COMUNICATO
RELAZIONE SULL'ATTIVITA' SVOLTA DAL DIFENSORE CIVICO REGIONALE NELL'ANNO 1999 (art. 11 della L.R. 21 marzo 1995, n. 15)
Signora Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta,
signori Consiglieri regionali.
Ho il piacere di presentare con questa relazione i risultati
dell'attivita' da me svolta nel corso dell'anno 1999 come Difensore
civico regionale.
Si tratta della prima volta in cui sono in grado di riesaminare nella
relazione annuale l'esperienza di un intero anno di attivita': questa
circostanza mi consente di compiere, in maniera piu' completa, una
rimeditazione del quadro complessivo dell'attivita' svolta, di
riscontrare, con i dati alla mano, programmi, verifiche e
prospettive.
1. QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
Mi sembra necessario, innanzi tutto, verificare, in un quadro piu'
ampio, quali siano, a livello nazionale e locale, le prospettive
dell'istituto del Difensore civico.
Il quadro generale e' in continua evoluzione.
Come e' noto, quella del Difensore civico e' una figura nuova nel
nostro ordinamento, inserita come elemento di modificazione e di
rottura con il passato, nel quadro ormai consolidato ed immobile da
troppo tempo del nostro sistema amministrativo.
Facendosi interprete di esigenze di rinnovamento, largamente diffuse
nell'opinione pubblica e tra gli stessi addetti ai lavori, il
legislatore ai vari livelli sembra intenzionato a potenziare sempre
di piu' l'istituto del Difensore civico, ad affidargli sempre
maggiori competenze.
Occorre pero' che queste modifiche - se e quando verranno - possano
essere armonizzate nel quadro preesistente, senza creare conflitti
pericolosi, e soprattutto che non vengano caricate sulla figura del
Difensore civico competenze e attribuzioni che non puo' essere in
grado di svolgere: sarebbe il peggior modo di rispondere a quelle
esigenze diffuse nell'opinione pubblica cui facevo riferimento.
Sul piano nazionale, e' tuttora fermo, dal settembre 1998, alla
Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, per il parere di
competenza, il testo unificato delle proposte di legge nn. 619 e
abbinati.
Tutto lascia quindi presagire che non sara' possibile un'approvazione
di questo testo entro la data di scadenza della legislatura in corso,
vanificando cosi' tutti gli sforzi, le proposte e le sollecitazioni
posti in essere fino ad ora per potenziare l'istituto della difesa
civica e coordinarlo nei suoi vari livelli di intervento.
Un aumento di competenze potrebbe derivare al Difensore civico dal
disegno di legge n. 4375, presentato nel novembre 1999 dal Presidente
del Consiglio dei Ministri, contenente disposizioni per la
delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti
amministrativi - Legge di semplificazione 1999, in attuazione
dell'art. 20 della Legge n. 59 del 1997. In questo testo e' inserita
una norma, l'art. 13, che attribuisce una nuova competenza specifica
ai Difensori civici, regionali, provinciali e comunali, in materia di
accesso ai documenti amministrativi.
Questa normativa prevede la possibilita' di ricorrere al Difensore
civico, oltre che al giudice amministrativo, in caso di diniego del
diritto di accesso agli atti e documenti dell'amministrazione: tutto
cio' e' la riprova del fatto che, seppur marginalmente e con
provvedimenti episodici, il legislatore nazionale dimostra
l'intendimento di voler valorizzare l'apporto del Difensore civico
nell'ambito del piu' generale disegno di semplificazione e
snellimento dei procedimenti amministrativi.
Anche il legislatore regionale ha dimostrato il proprio apprezzamento
nei confronti di questo istituto attribuendo, con L.R. 22 novembre
1999, n. 34, al Difensore civico pro tempore la presidenza della
Commissione per i procedimenti referendari e d'iniziativa popolare,
quale organo autonomo ed indipendente della Regione incaricato di
giudicare l'ammissibilita' delle proposte di iniziativa popolare e
l'ammissibilita' delle richieste di referendum abrogativi, nonche' di
rendere i pareri previsti dalla stessa normativa.
Come e' intuibile, si tratta di un compito di rilevante significato e
di notevole impegno, sia per il Difensore civico che per l'ufficio
nel suo complesso: il primo in quanto chiamato a svolgere funzioni di
estrema delicatezza, trattandosi appunto di garantire l'esercizio dei
fondamentali diritti politici attribuiti ai cittadini
emiliano-romagnoli; la struttura in quanto dovra' compiere un
notevole sforzo per fornire un adeguato supporto logistico per la
gestione delle stessa commissione, in tutti i suoi molteplici
adempimenti.
2. DATI STATISTICI
Nell'anno trascorso ho riscontrato un sensibile incremento
complessivo del ricorso dei cittadini al servizio di difesa civica,
come dimostrano i dati statistici che di seguito espongo.
Si tratta di un significativo riconoscimento del gradimento costante,
da parte dei cittadini, dell'attivita' complessivamente resa dalla
struttura nel ricercare soluzioni positive per loro.
I procedimenti formalizzati nel 1999 sono stati 1218 (rispetto ai 776
reclami formalizzati nel 1998). In 389 di questi 1218 procedimenti
sono state fornite agli interessati delucidazioni o informazioni,
oralmente o per lettera, e non vi e' stata la necessita' di avviare
un'istruttoria scritta nei confronti delle pubbliche Amministrazioni.
A questo dato si deve aggiungere l'attivita' di consulenza, che si e'
concretata in telefonate o colloqui e che, seppur non formalizzata,
ha richiesto alla struttura un notevole dispendio di tempo e
d'impegno. In via approssimativa, le consulenze prestate in via breve
possono essere quantificate in circa 600.
Per quanto concerne i procedimenti formalizzati, essi possono essere
cosi' raggruppati, secondo il destinatario o la natura
dell'intervento:
- 276 procedimenti sono stati posti in essere nella veste di
Difensore civico regionale;
- 342 per la difesa civica dei Comuni convenzionati;
- 150 sono stati rivolti a Comuni ubicati sia nel territorio
regionale che in altre regioni;
- 334 hanno interessato le Amministrazioni statali periferiche e
altri enti pubblici ubicati nella regione;
- 3 sono stati iniziati a richiesta di privati per la nomina di un
commissario ad acta;
- 26 procedimenti sono stati trasmessi per competenza ad altro
Difensore civico regionale, provinciale o comunale;
- 87 reclami attenevano a problematiche di diritto privato e,
pertanto, non e' stato possibile l'intervento. Tuttavia, agli
interessati sono state fornite informazioni e suggerimenti, in alcuni
casi anche con lettera.
Scendendo all'analisi dei procedimenti, si rileva che in 6 casi il
Difensore civico e' intervenuto d'ufficio, avendo acquisito la
notizia dai quotidiani o comunque aliunde.
I procedimenti posti in essere nei confronti dell'Amministrazione
regionale e degli enti, istituti, consorzi ed aziende dipendenti o
sottoposti a vigilanza o controllo, possono essere classificati per
materia come segue:
Agricoltura e foreste 4
Ambiente 6
Caccia pesca 2
Commercio 2
Concorsi 5
Energia 2
Inquinamento 12
Accesso atti 9
Lavoro 4
Opere lavori pubblici 3
Responsabilita' PA 5
Riscaldamento termico 1
Servizi sociali 16
Trasporti pubblici 18
Urbanistica edilizia 11
Viabilita' circolazione 2
ARSTUD 22
Consorzi 11
IACP 33
AUSL 103
Dei suddetti reclami, al 31 dicembre 1999 risultavano:
- n. 64 non sono conclusi
- n. 16 sono stati conclusi con esito positivo con l'accoglimento
della raccomandazione del Difensore civico
- n. 80 sono stati conclusi per collaborazione della pubblica
Amministrazione
- n. 29 sono stati conclusi con esito negativo per infondatezza del
reclamo
- n. 9 sono stati conclusi con dissenso motivato della pubblica
Amministrazione e non condiviso dal Difensore civico.
Sono stati archiviati:
- n. 7, dopo attenta osservazione, per inammissibilita'
- n. 15 per rinuncia, da parte del cittadino, alla richiesta
d'intervento
- n. 56 dopo aver fornito consigli, informazioni e delucidazioni agli
interessati.
I procedimenti posti in essere nei confronti di Enti locali non
convenzionati possono essere classificati per materia come segue:
Agricoltura foreste 2
Ambiente igiene pubblica 6
Aziende municipalizzate servizi pubblici 5
Caccia 1
Cimiteri 1
Commercio 3
Concessione suolo pubblico 1
Concorsi 4
Demanio patrimonio 1
ERP 1
Farmacie comunali 1
Giardini parchi pubblici 2
Inquinamento 9
Accesso atti 6
Lavoro 1
Opere lavori pubblici 13
Polizia municipale traffico 9
Protezione civile 2
Responsabilita' PA 5
Servizi sociali 7
Scuole comunali 4
Sport tempo libero 2
Tributi 16
Urbanistica edilizia 22
Viabilita' circolazione 6
Altre 20
Dei suddetti procedimenti:
- 31 non sono conclusi
- 10 sono stati conclusi con esito positivo con l'accoglimento della
raccomandazione del Difensore civico
- 38 sono stati conclusi per collaborazione della pubblica
Amministrazione
- 14 sono stati conclusi con esito negativo per infondatezza del
reclamo
- 1 sono stati conclusi con dissenso motivato della pubblica
Amministrazione e non condiviso dal Difensore civico.
Sono stati archiviati:
- n. 1, dopo attenta osservazione, per inammissibilita'
- n. 7 per rinuncia, da parte del cittadino, alla richiesta
d'intervento
- n. 40 dopo aver dato consigli, informazioni e delucidazioni agli
interessati.
Infine i procedimenti posti in essere nei confronti delle
Amministrazioni periferiche dello Stato possono esser suddivisi per
materia (e in alcuni casi per ente) come segue:
Provincia 23
Aziende erogatrici servizi pubblici 11
Commercio 4
Questura 1
Concorsi statali 4
Beni culturali 2
Demanio 1
Esproprio PU 6
Giustizia 13
Immigrazione 5
Accesso atti 7
Monopoli Stato 1
Lavoro 10
Questioni previdenziali 78
Questioni tributarie 80
Prefettura 20
Tesoro 6
Ministero Trasporti 8
Pubblica Istruzione 9
Questioni militari 4
Responsabilita' PA 5
Sanzioni amministrative 13
Scuole statali 9
Questioni tributarie 80
Altre 14
Dei suddetti procedimenti:
- 56 non sono conclusi
- 33 sono stati conclusi con esito positivo con l'accoglimento della
raccomandazione del Difensore civico
- 61 sono stati conclusi per collaborazione della pubblica
Amministrazione
- 24 sono stati conclusi con esito negativo per infondatezza del
reclamo
- 7 sono stati conclusi con dissenso motivato della pubblica
Amministrazione e non condiviso dal Difensore civico
- 4 sono stati conclusi per mancata collaborazione della pubblica
Amministrazione.
Sono stati archiviati:
- n. 7 dopo attenta osservazione, per inammissibilita' del reclamo
- n. 22 per rinuncia, da parte del cittadino, alla richiesta
d'intervento
- n. 120 dopo aver fornito consigli, informazioni e delucidazioni
agli interessati.
3. ATTIVITA' E STRATEGIE OPERATIVE
Nella precedente relazione per l'anno 1998 mi ero soffermata
dettagliatamente sulle procedure di lavoro e le strategie operative
dell'ufficio, dando conto delle motivazioni e delle regole del mio
operare.
Nel corso del 1999 non ho ritenuto di discostarmi da esse,
ritenendole adeguate alle finalita' da raggiungere: se mai, ho
cercato di affinare le tecniche di approccio al problema e alle
persone (funzionari e dirigenti dell'Amministrazione pubblica,
cittadini che richiedono il mio intervento).
Mi sono sforzata di trovare un punto di intesa ed una collaborazione
con tutti, convinta come sono dell'importanza del rapporto personale
come veicolo idoneo a risolvere la maggior parte delle situazioni.
Laddove, in pochi casi, questo non e' riuscito, me ne rammarico
perche' forse la mia naturale impetuosita' non mi ha permesso di
risolvere positivamente una pratica o una situazione.
E' da aggiungere che, laddove i cittadini mi sottoponevano
fattispecie di particolare interesse, ho costantemente cercato di
enucleare dalla soluzione del singolo caso prospettato un paradigma
generale, valevole per casi analoghi, utilizzando il mio osservatorio
privilegiato dei rapporti tra i singoli e l'amministrazione come
strumento di verifica e di sollecitazione di comportamenti
complessivi della pubblica Amministrazione nonche' di proposta di
nuovi modelli organizzativi.
Ho anche curato costantemente l'immagine esterna dell'istituto, al
fine di farlo conoscere sempre di piu' ai cittadini
emiliano-romagnoli, affinche' ne potessero trarre la maggiore
possibile utilita'.
A tal fine, oltre ad aver curato, come in passato, i rapporti a
livello istituzionale con le varie autorita' pubbliche, ho promosso
alcune iniziative di carattere promozionale, quali le locandine
affisse per alcuni mesi in tutti i mezzi dell'ATC di Bologna, la
diffusione di un audiovisivo pubblicitario, la partecipazione a
convegni.
Ho anche ottenuto dall'Amministrazione regionale l'istituzione di una
linea telefonica gratuita (numero verde), cosi' da consentire a tutti
gli interessati di accedere gratuitamente al servizio offerto da
questo istituto.
Durante l'anno ho mantenuto frequenti rapporti con i Difensori civici
locali dell'Emilia-Romagna, sia attraverso un incontro tenutosi a
Bologna, nel corso del quale sono stati discussi in particolare i
problemi comuni a tutti i Difensori civici, sia soprattutto con
frequenti telefonate e scambi epistolari di informazioni, proposte e
richieste di intervento.
Ho inoltre proseguito la mia partecipazione alle riunioni di
coordinamento dei Difensori civici regionali, che nel corso del 1999
sono state numerose e costruttive; ho inoltre partecipato alla
Conferenza europea tenutasi a Firenze nel novembre, che aveva per
oggetto "La difesa civica regionale nell'Europa delle regioni".
Mentre e' stato giocoforza ridurre le occasioni di incontro con gli
studenti delle scuole della provincia di Bologna, per ristrettezza di
tempo rispetto agli impegni assunti, ho proseguito nella
partecipazione ad incontri, conferenze, interventi televisivi e
radiofonici rivolti a promuovere l'immagine e la conoscenza
dell'istituto.
Pur nella consapevolezza dell'inadeguatezza degli sforzi miei e dei
miei validissimi collaboratori, ai quali va tutta la mia stima e
riconoscenza per l'impegno profuso e la qualita' del lavoro svolto,
ho avuto la soddisfazione di ricevere una collaborazione da parte dei
miei interlocutori pressoche' sempre aperta, disponibile, fattiva.
4. ALCUNE ESEMPLIFICAZIONI DI INTERVENTI TRATTATI COME DIFENSORE
CIVICO REGIONALE
Regione Emilia-Romagna - Direzione generale "Organizzazione"
N. 1/99
Mi veniva segnalata un'anomalia nell'iter procedimentale di un
concorso regionale per la copertura di posti di VIII qualifica, in
quanto un comunicato del Responsabile del Servizio regionale
competente sembrava introdurre, nella sostanza, una modificazione al
bando di concorso.
Questo comunicato, infatti, attribuiva alle Commissioni giudicatrici
la facolta' di integrare la prova preselettiva con altra diversa, che
sarebbe potuta valere come prova concorsuale, nel caso in cui si
fosse presentato un numero di candidati inferiore a quello indicato
nel comunicato stesso.
Esprimevo pertanto all'amministrazione le mie perplessita' sulla
legittimita' di una simile procedura, la quale sembrava integrare e
quasi stravolgere il bando di concorso a suo tempo approvato dalla
Giunta regionale.
L'amministrazione mi precisava che la nuova procedura era stata
richiesta da alcune Commissioni di esami le quali, dopo aver
riscontrato una partecipazione veramente esigua di candidati alla
prova preselettiva, avevano richiesto di utilizzare la stessa come
prova scritta, evitando con cio' un dispendio di risorse.
A questa richiesta l'amministrazione non aveva ritenuto di aderire,
dato che i candidati erano gia' stati convocati solamente per la
prova preselettiva. Peraltro, sempre con lo stesso comunicato
l'amministrazione aveva ritenuto di rimettere alle Commissioni di
concorso la facolta' di decidere se procedere o meno alla prova
selettiva integrata, valida quale prova concorsuale a tutti gli
effetti.
Secondo l'amministrazione, la modalita' proposta non risultava lesiva
dei diritti dei candidati, in quanto le materie oggetto della prova
preselettiva e della prova d'esame erano le stesse. Al contrario, lo
snellimento e la maggior funzionalita' della procedura sarebbero
risultate vantaggiose per i candidati. In ogni caso, le Commissioni
esaminatrici erano intenzionate a non avvalersi della modalita'
prevista nello stesso comunicato.
Preso atto con soddisfazione di quest'ultima precisazione, ribadivo
all'amministrazione, in linea di principio, le mie perplessita' sulla
possibilita' di modificare il bando di concorso con atto del
Responsabile del Servizio, rilevando che, in questo modo, i
concorrenti sarebbero stati convocati senza sapere a quale tipo di
prova sarebbero stati sottoposti, se si fosse trattato cioe' di
preselezione valida ai soli fini dell'ammissibilita' o di una prova
valida ai fini dell'esito del concorso.
Regione Emilia-Romagna - Direzione generale Programmazione e
Pianificazione urbanistica - Servizio Qualita' edilizia
N. 255/99
Con deliberazione n. 1009 del 1998 il Consiglio regionale elevava,
con effetto dall'1 gennaio 1999, il limite di reddito per l'accesso
all'edilizia residenziale pubblica, rinviando ad un successivo
provvedimento l'utilizzo di questo nuovo limite per ridefinire le
fasce di reddito ed il correlato canone di locazione.
Nel marzo 1999 una signora, assegnataria di alloggio di edilizia
residenziale pubblica, mi chiedeva di intervenire facendo presente
che, proprio a seguito del mancato aggiornamento della fascia B), un
modesto incremento del reddito del suo nucleo familiare aveva
determinato un suo riposizionamento nella fascia superiore, con un
incremento del canone da Lire 477.298 a Lire 763.676.
Chiedevo allora alla Direzione generale Programmazione e
Pianificazione urbanistica - Servizio Qualita' edilizia, notizie sui
tempi di adozione del provvedimento di ridefinizione delle nuove
fasce.
Finalmente, nel giugno 1999, il Servizio regionale rispondeva che,
con la deliberazione del 1998, il Consiglio regionale aveva
manifestato la volonta' politica di ampliare l'accesso all'edilizia
residenziale pubblica attraverso l'elevazione del limite di reddito
mentre, facendo uso della propria discrezionalita' in materia, aveva
tralasciato gli altri effetti previsti dalla normativa vigente.
Controbattevo in proposito al Servizio che l'adozione del
provvedimento da me sollecitato derivava da un preciso obbligo di
legge, che non lasciava all'Amministrazione regionale alcun margine
di discrezionalita' ne' sull'an ne' su quantum ne' tantomeno sulla
decorrenza: questa non poteva essere che quella stessa del nuovo
limite per l'accesso.
Come previsto dal terzo comma dell'art. 40 della L.R. 12/84, la
fascia B) includeva, infatti, i redditi compresi tra il limite
superiore della fascia A) e il limite di reddito per la decadenza
disposto dall'art. 23. Dato che il limite di reddito per la decadenza
era fissato nel doppio del limite di reddito per l'accesso,
l'incremento di quest'ultimo comportava obbligatoriamente l'aumento
sia del limite di reddito per la decadenza che quello dell'importo
superiore della fascia B) e di quello inferiore della fascia C).
Facevo inoltre presente che, come e' intuibile, la questione
coinvolgeva le posizioni di migliaia di assegnatari di edilizia
residenziale pubblica i quali, a seguito della mancata ridefinizione
delle fasce di reddito, erano costretti a corrispondere agli Istituti
autonomi case popolari della regione canoni di locazione superiori a
quanto dovuto.
La questione si e' trascinata per diversi mesi senza pervenire ad
alcun risultato.
Peraltro, proprio in questi giorni il Consiglio regionale ha
modificato, con Legge n. 8 del 25 febbraio 2000, i termini della
questione: infatti, l'art. 6 della citata normativa attribuisce al
Consiglio regionale il potere di stabilire una decorrenza della
rideterminazione delle fasce di reddito e dei canoni di locazione
diversa da quella fissata per l'incremento del limite reddituale di
accesso all'edilizia residenziale pubblica.
In attuazione della nuova previsione il Consiglio regionale, con
deliberazione 1400/00, ha fissato all'1 gennaio 2001 il termine per
l'utilizzazione, anche per la determinazione delle fasce reddituali,
dei nuovi limiti di reddito fissati nel 1998 per l'accesso
all'edilizia residenziale pubblica.
Devo ritenere che tale modifica legislativa e la conseguente
deliberazione consiliare siano finalizzate a superare i rilievi che
ho proposto in passato.
In realta', la modifica apportata con la L.R. 6/00 potra' essere
applicata solamente per il futuro, allorche' l'Amministrazione
fissera' un nuovo limite di reddito per l'accesso per l'edilizia
residenziale pubblica.
Al contrario, non appare legittimo l'utilizzo del limite fissato nel
1998 per ricollegare ad esso gli effetti previsti dalla nuova
normativa: nel 1998, del resto, vigeva una normativa diversa, che non
consentiva decorrenze differenziate per l'aggiornamento dei limiti di
reddito per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica e per la
rideterminazione dei canoni.
A mio parere, gli assegnatari hanno infatti maturato dall'1 gennaio
1999, in base ad un obbligo sancito dagli artt. 40, comma 3, 43 e 23,
comma 1, della L.R. n. 12 del 1984, un diritto soggettivo perfetto ad
essere ricollocati nelle nuove fasce di reddito ridefinite verso
l'alto.
Questo diritto non puo' essere vanificato oggi neppure dalla nuova
normativa.
Resta peraltro impregiudicato, e su questo richiamo in particolare
l'attenzione dell'Amministrazione regionale, il problema da me
sollevato, e le conseguenti responsabilita', civili e contabili, che
ne possono scaturire a suo carico.
Regione Emilia-Romagna - Direzione generale Programmazione e
Pianificazione urbanistica - Servizio Programmi edilizi
N. 173/99
Nella relazione sull'attivita' svolta dal Difensore civico regionale
nell'anno 1998 davo conto di numerosi interventi a favore di
cittadini emiliano-romagnoli ai quali era stata richiesta la
restituzione di somme, spesso di importo elevato, in quanto a partire
dal 1983 l'Amministrazione regionale aveva applicato loro dei tassi
di interesse meno elevati di quelli dovuti.
Il mio intervento aveva assunto una valenza di carattere generale,
che ricomprendeva tutte le situazioni, anche quelle dei soggetti che
non si erano rivolti a me.
La richiesta minimale che avevo presentato all'Amministrazione
regionale, era di rideterminare tutte le relative posizioni debitorie
applicando la prescrizione decennale.
Questa richiesta, ripetutamente reiterata, non era stata accolta.
Peraltro, in occasione della adozione della normativa regionale in
materia di riforma del sistema regionale e locale (L.R. 21 aprile
1999, n. 3) il Consiglio regionale ha opportunamente introdotto una
norma, l'art. 97, che consente all'Amministrazione, nell'ambito della
gestione dei contributi pubblici di edilizia agevolata, di provvedere
al recupero di somme risultanti da crediti accertati, limitatamente a
quelli non prescritti.
In tale modo e' stata risolta, almeno in parte, una situazione di
estrema tensione che si era determinata tra l'Amministrazione e i
cittadini coinvolti, sui quali erano venute a ricadere, senza loro
colpa, le conseguenze dell'inefficienza dell'apparato burocratico.
Regione Emilia-Romagna - Direzione generale Cultura e Turismo
N. 181/99
La Presidente di una Commissione regionale mi ha chiesto di
intervenire per sollecitare l'assegnazione alla sua struttura di
personale adeguato, quanto a capacita' e numero, per consentire cosi'
alla Commissione di poter svolgere al meglio le proprie attivita'
istituzionali.
Inoltre, la funzionalita' di quella Commissione risultava compromessa
dall'inammissibile ritardo con il quale venivano corrisposti i
compensi e i rimborsi spese a favore dei componenti della
Commissione: fino a quel momento, infatti, erano stati corrisposti
solamente gli importi relativi al 1996, mentre ancora non erano stati
liquidati quelli relativi al 1997 e 1998.
In risposta alla mia segnalazione la Direzione generale Cultura e
Turismo sottolineava che la carenza di personale esistente in tutta
la Direzione aveva reso difficoltosa la sostituzione della dirigente
della struttura di supporto della Commissione, di recente trasferita
ad altro incarico.
In ogni caso, la stessa Direzione assicurava l'immediata messa a
disposizione di due unita' operative per sopperire alle necessita'
piu' immediate.
Quanto poi al problema della liquidazione delle competenze arretrate
spettanti ai componenti della Commissione, era stata predisposta
proprio in quei giorni la liquidazione delle competenze per il 1997,
mentre per il 1998 non era ancora possibile perche' solamente la
Presidente aveva presentato la documentazione necessaria.
La struttura inoltre aveva gia' predisposto una determinazione
d'impegno per l'esercizio 1999, cosi' da consentire ai componenti di
fruire di anticipazioni di cassa per l'ipotesi di trasferte fuori
sede.
Azienda Ospedaliera di Bologna - Policlinico Sant'Orsola-Malpighi
N. 306/99
Una signora e' venuta ad espormi il caso del proprio fratello, le cui
condizioni di salute avevano reso necessario il ricovero d'urgenza.
Nonostante l'eta' e la situazione particolare - si trattava, infatti,
di un invalido di circa trent'anni, affetto da sindrome di Down - era
stato ricoverato presso la Divisione di Geriatria, in una camera a
sei letti.
Una simile collocazione, ovviamente, era del tutto inidonea per quel
tipo di paziente, incapace di parlare e di stare fermo, portato a
toccare e magari lanciare gli oggetti, con intuibile rischio per gli
altri pazienti, anziani e anche gravi, che si trovavano nella stessa
camera con lui.
Anche la successiva collocazione (in un corridoio|) aveva creato
problemi sia all'invalido che agli altri pazienti ugualmente
ricoverati nel corridoio.
Come conseguenza della situazione, il paziente urlava, piangeva,
voleva andarsene. Veniva percio' ricoverato in un ambulatorio, tra le
attrezzature e il materiale sanitario.
La sorella allora, al quarto giorno di ricovero e preso atto che poco
era stato fatto per curare la sua malattia, aveva chiesto ed ottenuto
che fosse dimesso per poterlo curare a domicilio.
In relazione a questo episodio ho fatto presente all'Amministrazione
che, pur non potendosi fare carico alla struttura per una
sistemazione del paziente del tutto inadeguata, ma evidentemente
necessitata dalla carenza di spazi, forse poteva essere fatto
qualcosa di piu', almeno sotto il profilo umano.
Quello che peraltro desidero porre in evidenza in questo momento e'
lo sgomento che nasce spontaneo nel trattare simili episodi, nel
verificare cioe' che le nostre strutture sono impreparate per
accogliere un disabile grave, non sono in grado di riservargli ne'
spazi adeguati ne' quella particolare attenzione che simili pazienti
richiedono.
Fortunatamente l'Azienda mi ha segnalato che, per quanto concerne i
pazienti minorenni portatori di gravi forme di handicap, qualcosa si
sta facendo per individuare percorsi idonei, anche attraverso un
gruppo di studio nominato a livello cittadino.
Manca invece, e a questa carenza si dovrebbe ovviare con ogni mezzo,
un progetto per l'handicap adulto, per il quale l'Azienda Ospedaliera
pure si dichiara disponibile ad attuare le opportune iniziative.
A seguito di questa vicenda e' stato raggiunto peraltro un risultato
concreto, seppur molto parziale, con la predisposizione di un
protocollo operativo tra la Direzione ospedaliera ed un Distretto
sanitario per l'ipotesi di ricovero ospedaliero dei pazienti di
alcune residenze socio-riabilitative.
Azienda Unita' sanitaria locale della Citta' di Bologna
N. 34/99
Il Centro per i diritti del malato presso l'Ospedale
Sant'Orsola-Malpighi ha chiesto il mio intervento in favore di una
signora la quale, non essendo riuscita a prenotare l'ecografia per la
ventesima settimana di gravidanza, si era rivolta ad una struttura
privata, ed ora chiedeva inutilmente all'Azienda Unita' sanitaria
locale della Citta' di Bologna il rimborso di quanto pagato.
Alla mia segnalazione l'Azienda rispondeva che il rimborso non era
possibile in quanto l'ecografia era stata effettuata presso una
struttura non accreditata e che, d'altro canto, dal gennaio 1998 non
erano ammesse prestazioni specialistiche ambulatoriali in assistenza
indiretta.
Insistevo allora nella mia richiesta sottolineando che la signora si
era rivolta alla struttura privata per ottenere una prestazione che
il Servizio sanitario era tenuto ad erogare nei tempi previsti dai
relativi "Protocolli di accesso per esami di laboratorio e
diagnostica strumentale a tutela della maternita'", non quindi per
sua scelta ma esclusivamente in conseguenza dei disservizi delle
strutture pubbliche. In una simile situazione il rimborso del costo
della prestazione rappresentava puramente e semplicemente il
risarcimento dell'onere ingiustamente sostenuto.
Riesaminata la situazione complessiva, l'Azienda riconosceva che, al
di la' del dato meramente formale, il diritto alla salute andava
tutelato compiutamente, e di conseguenza provvedeva al rimborso
totale delle spese sostenute dalla signora.
Azienda Unita' sanitaria locale della Citta' di Bologna - Distretto
Santo Stefano - Savena
N. 429/99
Un'anziana signora ha chiesto il mio intervento in quanto, per ben
due volte, aveva sottoscritto un contratto per l'assistenza a casa
del proprio marito, anziano e non autosufficiente, nell'ambito del
programma di assistenza elaborato dall'Unita' di Valutazione
Geriatrica del Distretto Santo Stefano - Savena.
Come aveva successivamente appreso, il contributo a lei spettante, in
base alla normativa regionale in materia doveva ammontare a Lire
20.000 al giorno, mentre in realta' a lei erano state corrisposte
soltanto Lire 14.000/giorno.
Avendo verificato personalmente la documentazione che l'interessata
aveva prodotto, in effetti riscontravo, dall'allegato sia al primo
che al secondo contratto, che le prestazioni assistenziali elencate
nel programma che costituiva parte integrante del contratto stesso
erano ricomprese nella tipologia A), per la quale una deliberazione
regionale in materia prevedeva l'assegno di Lire 20.000.
Se peraltro poteva essere ipotizzabile, come sostenuto dalla
struttura sanitaria, un errore nella barratura del prospetto,
risultava difficile ipotizzare un errore ripetuto in due distinte e
successive occasioni, anche perche' il personale della struttura
stessa ben sapeva dell'esistenza di diversi livelli di
autosufficienza e di connesse prestazioni.
Nonostante le mie ripetute insistenze il Distretto non ha deflettuto
dalla sua posizione, sostenendo sempre la correttezza del proprio
operato.
Di fronte alla circostanza inequivocabile che, per ben due volte, la
struttura ha predisposto la modulistica contrattuale nel senso di
riconoscere le prestazioni maggiori, suscitando cosi' nell'assistito
un'aspettativa poi disattesa, una simile presa di posizione non puo'
che lasciarmi completamente dissenziente.
Azienda Unita' sanitaria locale di Bologna Sud - Distretto di
Casalecchio di Reno
N. 436/99
Un invalido con amputazione bilaterale agli arti inferiori chiedeva
al Distretto sanitario competente l'autorizzazione ad acquistare una
protesi presso una ditta diversa da quella autorizzata in precedenza,
in quanto la protesi predisposta dalla prima ditta era risultata
inadeguata.
Alla mia richiesta in questo senso l'Azienda mi informava che aveva
gia' corrisposto al fornitore, per la prima protesi, l'80% del prezzo
previsto dal Nomenclatore tariffario.
Ciononostante, si rendeva disponibile a riconsiderare la richiesta
del paziente, previa verifica dell'inadeguatezza della protesi
originaria, e richiedeva un preventivo a questo fine.
L'Azienda precisava inoltre che, in simili casi, il costo della
protesi viene corrisposto direttamente dall'Azienda, alla quale la
ditta fornitrice deve intestare ed inviare la relativa fattura.
Apprendevo invece, nel frattempo, che l'interessato aveva gia'
acquistato e pagato questa seconda protesi|
In questo frangente e' venuta in luce tutta la sensibilita' e
disponibilita' del Responsabile del Distretto sanitario nei confronti
di un paziente che, a causa della sua grave menomazione, aveva gia'
in passato contestato e rifiutato di collaborare con la struttura.
Il Responsabile infatti, in via eccezionale, ha disposto la sanatoria
della situazione provvedendo al rimborso della protesi a favore
dell'invalido.
Azienda Unita' sanitaria locale di Ravenna
N. 608/99
Il figlio di due anziani, residenti in provincia di Ravenna ma
ospitati in una struttura protetta ubicata nel territorio
dell'Azienda Unita' sanitaria locale di Forli', mi chiedeva di
verificare presso l'Azienda Unita' sanitaria locale di Ravenna i
motivi per i quali quest'ultima non provvedeva a corrispondere alla
struttura stessa gli importi per oneri a rilievo sanitario relativi
ai due anziani.
Quale conseguenza di tale omissione, l'interessato ipotizzava che
l'istituzione potesse richiedere a lui a lui stesso gli importi
relativi.
A seguito del mio intervento, l'Azienda Unita' sanitaria locale di
Ravenna chiedeva il parere della Regione Emilia-Romagna - Direzione
generale Sanita' e Servizi sociali -, eccependo che l'Azienda Unita'
sanitaria locale di Forli' non aveva rispettato il percorso operativo
indicato in una circolare regionale del 1997 - in base alla quale
l'Unita' Valutazione Geriatrica dell'Unita' sanitaria locale di
Forli' avrebbe dovuto, prima di adottare i provvedimenti di
competenza, contattare il Servizio Assistenza anziani della Unita'
sanitaria locale ravennate, anche al fine di valutare le alternative
residenziali esistenti nel territorio di residenza degli anziani.
La Regione allora, pur riconoscendo l'anomalia dell'iter seguito,
faceva presente all'Azienda ravennate che comunque gli oneri
socio-assistenziali a rilievo sanitario dovevano ricadere
sull'Azienda Unita' sanitaria locale di residenza.
Ribadivo allora al Direttore generale dell'Azienda Unita' sanitaria
locale di Ravenna l'urgenza di corrispondere all'Istituto gli importi
dovuti e finalmente, dopo circa un anno, la vertenza veniva risolta
positivamente.
Istituto autonomo per le case popolari della Provincia di Bologna
N. 381/99
A seguito di richieste di intervento da parte di numerosi
assegnatari, chiedevo all'Istituto autonomo case popolari della
Provincia di Bologna di farsi carico, in via generale, delle spese di
trasferimento sostenute dagli assegnatari stessi in occasione della
ristrutturazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Al riguardo si era infatti determinata una diversita' di opinioni tra
l'Istituto e la scrivente per quanto concerne l'individuazione del
soggetto tenuto a sostenere le spese di trasloco in caso di
trasferimento forzato da un'unita' abitativa ad un'altra e, a seguito
di un colloquio con il Presidente dell'Istituto, si conveniva
sull'opportunita' di richiedere il parere dell'Assessorato regionale
Programmi d'area - Qualita' edilizia.
In materia di spese di trasloco, infatti, l'Istituto distingueva due
ipotesi: quella di sistemazione temporanea dell'assegnatario in altro
alloggio (per la quale l'Istituto si accollava le spese sostenute per
trasferirsi nell'alloggio parcheggio, lasciando a carico
dell'inquilino le spese per il successivo rientro nell'alloggio
originario), e l'ipotesi di trasferimento definitivo, nella quale
l'Istituto non contribuiva in alcun modo.
L'unica eccezione era prevista a favore dei nuclei familiari
segnalati dai Servizi sociali che, a causa delle loro condizioni
socio economiche, non risultassero in grado di sostenere queste
spese.
In tutti questi casi, inoltre, l'Istituto affermava di aver ottenuto
il consenso dell'inquilino al trasferimento.
La scrivente, peraltro, aveva riscontrato che la situazione era
diversa, e che l'Istituto imponeva agli assegnatari di lasciare
l'alloggio per procedere alla ristrutturazione dell'immobile: in
alcuni casi l'Istituto metteva a disposizione un alloggio parcheggio,
in attesa del rientro nell'appartamento originario, mentre in altre
condizioni metteva a loro disposizione un altro alloggio a titolo
definitivo.
In entrambi i casi, gli assegnatari non avevano avuto alcuna
possibilita' di scelta tra restare nell'alloggio o andare altrove,
era loro concessa solamente la scelta tra alcune proposte di alloggio
sostitutivo.
In questo limitato senso l'Istituto poteva parlare di consenso o di
richiesta dell'assegnatario, consenso o richiesta che erano peraltro
collegati ad un momento successivo nel quale l'assegnatario, dovendo
traslocare d'autorita' dall'abitazione originaria, individuava
quella, tra le soluzioni prospettate, che in qualche modo risultava
per lui meno gravosa e penalizzante.
Non esiste nella normativa regionale in materia una disposizione
specifica sul punto: da questa circostanza l'Istituto argomentava che
tale carenza non gli consentiva di addossarsi l'onere delle spese di
trasloco, ma che le stesse dovessero gravare sull'assegnatario.
Al contrario, la scrivente riteneva che l'esistenza di una norma
specifica fosse rilevante solamente se diretta ad escludere un
obbligo dell'Istituto in tal senso, e non viceversa in quanto, nel
silenzio della legge, soccorrevano i principi generali, ed in
particolare il principio del neminem laedere di cui all'art. 2043
Codice civile.
A seguito della sottoscrizione del contratto di locazione si erano
costituiti infatti, a favore dell'assegnatario, alcuni diritti, tra i
quali principalmente il diritto al godimento dell'alloggio:
l'Istituto si era obbligato a consentire tale godimento, e non poteva
modificare unilateralmente la situazione in senso deteriore per la
controparte qualora cio' non fosse consentito da disposizioni
normative o contrattuali.
Risultava, in ogni caso, discriminatorio ed in contrasto con principi
di equita' il subordinare l'accollo delle spese di trasloco al tipo
di sistemazione abitativa scelta dall'Istituto, distinguendo tra
sistemazione provvisoria e sistemazione definitiva e accettare di
rimborsare queste spese, e solo in parte, per la prima tipologia.
Al quesito, formulato dall'Istituto nell'aprile 1999, l'Assessorato
regionale non ha ancora risposto.
Istituto autonomo per le case popolari della Provincia di Bologna
N. 45/99
Il Comitato inquilini del Pilastro mi faceva presente di aver
segnalato, ripetutamente ed inutilmente, all'Istituto autonomo case
popolari di Bologna la sosta abusiva di un autofurgone, abbandonato
da mesi lungo lo scivolo di un immobile di proprieta' dell'Istituto,
e ne richiedeva la rimozione anche per evitare pericoli per
l'incolumita' di coloro che di li' dovevano transitare.
L'Ente allora comunicava di aver provveduto alla rimozione del mezzo,
non senza porre in evidenza che il problema della rimozione dei mezzi
abbandonati non e' di facile soluzione, potendo integrare gli estremi
di varie fattispecie di reati.
Al riguardo desidero sottolineare che gia' per altre situazioni il
citato Comitato inquilini ha chiesto il mio intervento, dimostrando
encomiabile senso di responsabilita' nel perseguire un miglioramento
delle condizioni complessive delle strutture comuni
dell'insediamento.
Azienda regionale per il diritto allo studio universitario di Bologna
N. 90/99
Una studentessa universitaria mi ha prospettato il disagio che le era
derivato dal comportamento tenuto dall'Azienda regionale per il
diritto allo studio universitario di Bologna in occasione
dell'assegnazione, per l'anno accademico 1997/1998, di una borsa di
studio e di un contributo di Lire 300.000 utilizzabile nei servizi
universitari di ristorazione. Quest'ultimo importo, unitamente ad una
quota di Lire 600.000 della borsa di studio, erano stati convertiti
in prepagato per l'accesso al servizio ristorativo.
In data 1 giugno 1998 veniva consegnata all'interessata la chiave
elettronica caricata del prepagato, pari appunto a Lire 900.000
(equivalente a 106 pasti).
Nell'ottobre 1998 l'Azienda, dopo aver rilevato che il prepagato non
era stato interamente speso, annullava il residuo credito di Lire
800.000 circa, in attuazione del comma 5 dell'art. 3 del bando di
concorso che prevede: "L'importo prepagato va esaurito entro l'anno
accademico 1997/1998; non e' prevista alcuna forma di rimborso della
quota non utilizzata".
Al riguardo ho fatto presente all'Azienda che tale disposizione
poteva trovare piena applicazione solamente se la messa a
disposizione del prepagato fosse avvenuta tempestivamente, cioe'
entro il mese di dicembre 1997 o gennaio 1998, termine fissato dal
bando di concorso per la pubblicazione della graduatoria definitiva.
Nel caso di specie, al contrario, l'interessata aveva ottenuto la
chiave soltanto l'1 giugno, potendo cosi' utilizzarla soltanto per il
periodo giugno-settembre, tra l'altro periodo estivo nel quale, come
e' noto, non si tengono lezioni e gli studenti rientrano nella loro
citta' di residenza.
Alla mia richiesta di rimborsare all'interessata almeno la quota
della borsa di studio, pari a Lire 600.000, l'Azienda replicava che
nel provvedimento ministeriale che definisce gli importi e le
modalita' delle borse di studio non vi e' alcun riferimento al fatto
che lo studente usufruisca effettivamente del servizio|
L'Azienda faceva altresi' presente che il riconoscimento della borsa
di studio alla studentessa era rimasto in sospeso fino all'aprile
1998, per mancanza di una dichiarazione sulla propria posizione
reddituale. In quel momento l'Azienda aveva stabilito l'assegnazione
della borsa di studio e attribuito parte della quota di prepagato
(Lire 300.000), mentre le restanti Lire 600.000 erano state caricate
sulla chiave elettronica nel maggio 1998.
Anche se la comunicazione personale era stata inviata solamente nel
giugno 1998, la studentessa avrebbe potuto avere notizia
dell'assegnazione dalla pubblicazione delle graduatorie definitive.
Pur comprendendo le difficolta' nelle quali si trova ad operare
l'Azienda, devo rilevare che la vicenda sembra emblematica di una
certa rigidita' da parte della struttura nella gestione delle
provvidenze a lei demandate.
L'Azienda avrebbe infatti dovuto rendersi conto fin dall'inizio che
la posizione della studentessa che aveva ritirato (o avrebbe potuto
ritirare) la chiave del prepagato nel maggio-giugno 1998 era ben
diversa da quella dello studente che aveva ricevuto lo stesso
beneficio fin dall'inizio dell'anno accademico, e avrebbe dovuto
trovare, fin da allora, una soluzione adeguata alla situazione che si
era creata.
La soluzione da me prospettata (quella di restituire la quota parte
di prepagato che atteneva alla borsa di studio, pari a Lire 600.000),
mi sembrava equa ed accettabile. Non posso non rilevare che,
comunque, mentre la scrivente si e' fatta carico di trovare una
soluzione concreta, l'Azienda non ha trovato di meglio che arroccarsi
dietro al dettato dei decreti ministeriali, senza cercare di
risolvere in qualche modo il problema.
Azienda regionale per il diritto allo studio universitario di Bologna
N. 747/99
Una studentessa universitaria otteneva un contributo per un soggiorno
studi presso un'universita' della California.
Successivamente la stessa faceva domanda per la borsa di studio
ordinaria, ritenendo che le fosse consentito dall'art. 5, comma 3,
del bando di concorso, il quale prevede che "Gli studenti che
partecipano a Progetti di mobilita' internazionale dell'Universita'
usufruiranno della borsa di studio come fuori sede se presentano
l'autocertificazione di domicilio all'estero e qualora il soggiorno
sia di una durata non inferiore a 9 mesi.".
Arrivava, invece, la conferma della borsa di studio ordinaria, ma
come pendolare. Il padre allora chiedeva delucidazioni ad un
funzionario dell'ARSTUD, ricevendo assicurazioni che l'errore sarebbe
stato corretto.
Dopo alcuni mesi senza notizie, riceveva la comunicazione, con
lettera spedita per posta normale, che la figlia non aveva diritto
all'integrazione come fuori sede, in quanto quella norma si riferiva
solamente agli studenti che comunque erano fuori sede; a parere
dell'Amministrazione doveva venir presa in considerazione la distanza
(in Italia e non piu' all'estero come prevede il comma 3 dell'art. 5)
tra la sede dell'Universita' e la residenza italiana dello studente.
L'interessato insisteva, ma inutilmente.
Successivamente l'ARSTUD comunicava che la borsa di studio sarebbe
stata ridotta con l'erogazione del trattamento previsto per lo
studente residente in sede, e non quello piu' elevato spettante allo
studente pendolare, con riserva peraltro di revocare anche
quest'ultima per incompatibilita' tra borsa di studio e contributo
per la California|
L'ARSTUD ha risposto alla mia richiesta di notizie rifacendosi ad un
parere reso dal Servizio Affari legislativi e legali della Regione
Emilia-Romagna, secondo il quale l'incompatibilita' con benefici
analoghi sussiste qualora i benefici vengano erogati con le stesse
motivazioni.
Le argomentazioni dell'Azienda, in buona sostanza, potrebbero forse
essere condivisibili sotto il profilo dell'opportunita' se non ci si
trovasse di fronte ad una normativa inequivocabile la quale, all'art.
4 da' la nozione di studente fuori sede, studente pendolare, e
studente in sede, e che al contrario, nel successivo art. 5, comma 3,
individua una situazione alla quale ricollega, tout court, il diritto
dello studente ad usufruire della borsa di studio come fuori sede.
A questo riguardo l'Azienda afferma che tale norma riguarda gli
studenti che non usufruiscono gia' di altre provvidenze che abbiano
il fine di coprire le spese di soggiorno all'estero, senza peraltro
dare atto di quali siano queste diverse ipotesi e senza considerare
che il bando di concorso, al riguardo, non prevedeva assolutamente
una simile puntualizzazione.
A me pare che il comportamento complessivo dell'Azienda sia stato
sommamente incoerente, oltreche' illegittimo, in quanto la stessa da
un lato ha affermato l'incompatibilita' di benefici analoghi, e
dall'altro peraltro ha attribuito alla studentessa la borsa di studio
come studente in sede.
Delle due l'una: o esisteva una situazione di incompatibilita', e
allora non doveva essere corrisposta alcuna borsa di studio; se, al
contrario, l'incompatibilita' non sussisteva, si doveva applicare il
comma 3 dell'art. 5 del bando, e corrispondere all'interessata la
borsa di studio come fuori sede.
In ogni caso, resta la considerazione che l'istruttoria finalizzata
all'erogazione della borsa di studio e' stata posta in essere con
modalita' che appaiono contraddittorie e poco chiare, e comunque tali
da ingenerare nell'interessata legittime aspettative successivamente
vanificate.
Molto opportunamente, nel bando di concorso per l'anno 1999/2000
l'ARSTUD ha previsto espressamente questa incompatibilita'.
Azienda regionale per il diritto allo studio universitario di Bologna
N. 997/99
Mi e' stato richiesto di intervenire al fine di verificare la
legittimita' di un bando di gara per l'appalto di alcuni lavori
predisposto dall'Azienda regionale per il diritto allo studio
universitario di Bologna.
Esaminata la doglianza, esprimevo all'Azienda le mie perplessita'
basate su un duplice ordine di considerazioni.
Da un lato osservavo che alcune clausole del bando prevedevano
requisiti di partecipazione piu' ristretti di quelli indicati dalla
normativa in materia (Legge 109/94 e DPCM 55/91), in modo tale da
configurare limitazioni al principio della libera concorrenza.
La possibilita' di inserire nei bandi di gara le clausole necessarie
al perseguimento delle finalita' dell'Amministrazione, infatti, non
significava che la stessa potesse predisporre il bando di gara
liberamente, senza il rispetto dei criteri generali dettati dal DPCM
55/91.
Ne' a tale risultato si poteva pervenire neppure argomentando dalla
diversa dizione contenuta nella Legge 415/98 con la quale l'inciso
contenuto nella Legge 109/94 "La partecipazione alle procedure di
affidamento dei lavori pubblici e' altresi' regolata dal DPCM 55/91"
veniva modificata in "la partecipazione alle procedure di affidamento
dei lavori pubblici e' altresi' ammessa in base . . al DPCM 55/91".
Le due forme verbali, infatti, non presentavano alcuna rilevante
differenza lessicale, ne' risultava in alcun modo una specifica
intenzione del legislatore di introdurre una simile modifica
sostanziale nel senso appunto di limitare l'applicabilita' del
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri: per la verita',
neppure la Relazione governativa di accompagnamento al disegno di
legge ne' la circolare esplicativa del Ministero dei Lavori pubblici
contenevano elementi in questo senso.
La seconda considerazione concerneva la pertinenza e congruita' delle
clausole aggiunte rispetto alla finalita' che si assumeva di voler
raggiungere con il loro inserimento.
La previsione di un fatturato complessivo triennale di ben tre volte
superiore al limite massimo previsto dalla legge non appariva,
infatti, un criterio idoneo a fornire garanzie oggettive di capacita'
della ditta ad eseguire lavori aventi peculiarita' specifiche:
l'immobile infatti doveva essere adibito a residenza studentesca, ed
inoltre era situato in un contesto di centro storico, in una zona di
notevole pregio urbanistico.
Ugualmente, la richiesta di attestare la corretta esecuzione di
lavori di ristrutturazione (quali che fossero, e in qualsivoglia
contesto eseguiti), non forniva alcuna garanzia per quanto riguardava
l'idoneita' ad eseguire i lavori oggetto dell'appalto, posto che
l'attestazione poteva riguardare lavori svolti in periferia e
comunque in contesti urbani diversi.
L'Azienda non ha condiviso le mie argomentazioni.
Ha anzi ribadito che la scelta di introdurre parametri di
partecipazione diversi rispetto a quelli fissati dal decreto citato,
discendeva dalla peculiarita' e difficolta' degli interventi di
ristrutturazione da porre in essere su un edificio del centro storico
e con tempi estremamente ridotti rispetto alla complessita' delle
opere, ed ha sostenuto che si trattava di interventi diversi dalle
normali opere edilizie, tali da richiedere un'altissima
specializzazione e una corrispondente affidabilita' imprenditoriale.
I parametri indicati, a suo dire, erano perfettamente coerenti
rispetto al fine che si intendeva conseguire, e non erano limitativi
della par condicio ne' ostativi ad un'ampia presentazione di domande.
A questo punto, riscontrando di non aver margini di manovra, ho
comunicato all'Azienda la chiusura del procedimento pur trovandomi in
disaccordo con le sue conclusioni, le quali del resto, a suo dire,
erano supportate da alcune pronunce giurisprudenziali che, a mio
parere risultano, ad un attento esame, piuttosto suffragare il mio
convincimento.
5. ALCUNE ESEMPLIFICAZIONI DI INTERVENTI SVOLTI DAL DIFENSORE CIVICO
REGIONALE NEI CONFRONTI DELLE AMMINISTRAZIONI PERIFERICHE DELLO STATO
AI SENSI DELL'ART. 16 DELLA LEGGE 15 MAGGIO 1997, N. 127
Ministero delle Finanze - Centro di Servizio Imposte Dirette ed
Indirette di Bologna
N. 618/98
Chiedeva il mio intervento un'anziana signora lamentando
l'insostenibilita' della situazione nella quale sia lei che il figlio
si trovavano da diversi anni.
Agli stessi infatti venivano ripetutamente notificate cartelle di
pagamento intestate al rispettivo marito e padre, nonostante che alla
morte di quest'ultimo entrambi avessero rinunciato alla chiamata di
erede. La signora inoltre, prima del matrimonio aveva stipulato atto
di costituzione di dote e, successivamente all'entrata in vigore
della riforma del diritto di famiglia, aveva optato per il regime di
separazione dei beni.
Tali circostanze erano state fatte ripetutamente presenti al
competente ufficio esattoriale.
Esistevano quindi tutti i presupposti per non dover temere alcunche'.
Invece, dopo la notifica delle cartelle esattoriali si presentava
regolarmente presso la loro abitazione l'ufficiale esattoriale
addetto alla riscossione, il quale sottoponeva a pignoramento
mobiliare i pochi beni esistenti, di proprieta' del figlio del
defunto come da fatture regolarmente esibite.
La signora aveva gia' percorso con scarso esito altre strade:
infatti, ogni qualvolta veniva notificata una cartella esattoriale o
avveniva un pignoramento, l'interessata era costretta a rivolgersi ad
un legale per proporre ricorso alla Commissione Tributaria
provinciale od opporsi al pignoramento avanti al Pretore di Bologna.
Tutto questo, come e' intuibile, comportava un consistente onere per
la signora, ultrasettantenne e titolare di pensione di modesta
entita', oltreche' inevitabili ripercussioni per il suo sistema
nervoso e cardiocircolatorio.
Il mio intervento, inizialmente diretto nei confronti della Direzione
regionale delle Entrate, veniva trasmesso per competenza al Centro di
Servizio Imposte Dirette e Indirette di Bologna.
Per diversi mesi e' intercorsa un nutrita corrispondenza tra la
scrivente e l'ufficio finanziario: quest'ultimo difendeva la
correttezza dell'operato dell'esattore, il quale avrebbe l'obbligo di
procedere esecutivamente sui beni mobili rinvenuti nell'ultima
abitazione del debitore defunto (qualora non venisse dimostrato nei
modi di legge la loro appartenenza a persone diverse dal debitore),
anche se nella stessa abitazione continuano ad abitare i familiari di
lui, a nulla rilevando la rinuncia all'eredita' del defunto.
Il concessionario infatti avrebbe agito non nei confronti dei
ricorrenti, bensi' nei confronti del de cuius e dei suoi beni,
situati nella sua ultima abitazione: tali beni si presumevano,
infatti, fino a prova contraria, appartenenti al debitore defunto.
La problematica da me posta, invece, non verteva tanto sulla
legittimita' dell'operato del concessionario, quanto piuttosto
sull'operato dell'ufficio impositore, il quale solo aveva il
potere-dovere di procedere all'annullamento, in via di autotutela,
delle cartelle esattoriali per debiti del defunto, a fronte della
comprovata estraneita' dei familiari non eredi.
La costante giurisprudenza in materia tributaria, infatti, riconosce
che colui che ha tempestivamente e validamente rinunziato
all'eredita', non rivestendo la qualita' di erede, ha pieno diritto
di contestare la legittimita' di notifiche di avvisi di accertamento
e cartelle esattoriali concernenti debiti tributari del defunto.
Ed anche se e' ben vero che gli interessati potevano proporre
opposizione al pignoramento davanti al giudice, ciononostante
l'atteggiamento dell'Amministrazione finanziaria (che, pur potendolo,
non aveva posto in essere i provvedimenti necessari per la
risoluzione della vertenza) la esponeva al rischio di un'azione di
responsabilita', ed in ogni caso si qualificava come esempio di
cattiva amministrazione.
D'altro canto, la rinuncia all'eredita', disposta con atto pubblico
che fa fede fino a querela di falso, faceva anche fede sulla
circostanza che i rinunzianti non avevano acquisito la disponibilita'
di beni gia' del defunto.
Conseguentemente si doveva ritenere che i beni presenti
nell'abitazione del soggetto che aveva rinunciato all'eredita'
fossero di sua proprieta', sicche' la presunzione di appartenenza
operava a suo favore, e non contro di lei.
Doveva, pertanto, essere l'Amministrazione finanziaria a dare prova
dell'appartenenza al de cuius dei beni presenti presso l'abitazione
dei familiari, e non viceversa.
La controversia sembrava avviata a conclusione verso la fine
dell'anno 1999, allorche' il Centro di Servizio, pur ribadendo in
linea di principio le sue posizioni, mi faceva presente che avrebbe
proceduto alla revoca del pignoramento, stante l'esiguita' del valore
dell'unico bene per il quale gli istanti non avevano dimostrato la
proprieta' esclusiva.
Mentre mi accingevo a chiudere la pratica, peraltro, mi giungeva
notizia che agli istanti era stato notificato un ennesimo avviso di
mora.
Mi premuravo allora di far presente tale circostanza al Centro di
Servizio, che aveva appena riconosciuto l'inutilita' di procedere ad
esecuzioni nei confronti dei familiari del debitore d'imposta, e
ribadivo ancora una volta l'opportunita' di procedere
all'annullamento d'ufficio di questo avviso di mora, anche al fine di
scongiurare che gli interessati agissero per il risarcimento dei
danni, eventualita' oggi assai piu' praticabile di un tempo a seguito
della recente giurisprudenza in merito delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione.
Finalmente l'ufficio fiscale ordinava al Concessionario di revocare
il pignoramento in corso, e di astenersi dall'intraprendere nuove
procedure esecutive relativamente a quella certa pretesa tributaria.
A conclusione di questa interminabile vicenda, mi corre l'obbligo di
sottolineare che l'ufficio finanziario non ha risolto la controversia
sulla base di motivazioni giuridiche, magari aderendo anche in parte
alle argomentazioni della scrivente: l'ufficio al contrario non ha
deflettuto assolutamente dalla sua posizione originaria, ma ha chiuso
il caso sulla base di meri elementi di fatto che sconsigliavano, nel
caso di specie, la prosecuzione della procedura esecutiva in quanto
improduttiva.
Per questo motivo non ritengo di poter considerare questo intervento
tra quelli risolti positivamente con la collaborazione
dell'Amministrazione.
Ministero delle Finanze - Primo Ufficio delle Entrate di Bologna
N. 852/99
Una signora lamentava che, dopo la morte del convivente, le venivano
notificate cartelle esattoriali e avvisi di mora per il pagamento di
bolli auto intestati a lei, nonostante che non fosse mai stata
proprietaria dell'autovettura e nonostante che non fosse erede del de
cuius.
Il Primo Ufficio delle Entrate di Bologna, dopo aver verificato la
situazione, comunicava di aver provveduto allo sgravio della cartella
esattoriale richiesto dalla contribuente.
Ministero delle Finanze - Quarto Ufficio delle Entrate di Bologna
N. 556/99
Nel maggio 1988 un cittadino aveva presentato all'ex Intendenza di
Finanza di Bologna istanza di rimborso della tassa automobilistica
per l'anno 1988, in quanto pagato due volte.
Un suo sollecito all'ex Sezione staccata di Bologna nel 1995 non
aveva ottenuto alcun riscontro.
Su richiesta del cittadino ho allora interessato il Quarto Ufficio
delle Entrate di Bologna, il quale mi ha confermato la difficolta' di
reperire la documentazione a suo tempo prodotta dal contribuente,
posto che la relativa pratica per ben due volte era stata trasferita
da una sede all'altra, e richiedendo copia dell'istanza e relativa
documentazione a suo tempo presentate.
L'interessato aderiva prontamente alla richiesta e, nel giro di un
paio di mesi, otteneva il rimborso delle spettanze.
Ministero delle Finanze - Ufficio delle Entrate di Imola (Bologna)
N. 535/99
Nel corso di un intervento diretto ad ottenere il rimborso delle
imposte di registro ed altro, ho potuto riscontrare l'efficienza e
l'economicita' dell'azione posta in essere dall'Ufficio delle Entrate
di Imola (Bologna).
Quest'ultimo ha annullato, infatti, un avviso di accertamento nelle
more della pronuncia della Commissione tributaria provinciale di
Bologna, adita dagli interessati, in considerazione delle motivazioni
contenute in altra decisione della stessa Commissione su di un caso
analogo.
La determinazione dell'ufficio e' stata motivata con la valutazione
costi-benefici della procedura processuale, nonche' con la
considerazione dell'intervenuta modifica legislativa in materia e le
conseguenti direttive impartite dalla Direzione regionale delle
Entrate.
Ministero delle Finanze - Dipartimento delle Entrate - Ufficio del
Registro di Ferrara
N. 71/99
Un cittadino mi chiedeva di verificare la correttezza dell'operato
dell'Ufficio del Registro di Ferrara, il quale lo aveva invitato a
provvedere al versamento della somma occorrente per la
regolarizzazione di una domanda da lui inviata in carta libera ad un
Comune.
Nel mio intervento sottolineavo allora preliminarmente che l'istanza,
contenendo una richiesta di informazioni su determinati provvedimenti
di quella Amministrazione, era riconducibile al procedimento di
accesso ai documenti amministrativi: come tale, sembrava da escludere
che fosse dovuta l'imposta di bollo, cosi' come del resto ritenuto
dalla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi istituita
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con circolare del
28/2/1994.
Dall'esame della normativa dettata dalla Legge 241/90 e dal DPR n.
352 del 1992, infatti, si doveva concludere che l'imposta di bollo
era dovuta soltanto nell'ipotesi di richiesta di copia in forma
autentica.
L'Ufficio del Registro condivideva le mie argomentazioni e le
comunicava all'Amministrazione interessata con l'invito a formulare
eventuali osservazioni. Nel silenzio dell'Ente, l'ufficio finanziario
ha annullato la propria richiesta.
Ministero delle Finanze - Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di
Stato di Bologna
N. 327/99
A seguito di una segnalazione in tal senso, ho richiesto
all'Ispettorato Compartimentale Monopoli di Stato di Bologna notizie
circa la procedura seguita in occasione del deposito di atti da parte
di privati.
Mi era stato infatti fatto presente che un cittadino, avendo
richiesto la ricevuta dell'avvenuto deposito di un'istanza, aveva
ottenuto soltanto l'apposizione di un timbro dell'ufficio su una
copia di esso, senza peraltro alcuna indicazione della data e
soprattutto senza sottoscrizione del responsabile del procedimento. A
seguito delle sue insistenze aveva potuto solamente conoscere il
numero di protocollo attribuito al documento prodotto.
Facevo allora presente al predetto Ispettorato che, qualora la
circostanza corrispondesse al vero, la procedura seguita era in
contrasto con le previsioni contenute nel DM 678/94, che disciplina i
procedimenti amministrativi di competenza dell'Amministrazione
finanziaria: questa disposizione, infatti, stabilisce che, all'atto
della presentazione di una domanda con la quale viene attivato un
procedimento, l'ufficio e' tenuto al rilascio di una ricevuta
contenente i dati di riscontro dell'avvio stesso, compresa ovviamente
l'indicazione della data.
Tale disposizione, del resto, costituisce applicazione di un
principio generale gia' rinvenibile nel nostro ordinamento anche
prima della Legge n. 241 del 1990.
L'Ispettorato Monopoli faceva allora presente che l'episodio era
frutto di un errore di un dipendente, avvenuto in assenza del
responsabile del procedimento e prontamente sanato con l'invio della
prescritta ricevuta.
Ministero dell'Interno - Prefettura di Bologna
Anche per l'anno 1999 e' proseguita una fattiva collaborazione con i
vari uffici della Prefettura di Bologna, in particolare con l'Ufficio
Invalidi civili, con l'Area Contabile finanziaria e con l'Ufficio
Depenalizzazioni del Codice della strada.
Le richieste di intervento sono state risolte in tal modo entro tempi
ristrettissimi e con il minimo di formalita', spesso solamente
attraverso alcune telefonate, con intuibile soddisfazione per i
cittadini.
Ministero dell'Interno - Prefettura di Rimini
N. 831/99
Il Difensore civico del Comune di Riccione mi segnalava che presso
l'Ufficio Invalidi civili della Prefettura di Rimini giacevano ben
1.600 pratiche arretrate relative al pagamento, in favore degli
eredi, dei ratei maturati e non riscossi da invalidi civili deceduti,
e si faceva interprete dell'esasperazione manifestata al riguardo da
numerosi cittadini di quella citta'.
Chiedevo allora informazioni alla citata Prefettura. Mi veniva
risposto che tale stato di cose era conseguenza del cospicuo
arretrato (circa 1.350 pratiche) "ereditato" dalla Prefettura di
Forli' all'atto della costituzione di quell'ufficio, nonche' della
carenza di un adeguato numero di impiegati da adibire a quel
servizio.
Queste circostanze avevano consentito di concludere le pratiche
arretrate solamente fino a tutto il 1996.
La Prefettura assicurava peraltro che l'urgente definizione di tali
pratiche costituiva obbiettivo prioritario della struttura, e che
comunque la situazione era stata rappresentata agli uffici competenti
per le opportune valutazioni.
Attesa la genericita' delle assicurazioni fornite, chiedevo allora di
indicarmi, se pure in via orientativa, i tempi di definizione delle
pratiche arretrate.
Con mia grande sorpresa, il Prefetto di quella citta', con lettera
senza protocollo e data, rispondeva alla mia richiesta: ". . .si
conferma il contenuto della lettera in data . . . di cui ad ogni buon
fine si allega copia".
Al riguardo non posso che sottolineare la mancanza di collaborazione,
unita alla scarsa sensibilita' istituzionale, manifestate da un
soggetto che pur ricopre un'altissima carica, di fronte ad un'altra
autorita' che legittimamente ha richiesto notizie su una problematica
di grande rilievo sociale.
Ministero dei Trasporti - Direzione generale della Motorizzazione
civile e dei Trasporti in concessione - Ufficio provinciale di
Bologna
N. 220/99
Un cittadino lamentava di aver avviato fin dal 1998 la procedura per
l'iscrizione all'Albo degli autotrasportatori di cose per conto
terzi, pagando altresi' le relative spese, ma di aver appreso nel
1999 che la sua richiesta non poteva essere presa in esame per
l'impossibilita' di effettuare le riunioni nella quali disporre
queste iscrizioni, in quanto il Comitato a cio' preposto era scaduto.
Tenuto anche conto del fatto che il privato, in previsione del
rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivita', si era
economicamente impegnato per l'acquisto di un autocarro, ho chiesto
all'Ufficio provinciale di Bologna notizie in merito.
Con grande sollecitudine questo ufficio mi ha comunicato che
l'Amministrazione aveva ben presente la situazione di grave disagio
per gli utenti, ed aveva predisposto in via di urgenza soluzioni tese
ad ovviare all'inconveniente fino all'insediamento dei nuovi
organismi.
In particolare, i direttori degli Uffici provinciali della
Motorizzazione erano autorizzati, dopo aver verificato il
completamento dell'istruttoria da parte degli organi a cio' preposti,
a rilasciare i provvedimenti di competenza, fatta salva la ratifica
da parte del nuovo Comitato e con riserva di revoca in caso di
irregolarita' nella documentazione prodotta a sostegno della
richiesta.
Ministero dei Trasporti - Direzione generale della Motorizzazione
civile e dei Trasporti in concessione - Ufficio provinciale di
Ravenna
N. 11/99
Un cittadino extracomunitario si e' rivolto a questo ufficio
segnalando che era stato fermato e multato dalla Polizia municipale
di Cesenatico perche' in possesso di patente non idonea alla guida di
un autocarro.
L'interessato mi faceva presente che la propria patente originaria,
rilasciata in Svizzera, comprendeva anche l'abilitazione alla guida
di autocarri, in analogia alla patente italiana di categoria E. Egli
non comprendeva pertanto perche', in sede di conversione, non gli
fosse stata riconosciuta analoga autorizzazione alla guida.
L'interessato aveva inutilmente fatto presente tale circostanza agli
agenti accertatori. Si era poi rivolto agli uffici della
Motorizzazione ma senza esito, in quanto, trattandosi di patente
convertita nel 1998, il relativo incartamento era giacente presso la
Prefettura di Ravenna.
Ho quindi interessato la Prefettura di Ravenna, la quale con la
massima sollecitudine ha trasmesso l'intero incartamento alla
Motorizzazione. Quest'ultima, dal canto suo, riscontrato l'errore a
suo tempo intervenuto, ha prontamente riconosciuto all'interessato
anche l'abilitazione alla guida della categoria E.
Istituto nazionale Previdenza sociale - Sede di Bologna
N. 297/98
Nel dicembre 1996 l'INPS comunicava ad una pensionata che, dato che
era titolare di un secondo trattamento pensionistico per il quale le
veniva erogata l'indennita' integrativa speciale, la pensione
attualmente in godimento avrebbe dovuto essere ricalcolata in
diminuzione; correlativamente, l'Istituto avrebbe provveduto al
recupero delle somme non dovute corrisposte indebitamente per il
passato.
L'assicurata allora ricorreva al Comitato provinciale, eccependo di
aver informato l'Istituto, all'atto della domanda della pensione di
vecchiaia, sull'esistenza di un altro trattamento pensionistico e
chiedendo, in via subordinata, l'applicazione della prescrizione
decennale.
Nel dicembre 1997 l'Istituto notificava alla pensionata che, in
applicazione dell'art. 1, comma 260 e seguenti, della Legge 23
dicembre 1996, n. 662 (Legge Finanziaria 1997), avrebbe proceduto al
recupero delle somme dovute, nell'importo stabilito dalla norma.
Il mio intervento si e' limitato a chiarire il presupposto e la
portata del diritto dell'Istituto di ripetere le somme indebitamente
percepite dalla pensionata.
Una volta chiarito l'ambito di applicazione della nuova normativa,
rimaneva in contestazione la questione circa l'applicazione della
prescrizione decennale: infatti, benche' la prima richiesta
dell'Istituto risalisse al dicembre 1996, il prospetto di ricalcolo
notificato a suo tempo ricomprendeva anche il periodo 10 gennaio-31
dicembre 1986.
Come e' noto, invece, in assenza di diversa normativa specifica, la
prescrizione ordinaria si computa retroagendo allo stesso giorno e
mese del decimo anno antecedente a quello in cui si e' verificato
l'evento interruttivo.
Nel giugno 1998 l'Istituto mi assicurava di aver tenuto conto della
prescrizione, ma da calcoli sommariamente effettuati tale
affermazione non appariva convincente.
Insistevo pertanto nella mia richiesta. L'Istituto faceva allora
presente, nel giugno 1999, che la prescrizione decennale era stata
calcolata nell'ambito dell'anno di riferimento (1996/1986), "poiche'
si tratta di cifra provvisoria che diventa definitiva l'anno
successivo".
Si tratta di un'affermazione di difficile comprensione, tale comunque
da ingenerare il sospetto che il comportamento posto in essere
dall'Istituto previdenziale possa determinare una compressione dei
diritti di natura previdenziale intesi a garantire alla pensionata il
minimo vitale.
In ogni caso, dalla mia richiesta di ulteriori chiarimenti, e
nonostante le mie sollecitazioni, scritte e telefoniche, nonche'
l'incontro con un funzionario dell'Istituto, non sono riuscita ad
avere altre delucidazioni su questa procedura, a mio avviso
chiaramente illegittima.
Istituto nazionale Previdenza sociale - Sede di Bologna
N. 738/99
Il legale rappresentante della Associazione italiana contro
l'epilessia mi chiedeva di farmi interprete presso l'INPS - Sede di
Bologna, affinche' quell'ente rinunciasse ad apporre la dizione
INVCIV (chiaramente avente il significato "invalido civile"), sulle
buste contenenti comunicazioni a persone con menomazioni di vario
tipo.
Tale indicazione infatti appariva lesiva della riservatezza, in
quanto idonea a esternare a chicchessia la situazione di minorazione
nella quale si trovavano i destinatari.
Mentre stavo ponendo in essere il mio intervento, in quanto
condividevo in pieno tale richiesta, ho ricevuto in copia la nota con
la quale il direttore dell'INPS - Sede di Bologna, dava atto di aver
immediatamente provveduto ad eliminare la sigla in questione.
Istituto nazionale Previdenza sociale - Sede di Bologna
N. 411/99
La vedova di un pensionato INPS morto nel marzo 1993 chiedeva e
otteneva in pochi mesi la reversibilita' della pensione percepita dal
defunto.
A distanza di sei anni inopinatamente l'INPS richiedeva all'istituto
bancario presso il quale a suo tempo era stata accreditata al defunto
la pensione, la rifusione delle somme pagate per il bimestre
aprile-maggio 1993, in quanto non dovute.
A sua volta, la banca scriveva agli eredi del defunto per ottenere il
recupero della somma capitale di Lire 2.146.790, nonche' degli
interessi pari a Lire 741.228.
La vedova del pensionato chiedeva allora il mio intervento eccependo
l'illegittimita' della richiesta di interessi bancari, mentre
riconosceva la fondatezza della richiesta della somma capitale, da
lei prontamente versata.
Al riguardo ho verificato che la signora a suo tempo aveva prodotto
all'Istituto previdenziale tutta la documentazione necessaria per
ottenere la pensione di reversibilita', ivi compreso, ovviamente, il
certificato di morte del marito, e che dall'agosto 1993 erano
iniziati i pagamenti a suo favore della pensione di reversibilita'
stessa.
In quel momento quindi l'Istituto aveva tutti gli elementi necessari
e sufficienti per verificare che il rateo per il bimestre
aprile-maggio 1993, accreditato nel conto corrente del pensionato
prima della sua morte, doveva essere recuperato, ed effettuare i
dovuti conguagli.
L'Istituto non mi forniva alcuna spiegazione circa il suo
inspiegabile ritardo, ma si limitava a sostenere di non avere un
rapporto diretto con il pensionato, bensi' esclusivamente con
l'istituto bancario. Per tale ragione egli aveva chiesto alla banca
la rifusione, e non la restituzione della somma, e a sua volta la
banca ne aveva richiesto la restituzione agli eredi del pensionato.
Tale ricostruzione risulta a mio avviso inaccettabile, in quanto nega
l'esistenza di un rapporto diretto tra l'ente, tenuto a corrispondere
la prestazione pensionistica, ed il pensionato. A mio avviso,
infatti, l'istituto bancario interviene in tale rapporto solamente
come un tramite attraverso il quale avvengono i pagamenti in favore
dell'avente diritto.
Oltre a cio', il comportamento dell'Istituto appare particolarmente
grave laddove lo stesso non si fa' carico di ovviare a quelle che
sono state le sue disfunzioni: era preciso dovere dell'INPS, infatti,
al momento della presentazione della richiesta di reversibilita',
verificare la situazione complessiva di dare ed avere nei confronti
del de cuius, e disporre le eventuali trattenute per le somme
corrisposte in piu' al defunto.
Il mio intervento, iniziato nel maggio 1999, non ha ancora avuto una
conclusione, nonostante ripetuti solleciti, telefonate ed incontri
con un funzionario dell'Istituto.
Sembra peraltro di capire che non si tratta di un caso isolato bensi'
di una prassi consolidata dell'Istituto, il quale in tal modo fa
gravare sui pensionati i ritardi e le disfunzioni della sua
struttura; nel caso di specie, quest'ultima ha impiegato ben sei anni
per definire la posizione debitoria del defunto pensionato e pretende
di farne gravare le conseguenze sugli eredi incolpevoli.
In queste ultime settimane infine e' emerso un nuovo fatto, a mio
avviso confermativo dell'inefficienza del sistema: nell'agosto del
1999 e' stata corrisposta alla vedova la somma spettante a titolo di
quota parte di tredicesima per l'anno 1993, che invece avrebbe dovuto
essere detratta dal rateo da recuperare, e senza provvedere a
corrispondere i relativi interessi.
Istituto nazionale Previdenza sociale - Agenzia di Budrio (Bologna)
N. 1000/99
Una signora lamentava il ritardo con il quale l'INPS di Bologna
tardava a ripristinare la quota di assegno di reversibilita'
spettante alla propria figlia, in conseguenza di un errato
inserimenti dei dati relativi.
Il mio intervento e' stato diretto ad abbreviare i tempi di
corresponsione di quanto dovuto, attese le modeste condizioni
economiche in cui versavano le interessate.
Al riguardo il direttore dell'Agenzia INPS di Budrio ha fatto
presente che le procedure relative vengono bloccate, per motivi
tecnici, ai primi di novembre di ogni anno e rese disponibili a
febbraio dell'anno successivo.
In questa fattispecie peraltro, proprio per venire incontro alle
pressanti esigenze delle interessate, l'Agenzia si rendeva
disponibile a corrispondere sollecitamente un acconto sulle
spettanze.
Istituto nazionale Previdenza sociale - Agenzia di Vergato (Bologna)
N. 485/98
La vedova di un artigiano si e' vista decurtare la modesta pensione
di reversibilita' gia' percepita dall'INPS, da Lire 843.000 a Lire
97.000, a seguito del riconoscimento in suo favore, come vedova del
defunto marito, di rendita vitalizia INAIL di Lire 808.000.
Alla mia richiesta di delucidazioni, l'INPS faceva presente che il
decesso dell'assicurato era conseguente a malattia professionale e
che la prestazione di reversibilita' non derivava direttamente dai
versamenti contributivi effettuati dall'artigiano bensi' dal diritto
della vedova in quanto tale; di conseguenza, a suo avviso trovava
applicazione l'art. 1, comma 43, della Legge 335/95, che stabilisce
l'incompatibilita' dell'intera riscossione delle due prestazioni
poiche' l'evento invalidante e' il medesimo.
Dopo una nutrita corrispondenza ho compreso che l'Istituto riteneva
la sussistenza del medesimo evento invalidante (la morte) in quanto
la pensione di reversibilita', cosi' come la rendita vitalizia INAIL,
era spettata alla vedova in conseguenza della morte dell'assicurato.
A ben vedere, invece, la pensione di reversibilita' corrisposta
dall'INPS alla vedova trova la sua fonte non tanto nella morte
dell'assicurato quanto piuttosto in via principale nei contributi
versati dall'artigiano, il cui decesso non puo' considerarsi evento
invalidante, bensi' mera occasione per l'erogazione della
prestazione.
Invece l'evento invalidante posto dall'INAIL a base della propria
concessione e' da individuarsi nell'infortunio, o malattia
professionale, invalidante, e non certo nella conseguente morte.
Non possono infatti essere ritenuti coincidenti la causa (infortunio
o malattia professionale) e l'effetto (il decesso dell'assicurato).
Conseguentemente, non puo' trovare applicazione la normativa
sull'incumulabilita' delle prestazioni INPS e INAIL per insussistenza
dello stesso evento invalidante.
E' comunque da precisare al riguardo che tale orientamento discende
da direttive provenienti dalla Sede centrale INPS, la quale
interpreta in maniera restrittiva, e a mio avviso illegittima, la
normativa sull'incumulabilita' delle prestazioni.
Il mio intervento, iniziato nel 1998, non e' ancora concluso in
quanto l'Istituto e' tuttora in attesa di una revisione della
normativa o di diverse direttive della predetta Sede centrale.
Istituto nazionale di Previdenza per i dipendenti
dell'Amministrazione pubblica - Sede di Bologna
N. 60/99
Un pensionato lamentava di non aver avuto ancora alcuna risposta
dall'INPDAP di Bologna in merito alla sua richiesta, trasmessa
all'Istituto nel luglio 1997, di riesame della propria pratica a
seguito del riconoscimento, da parte dell'ente di provenienza, di un
errore nella determinazione del trattamento pensionistico
complessivo.
Alla mia richiesta di notizie l'Istituto faceva presente di aver
provveduto ad inoltrare la richiesta alla competente Direzione
centrale di Roma proprio in quella data (richiesta che,
evidentemente, era rimasta giacente presso i suoi uffici per ben 18
mesi|).
Fortunatamente la Direzione centrale ha provveduto, con la massima
sollecitudine, a riliquidare il trattamento di quiescenza.
Istituto nazionale di Previdenza per i dipendenti
dell'Amministrazione pubblica - Sede di Bologna
N. 122/99
Chiedeva il mio intervento un pensionato il quale aveva presentato
istanza all'INPDAP nel 1994, senza ottenere risposta, per ottenere la
riliquidazione dell'indennita' di buonuscita a suo tempo erogata, in
applicazione dell'art. 3 della Legge n. 87 del 1994.
Tale norma prevede l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale
nella base di calcolo dell'indennita' stessa per coloro che, cessati
dal servizio dopo il 30/11/1984, abbiano presentato domanda nel
termine del 30/9/1994. Il predetto peraltro, benche' cessato dal
servizio prima del 30/11/1984, aveva presentato atto amministrativo
di interruzione della prescrizione nel 1987.
In risposta l'INPDAP mi faceva presente di ritenere ininfluenti ai
fini dell'interruzione della prescrizione le istanze prodotte in via
amministrativa. L'orientamento dell'Istituto sul punto era, infatti,
nel senso di non riconoscere il diritto alla riliquidazione se non in
presenza di ricorsi tempestivamente prodotti al TAR.
Facevo allora presente all'Istituto che la costante giurisprudenza
della Corte di Cassazione ritiene le istanze in via amministrativa
pienamente idonee ad interrompere la prescrizione dei crediti verso
lo Stato, in applicazione del principio generale contenuto nell'art.
2943 Codice civile.
Sul punto invece l'Istituto ha dimostrato una chiusura totale,
richiamandosi anche alle indicazioni in tal senso fornite dal
Ministero del Tesoro.
Dal canto mio non posso che ribadire che, pur comprendendo che si
tratta di una posizione assunta dalle Sedi provinciali su indicazione
di questo Ministero, la predetta posizione sembra dettata piu' da
criteri di contenimento della spesa pubblica che da considerazioni
giuridiche, e appare in contrasto con i piu' elementari diritti dei
pensionati.
E' evidente che, nella generalita' di situazioni di questo tipo,
solamente pochi pensionati troveranno il coraggio e la disponibilita'
economica per ricorrere all'autorita' giudiziaria al fine di vedere
riconosciuti i loro diritti e, di conseguenza, la politica attuata
dall'istituto risultera' produttiva di risparmi per le casse
erariali|
6. INTERVENTI POSTI IN ESSERE NEI CONFRONTI DI ALTRE PUBBLICHE
AMMINISTRAZIONI ED ENTI DIVERSI
Comune di Porretta Terme (Bologna)
N. 567/99
Una signora, avendo ricevuto un avviso di contravvenzione dalla
Polizia municipale di Porretta Terme, eccepiva l'avvenuta perdita del
possesso dell'autoveicolo annotata al PRA nel 1995.
Nonostante la signora si fosse premurata di avvertire della
circostanza la predetta Polizia municipale, quest'ultima dava
ugualmente corso alla procedura di recupero del credito.
La Prefettura di Bologna, interessata al riguardo, riconosceva che la
pretesa dell'interessata risultava sufficientemente documentata.
La Polizia municipale allora, in considerazione dell'intera vicenda,
disponeva lo sgravio della sanzione, non senza fare presente che la
posizione dell'interessata rimaneva comunque non regolare, in quanto,
a suo parere, la mera denuncia di perdita del possesso non rilevava
ai fini della traslazione della proprieta', che restava in capo
all'interessata, ma rilevava solamente ai fini fiscali, con
conseguenti responsabilita' civili e penali derivanti dall'uso del
bene.
Comune di Serramazzoni (Modena)
N. 345/99
Nel 1997 il Sindaco del Comune di Serramazzoni (Modena) notificava ad
una cittadina l'ordinanza di sospensione immediata dei lavori per
presunti abusi edilizi di varia natura accertati sulla sua
proprieta'.
La signora mi chiedeva di intervenire in quanto la situazione era
chiaramente diversa da quanto rappresentato nell'ordinanza stessa:
infatti, l'unica opera edilizia ricadente nella sua proprieta' era
un'autorimessa prefabbricata per la cui regolarizzazione era stata
presentata, nel 1996, domanda di concessione in sanatoria, non ancora
riscontrata.
Inoltre, nel 1997 la signora aveva richiesto al Comune una verifica
sulla proprieta', anche questa senza esito.
Nel giro di poche settimane il Comune ha accertato che l'ordinanza di
sospensione lavori concerneva, oltre al garage dell'interessata, per
il quale era effettivamente in corso la pratica di condono, altri
fabbricati limitrofi, non di proprieta' della signora, ed ha in
conseguenza annullata l'ordinanza stessa.
Comune di Molinella (Bologna)
N. 123/99
Un cittadino mi chiedeva di intervenire nei confronti del Comune di
Molinella (Bologna), che da qualche tempo gli richiedeva il pagamento
delle rette della Casa di riposo per la seconda moglie del proprio
padre, morto da anni, e deceduta essa stessa successivamente.
Egli faceva presente di essere un estraneo nei confronti della
signora, la quale del resto aveva un figlio ed erede, al quale poteva
essere richiesto tale pagamento.
Il Comune di Molinella ha prontamente riconosciuto la fondatezza
delle eccezioni mossegli, e in tal senso dava comunicazione al
concessionario della riscossione.
Quest'ultimo peraltro, riteneva di sua iniziativa di dover proseguire
nella procedura esecutiva tenuto conto che le cartelle risultavano
cointestate sia al padre (come si e' detto, morto da anni) che alla
seconda moglie dello stesso, e ritenendo da tale circostanza che il
ricorrente fosse tenuto in quanto erede del proprio padre.
Si e' reso allora necessario un apposito intervento del Comune di
Molinella che ha intimato al concessionario di sospendere la
proceduta esecutiva per tutti i tributi, nonche' l'annullamento delle
notifiche effettuate in precedenza, in quanto l'istante non rivestiva
la qualita' di erede legittimo della defunta.
Preso atto dell'intera vicenda, e delle difficolta' incontrate dal
cittadino per far valere le sue giuste ragioni, ho allora invitato il
Sindaco di quel Comune, facendo mia un'osservazione in tal senso del
concessionario, a voler predisporre, per casi analoghi che si
presentassero in futuro, l'intestazione diretta del ruolo all'erede
responsabile del pagamento.
Comune di Marzabotto (Bologna)
N. 89/99
Alcuni residenti lamentavano di aver inviato senza esito, fin dal
1995, un esposto al Comune di Marzabotto, segnalando l'esistenza su
una strada vicinale di costruzioni abusive, le quali ostruivano
totalmente l'unico accesso alla loro abitazione.
Interessata al riguardo, l'Amministrazione mi faceva presente che nel
1996 aveva adottato nei confronti del responsabile due ordinanze
sindacali di sospensione dei lavori nonche' diffida a demolire le
opere eseguite in assenza della concessione edilizia. L'interessato
allora aveva presentato domanda di concessione edilizia in sanatoria,
mai accolta dall'Amministrazione.
Una successiva domanda in tal senso, presentata nel 1998, era
pendente.
Peraltro, dato che a suo tempo era stato accertata l'inottemperanza
all'ordinanza sindacale di demolizione delle opere abusive, in quei
giorni era stata notificata al responsabile una diffida a procedere
alla demolizione delle opere abusive.
Facevo allora presente al Comune che era suo preciso obbligo dare
corso al procedimento teso alla demolizione della costruzione abusiva
e che, in caso contrario, avrei provveduto ad esercitare i poteri
sostitutivi concessimi dall'art. 17, comma 45, della Legge n. 127 del
1997.
La vicenda si e' conclusa allorche' l'Amministrazione ha comunicato
l'intervenuta demolizione delle opere abusive da parte del
responsabile ed il conseguente ripristino della viabilita'.
Comune di Medicina (Bologna)
N. 204/99
Il rappresentante di Legambiente segnalava che, nonostante le
numerose richieste in tal senso pervenute da parte degli abitanti
della zona, il Comune di Medicina non aveva ancora autorizzato
l'Azienda Multiservizi Intercomunale di Imola a rimborsare i canoni
di scarico e depurazione relativi agli utenti non allacciati e non
allacciabili alla pubblica fognatura.
Il diritto alla cancellazione del canone ed al rimborso di quanto
pagato era stato riconosciuto dallo stesso Comune fin dal 1994:
ciononostante, gli abitanti non solo non avevano ottenuto il rimborso
dei canoni gia' corrisposti, ma addirittura continuavano a ricevere
ogni anno le cartelle di addebito del canone.
Ho allora richiesto al Comune di attivarsi con la massima
sollecitudine per autorizzare i rimborsi da parte dell'AMI, e con
viva soddisfazione ho appreso che cio' e' stato disposto in tempi
rapidissimi.
Comune di Castiglione dei Pepoli (Bologna)
N. 266/98
Un cittadino mi chiedeva la nomina di un Commissario ad acta, ai
sensi dell'art. 17, comma 45, della Legge n. 127 del 1997, al fine di
procedere alla costituzione di un consorzio obbligatorio di
manutenzione di una strada vicinale ad uso pubblico, in quanto il
Comune di Castiglione dei Pepoli era inadempiente al riguardo.
Procedevo allora ad invitare l'Amministrazione comunale a costituire
il consorzio obbligatorio per la predetta strada vicinale, avvertendo
nel contempo che, in assenza dell'avvio della procedura, avrei
provveduto in via sostituiva.
L'Amministrazione avviava allora il procedimento diretto alla
costituzione del consorzio, approntando un progetto di statuto
consortile e prevedendo un termine per la conclusione del
procedimento stesso.
Tale termine peraltro veniva prorogato ripetutamente, in relazione ad
una serie di eventi.
Dopo alcuni mesi, ritenendo non piu' giustificata l'inerzia
dell'Amministrazione, la diffidavo formalmente a provvedere alla
costituzione del consorzio nel termine di 30 giorni dal ricevimento
della diffida.
Veniva allora fissata un'ulteriore riunione dei proprietari frontisti
nella quale, peraltro, la maggioranza si dichiarava indisponibile
alla costituzione del consorzio.
Anche l'Amministrazione comunale non riteneva praticabile la
costituzione del consorzio dal momento che la strada, benche'
compresa nell'elenco comunale delle strade soggette a pubblico
transito, attualmente non era piu' utilizzata a questo scopo.
La questione e' stata risolta opportunamente con una deliberazione
della Giunta comunale che ha declassato il tratto di strada in
contestazione dall'elenco delle strade vicinali perche' non piu'
idonea a soddisfare le esigenze di pubblico interesse.
Comune di Lugagnano Val d'Arda (Piacenza)
N. 310/98
Un signore, dopo aver tentato ogni via possibile, legale,
amministrativa, conciliativa, dopo aver presentato interrogazioni in
Parlamento e al Consiglio regionale nonche' articoli sui quotidiani
locali, si e' rivolto a me per cercare di ottenere la soluzione del
suo caso.
Nel 1994 aveva inviato al Comune di Lugagnano Val d'Arda la
comunicazione di inizio lavori per lo spostamento di alcune pareti
interne ad un'abitazione di sua proprieta', cosi' da consentire la
convivenza con la propria madre anziana e bisognosa di cure.
Mentre i lavori erano gia' iniziati, gli veniva notificato un
provvedimento di sospensione dei lavori da parte del Comune, il quale
riteneva fosse necessaria la concessione edilizia.
Contro tale provvedimento l'interessato ricorreva allora al TAR.
Nel frattempo il Comune aveva inviato la segnalazione del presunto
abuso alla Procura della Repubblica di Piacenza, la quale, peraltro,
archiviava la pratica perche' il fatto non costituiva reato,
ritenendo trattarsi di opere interne che non necessitavano di
concessione.
Nonostante questo indubbio riconoscimento delle giuste ragioni
dell'interessato, la situazione non si sbloccava; pertanto nel 1996
egli si rassegnava a chiedere la concessione edilizia, pur sapendo
che non era necessaria.
La pratica per la concessione edilizia, dal canto suo, si arenava per
il parere contrario del Comune e della Commissione edilizia, motivati
con la considerazione che la ridistribuzione interna dei locali
doveva essere operata nel rispetto della Legge n. 13 del 1989,
concernente il superamento delle barriere architettoniche.
L'interessato contestava al Comune a lungo, ma inutilmente,
l'illegittimita' del diniego.
Nel luglio 1997 egli chiedeva al Presidente della Giunta regionale la
nomina di un Commissario ad acta per il rilascio della concessione
edilizia, ricevendone un rifiuto.
Nel 1998 chiedeva anche un parere tecnico sull'intera vicenda al
Responsabile del Servizio Pianificazione e Urbanistica della Regione
Emilia-Romagna, ricevendo prontamente una conferma
dell'inapplicabilita' nel caso di specie della Legge 13/89.
Nello stesso tempo veniva proposta un'interpellanza al Consiglio
regionale sull'intera vicenda e un'interrogazione al Parlamento.
Il mio intervento, iniziato nel 1998, e' stato principalmente volto a
contestare l'applicabilita' della normativa in materia di superamento
delle barriere architettoniche, la quale e' riferibile alle ipotesi
di ristrutturazione di interi edifici, mentre nel caso di specie si
trattava di ristrutturazione interna di una singola unita'
immobiliare.
La querelle tra la scrivente e il Comune e' proseguita per mesi, tra
lettere di considerazioni giuridiche e sedute della Commissione
edilizia, senza pervenire ad un risultato conclusivo: mentre io
ribadivo la non assoggettabilita' dell'opera al preventivo rilascio
di concessione edilizia, nonche' l'inapplicabilita' della Legge
13/89, trattandosi di ristrutturazione interna di una singola unita'
immobiliare, il Comune non recedeva dalle proprie posizioni.
La situazione si e' improvvisamente sbloccata dopo una mia richiesta
di riconsiderare l'intera situazione, tenute presenti le motivazioni
dell'archiviazione disposta dall'Autorita' giudiziaria, che faceva
stato tra le parti, ed un richiamo alla portata dell'istituto della
denuncia di inizio attivita', come risultante dalla piu' recente
normativa.
Il tecnico comunale assegnato a quell'ufficio da pochi mesi (al quale
va riconosciuta una serenita' di valutazione ed una competenza
tecnica del tutto particolari) ha infatti proposto al ricorrente di
presentare una nuova denuncia di inizio attivita' relativa ai lavori
da eseguire, al fine di riprendere i lavori.
Purtroppo, dopo tanti anni la situazione familiare dell'interessato
era radicalmente mutata, e le correlate esigenze di modifica interna
dell'alloggio non sussistevano piu': di conseguenza, egli non ha
potuto beneficiare in alcun modo del riconoscimento del suo giusto
diritto, preferendo ripristinare l'alloggio come era in origine e
alienarlo.
Comune di Lugagnano Val d'Arda (Piacenza)
N. 223/99
Fin dal 1986 un residente di Lugagnano Val d'Arda aveva chiesto
inutilmente al Comune di recintare l'area di sua proprieta' con
paletti e rete metallica.
Nel 1992 il Comune ordinava all'interessato di abbattere la
recinzione che nel frattempo egli aveva abusivamente costruito
occupando parte del suolo stradale.
Seguiva una querela del cittadino nei confronti del Sindaco, il quale
aveva disposto la demolizione di alcuni paletti di recinzione, la
denuncia del Sindaco nei confronti del cittadino per ricostruzione
abusiva di un edificio crollato, e il ricorso al TAR contro
l'ordinanza di demolizione della recinzione.
A conclusione di queste vicende giudiziarie, il TAR confermava il
carattere abusivo dei lavori di recinzione.
Richiesta di intervenire, ho cercato innanzitutto di sdrammatizzare
la situazione di estrema tensione, ed ho chiesto poi al Comune di
verificare lo stato dei luoghi, posto che entrambe le parti
ammettevano che solamente alcuni paletti erano posizionati (anche se
di poco) nella sede stradale, mentre altri non rispettavano le fasce
previste dal nuovo Codice della strada.
Dopo una nutrita corrispondenza con l'Amministrazione locale, il
tecnico comunale da poco assegnato a quell'ufficio mi ha comunicato
che l'Ente era intenzionato a trovare una mediazione tra le due
posizioni, pur nel rispetto della legge, dando al privato la
possibilita' di presentare una nuova denuncia inizio lavori
contenente le indicazioni transattive date dal Comune.
Poste Italiane SpA - Filiale Bologna 1
N. 922/99
Un cittadino di un Comune dell'hinterland bolognese mi segnalava che,
recatosi presso l'Ufficio postale di quel luogo, lo aveva trovato
inaspettatamente chiuso.
Sulla porta vi era un cartello che motivava la chiusura con la
ricorrenza del Santo Patrono di Bologna e l'avvertenza che, peraltro,
l'Ufficio sarebbe rimasto regolarmente aperto in occasione della
festivita' del proprio Santo Patrono.
Facevo allora presente alla predetta Societa' le responsabilita'
derivanti da una chiusura immotivata dei propri uffici,
potenzialmente lesiva di interessi soggettivi giuridicamente
tutelati, e come la stessa poteva integrare il reato di interruzione
di pubblico servizio.
La Societa' replicava allora che la chiusura, nel giorno del Santo
Patrono di Bologna, dei tre uffici posti in quel comune era stata
stabilita dopo aver acquisito il parere del Sindaco.
Facevo allora presente che il parere del Sindaco e' previsto
dall'art. 36, comma 3, della Legge n. 142 del 1990 al limitato scopo
di coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi
pubblici, nonche' gli orari di apertura al pubblico degli uffici
periferici delle Amministrazioni pubbliche, al fine di armonizzare
l'esplicazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli
utenti. Una simile articolazione dell'orario era, peraltro, cosa ben
diversa dalla chiusura totale dell'ufficio, fattispecie quest'ultima
disciplinata da norme diverse e ben precise.
In particolare, i vari contratti di lavoro equiparano ai giorni
festivi, ai fini della chiusura degli uffici, la ricorrenza del Santo
Patrono della localita' in cui il dipendente presta la propria opera.
Nessuna discrezionalita' era quindi riservata all'Amministrazione
circa l'individuazione in concreto di tale ricorrenza.
Le mie argomentazioni sono state condivise dalla filiale Poste
italiane di Bologna, la quale ha assicurato che, dall'anno 2000 in
poi, gli uffici effettueranno la chiusura nel giorno del Santo
Patrono del comune ove sono ubicati.
Poste Italiane SpA - Filiale di Bologna
N. 200/99
Ad un invalido civile residente in provincia di Bologna, a
conclusione dell'iter della pratica per il riconoscimento delle
relative provvidenze economiche, veniva accreditato presso l'Ufficio
postale del comune di residenza la somma di oltre trenta milioni.
Purtroppo l'interessato non veniva messo a conoscenza di tale
circostanza per cui, decorsi i termini di giacenza, il relativo
mandato di pagamento rimasto insoluto veniva restituito alla
Prefettura di Bologna.
E' da premettere che l'Ufficio postale non ha commesso alcuna
irregolarita', posto che non esisteva un suo obbligo di avvertire il
beneficiario della giacenza di tale titolo.
Peraltro, mi e' sembrato necessario richiamare l'attenzione
dell'Amministrazione postale sulla necessita' di riconsiderare le
proprie procedure, sembrandomi quanto mai opportuna, in casi
consimili, una comunicazione anche telefonica all'interessato alla
scadenza del termine della giacenza.
Nel caso di specie poi, era facilmente ipotizzabile, stante anche
l'entita' della somma, che lo stesso non fosse a conoscenza
dell'invio del mandato di pagamento in suo favore.
Rai Radiotelevisione Italiana - Sede di Bologna
N. 215/99
Una signora lamentava che, fin dal 1996, ogni anno la Sede RAI di
Bologna le inviava la richiesta di pagamento del canone di
abbonamento TV benche' la signora in risposta ogni anno avesse fatto
presente di non possedere alcun apparecchio televisivo ne' di avere
alcuna intenzione di acquistarlo.
E' da rilevare inoltre che il modulo standard inviato alla signora
terminava con l'avviso che, in mancanza di comunicazioni, la Rai
avrebbe dovuto trasmettere il nominativo all'Amministrazione
finanziaria per i successivi accertamenti.
L'interessata, nel dichiararsi disponibile a sottostare ai controlli
del caso, chiedeva che, per l'avvenire, le fosse evitato l'obbligo di
dover rispondere negativamente alla solita richiesta di pagamento del
canone.
Alla mia richiesta di conoscere le modalita' per risolvere in via
definitiva la posizione dell'interessata, ovviamente fino a quando la
stessa fosse sprovvista di televisore, la RAI rispondeva che la
comunicazione annuale a tutti coloro che non risultino abbonati ha
carattere meramente informativo e che, in ogni caso, rientra nella
discrezionalita' dell'Amministrazione finanziaria l'effettuazione dei
controlli del caso.
L'intervento si e' concluso senza aver ottenuto un risultato
apprezzabile, non senza peraltro aver ribadito alla RAI la mia
insoddisfazione per un comportamento che, nei fatti, sembra adombrare
una pressione psicologica posta in essere nei confronti di tutti
coloro che non sono utenti del servizio televisivo, i quali, ogni
anno, sono posti nella condizione di dover reiterare la medesima
comunicazione al fine di non incorrere in un immotivato accertamento,
con conseguenti intuibili disagi.
Ferrovie dello Stato - Divisione passeggeri - Bologna
N. 681/99
Un cittadino mi ha chiesto di intervenire in quanto non aveva avuto
alcuna risposta ad una lettera con la quale chiedeva alle Ferrovie
dello Stato - Divisione Passeggeri di Bologna - di ripristinare
durante l'estate, anche con frequenza ridotta, il servizio "auto al
seguito" sul tratto ferroviario che collega Bologna con la Puglia.
Si trattava infatti di un servizio di estrema utilita', che
consentiva agli automobilisti di spostarsi senza dover affrontare il
grande traffico degli esodi e contro esodi estivi, purtroppo
soppresso dall'estate 1998.
Ho sottolineato alle Ferrovie dello Stato che condividevo pienamente
le osservazioni dell'interessato, tenuto conto dell'importanza di
dare un contributo fattivo ai problemi del traffico che affliggono le
nostre strade e autostrade soprattutto nel periodo estivo.
D'altro canto, mi risultava che inizialmente l'Ufficio Relazioni con
il pubblico delle Ferrovie, avendo ricevuto numerose richieste
analoghe, avesse ipotizzato la costituzione di un convoglio
straordinario per il 3 agosto, e che tale evenienza non si era
concretata poiche' la Direzione generale di Roma non aveva aderito
alla richiesta, in quanto gia' erano in funzione una serie di treni
straordinari da Milano a Bari e Brindisi.
A conclusione della nutrita corrispondenza ho ribadito alla Societa'
che in tal modo dimostrava di non farsi carico del problema degli
utenti bolognesi, mentre il problema poteva essere risolto con un
minimo di buona volonta', magari anche aggiungendo ai convogli
provenienti da Milano uno o piu' carri in partenza da Bologna con
cadenze settimanali, o quindicinali o almeno mensili.
In ogni caso, dal momento che ritengo il problema di particolare
rilievo non solo per l'utenza ma soprattutto per l'interesse
pubblico, proprio in questi giorni ho ripetuto la richiesta di
ripristinare il servizio per l'estate 2000.
Ministero della Difesa - Roma
N. 64/99
Pur consapevole di non avere titolo per un intervento in questo
settore, ho richiesto al Ministro della Difesa di prendere in esame
il caso di un soldato di leva che, nonostante le sue richieste, non
riusciva ad ottenere il riconoscimento del diritto all'avvicinamento
alla propria citta' per motivi di studio.
Egli era stato assegnato d'autorita', senza il suo consenso ne'
preventiva informazione, ad un corso speciale per guardie carcerarie
di Sulmona (L'Aquila), molto piu' duro e di durata doppia rispetto al
normale CAR.
Le sue richieste di essere assegnato a Bologna, ove frequentava
l'Universita' con soli due esami da sostenere, erano rimaste senza
esito.
Inutili anche le telefonate al Distretto Militare di Bologna e al
Ministero della Difesa, presso i quali addirittura non venivano
rintracciate materialmente le domande, mentre risultava
all'interessato che istanze di altre reclute erano state prontamente
accolte.
Il diritto del ricorrente all'assegnazione a Bologna discendeva
dall'art. 3, comma 6 del DLgs n. 504 del 30 dicembre 1997, che
prevede per i militari di leva studenti universitari con non piu' di
quattro esami di profitto da sostenere, di essere assegnati, a
domanda, ad un Ente ubicato nel comune sede dell'Universita', o
comunque limitrofo.
L'esito del mio intervento e' stato pienamente soddisfacente: infatti
ho prontamente ricevuto una cortese nota con la quale il Ministero
della Difesa comunicava l'avvenuto trasferimento del predetto ad una
struttura militare di Bologna.
Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato - Roma
N. 641/98
Anche in questo caso ho posto in essere un intervento atipico, questa
volta nei confronti del Ministero delI'Industria: d'altro canto,
ritenevo di non poter opporre la mia incompetenza di fronte a una
situazione di particolare rilevanza sociale, in quanto coinvolgeva
diritti spettanti ad una lavoratrice.
Nel 1997 l'interessata aveva richiesto al Ministero dell'Industria la
corresponsione dell'indennita' di cessazione dal servizio avendo
prestato servizio presso quel dicastero, dal luglio 1987 al luglio
1989, in qualita' di segretaria particolare di un Sottosegretario di
Stato.
La competente Direzione generale peraltro non aveva accolto la sua
richiesta perche' pervenuta oltre il termine quinquennale di
prescrizione di cui all'art. 2948, punto 1) del Codice civile.
Dapprima il mio intervento si e' concretato nel sottolineare a
quell'ufficio l'esigenza di tenere ben presenti, oltreche' i motivi
di diritto, anche le ragioni di equita' che supportavano le
aspettative della lavoratrice.
Del resto, in un'identica fattispecie, concernente un analogo
rapporto di lavoro tra la stessa e il Ministero del Tesoro,
quest'ultimo aveva assunto l'iniziativa di invitare l'interessata a
trasmettere la documentazione necessaria per ottenere la liquidazione
dell'indennita' relativa alla cessazione del rapporto.
Dall'esame della giurisprudenza avevo poi riscontrato che la norma
applicabile alla fattispecie non era quella generale contenuta nel
Codice civile, in quanto esisteva una normativa speciale per il
recupero dei crediti verso gli impiegati pubblici, la quale prevede
che queste indennita' si prescrivano col decorso di 10 anni.
Il diritto dell'interessata alla liquidazione non era dunque
prescritto, dal momento che la sua istanza era stata prodotta prima
del decorso del termine decennale.
A questa argomentazione il Ministero dell'Industria non ha potuto
eccepire altre argomentazioni ed ha provveduto a adottare il relativo
provvedimento di liquidazione.
Ministero delle Finanze - Direzione regionale delle Entrate del
Piemonte
N. 440/99
Ha richiesto il mio intervento un ex dipendente dell'Amministrazione
finanziaria collocato a riposo nel 1978 il quale, avendo instaurato
un nuovo rapporto di lavoro, aveva chiesto inutilmente fin dal 1981
alla ex Intendenza di Finanza di Torino di adottare i provvedimenti
di competenza, necessari alla Direzione generale degli Istituti di
Previdenza del Ministero del Tesoro per operare la ricongiunzione tra
i diversi periodi di attivita'.
E' da premettere che la motivazione del diniego risiedeva nel
convincimento di quell'ufficio finanziario che la domanda di
ricongiunzione fosse inammissibile in quanto presentata oltre il
termine di sei mesi dalla riscossione della prima rata di pensione,
cosi' come prescritto dall'art. 151, comma 3, del DPR n. 1092 del
1973, e che quel termine dovesse essere riferito alla pensione
provvisoria, e non quella definitiva.
Il diniego non era stato superato neppure dal parere favorevole alla
ricongiunzione espresso nel 1988 dalla Direzione generale degli
Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro (struttura competente
ad attuare la ricongiunzione richiesta, pertanto la sola abilitata a
valutare la sussistenza dei presupposti della stessa), che aveva
ribadito che la domanda di ricongiunzione doveva essere presentata
entro il termine perentorio di sei mesi dalla data di comunicazione
del provvedimento definitivo di pensione.
Atti di diffida e messa in mora dell'allora Intendenza di Finanza di
Torino e successivamente della Direzione regionale delle Entrate del
Piemonte, lettere personali al Ministro delle Finanze e a quello del
Tesoro pro tempore, nonche' un ricorso al TAR del Lazio non avevano
conseguito l'effetto voluto di sbloccare tale inspiegabile rifiuto.
Di fronte ad una situazione cosi' "compromessa", e che peraltro non
era di mia stretta competenza essendo l'intervento rivolto ad
un'Amministrazione statale radicata in una regione diversa, ho
trasmesso la richiesta di intervento al Difensore civico del
Piemonte, esprimendo il mio convincimento che il trattamento
pensionistico indicato dall'art. 151 del DPR 1092/73 fosse quello
definitivo: infatti, per giurisprudenza consolidata l'atto inerente
il trattamento pensionistico provvisorio e' stato ritenuto sottratto
sia alla giurisdizione della Corte dei Conti che a quella dei TAR sul
presupposto della mancata natura provvedimentale dello stesso.
Il Difensore civico della Regione Piemonte, dopo aver sollecitato la
Direzione regionale delle Entrate a provvedere agli adempimenti
previsti dall'art. 115 del DPR n. 1092 del 1973 per la ricongiunzione
dei servizi prestati dall'interessato, osservava che la competenza ad
esprimersi spettava all'INPDAP: diffidava pertanto quest'ultimo a
concludere, entro 90 giorni, il procedimento di definizione della
pratica di ricongiunzione.
Nello stesso tempo, su mia richiesta, il Difensore civico del Lazio
interveniva presso il Ministero delle Finanze affinche' fornisse alla
citata Direzione regionale delle Entrate le proprie indicazioni sulla
fattispecie, ottenendo dallo stesso Ministero in brevissimo tempo
parere favorevole all'ammissibilita' della chiesta ricongiunzione.
Finalmente in questi giorni si e' chiusa questa ultraventennale
odissea burocratica, con la comunicazione della Direzione regionale
delle Entrate all'interessato del decreto di revoca della pensione a
suo tempo corrisposta.
Ministero delle Finanze - Centro di Servizio delle Imposte Dirette di
Bari
N. 541/99
Un'anziana signora mi pregava di intervenire presso il Centro di
Servizio di Bari per chiarire la ragione per la quale quell'ufficio
le aveva notificato un'iscrizione a ruolo per ILOR 1992 quando, per
lo stesso anno, risultava a favore della stessa addirittura un
credito di imposta.
Ho allora valutato che i tempi per il pagamento della cartella
esattoriale erano ridotti, e che, trattandosi di un'Amministrazione
statale periferica ubicata in un'altra regione, non ero competente ad
intervenire.
Ciononostante, ho ritenuto di attivarmi in quanto nella regione
Puglia non e' ancora stato nominato il Difensore civico regionale, e
tale omissione avrebbe costretto la signora a far valere le proprie
ragioni con onerosi e lunghi ricorsi alla competente Commissione
Tributaria.
Pertanto ho richiesto al Centro di Servizio di Bari a mezzo fax di
riesaminare la pratica alla luce della documentazione da me inviata.
Dopo alcune settimane ho ricevuto per conoscenza la lettera con la
quale il predetto Centro di Servizio, effettuate le verifiche del
caso, assicurava l'interessata che era in corso lo sgravio totale
dell'iscrizione a ruolo.
Istituto Postelegrafonici - Roma
N. 92/99
Una pensionata aveva chiesto all'Istituto Postelegrafonici la
riliquidazione dell'indennita' di buonuscita a suo tempo erogatale,
in applicazione della Legge n. 87 del 1994 che prevede l'inclusione
dell'indennita' integrativa speciale nella base di calcolo
dell'indennita' stessa.
La richiesta, formulata nel 1998, si fondava su una sentenza a lei
favorevole del TAR dell'Emilia-Romagna del 1996.
Ho allora invitato l'Istituto previdenziale a dare esecuzione con la
massima sollecitudine alla citata sentenza, ottenendo in breve tempo
il pagamento delle spettanze in favore della pensionata.
7. CONSIDERAZIONI FINALI
Ritengo di poter concludere che l'attivita' di difesa civica svolta
nell'anno passato sia risultata largamente positiva, sia per la
crescita del numero degli interventi, sia per l'ampiezza del
ventaglio di essi, che si sono rivolti a tutti i settori della
pubblica Amministrazione e alle materie piu' disparate, sia infine,
in non pochi casi, per la complessita' delle questioni trattate.
Come per l'anno 1998 ho ritenuto mio preciso dovere ovviare
all'assenza di difensore civico ai vari livelli, e sono di
conseguenza intervenuta in tutti i casi nei quali era controparte o
una pubblica Amministrazione sprovvista di Difensore civico, o anche
un'Amministrazione pubblica centrale.
Ugualmente, sono intervenuta a tutela di chiunque abbia chiesto il
mio intervento, anche se non si trattava di un cittadino della
regione, non espressamente ricompreso come tale nella previsione di
tutela dettata dall'art. 16 della Legge n. 127 del 1997.
In questa mia attivita' complessiva desidero dare atto che anche per
il 1999 l'Amministrazione regionale e gli altri Enti hanno fornito,
di massima, risposte adeguate, anche se non sempre sollecite, alle
mie richieste, nello spirito di collaborazione che dovrebbe sempre
informare i rapporti tra Amministrazioni pubbliche.
Per il futuro, allo scopo di migliorare la qualita' del servizio reso
da questo istituto, ritengo di formulare queste proposte:
- sensibilizzare le strutture regionali sulla necessita' di
assicurare risposte quanto piu' sollecite alle richieste provenienti
dal Difensore civico.
Cio' consentira' il duplice obiettivo di massimizzare l'efficacia
degli interventi, nell'interesse dei richiedenti, e di servire, nello
stesso tempo, da antidoto a situazioni di tensione o di contenzioso,
nell'interesse della stessa Amministrazione regionale;
- proseguire nelle iniziative promozionali dirette a far conoscere la
figura del Difensore civico alla popolazione della regione, al fine
di permettere ai cittadini che potrebbero averne necessita' di
utilizzare un servizio gratuito, alternativo alla tutela
giurisdizionale, per la tutela dei loro interessi.
Al fine di consentirmi il pieno espletamento delle funzioni che la
legge mi assegna e per conseguire gli obiettivi che mi sono proposta
nello svolgimento della mia attivita' di difesa civica, occorre che
mi siano assicurati dall'Amministrazione regionale i mezzi
strumentali e la dotazione di personale necessari.
Sotto quest'aspetto debbo rilevare che nel 1999 si sono manifestate
delle carenze che hanno inciso negativamente sull'attivita' del mio
Ufficio.
Piu' precisamente, per quanto riguarda la dotazione di mezzi
strumentali, data la continua espansione del servizio prestato, ho
riscontrato che gli spazi assegnatimi sono divenuti insufficienti. Mi
riferisco in particolare alla collocazione dell'archivio e della
biblioteca.
L'archivio non trova posto negli ambienti dell'Ufficio ed e'
collocato - ad eccezione di quello relativo all'anno in corso e ad
un'annata pregressa - in una sede lontana, accessibile con tempi
prolungati e tramite personale esterno.
La biblioteca e' ristretta in uno spazio insufficiente e inidoneo,
sia come contenitore del materiale, sia come luogo di consultazione,
tenuto anche conto del fatto che si tratta di struttura messa a
disposizione del pubblico.
Il problema rappresentato potrebbe essere risolto, a mio avviso, con
l'assegnazione di altri locali, situati nel medesimo edificio, di
proprieta' regionale, al momento non utilizzati.
L'altra carenza manifestatasi riguarda il personale dell'Ufficio e,
piu' precisamente, l'indisponibilita', per legittimi motivi, di uno
dei miei diretti collaboratori - su un organico di tre funzionari -
protrattasi per la maggior parte dell'anno e tuttora perdurante.
Cio' ha indubbiamente influito in modo negativo sull'efficienza del
servizio reso, considerato il sovraccarico di lavoro - nel frattempo
anche aumentato, come risulta dai dati forniti - gravante sui
funzionari presenti, i quali peraltro hanno fatto fronte
all'emergenza con encomiabile impegno.
Pur rendendomi conto delle difficolta' di reperire personale adeguato
alle funzioni proprie del mio Ufficio - che richiedono un livello di
professionalita' molto elevato, qualificate esperienze ed una
peculiare attitudine ai rapporti sociali ed umani - auspico che
l'attuale carenza possa essere superata mediante l'assegnazione in
tempi brevi di almeno un elemento idoneo.
Prevedo inoltre che a piu' lungo termine sara' necessario un aumento
dell'organico, qualora i progetti dell'Amministrazione di espansione
del servizio mediante convenzioni con ulteriori enti vengano attuati.
La presente circostanza mi offre l'occasione per ringraziare
sentitamente gli uffici regionali, statali e comunali che, di volta
in volta, hanno collaborato con me, cosi' come ringrazio sentitamente
le Autorita' alle quali e' rivolta la presente relazione e i
cittadini che si sono rivolti al mio ufficio fiduciosi di ottenere un
aiuto ed un consiglio nei loro rapporti, spesso problematici, con
l'Amministrazione pubblica.
Bologna, 29 marzo 2000
IL DIFENSORE CIVICO
Paola Gallerani Monaci