territorio siano di competenza del             
Comune per quanto non espressamente attribuito ad altri soggetti                
dalla legge statale e regionale, ferme restando le funzioni di                  
carattere unitario spettanti alla regione per il suo territorio.                
L'autonomia comunale in tema di poteri di pianificazione si svolge,             
dunque, in un ambito circoscritto da norme di tre livelli: norme                
costituzionali, norme di legge ordinaria e norme di legge regionale.            
Indubbiamente, la competenza regionale in materia urbanistica non               
puo' attuarsi in modo che ne risulti vanificata l'autonomia dei                 
Comuni. Tuttavia sarebbe legittima e conforme ai precetti                       
costituzionali una legge regionale che, per la tutela di interessi              
sovracomunali, come quelli della difesa dei beni culturali, in                  
attuazione di valori fondamentali recepiti nella stessa Costituzione            
(art. 9 della Costituzione), comporti dei limiti indiretti al potere            
pianificatorio dei Comuni, attraverso previsioni e prescrizioni che,            
per la considerazione specifica di valori paesistici ed ambientali,             
creano vincoli nei confronti dei privati.                                       
La tutela del patrimonio culturale sarebbe compito fondamentale                 
dell'intero apparato della Repubblica in tutte le sue articolazioni             
soggettive ed uffici, poiche' l'art. 9 della Costituzione impone alla           
Repubblica di perseguire il fine precipuo di tutela del paesaggio e             
del patrimonio storico ed artistico nazionale. A questa esigenza di             
valore fondamentale, prosegue la Regione, non possono opporsi le                
competenze di singoli enti od uffici, anche se ricevono, per altro              
verso, garanzie di rango costituzionale.Le competenze comunali                  
incontrerebbero un limite anche a livello di legge statale, poiche'             
una riserva di competenza esclusiva cederebbe di fronte ad una legge            
di grande riforma economico-sociale, quale espressamente si atteggia            
la disciplina di cui alla Legge n. 431 del 1985. Questa legge,                  
peraltro, assegna alle Regioni un potere pianificatorio che assume un           
ruolo centrale per la tutela paesistica, qualora la Regione opti sia            
per la formazione di piani paesistici, sia per i piani                          
urbanistico-territoriali. Il nucleo centrale della riforma attuata              
con la detta Legge  n.431 del 1985, in armonia con i valori protetti            
dall'art. 9 della Costituzione, si articolerebbe dunque in un                   
rafforzamento del potere regionale, che puo' tutelare i beni                    
culturali con i piani territoriali avvalendosi di quegli effetti, che           
i piani territoriali previsti alla Legge urbanistica del 1942 ancora            
non possedevano.                                                                
Anche la societa' "Rimini Rimini SpA", in data prossima all'udienza             
pubblica, ha depositato una memoria, con la quale ribadisce le                  
ragioni che dovrebbero giustificare la dichiarazione di                         
illegittimita' costituzionale delle norme impugnate, per contrasto              
con gli artt. 117 e 128 della Costituzione.                                     
In particolare, l'esponente pone l'accento sul procedimento di                  
formazione del piano territoriale disciplinato dall'art. 6 della L.R.           
n. 47 del 1978, per sottolineare come non sarebbe prevista alcuna               
forma di partecipazione necessaria dei Comuni interessati; cio'                 
sarebbe dimostrato dal fatto che il Comune di Rimini avrebbe proposto           
alcune osservazioni spontaneamente ed in veste di mero soggetto                 
"interessato".                                                                  
Questa disciplina in primo luogo risulterebbe, secondo la parte, in             
palese contraddizione con le previsioni dello Statuto della Regione             
Emilia-Romagna, che eleva a regole indefettibili della sua azione               
legislativa ed amministrativa la "collaborazione" con Province e                
Comuni al fine di realizzare un coordinato sistema delle autonomie ed           
il "raccordo" tra gli strumenti di programmazione della Regione,                
delle Province e dei Comuni. In secondo luogo, siffatta disciplina              
apparirebbe in evidente violazione del principio di autonomia dei               
Comuni, costituzionalmente garantito dall'art. 128 della                        
Costituzione: l'autonomia e la centralita' del potere pianificatorio            
attribuito al Comune, qualora si riconosca allo strumento urbanistico           
regionale un effetto immediatamente vincolante nei confronti dei                
singoli, eccedente la funzione meramente programmatoria del piano               
territoriale di coordinamento, sarebbero inevitabilmente sacrificate            
da una disciplina che non concedesse all'Ente locale quantomeno una             
possibilita' di partecipazione effettiva.                                       
CONSIDERATO IN DIRITTO                                                          
1. - Le questioni di legittimita' costituzionale, sottoposte in via             
incidentale all'esame della Corte, riguardano il combinato disposto             
degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma, della Legge della               
Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47 (Tutela ed uso del                
territorio) nel testo introdotto dalla L.R. 29 marzo 1980, n. 23                
(Norme per l'acceleramento delle procedure relative agli strumenti              
urbanistici, nonche' norme modificative ed integrative delle Leggi              
regionali 31 gennaio 1975, n. 12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio              
1978, n. 2, 2 maggio 1978, n. 13, 1 agosto 1978, n. 26, 7 dicembre              
1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n. 7) nella parte in cui prevede che le            
previsioni e le prescrizioni contenute nei piani territoriali                   
stralcio (ed in particolare nel piano territoriale paesistico                   
regionale) che comportino vincoli di carattere generale o                       
particolare, sono immediatamente precettive nei confronti di chiunque           
e prevalgono sulle diverse destinazioni d'uso contenute negli                   
strumenti urbanistici vigenti o adottati, nonche' gli artt. 15 della            
L.R. 5 settembre 1988, n. 36 (Disposizioni in materia di                        
programmazione e pianificazione territoriale), e 55 della predetta              
L.R. n. 47 del 1978, nella parte in cui rispettivamente prevedono               
l'applicazione delle misure di salvaguardia sulla domanda di rilascio           
di concessione edilizia quale conseguenza dell'adozione dei predetti            
piani e la protrazione in regime transitorio dei predetti effetti. E'           
denunciata la violazione dell'art. 117 della Costituzione, per                  
contrasto con i principi fondamentali in materia stabiliti dalla                
Legge quadro statale n. 1150 del 1942, e dell'art. 128 della                    
Costituzione, per lesione dell'autonomia riservata ai Comuni in                 
materia di pianificazione urbanistica.2. - Le questioni non sono                
fondate.                                                                        
Preliminarmente, sulla base della precedente sentenza  n.327 del                
1990, deve essere precisata la natura del piano territoriale                    
paesistico regionale (PTPR), in base al quale e' stata applicata la             
contestata misura di salvaguardia, ed il potere conferito dalle leggi           
statali e regionali alla Regione di approvazione del piano stesso,              
con previsione di misure di salvaguardia.                                       
Il PTPR della Regione Emilia-Romagna trova il proprio fondamento nel            
combinato disposto dell'art. 82, quinto comma, del DPR 24 luglio                
1977, n. 616, nel testo integrato dal Decreto-Legge 27 giugno 1985,             
n. 312, convertito, con modificazioni, in Legge 8 agosto 1985, n.               
431, e dell'art. 1 bis del citato Decreto-Legge n. 312 del 1985,                
nonche' dell'art. 15 della Legge della Regione Emilia-Romagna 5                 
settembre 1988, n. 36 e del punto 2, primo comma, dell'art. 4 della             
L.R. 7 dicembre 1978, n. 47.                                                    
Pertanto il suddetto piano deve essere ricondotto alla categoria dei            
"piani urbanistici territoriali con specifica considerazione dei                
valori paesistici ed ambientali" e specificamente inquadrato nei                
"piani territoriali stralcio relativi all'intero territorio                     
regionale", piani, questi ultimi, qualificati come "tematici", in               
quanto destinati a disciplinare - ove estesi all'intero territorio              
regionale - non il complessivo assetto urbanistico della regione, ma            
determinati settori funzionali (sentenza n. 327 del 1990).                      
Il PTPR opera con le tecniche e gli effetti propri degli strumenti di           
pianificazione urbanistica, ancorche' teleologicamente orientato                
verso l'obiettivo preminente della protezione di valori                         
estetico-culturali (sentenze n. 327 del 1990; n. 151 e n. 153 del               
1986; v. anche sentenza n. 529 del 1995).                                       
Ma proprio perche' il legislatore regionale, in linea con la                    
previsione della legislazione statale, ha seguito la via alternativa            
(al piano paesistico) dello strumento di pianificazione urbanistica,            
sia pure anche con valenza paesistica e ambientale, non esiste un               
limite territoriale alle sole zone elencate nel quinto comma                    
dell'art. 82 del DPR n. 616 del 1977 (come modificato dal DL n. 312             
del 1985 e dalla Legge di conversione n. 431 del 1985). Anzi gli                
strumenti di pianificazione urbanistica hanno una efficacia                     
normalmente orientata verso l'assetto dell'intero territorio                    
dell'ente investito dello specifico potere di pianificazione                    
(sentenza n. 379 del 1994), di modo che, essendo nel caso in esame un           
piano della Regione, questo poteva essere configurato con                       
"l'estensione all'intero territorio regionale" (art. 4, primo comma,            
numero 2, della Legge della Regione Emilia-Romagna  n.47 del 1978;              
sentenza n. 327 del 1990).                                                      
Del resto la tutela paesistico-ambientale svolta attraverso uno                 
strumento di pianificazione urbanistica puo' comportare la protezione           
di un territorio ben piu' vasto delle aree strettamente vincolate,              
per le necessarie connessioni con le zone contermini e per esigenze             
di coinvolgimento di una sfera piu' ampia. Ed infatti questa Corte ha           
avuto occasione di sottolineare che la protezione preordinata dalla             
Legge n. 431 del 1985, sia pure "minimale", non esclude ne' preclude            
"normative regionali di maggiore o pari efficienza" (sentenze n. 379            
del 1994; n. 327 del 1990; n. 151 del 1986), soprattutto quando vi              
siano esigenze di una valutazione complessiva (e piu' ampia) dei                
valori sottesi alla disciplina dell'assetto urbanistico.                        
3. - Il PTPR, inquadrato nella categoria dei "piani territoriali                
stralcio", deve avere gli effetti tipici, che la legislazione                   
regionale prevede per questo tipo di piani. Quindi questi piani                 
possono essere configurati per produrre non solo gli effetti propri             
di un piano territoriale di coordinamento urbanistico, destinato ad             
orientare e condizionare (con direttive) l'azione dei soggetti                  
pubblici investiti di competenze di pianificazione urbanistica (ed in           
primo luogo i Comuni per la pianificazione del loro territorio).                
Infatti, per la parte contenente previsioni e prescrizioni                      
comportanti vincoli di carattere generale o particolare - conformi              
alle specifica "tematica", come sopra sottolineato -, detti piani               
hanno una immediata operativita' vincolante per i soggetti privati              
(sentenza n. 327 del 1990), con efficacia impeditiva e paralizzante             
di qualsiasi intervento edificatorio difforme, e quindi possono                 
contenere imposizioni anche immediatamente vincolanti a difesa dei              
valori paesistici ed ambientali (sentenza n. 529 del                            
1995).L'impostazione dell'ordinanza di rimessione muove da una                  
concezione dei piani territoriali ormai superata ed ancorata al                 
sistema inizialmente descritto nella Legge urbanistica 17 agosto                
1942, n. 1150: essa era imperniata sulla divisione delle funzioni di            
pianificazione tra Stato e Comuni e configurava il piano territoriale           
di coordinamento come semplice piano di direttive, operante nei                 
confronti della pianificazione a livello comunale, quale mero                   
strumento di indirizzo e di orientamento generale ed avente funzione            
di esplicazione del potere di controllo. Di conseguenza, nei                    
confronti del proprietario di un suolo, i vincoli e le prescrizioni             
urbanistiche obbligatorie potevano sorgere solo con l'entrata in                
vigore dello strumento di pianificazione a livello comunale (piano              
regolatore generale).                                                           
Anche a non considerare la scarsa incisivita' del sistema dell'epoca            
(1942), caratterizzato dalla pressoche' totale inutilizzazione dello            
strumento di coordinamento e da una modesta pianificazione                      
urbanistica, questo modello di regolazione del territorio deve                  
intendersi ormai sostituito da un sistema di pianificazione diretto             
soprattutto all'efficacia dei vincoli. Esso privilegia il livello               
piu' idoneo di pianificazione nella protezione di alcuni assetti                
territoriali ed ambientali individuati. Si registra, invero, nella              
legislazione statale la sopravvenienza di una serie di istituti                 
anticipatori e di salvaguardia delle prescrizioni programmatiche                
intese ad evitare l'utilizzazione selvaggia del territorio, mediante            
il riconoscimento di effetti anticipati con l'adozione dei piani,               
rispetto alla stessa pianificazione definitiva ed al perfezionamento            
dei vincoli (vedi l'evoluzione delle norme di salvaguardia, trasposte           
nel campo urbanistico dapprima facoltativamente, poi in modo                    
obbligatorio, ed i diversi espedienti normativi volti a comprimere le           
facolta' di utilizzazione edilizia, in mancanza di una pianificazione           
o di sistemi di blocco di opere edilizie, salvo interventi di                   
manutenzione, adoperati soprattutto in presenza di preminenti                   
interessi estetico-culturali ed ambientali da tutelare).                        
Ma soprattutto il sopravvenire delle Regioni, con le competenze                 
legislative ed amministrative in materia urbanistica garantite                  
dall'art. 117 della Costituzione, e gli interventi legislativi                  
regionali hanno consentito una piu' ampia esplicazione degli                    
anzidetti principi della legislazione statale, che si sono                      
sovrapposti alla Legge urbanistica del 1942, provocandone una                   
modificazione sostanziale.                                                      
Di conseguenza deve escludersi la violazione denunciata dell'art. 117           
della Costituzione.                                                             
4. - Egualmente privo di fondamento e' il profilo di                            
incostituzionalita' connesso alla dedotta lesione dell'autonomia                
comunale in materia di programmazione urbanistica, con richiamo                 
all'art. 128 della Costituzione.                                                
Questa Corte ha avuto occasione, anche di recente, di sottolineare              
che gli artt. 5 e 128 della Costituzione presuppongono una posizione            
di autonomia dei Comuni, che le leggi regionali non possono mai                 
comprimere fino a negarla (sentenze nn. 286 e 83 del 1997). Ma                  
l'autonomia comunale non implica una riserva intangibile di funzioni            
e non esclude che il legislatore regionale possa, nell'esercizio                
della sua competenza, individuare le dimensioni della stessa                    
autonomia, valutando la maggiore efficienza della gestione a livello            
sovracomunale degli interessi coinvolti.                                        
Cio' per quanto riguarda la materia urbanistica in particolare deve             
essere inteso nel senso che "il potere dei Comuni di autodeterminarsi           
in ordine all'assetto e alla utilizzazione del proprio territorio non           
costituisce elargizione che le Regioni, attributarie di competenza in           
materia urbanistica siano libere di compiere", in quanto l'art. 128             
della Costituzione "garantisce, con previsione di principio,                    
l'autonomia degli enti infraregionali, non solo nei confronti dello             
Stato, ma anche nei rapporti con le stesse Regioni" (sentenza n. 83             
del 1997).                                                                      
In realta', il rispetto delle autonomie comunali deve armonizzarsi              
con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali,              
collegati ad una valutazione piu' ampia delle esigenze diffuse nel              
territorio: cio' giustifica l'eventuale emanazione di disposizioni              
legislative (statali e regionali) che vengano ad incidere su funzioni           
gia' assegnate agli enti locali (sentenza n. 286 del 1997).Nella                
specie considerata del PTPR, la giustificazione dell'intervento                 
legislativo a livello regionale si rinviene nella tipologia stessa              
del piano "tematico" e nella natura delle prescrizioni e previsioni             
vincolanti attinenti alla protezione di valori estetico-culturali ed            
ambientali, interessi che esigono previsioni programmatiche (ma anche           
precettive) estese ad un ambito territoriale piu' vasto ed anche con            
maggior rigore e con maggiore efficienza, rispetto alle valutazioni             
di ambito comunale (v., per la convergenza in materia di territorio             
di rilevanti e specifici interessi, affidati ad analitiche competenze           
statali, regionali e degli enti locali, sentenza n. 499 del 1988).              
Del resto, la pianificazione urbanistica a livello comunale non ha              
carattere esaustivo e non riassorbe, con funzione di prevalenza, le             
altre forme di pianificazione o gli altri vincoli non urbanistici,              
poiche' qualsiasi intervento che modifica il territorio non deve                
porsi in contrasto con tutti gli altri vincoli su di esso esistenti             
(paesistici, culturali, di rispetto delle ferrovie e delle                      
autostrade, del demanio marittimo ecc.), ancorche' la pianificazione            
urbanistica comunale non escluda tale tipo di intervento o lo                   
consenta. Il principio e' reciproco anche nei rapporti tra vincoli              
non urbanistici e vincoli derivanti da pianificazione urbanistica               
comunale.                                                                       
Riguardo alla sfera degli interessi coinvolti e delle esigenze                  
relative al territorio, giova sottolineare che la tutela del bene               
culturale e' nel testo costituzionale contemplata insieme a quella              
del paesaggio e dell'ambiente come espressione di principio                     
fondamentale unitario dell'ambito territoriale in cui si svolge la              
vita dell'uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela                 
costituiscono una endiadi unitaria. Detta tutela costituisce compito            
dell'intero apparato della Repubblica, nelle sue diverse                        
articolazioni ed in primo luogo dello Stato (art. 9 della                       
Costituzione), oltre che delle Regioni e degli enti locali.                     
Rispetto a dette materie non puo' configurarsi ne' un assorbimento              
nei compiti di autogestione del territorio, come espressione                    
dell'autonomia comunale, ne' tanto meno una esclusivita' delle                  
funzioni comunali in forza della stessa autonomia in campo                      
urbanistico. Invece, attraverso i piani urbanistici il Comune puo',             
nella sua autonomia, in relazione ad esigenze particolari e locali,             
imporre limiti e vincoli piu' rigorosi o aggiuntivi anche con                   
riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed                    
ambientali.                                                                     
5. - Il Comune ha il diritto a partecipare, in modo effettivo e                 
congruo, nel procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici           
regionali che abbiano effetti sull'assetto del proprio territorio               
(sentenza n. 83 del 1997).                                                      
Sul punto le censure mosse sono prive di fondamento, essendo basate             
sull'erroneo presupposto della mancanza di previsione della                     
partecipazione necessaria dei Comuni interessati, come sarebbe                  
comprovato dalla presentazione di alcune osservazioni spontanee da              
parte del Comune di Rimini, in veste di mero soggetto interessato.              
Invece, in armonia con il principio di partecipazione dei Comuni e              
degli altri enti locali contenuto nell'art. 4, primo comma, della               
Legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47, in base              
all'art. 5 della stessa Legge n. 47 del 1978, come novellato dalla              
L.R. 29 marzo 1980, n. 23, il procedimento di formazione ed                     
approvazione dei piani territoriali prevede che, sul piano "per la              
tutela e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali", vengano           
sentiti, tra l'altro, le Comunita' Montane ed il Circondario di                 
Rimini, i Comuni e le Province, che "dovranno formulare pareri e                
proposte entro novanta giorni dalla richiesta della Regione".                   
Inoltre, dopo l'adozione del piano da parte della Giunta regionale,             
viene disposta la pubblicazione del piano adottato, per sessanta                
giorni, e quindi vi e' un termine di ulteriori trenta giorni per i              
privati e gli enti interessati dalle previsioni e destinazioni di               
zona, che comportino vincoli di carattere generale o particolare, per           
presentare osservazioni ai Comitati comprensoriali, che entro 30                
giorni le trasmettono, con il proprio parere, alla Giunta regionale.            
Trattasi quindi di possibilita' plurime di intervento - tali da                 
assicurare al Comune una sostanziale partecipazione (sentenza n. 357            
del 1998; n. 61 del 1994) -, con termini congrui e cadenze                      
procedimentalizzate, non solo nella fase di approvazione, ma estesa             
alla formazione del piano, con facolta' di intervento anche                     
propositivo, oltre che di espressione di parere, da cui consegue un             
obbligo per la Regione di prendere in considerazione i punti di vista           
prospettati dal Comune. Pertanto non sussistono i vizi lamentati,               
essendo congrua ed effettiva la partecipazione di Comuni interessati,           
tenuto anche conto della natura e finalita' delle prescrizioni per              
una tutela ambientale e culturale.                                              
6. - Le anzidette considerazioni in ordine alla natura e agli                   
obiettivi di tutela estetico-culturali ed ambientali del PTPR                   
escludono che abbia qualsiasi rilevanza la mancata fissazione di un             
limite massimo di durata del vincolo, in relazione alla previsione              
dell'art. 2 della Legge n. 1187 del 1968.                                       
Infatti, si e' al di fuori dei vincoli urbanistici, ancorche' le                
prescrizioni immediatamente precettive siano incluse in strumento               
avente carattere misto (urbanistico e di tutela                                 
culturale-ambientale), e si e' in presenza di previsioni che non sono           
preordinate all'espropriazione e non comportano una inedificabilita'            
assoluta, ma solo il mantenimento di costruzioni esistenti, oggetto             
di apposita valutazione per la tutela di un interesse                           
estetico-culturale rilevante.                                                   
I beni, oggetto della contestazione, soggetti al vincolo di tutela              
delle cose di interesse artistico e storico di cui alla Legge 1                 
giugno 1939, n. 1089, comprendono fabbricati e terreni annessi (che             
includono anche una striscia di demanio marittimo lungo la spiaggia);           
sono ad una distanza assai ravvicinata dalla battigia e percio'                 
rientrano nella previsione del quinto comma, lettera a) e del sesto             
comma del vigente art. 82 del DPR 24 luglio 1977, n. 616; comprendono           
anche una porzione di superficie di demanio marittimo; costituiscono            
(dal 1911) l'ospizio marino provinciale bolognese, intitolato poi ad            
Augusto Murri; fanno parte del "complesso delle colonie marine" e del           
"patrimonio delle colonie" del Comune di Rimini, caso unico del                 
litorale romagnolo.                                                             
PER QUESTI MOTIVI                                                               
LA CORTE COSTITUZIONALE                                                         
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale del            
combinato disposto degli artt. 5, terzo comma, e 6, secondo comma,              
della Legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 1978, n. 47                 
(Tutela ed uso del territorio), nel testo introdotto dagli artt. 2 e            
3 della L.R. 29 marzo 1980, n. 23 (Norme per l'acceleramento delle              
procedure relative agli strumenti urbanistici, nonche' norme                    
modificative ed integrative delle Leggi regionali 31 gennaio 1975, n.           
12, 24 marzo 1975, n. 18, 12 gennaio 1978, n. 2, 2 maggio 1978, n.              
13, 1 agosto 1978, n. 26, 7 dicembre 1978, n. 47 e 13 marzo 1979, n.            
7), nonche' degli artt. 15 della L.R. 5 settembre 1988, n. 36                   
(Disposizioni in materia di programmazione e pianificazione                     
territoriale), e 55 della predetta L.R. n. 47 del 1978, sollevate,              
per violazione degli artt. 117 e 128 della Costituzione, dal                    
Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sede di                 
Bologna, Sezione Seconda, con l'ordinanza indicata in epigrafe.                 
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo            
della Consulta, il 12 luglio 2000.                                              
PRESIDENTE  REDATTORE                                                           
Cesare Mirabelli  Riccardo Chieppa                                              
CANCELLIERE                                                                     
Giuseppe Di Paola                                                               
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2000                                     
IL DIRETTORE DI CANCELLERIA                                                     
G. Di Paola                                                                     

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ultima modifica 2023-05-19T22:22:53+02:00

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