REGIONE EMILIA-ROMAGNA

ORDINANZA 20 dicembre 1999, n. 491

Ordinanza n. 491 Reg. ordinanze 2000 emessa il 20 dicembre 1999 (pervenuta alla Corte Costituzionale il 6/7/2000) dal TAR per l'Emilia-Romagna sul ricorso proposto da Comitato bolognese "Scuola e Costituzione" ed altre c/ Regione Emilia-Romagna

Il Tribunale amministrativo per l'Emilia-Romagna - Sede di Bologna -            
Sezione II, composto dai signori: dott. Giancarlo Mozzarelli,                   
Presidente f.f.est., dott. Rosaria Trizzino, consigliere rel., dott.            
Bruno Lelli, consigliere                                                        
ha pronunciato la seguente:                                                     
ORDINANZA                                                                       
sul ricorso proposto dal Comitato bolognese "Scuola e Costituzione",            
dalla Chiesa Evangelica Metodista di Bologna, dalla Chiesa Cristiana            
Avventista del Settimo Giorno di Bologna, dalla Comunita' Ebraica di            
Bologna, rappresentati e difesi dagli avvocati Federico Sorrentino,             
Massimo Luciani, Corrado Mauceri e Maria Virgilio e domiciliati                 
presso lo studio di quest'ultimo, in Bologna, Via Rubbiani n. 3;                
contro                                                                          
Regione Emilia-Romagna, rappresentata e difesa dall'avv. Andrea                 
Pennesi (Bologna, Strada Maggiore n. 47);                                       
per l'annullamento                                                              
della deliberazione del Consiglio regionale dell'Emilia-Romagna del             
28 settembre 1995, n. 97 recante l'intitolazione "L.R. 24 aprile                
1995, n. 52 - Approvazione dei criteri per l'assegnazione dei                   
contributi ai Comuni per l'anno 1995 per l'attivazione di convenzioni           
per la qualificazione e il sostegno delle scuole dell'infanzia                  
private senza fini di lucro o gestite da IPAB" e degli atti connessi            
e presupposti, in particolare della circolare dell'Assessore                    
regionale agli Affari sociali e familiari, Associazionismo, Qualita'            
urbana, prot. n. 20783 del 17 agosto 1995.                                      
Uditi all'udienza pubblica del 15/10/1998 gli avvocati Maria Virgilio           
e Massimo Luciani per i ricorrenti e Andrea Pennesi per la Regione              
resistente;                                                                     
considerato quanto segue:                                                       
FATTO                                                                           
La parte ricorrente impugna, chiedendone l'annullamento, gli atti               
meglio indicati dianzi.                                                         
A sostegno del ricorso, essa presenta le censure seguenti:                      
1. Violazione di legge, in riferimento agli artt. 2, comma 1, lettera           
B), quinto alinea; 10, comma 1, lett. e bis); 10, penultimo comma,              
Legge regionale Emilia-Romagna 25 gennaio 1983, n. 6, nel testo                 
modificato dalla Legge regionale Emilia-Romagna 24 aprile 1995, n.              
52.                                                                             
Si rileva come l'art. 4, comma 1, L.R. n. 52 del 1995 ha istituito un           
fondo per la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole                   
dell'infanzia private. A sua volta, l'art. 5, comma 1, ha disposto              
che tale fondo "e' ripartito fra i Comuni che abbiano stipulato                 
convenzioni con scuole dell'infanzia private nelle quali siano                  
previsti oneri a carico dei Comuni per contributi di spesa corrente e           
di investimento.".                                                              
Si aggiunge che "il fondo ha la funzione di promuovere la                       
stipulazione di convenzioni fra Comuni e scuole dell'infanzia                   
private, e solo fra i Comuni che tali convenzioni abbiano stipulato             
il fondo dev'essere ripartito. In totale spregio della legge, la                
deliberazione impugnata, invece, prevede che al riparto del fondo               
accedono anche i Comuni che sono privi delle menzionate                         
convenzioni.".                                                                  
Si rileva, infine, che "anche a volersi rifare allo spirito della               
legge, tuttavia, le conclusioni non muterebbero. Intenzione del                 
legislatore era infatti garantire un sostegno finanziario ai Comuni             
che avessero effettivamente stipulato convenzioni con istituti                  
scolastici privati. (. . .). Soltanto limitando il sostegno                     
finanziario ai Comuni dotati di convenzione, del resto, era possibile           
incentivare i Comuni a dotarsi dello strumento convenzionale.                   
Ritenere, come si fa nelle premesse alla proposta della Giunta                  
regionale (integralmente recepita dalla deliberazione impugnata), che           
la stipula di ulteriori convenzioni si possa promuovere e sollecitare           
attraverso il grazioso finanziamento anche e proprio dei Comuni che             
non hanno stipulato convenzioni e' un controsenso che non abbisogna             
di commenti.".                                                                  
2. Violazione di legge e, in riferimento agli artt. 3, 33, commi 1 e            
3, e 128 della Costituzione e agli artt. 2, comma 1, lettera B),                
quinto alinea, e 10, penultimo comma, della Legge regionale                     
Emilia-Romagna 25 gennaio 1983, n. 6, nel testo modificato dalla                
Legge regionale Emilia-Romagna 24 aprile 1995, n. 52.                           
Si osserva come "la deliberazione impugnata dispone che, per i Comuni           
della fascia A), ai fini della determinazione dei contributi, verra'            
considerata, fra l'altro (punto 1.2.) la congruenza dei contenuti               
delle convenzioni adottate a livello locale rispetto al Protocollo              
d'intesa tra Regione e FISM regionale (. .), in particolare rispetto            
ai seguenti elementi: accesso degli utenti, modalita' di                        
partecipazione delle famiglie, equita' di trattamento economico,                
orientamenti educativi (con riferimento al DM 3 giugno 1991),                   
organizzazione del servizio, personale e coordinamento tecnico,                 
raccordo con altre agenzie educative, adeguamento strutturale,                  
servizi per l'accesso, criteri di valutazione/verifica.".                       
Ne discende che "il computo della misura dei contributi da erogarsi             
in favore dei Comuni viene effettuato assumendo quale criterio                  
determinante, accanto a quelli del numero delle sezioni delle scuole            
materne convenzionate (punto 1.1) e dell'ampiezza demografica dei               
Comuni (punto 1.3) la congruenza rispetto al (e quindi il rispetto              
del) Protocollo d'intesa tra Regione e FISM regionale.                          
In questo modo (. . .) la fruibilita' concreta dei contributi                   
regionali e' rigidamente subordinata al rispetto di un Protocollo               
d'intesa fra l'Amministrazione regionale e una comune associazione              
privata. Per quanto rappresentativa questa possa essere, un simile              
trattamento e' del tutto ingiustificato. Invero, non esiste nella               
legislazione regionale alcun elemento che la isoli e la differenzi              
rispetto alle altre associazioni private operanti nel mondo della               
scuola. Aver assunto un accordo stipulato con detta associazione                
quale stregua cui commisurare le convenzioni stipulate dai vari                 
Comuni e' dunque scelta che non trova alcun supporto normativo.".               
Si aggiunge che "manifestamente violate, poi, sono le predette                  
disposizioni della L.R. n. 6 del 1983 (nel testo modificato dalla               
L.R. n. 52 del 1995).                                                           
Esse, infatti, si limitano a prevedere che le risorse del "Fondo per            
la promozione delle convenzioni fra Comuni e scuole dell'infanzia               
private" siano ripartite tra i Comuni che abbiano stipulato                     
convenzioni con istituzioni scolastiche private, senza differenziare            
affatto all'interno di tale categoria.                                          
Spettava dunque alla Giunta regionale determinare i criteri per la              
concreta ripartizione delle risorse, ma e' evidente che cio' avrebbe            
dovuto avvenire sulla base di parametri il piu' possibile oggettivi e           
in riferimento alle effettive esigenze dei Comuni in ordine alla                
prestazione del servizio scolastico.                                            
Ancorando l'erogazione delle risorse al rispetto di un accordo tra la           
Regione e un'associazione privata, la deliberazione impugnata                   
stravolge il senso della previsione legislativa, sostituendo la                 
volonta' soggettiva dei firmatari del Protocollo all'oggettivita' dei           
fatti e dei bisogni.                                                            
chiaro, altresi', che per questo aspetto il provvedimento impugnato             
viola il principio di eguaglianza.                                              
La FISM, infatti, e' stata arbitrariamente preferita ad ogni altra              
associazione privata operante nel mondo scolastico, senza alcuna                
apertura pluralistica alle altre realta' del settore. Questo,                   
oltretutto, in un ambito, come quello dell'istruzione, nel quale le             
esigenze dell'eguaglianza fra i cittadini sono al centro                        
dell'attenzione della Carta costituzionale.                                     
Per giunta, la FISM e' stata addirittura investita di una funzione              
condizionante nei confronti dei Comuni, nel momento in cui la si e'             
chiamata a stipulare con la Regione un Protocollo al quale e' stato             
conferito valore paradigmatico in sede di assegnazione delle risorse            
gestite nell'ambito del "Fondo per la promozione delle convenzioni              
fra Comuni e scuole dell'infanzia private". In questo modo,                     
subordinando l'autonomia comunale all'autonomia privata, si e'                  
arrecato un gravissimo vulnus all'autonomia degli Enti locali                   
garantita dall'art. 128 Cost., a tenor del quale i Comuni "sono Enti            
autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della               
Repubblica.". Il riconoscimento costituzionale dell'autonomia dei               
Comuni ha l'evidente funzione di garantire, da un lato, l'autogoverno           
e la partecipazione delle popolazioni locali (in questo stesso senso,           
del resto, proprio l'art. 53 dello Statuto della Regione                        
Emilia-Romagna); dall'altro, di assicurare un apprezzamento del                 
pubblico interesse in ragione dell'adeguata considerazione delle                
esigenze locali, di volta in volta diverse. L'una e l'altra funzione            
della garanzia costituzionale sono frustrate dalla deliberazione                
impugnata, che subordina l'autonomia degli Enti locali (che possono             
accedere ai finanziamenti solo nella misura in cui si conformano al             
Protocollo) all'autonomia privata di un soggetto particolare come la            
FISM. Il tutto, in una materia in cui le funzioni amministrative, ai            
sensi dell'art. 45, comma 1, del DPR n. 616 del 1977, "sono                     
attribuite ai Comuni".                                                          
Gravemente vulnerate, poi, sono la liberta' di insegnamento e la                
liberta' di istituire scuole che sono garantite dall'art. 33, commi 1           
e 3, Cost. E' infatti evidente che qualunque istituzione scolastica             
privata, se vorra' accedere al sostegno previsto dalla L.R. n. 52 del           
1995, dovra' necessariamente conformarsi alle previsioni dettate dal            
menzionato Protocollo. Esso, pero', incide profondamente                        
sull'autonomia didattica, sull'organizzazione dei servizi, sullo                
stesso rapporto di impiego dei dipendenti, condizionando cosi' in               
modo inaccettabile le libere scelte di chi voglia operare nel settore           
scolastico per l'infanzia. Per soprammercato, tale condizionamento e'           
determinato da un atto (il Protocollo) che recepisce, oltre alla                
volonta' dell'Ente regionale, la privata volonta' della FISM, e cioe'           
di una associazione privata, che possiede una specifica connotazione            
ideale e culturale. Come nell'orwelliana fattoria degli animali,                
dunque, anche se formalmente tutti sono eguali, sostanzialmente                 
alcuni operatori scolastici finiscono per essere piu' eguali degli              
altri.".                                                                        
3. Illegitimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in                 
riferimento agli artt. 3 e 128 della Costituzione.                              
Si rileva come "nella denegata ipotesi che la prima parte della                 
ricostruzione prospettata al paragrafo precedente venisse respinta,             
ritenendosi che la deliberazione impugnata non sia violativa della              
menzionata normativa regionale, i vizi di illegittimita' lamentati              
nei confronti della deliberazione dovrebbero pianamente trasferirsi             
su quest'ultima, nella parte in cui consente all'Amministrazione                
regionale di assumere provvedimenti cosi' clamorosamente contrastanti           
con il principio di eguaglianza fra i privati e con il principio                
dell'autonomia degli Enti locali.".                                             
4. Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in                
riferimento agli artt. 33 e 117, comma 1 della Costituzione.                    
Si rileva che "un vizio ancor piu' radicale affligge, pero', il                 
provvedimento impugnato. Esso risulta infatti (ancorche'                        
illegittimamente (. . .) attuativo di una legge regionale (la L.R. n.           
52 del 1995) della quale e' evidente l'illegitimita' costituzionale.            
Fra le materie di competenza regionale di cui all'art. 117 Cost.,               
infatti, sono ricomprese l'istruzione artigiana e professionale e               
l'assistenza scolastica.                                                        
La materia "istruzione" in generale, invece, non e' menzionata. A sua           
volta, il DLgs n. 616 del 1997 non consente che si faccia confusione            
fra istruzione e assistenza scolastica.".                                       
Si osserva come "appare chiaro che il legislatore regionale ha                  
inteso, in violazione del dettato costituzionale, disciplinare                  
proprio la materia istruzione, fuoriuscendo dai limiti ad esso                  
assegnati, ed in particolare andando ben al di la' della semplice               
"assistenza scolastica".                                                        
Gia' la modificazione del titolo originario della L.R. n. 6 del 1983            
e' rivelatrice. Mentre (. . .) tale legge si intitolava semplicemente           
"Diritto allo studio", il nuovo titolo e' "Diritto allo studio e                
qualificazione del sistema integrato pubblico-privato delle scuole              
dell'infanzia". Come risulta da tale formulazione letterale, il                 
legislatore regionale ha inteso andare ben oltre il campo (. .) della           
garanzia del diritto allo studio, invadendo quello della disciplina             
generale dell'istruzione. Tanto, oltretutto, con ambizioni di                   
altissimo profilo: l'obiettivo e' (. . .) la realizzazione di un                
"sistema integrato delle scuole dell'infanzia basato sul progressivo            
coordinamento e sulla collaborazione fra le diverse offerte                     
educative", e il legislatore regionale mira alla qualificazione di              
tali offerte, per "valorizzare competenze, risorse e soggetti                   
pubblici e privati" (art. 1, comma 2, punto 2 bis, della L.R. n. 6              
del 1989, nel testo introdotto dalla L.R. n. 52 del 1995). Le enormi            
ambizioni del legislatore regionale sono, comunque, ulteriormente (.            
. .) disvelate proprio dalle premesse della proposta della Giunta               
regionale recepita dall'atto Protocollo d'intesa con la FISM e della            
risoluzione n. 5172/5362, adottata dal Consiglio regionale in data 6            
ottobre 1994. In quest'ultima, in particolare, il Consiglio regionale           
valuta indifferibile un riordino strutturale e culturale che,                   
ragionando in termini di "sistema", abbia come obiettivi l'aumento              
dell'efficacia formativa e della scolarita' come risorsa individuale            
e sociale e impegna la Giunta ad adottare interventi di                         
qualificazione dell'intero sistema delle scuole dell'infanzia, etc.             
Cosa tutto questo abbia a che vedere con la materia "assistenza                 
scolastica" non e' dato comprendere.                                            
Tutto l'impianto della Legge n. 52 del 1995, comunque, e'                       
radicalmente illegittimo, perche' tutti gli interventi ivi previsti             
sono funzionalizzati al raggiungimento di tali obiettivi. E' dunque             
questo un caso di illegittimita' costituzionale di un intero testo              
legislativo, ipotesi che (. . .) secondo la giurisprudenza                      
costituzionale ricorre tutte le volte in cui il legame della legge              
sia tanto stretto che esse risultano in autonome le une rispetto alle           
altre.".                                                                        
5. Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in                
riferimento all'art. 33, commi 1 e 3, della Costituzione.                       
Si rileva come "ulteriormente viziata da illegittimita'                         
costituzionale risulta peraltro la L.R. n. 52 del 1995, e con essa la           
deliberazione impugnata, per violazione dell'art. 33, comma 3, della            
Costituzione, a tenor del quale Enti e privati hanno il diritto di              
istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato,            
in combinato disposto con il comma 1 del medesimo art. 31.                      
(. . .) e' attualmente assai accesa la discussione sulle modalita' di           
un possibile sostegno pubblico che favorisca la frequenza della                 
scuola privata, senza modificare l'art. 33, comma 4, Cost. (. . .)              
comunque, non si e' andati oltre la proposta di un sostegno indiretto           
per le famiglie che indirizzino i propri figli alla scuola privata              
attraverso la detassazione delle loro spese scolastiche (cfr. ad                
esempio l'art. 9 del Progetto di legge Camera, n. 142), oppure quella           
di agevolazioni fiscali per il settore scolastico (cfr. ad esempio              
l'art. 8 del Progetto di legge Senato, n. 1339 o l'art. 8 del                   
Progetto di legge Camera, n. 2404).                                             
Per la sua evidente contrarieta' all'art. 33, comma 3, Cost.. invece,           
la proposta di finanziamenti diretti alla scuola privata non e' stata           
avanzata in sede parlamentare.                                                  
In effetti, il dettato costituzionale non si presta ad equivoci. Come           
ha osservato la piu' autorevole dottrina costituzionalistica, l'art.            
33, comma 3, Cost., esclude "nei termini piu' larghi" che l'esercizio           
della (pur indiscutibile) liberta' di istituire e gestire scuole                
private possa gravare sul bilancio dello Stato (. . .). Il divieto,             
peraltro, non riguarda solo lo Stato ma anche gli altri Enti pubblici           
(. . .) fra i quali ovviamente le Regioni.                                      
La logica della disposizione costituzionale e' infatti quella che               
l'iniziativa privata nel settore scolastico non debba (. . .) essere            
compressa, ma non possa neppure essere sostentata da pubbliche                  
risorse, che' altrimenti si stornerebbero fondi da impiegarsi per il            
necessario e imprescindibile intervento pubblico in materia, che e'             
cosi' vasto che lo Stato e' tenuto ad istituire proprie scuole "per             
ogni ordine e grado" (artt. 33, comma 2, Cost.).                                
Questo regime, del resto, e' coerente con il principio di liberta'              
che ispira tutta la normativa costituzionale in materia di scuola.              
Tale principio illumina tutto il settore: liberta' di istituire                 
scuole private; liberta' di insegnamento; liberta' degli studenti di            
formarsi i propri autonomi convincimenti, etc.                                  
La preclusione del finanziamento pubblico non comprime, ma                      
addirittura esalta la liberta', che (. . .) e' inevitabilmente                  
assoggettata a limiti e controlli quando la mano pubblica interviene            
per sostenerla finanziariamente (e la cosa, qui, si e' puntualmente             
verificata, con il sistema degli "impegni" che le scuole private                
debbono assumere in sede di convenzione per poter poi godere del                
pubblico sostegno). Il divieto di finanziamento con pubblico danaro             
delle scuole private non e' un limite, ma una vera e propria garanzia           
per la liberta' (fondamentale) di istituirle.                                   
Tutto questo e' stato completamente dimenticato dal legislatore                 
regionale, che ha tranquillamente previsto che i Comuni possano                 
contribuire alla gestione delle scuole private, addossandosi "oneri             
per contributi di spesa corrente e di investimento" (art. 10,                   
penultimo comma, della L.R. n. 6 del 1983, nel testo introdotto dalla           
L.R. n. 52 del 1995), e che essi possano attivarsi per il "sostegno"            
delle scuole private (art. 2, comma 1, lett. B), della L.R. n. 6 del            
1983, nel testo introdotto dalla L.R. n. 52 del 1995).                          
Come si riconosce espressamente nel provvedimento impugnato (vedi la            
parte dell'Allegato A nella quale si definisce la fascia di Comuni              
"B"), gli oneri finanziari che la legge regionale consente ai Comuni            
di assumere in materia scolastica sono diretti in favore delle scuole           
private. In questo modo, e in considerazione dell'enorme vastita'               
degli obiettivi degli interventi di sostegno (cio' che si evince                
dall'ampiezza dei temi oggetto della convenzione-tipo), si chiarisce            
che il finanziamento pubblico non riguarda i soli studenti (o le loro           
famiglie) per consentire che tutti, anche coloro che si rivolgono               
alla scuola privata siano posti in condizione di godere                         
effettivamente del diritto allo studio. Esso si rivolge invece                  
(addirittura primariamente) agli istituti privati, e vale a sostenere           
direttamente la loro gestione.".                                                
La parte ricorrente ha conclusivamente richiesto l'annullamento degli           
atti impugnati, "eventualmente sollevando in via pregiudiziale                  
questione incidentale di legittimita' costituzionale della Legge                
regionale Emilia-Romagna n. 6 del 1983, per come modificata dalla               
Legge regionale Emilia-Romagna n. 52 del 1995, in riferimento agli              
artt. 3; 33, commi 1 e 3; 34; 117, comma 1 e 128 della                          
Costituzione.".                                                                 
L'Amministrazione regionale ha eccepito l'inammissibilita' del                  
ricorso sotto diversi profili (mancata notifica alla                            
controinteressata Federazione italiana scuole materne -                         
Emilia-Romagna; carenza di interesse).                                          
Con sentenza parziale 1/4/1997, n. 191, questa Sezione ha in parte              
accolto il ricorso (con riferimento alla prima censura), in parte               
dichiarato inammissibile il medesimo (con riferimento alla seconda e            
terza censura, per mancata notifica alla FISM Emilia-Romagna quale              
controinteressata unicamente in relazione a tali specifici profili di           
gravame) ed infine rinviato alla Corte Costituzionale, con separata             
ordinanza, la questione di legittimita' costituzionale della L.R.               
28/9/1995, n. 52 in relazione agli artt. 33, secondo e terzo comma, e           
117, primo comma, della Costituzione (quarta e quinta censura).                 
Con ordinanza 17/3/1998, n. 67, la Corte Costituzionale ha dichiarato           
la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita'                   
costituzionale dianzi indicata, sotto il profilo della carenza di               
motivazione sulla rilevanza della questione medesima.                           
Con successive memorie in data 3 e 9/10/1998 (quest'ultima                      
tardivamente depositata), le parti hanno ulteriormente delineato le             
rispettive argomentazioni.                                                      
La Sezione - con decisione in data odierna - ha rinviato alla Corte             
Costituzionale, con la presente e separata ordinanza, la questione di           
legittimita' costituzionale della L.R. n. 52 del 1995 per contrasto             
con gli artt. 33, primo, secondo e terzo comma e 117, primo comma               
della Costituzione, sospendendo nelle more del giudizio incidentale             
di costituzionalita' ogni definitiva decisione nel merito.                      
DIRITTO                                                                         
1. Va preliminarmente rilevato che - indipendentemente dalla                    
consequenzialita' formale delle censure in esso dedotte - nel                   
presente ricorso si contesta l'impugnata delibera sia nella sua                 
interezza (seconda, terza, quarta e quinta censura), sia in relazione           
ad un suo profilo parziale e ben delimitato (prima censura) e che               
pertanto oggetto largamente prevalente del "thema decidendum" e' la             
illegittimita' derivata dell'impugnata delibera per l'asserita                  
illegittimita' costituzionale della Legge regionale Emilia-Romagna              
6/83 - per come modificata dalla successiva Legge regionale                     
Emilia-Romagna 52/95 - in riferimento agli artt. 3, 33, commi primo e           
terzo, 34, 117, primo comma e 128 della Costituzione: questione di              
legittimita' costituzionale sollevata in via pregiudiziale dalla                
parte ricorrente (vedi ricorso, pagine 18/19).                                  
Va anche aggiunto che questa Sezione, con la decisione parziale                 
1/4/1997, n. 191 - ha in parte accolto il ricorso (con riferimento              
esclusivo al profilo parziale e ben delimitato di cui alla prima                
censura), in parte dichiarato inammissibile il medesimo (con                    
riferimento alla seconda e terza censura, per mancata notifica del              
ricorso alla FISM Emilia-Romagna quale controinteressata unicamente             
in relazione a tali specifici profili di gravame) ed infine -                   
riconoscendo l'ammissibilita' del ricorso nella parte residua - ha              
rinviato alla Corte Costituzionale, con separata ordinanza, la                  
questione di legittimita' costituzionale della L.R. 28/9/1995, n. 52,           
in relazione agli artt. 33, secondo e terzo comma, e 117, primo comma           
della Costituzione (quarta e quinta censura).                                   
Con ordinanza 17/3/1998, n. 67, la Corte Costituzionale ha dichiarato           
la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita'                   
costituzionale dianzi indicata sotto il profilo esclusivo della                 
carenza di motivazione in ordine alla rilevanza della questione                 
medesima ai fini della decisione della presente controversia.                   
Rileva, peraltro, il Collegio che la predetta pronuncia della Corte             
Costituzionale ha una valenza meramente processuale e non di merito e           
che pertanto essa non preclude - per la sua natura non specificamente           
decisoria - la riproposizione della suindicata questione di                     
legittimita' costituzionale (in tal senso vedi, per tutte, Corte                
Cost., dec. 19-27 luglio 1989, n. 451, in motivazione), nei termini             
parzialmente modificati di cui in prosieguo.                                    
La parte ricorrente delinea - con la quarta e quinta censura - la               
illegittimita' derivata dall'impugnata delibera per l'asserita                  
incostituzionalita' della L.R. 52/95 nel suo complesso a causa dello            
stretto legame intercorrente tra le norme della stessa, per                     
violazione degli artt. 33 e 117, primo comma della Costituzione.                
Si afferma, in particolare, che il legislatore regionale -                      
fuoriuscendo dall'ambito della competenza assegnatagli dalla                    
Costituzione, che limita il suo intervento all'assistenza scolastica            
ed all'istruzione artigiana e professionale - ha inteso disciplinare            
la materia dell'istruzione. Di cio' si avrebbe conferma dallo stesso            
titolo della legge in esame ("Diritto allo studio e qualificazione              
del sistema integrato pubblico-privato delle scuole dell'infanzia")             
sostitutivo del precedente titolo della L.R. 6/83 ("Diritto allo                
studio") di cui la prima costituisce integrazione ed ampliamento.               
Il legislatore regionale inoltre - mediante il riconoscimento di                
contributi di spesa corrente e di investimento a sostegno diretto               
delle scuole private d'infanzia e della loro gestione - avrebbe                 
manifestamente violato la disposizione di cui all'art. 33, terzo                
comma, della Costituzione che riconosce bensi' ad enti e privati il             
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, purche' senza            
oneri per lo Stato.                                                             
Il Collegio ritiene che tale questione di legittimita' costituzionale           
non sia manifestamente infondata in entrambi i profili dianzi                   
indicati, per le considerazioni che seguono.                                    
Quanto al profilo relativo all'asserita illegittimita' costituzionale           
della legislazione regionale di riferimento per violazione dell'art.            
117, primo comma, della Costituzione, va preliminarmente rilevato che           
quest'ultima norma include fra le materie di competenza legislativa             
regionale, tra le altre, l'istruzione artigiana e professionale e               
l'assistenza scolastica. Cio' posto, appare evidente come la materia            
in esame non riguardi ne' l'uno ne' l'altro comparto. In particolare,           
per quanto attiene al comparto dell'assistenza scolastica, il DPR 24            
luglio 1977, n. 616 - all'art. 42 - stabilisce che "le funzioni                 
amministrative relative alla materia (. . .) concernono tutte le                
strutture, i servizi e le attivita' destinate a facilitare mediante             
erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o             
collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche                    
pubbliche o private, (. . .) l'assolvimento dell'obbligo scolastico             
nonche', per gli studenti capaci e meritevoli ancorche' privi di                
mezzi, la prosecuzione degli studi". Ne discende che l'assistenza               
scolastica e' materia distinta, ancorche' collegata strettamente a              
quella dell'istruzione, poiche' essa attiene all'insieme di misure e            
provvidenze dirette a facilitare, per poterlo rendere effettivo, il             
diritto allo studio nel suo fondamento materiale (Corte                         
Costituzionale, dec. 22 gennaio 1982, n. 36, in motivazione; Id.,               
dec. 1 febbraio 1967, n. 7; Id., dec. 2 luglio 1968, n. 106). Essa              
pertanto riguarda esclusivamente l'erogazione di sussidi e                      
provvidenze direttamente a favore degli alunni, mentre invece nel               
caso in esame la L.R. 52/95 prevede l'erogazione di un sostegno                 
finanziario, mediante contributi di spesa corrente e di investimento,           
direttamente a favore delle scuole private d'infanzia (artt. 3 e 5              
legge citata).                                                                  
Ne' le provvidenze ed i sussidi previsti dalla legge regionale in               
esame potrebbero rientrare - diversamente da quel che opina                     
l'Amministrazione resistente (vedi Allegato n. 2 alla memoria                   
3/10/1998) - nell'ambito della materia della beneficenza pubblica,              
anch'essa ricompresa dall'art. 117, primo comma tra le materie di               
competenza legislativa regionale. Il DPR 24 luglio 1997, n. 616 -               
all'art. 22 - stabilisce infatti che "le funzioni amministrative                
relative alla materia (. . .) concernono tutte le attivita' che                 
attengono, nel quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione             
ed erogazione dei servizi, gratuiti o a pagamento, o di prestazioni             
economiche, sia in denaro che in natura, a favore dei singoli, o di             
gruppi, qualunque sia il titolo in base al quale sono individuati i             
destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza a                    
categorie determinate" e - nel successivo art. 23 ("specificazione")            
- precisa che "sono comprese nelle funzioni amministrative di cui               
all'articolo precedente le attivita' relative: a) all'assistenza                
economica in favore delle famiglie bisognose dei defunti e delle                
vittime del delitto; b) all'assistenza post-penitenziaria; c) agli              
interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle                
autorita' giudiziarie minorili nell'ambito della competenza                     
amministrativa e civile; d) agli interventi di protezione speciale di           
cui agli artt. 8 e seguenti della Legge 20 febbraio 1958, n. 75".               
Ne discende che la materia predetta ha direttamente per destinatari             
persone fisiche - come singoli o per gruppi e categorie - in                    
condizioni di rilevante disagio sociale ed ha conseguentemente                  
caratteri costitutivi fortemente differenziati rispetto ad un                   
intervento legislativo regionale - quale quello in esame - diretto ad           
assicurare invece sostegno finanziario in via continuativa sotto                
forma di contributi di spesa corrente e di investimento a favore                
delle scuole private d'infanzia e comunque indipendentemente dalle              
condizioni di bilancio di queste ultime.                                        
Va anche aggiunto che lo stesso Statuto della Regione Emilia-Romagna            
collega le residuali competenze regionali in materia scolastica alla            
finalita' esclusiva di "rendere effettivo il diritto allo studio ed             
alla cultura fino ai livelli piu' alti" (art. 2, comma 3, lett. e).             
Il Collegio rileva, pertanto, che l'intervento legislativo regionale            
in oggetto non appare rientrare in alcuna delle materie riservate               
alla competenza regionale dall'art. 117, primo comma, della                     
Costituzione.                                                                   
Ma vi e' di piu'. Tale intervento legislativo - nel perseguire                  
espressamente "l'obiettivo di realizzare un sistema integrato delle             
scuole dell'infanzia basato sul progressivo coordinamento e sulla               
collaborazione fra le diverse offerte educative, in una logica di               
qualificazione delle stesse che sappia valorizzare competenze,                  
risorse e soggetti pubblici e privati" (art. 2, Legge 52/95) -                  
attiene specificamente alla materia dell'istruzione che e' preclusa             
alla competenza regionale (ad eccezione dell'istruzione artigiana e             
professionale) dall'art. 117, primo comma, della Costituzione ed e'             
invece riservata allo Stato (a cui spetta dettare le norme generali             
sull'istruzione) dall'art. 33, secondo comma, della Costituzione.               
Che la disciplina concernente le scuole d'infanzia attenga                      
specificamente alla materia dell'istruzione, appare discendere - ad             
avviso del Collegio - da una molteplicita' univoca di elementi di               
valutazione.                                                                    
Sin dalla Legge 24 luglio 1962, n. 1073 (avente ad oggetto                      
"Provvedimenti per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962 al            
1965") si fa espressamente menzione - al Titolo II, artt. 31 e                  
seguenti - di "provvidenze per lo sviluppo di particolari istituzioni           
scolastiche", includendovi il complesso delle scuole materne statali            
e non (art. 31) oltre che altri istituti scolastici come le scuole              
speciali per minorati psicofisici e per la rieducazione sociale e le            
classi differenziali presso le scuole comuni (art. 32), i corsi della           
scuola popolare contro l'analfabetismo e per l'educazione degli                 
adulti (art. 36), ecc.                                                          
Successivamente, la Legge 18 marzo 1968, n. 444 (in tema di                     
"Ordinamento della scuola materna statale") prescrive che tale scuola           
"si propone fini di educazione, di sviluppo della personalita'                  
infantile, di assistenza e di preparazione alla frequenza della                 
scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia" (art. 1,                
secondo comma) e che "gli orientamenti dell'attivita' educativa nelle           
scuole materne statali sono emanati (. . .) su proposta del Ministro            
della Pubblica Istruzione, sentita la terza sezione del Consiglio               
superiore della Pubblica Istruzione" (art. 2 cpv.); inoltre "e'                 
garantita ad ogni insegnante piena liberta' didattica nell'ambito               
degli orientamenti educativi previsti dal precedente comma" (art. 2,            
secondo comma).                                                                 
Ed ancora il DLgs 16 aprile 1994, n. 297 (in tema di "Approvazione              
del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di            
istruzione, relative alle scuole di ogni grado") nel confermare le              
disposizioni generali dianzi indicate, include espressamente il                 
titolo relativo alla scuola materna (artt. 99 e seguenti) nell'ambito           
della parte II relativa all'ordinamento scolastico, su proposta del             
Ministero della Pubblica Istruzione ed acquisito il parere delle                
competenti Commissioni permanenti della Camera dei Deputati e del               
Senato.                                                                         
Infine, il DM 3 giugno 1991 - adottato dal Ministro della Pubblica              
Istruzione, udito il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione -            
nel definire gli orientamenti dell'attivita' educativa nelle scuole             
materne statali, rileva nella premessa come "la Legge 444/68 ha                 
consentito (. . .) una piu' definita consapevolezza delle funzioni              
della scuola materna, che si configura ormai come il primo grado del            
sistema scolastico" e nella parte II ("Il bambino e la sua scuola")             
riconosce che "la scuola dell'infanzia concorre, nell'ambito del                
sistema scolastico, a promuovere la formazione integrale della                  
personalita' dei bambini dai tre ai sei anni, nella prospettiva della           
formazione di soggetti liberi, responsabili ed attivamente                      
partecipi".                                                                     
Conclusivamente sul punto, ritiene dunque il Collegio che la                    
finalita' costitutiva di formazione della personalita' degli allievi,           
la connessa liberta' d'insegnamento dei docenti e la stessa                     
definizione degli orientamenti educativi da parte degli organi                  
interni del Ministero funzionalmente competente in materia concorrano           
univocamente al riconoscimento che qualsiasi normativa direttamente             
attinente all'attivita' e gestione delle scuole d'infanzia si                   
configura necessariamente come normativa in materia di istruzione,              
come tale preclusa (nel comparto in esame) alla competenza                      
legislativa regionale dall'art. 117, primo comma della Costituzione.            
Quanto, infine, al profilo relativo all'asserita illegittimita'                 
costituzionale della legislazione regionale di riferimento per                  
violazione degli artt. 33, primo e terzo comma, della Costituzione,             
va preliminarmente rilevato che tali disposizioni stabiliscono da un            
lato il principio della liberta' d'insegnamento e dall'altro il                 
principio della liberta' di istituzione di scuole ed istituti di                
educazione senza oneri per lo Stato.                                            
Cio' posto, ritiene il Collegio che - rientrando le scuole d'infanzia           
nell'amplissima nozione costituzionale dianzi indicata e relativa al            
complesso sia delle scuole sia degli istituti di educazione, per le             
considerazioni sopraindicate e per la connotazione specificamente               
formativa della personalita', e quindi educativa, che le scuole                 
d'infanzia necessariamente possiedono - la previsione di un sostegno            
finanziario direttamente a favore delle scuole d'infanzia private per           
contributi di spesa corrente e di investimento, come previsto dagli             
artt. 3 e 5, L.R. 52/95, appaia in contrasto con il divieto                     
costituzionale di oneri finanziari in materia a carico del bilancio             
pubblico. Un divieto che - secondo l'orientamento della Corte                   
Costituzionale (dec. 30 dicembre 1994, n. 454, in motivazione) - non            
risulta violato unicamente nell'ipotesi in cui la prestazione                   
pubblica di sostegno abbia come destinatari diretti gli alunni e non            
le scuole private.                                                              
Inoltre, ritiene il Collegio che ogni contribuzione pubblica - ove              
rivolta direttamente a favore della gestione di scuole ed istituti di           
educazione privati - contenga il rischio elevato di una ingerenza               
sull'organizzazione della scuola stessa.                                        
E piu' la contribuzione concessa e' significativa nel caso in esame             
l'impugnata delibera regionale prevede uno stanziamento annuale a tal           
fine di Lire 3.000.000.000 - tanto maggiore sara' il rischio                    
sopraindicato, nel senso che il necessario controllo sulle concrete             
modalita' d'uso delle risorse pubbliche assegnate, ancorche'                    
formalmente rivolto a profili estranei all'insegnamento puo' nella              
sostanza condizionare, ove particolarmente penetrante, anche                    
quest'ultimo, come gia' rilevato nella precedente ordinanza di                  
remissione 1/4/1997, n. 1 di questa Sezione.                                    
Il Collegio ritiene, infine, che la questione di legittimita'                   
costituzionale dianzi indicata sia rilevante ai fini della decisione            
della presente controversia.                                                    
Va a tale riguardo preliminarmente osservato che - come ha                      
recentemente argomentato la Corte Costituzionale - "secondo costante            
giurisprudenza, il controllo che la Corte e' chiamata a svolgere                
sulla valutazione di rilevanza compiuta dal giudice remittente, nel             
ritenere di dover fare applicazione della norma al caso sottoposto al           
suo esame, consiste nella verifica di una ragionevole possibilita'              
che la disposizione denunciata sia applicabile nel giudizio "a quo"             
(Corte Cost., dec. 19 giugno 1998,  n.227, in motivazione) e che                
l'applicabilita' nel presente giudizio della denunciata legge                   
regionale discende manifestamente dalla circostanza che l'impugnata             
delibera consiliare costituisce espressamente attuazione in dettaglio           
di quella medesima legge regionale per cui il riconoscimento in                 
ipotesi dell'illegittimita' costituzionale di quest'ultima non                  
potrebbe non riverberarsi anche sulla legittimita' della delibera               
consiliare impugnata nel presente giudizio.".                                   
Va anche aggiunto che - indipendentemente dalla consequenzialita'               
formale delle censure in esso dedotte - nel ricorso all'esame e'                
stata sollevata in via pregiudiziale questione di legittimita'                  
costituzionale della legge regionale citata (vedi ricorso, pagine               
18/19) e che l'impugnata delibera e' stata contestata sia nella sua             
interezza (seconda, terza, quarta e quinta censura), sia in relazione           
ad un suo profilo parziale e ben delineato (prima censura) accolto da           
questa Sezione con la decisione 1 aprile 1997, n. 191: ne discende              
che oggetto largamente prevalente del "thema decidendum" e'                     
l'asserita illegittimita' derivata dell'impugnata delibera per                  
illegittimita' costituzionale della legge regionale citata e che                
pertanto la richiamata decisione di questa Sezione non appare                   
esaurire il potere decisorio del Collegio in merito alla presente               
controversia, perche' essa ha definito soltanto una parte secondaria            
(e sostanzialmente marginale) dell'oggetto del contendere.".                    
Con altre parole, il Collegio non puo' non rilevare come la                     
prospettazione che possa essersi esaurito - nella controversia                  
all'esame - il potere decisorio del giudice remittente (ordinanza               
17/3/1998, n. 67 della Corte Cost.) potrebbe concorrere a                       
configurare, in ipotesi, una situazione futura di diniego sostanziale           
di giustizia in relazione all'oggetto principale (e largamente                  
prevalente, nella sua ampiezza) del "thema decidendum" nella presente           
controversia e dello stesso "petitum" della parte ricorrente, come              
dianzi delineato.                                                               
Occorre, infine, osservare che questa Sezione - nella menzionata                
decisione 1/4/1997, n. 191 - ha gia' motivato in ordine alla                    
riconosciuta inammissibilita' del ricorso per la parte connessa alle            
determinazioni d'interesse della FISM (seconda e terza censura) ed              
alla contestuale ammissibilita' delle ulteriori censure (quarta e               
quinta). In tale decisione si argomenta, infatti, che l'impugnata               
delibera "si compone di piu' determinazioni. Rispetto ad alcune di              
esse la FISM non assume la posizione di controinteressata (. . .).              
Con esclusione del punto 1.2 (dell'impugnata delibera) in cui si                
rinvia anche alla congruenza dei contenuti delle convenzioni adottate           
a livello locale rispetto al Protocollo d'intesa tra Regione e FISM             
regionale al fine della determinazione del contributo da concedere,             
si osserva che le altre determinazioni, in quanto determinazioni a              
contenuto generale, non direttamente riferibili ad un soggetto                  
preciso, superano il vaglio dell'eccezione di inammissibilita'. Ne              
consegue che il gravame e' ammissibile in ogni sua parte, ad                    
esclusione del punto 1.2 della deliberazione impugnata (che rinvia              
espressamente all'applicabilita' del Protocollo d'intesa con la FISM)           
censurato con la seconda e terza doglianza" (dec. cit., pagine                  
12/13). Va anche aggiunto, incidentalmente, che il sindacato sulla              
eventuale latitudine della richiamata decisione di inammissibilita'             
solo parziale del ricorso, adottata da questa Sezione, compete                  
esclusivamente al giudice amministrativo d'appello.                             
P.Q.M.                                                                          
Il Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna - Sede di             
Bologna, Sezione seconda - dichiara rilevante e non manifestamente              
infondata, in relazione agli artt. 33, primo, secondo e terzo comma e           
117, primo comma, della Costituzione la questione di legittimita'               
costituzionale della Legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 52 del 24           
aprile 1995.                                                                    
Dispone che - a cura della Segreteria della Sezione - la presente               
ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente della               
Giunta regionale dell'Emilia-Romagna, al Presidente del Consiglio dei           
Ministri e comunicata al Presidente del Consiglio regionale della               
medesima Regione.                                                               
Cosi' deciso in Bologna in data 15/10/1998 e 20/12/1999.                        
PRESIDENTE F.F. EST.  CONSIGLIERE                                               
Giancarlo Mozzarelli  Bruno Lelli                                               
Depositato in Segreteria in data 21 aprile 2000                                 
Bologna, li' 21 aprile 2000                                                     
IL SEGRETARIO                                                                   
(firma illeggibile)                                                             

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ultima modifica 2023-05-19T21:22:53+01:00

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