DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE 14 luglio 1998, n. 286
Ricorso del signor Ruffilli Orville avverso il provvedimento di cancellazione dal Registro degli esercenti il commercio tenuto presso la Camera di Commercio di Modena
IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE
Visto il ricorso presentato dal signor Ruffilli Orville nato a
Soliera il 2 giugno 1950 e residente in Formigine (MO), legalmente
domiciliato presso lo Studio dell'avv. Margani Elisabetta Via C.
Battisti n. 63, Modena;dato atto che il ricorso, de quo, e' proposto
ai sensi e per effetto dell'art. 8 della Legge 426/71 "Disciplina del
commercio" avverso la determinazione del Presidente della Camera di
Commercio ut supra n. 38/C del 2 marzo 1998;
dato atto che il provvedimento di cancellazione e' stato notificato
al ricorrente in data 2 aprile 1998 mediante r.r., ed il ricorso de
quo porta la data del 23 aprile 1998, cosi' come risulta dal timbro
datario postale di partenza, pertanto nei termini statuiti dall'art.
8 citato;
preso atto delle controdeduzioni fornite dalla Camera di Commercio
interessata con missiva prot. n. 10836 del 15 giugno 1998, pervenute
a questa autorita' giudicante in data 18 giugno 1998, cosi' come
risulta dal timbro datario postale di arrivo;
preso atto che il provvedimento di cancellazione e' stato adottato in
quanto il ricorrente e' risultato privo dei requisiti morali
stabiliti dall'art. 2, comma 4, lett. c), Legge 25 agosto 1991, n.
287 "Aggiornamento della normativa sull'insediamento e sull'attivita'
dei pubblici esercizi";
preso atto che il provvedimento camerale anzidetto, si e' determinato
in quanto nei confronti del ricorrente e' stata pronunciata in data 7
aprile 1993 sentenza del Pretore di Modena ex artt. 444 e 445 cpp, -
passata in giudicato l'8 giugno 1993 -, in parte qua, per violazione
delle norme sulla disciplina igienica della produzione e vendita
delle sostanze alimentari e delle bevande ex art. 5 della Legge 30
aprile 1962, n. 283, e per esercizio di giochi d'azzardo di cui
all'art. 718 cp;
preso atto dei motivi di gravame dedotti dal ricorrente nell'atto
d'introduzione del giudizio, a sostegno della infondatezza del
provvedimento impugnato;
rilevato che in materia di patteggiamento la giurisprudenza non e'
univoca ma ondivaga: da una parte c'e' chi considera la condanna
riportata a seguito di patteggiamento una sentenza di condanna tout
court (cfr per tutte decisione della sesta Sezione del Consiglio di
Stato 1498/97 depositata il 17 ottobre) - la tesi trova conforto in
quanto gia' la Corte Costituzionale, investita da questione relativa
all'art. 444 cpp per supposta violazione dell'art. 24 della
Costituzione (sentenza 2 luglio 1990, n. 313) ha espresso: la
procedura di patteggiamento sottintende una sostanziale ammissione di
responsabilita' da parte dell'imputato, in quanto "l'imputato quando
chiede l'applicazione di una pena lo fa soltanto per ridurre al
minimo quel maggior sacrificio della sua liberta', che egli prevede
dall'esito del giudizio ordinario... . In altri termini chi chiede
l'applicazione di una pena vuol dire che rinuncia ad avvalersi della
facolta' di contestare l'accusa", l'indirizzo e' poi stato ribadito
dal palazzo della Consulta nella successiva sentenza 443/90 -
dall'altra chi sottolinea il fatto che l'applicazione della pena su
richiesta delle parti non importa un riconoscimento di colpevolezza,
trattandosi di una scelta processuale riconducibile non gia' a una
presunzione di colpevolezza giuridicalmente rilevante, bensi' ad
esigenze di alleggerimento degli oneri processuali nella fase
dibattimentale e, per quanto riguarda l'imputato, anche a possibili
considerazioni di incertezza degli esiti del giudizio (cfr decisione
della sesta Sezione del Consiglio di Stato 681/96).
Il Giudice di legittimita' con sentenza 3038/96 ha affermato che nel
patteggiamento, se e' vero che l'imputato non nega la propria
responsabilita' e' altrettanto vero che l'accusa e' esonerata
dall'onere della prova contribuendo cosi' alla sollecita definizione
del caso.
E' quindi la concorde volonta' delle parti che diviene contenuto
della sentenza oggetto della determinazione da parte del Giudice.
Quindi, sempre secondo la linea interpretativa sostenuta dalla
Suprema Corte nella precitata sentenza, la differenza che
intercorrerebbe tra patteggiamento e condanna con sentenza passata in
giudicato, sta nel fatto che questa deve contenere l'esposizione dei
motivi di fatto e l'enunciazione dei motivi di diritto, nonche'
l'indicazione delle prove: elementi che possono anche non figurare in
una pronuncia emessa in seguito a patteggiamento, invero in tale sede
il Giudice, nel decidere se applicare o meno il patteggiamento, deve
solo verificare se non sussistono condizioni per l'assoluzione
dell'imputato o l'indagato e se la qualificazione giuridica del fatto
contestato sia corretta.
Quanto affermato nella sentenza 681/96 e nella sentenza 3038/96 si
pongono nell'ottica di chi ritiene che la pena patteggiata pur
rappresentando una rinuncia da parte dell'imputato ad avvalersi
della facolta' di contestare l'accusa, non realizzerebbe affatto un
capovolgimento del principio della presunzione d'innocenza che,
invece, continua a svolgere la sua funzione cardine in sede
processuale, poiche' il patteggiamento, quale negozio processuale
unilaterale non revocabile, rappresenterebbe unicamente una forma di
responsabilita' per facta concludentia, che viene ad esonerare
l'accusa dell'onere della prova (Cass. pen. I sez. 22 marzo 1993).
Sempre secondo costoro la stessa lettura dell'art. 445 cpp primo
comma ultimo periodo "sentenza equiparata a una pronuncia di
condanna" ha fatto ritenere che la sentenza emessa all'esito della
procedura di applicazione della pena su richiesta delle parti, si
sostanzi in una pronuncia sui generis, del tutto atipica, che di per
se non sia qualificabile come sentenza di condanna pleno iure, cui e'
pero' rapportabile quoad effectum (Cass. pen. 21 marzo 1991).
Il MICA, con circolare n. 3334 dell'aprile 1994 al punto n. 18 ha
espressamente disposto: "Anche la sentenza applicativa del cosiddetto
patteggiamento (art. 444, comma 2, cpp) e' da considerarsi ostativa
all'iscrizione negli albi, registri, elenchi suddetti, quanto si
riferisce a reati indicati come ostativi dalle leggi istitutive degli
albi, registri ed elenchi suindicati (questo alla stregua delle
considerazioni esposte dal Ministero di Grazia e Giustizia nella nota
16 agosto 1992, n. 4035/12/7, inviata a questo Ministero in risposta
ad un quesito)".
Il quesito posto dal MICA concerneva l'applicazione dell'art. 2,
commi 4 e 5, della Legge 287/91 relativo all'iscrizione e alla
cancellazione dal REC nei casi di condanna penale. Il Guardasigilli
aveva chiarito - nella nota ut supra - che, poiche' il patteggiamento
preclude l'applicazione delle pene accessorie ma non gli altri
effetti penali della condanna, non c'e' motivo di escludere la
cancellazione dal REC fra le conseguenze della pena patteggiata.
Invero, aveva sostenuto il Ministero della Giustizia nella citata
nota, la radiazione dal registro ad quem, equivale ad una "misura
interdittiva prevista sul piano amministrativo" e cioe' un "effetto
non penale" della condanna, da cui arguire l'inidoneita' del soggetto
stesso a svolgere una determinata attivita' o ad essere parte di un
determinato rapporto e, pertanto, non afferente alle pene accessorie;
onde per cui andava sicuramente applicata alla sentenza emessa a
seguito della procedura di applicazione della pena su richiesta delle
parti.
E' intelliggibile che, sul piano sostanziale, quanto sopra delineato
vale anche per giustificare il diniego d'iscrizione al REC di colui
che abbia subito una pronuncia ex art 444 cpp.
Appare infine doveroso evidenziare che il MICA a seguito della
pronuncia emessa dalla Cassazione a Sezioni unite nel giugno 1996, in
ordine alla questione della equiparabilita' della sentenza di
applicazione della pena se richiesta dalle parti alla ordinaria
sentenza ai fini della iscrizione negli albi professionali, ha
formulato al Ministero di Grazia e Giustizia - Direzione generale
degli Affari civili e delle Libere professioni - uno specifico
quesito sull'applicabilita' dei principi sanciti nella sopra
menzionata decisione, nel caso di iscrizione all'albo professionale
degli agenti e rappresentanti di commercio.
Il Ministero di Grazia e Giustizia ha risposto con nota del 4 giugno
1997, n. 7/31005/1754 precisando tra l'altro che:
- a norma dell'art. 445 cpp, la sentenza prevista dall'art. 444 cpp
non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento
ne' l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza.
Si rende quindi necessario accertare se il diniego o la cancellazione
da un albo professionale debbono ricondursi ad un mero effetto penale
della sentenza di condanna ovvero ad una sanzione di carattere
accessorio: solo nella prima ipotesi, infatti, le medesime
conseguenze possono trovare il proprio presupposto giuridico anche
nella sentenza emessa a seguito della procedura di patteggiamento;
- di ritenere, ai sensi di quanto segnatamente espresso dalle Sezioni
unite nella citata pronuncia, "la sentenza di patteggiamento
comporta, comunque, l'applicazione di quei provvedimenti di carattere
specifico previsti dalle leggi speciali, i quali, stante peraltro la
loro natura amministrativa ed atipica non postulano un giudizio di
responsabilita' penale, ma seguono di diritto alla sentenza in esame,
stante la sua equiparazione, per gli effetti compatibili con la sua
speciale natura alla sentenza di condanna", convincente l'opinione di
coloro che individuano in tale categoria di provvedimenti
sanzionatori anche quelle misure dirette a punire, con effetti
limitatamente incidenti nella sfera dei rapporti con
l'Amministrazione, la violazione dei precetti dettati
dall'ordinamento giuridico a specifica garanzia di una funzione
riconosciuta propria di questa. In altre parole tali sanzioni se pure
- al pari di quelle penali - di tipo afflittivo, si caratterizzano
per esprimere - di regola nell'esercizio della potesta' di autotutela
- la riprovazione nell'ambito dell'ordinamento amministrativo
particolare, per la inosservanza di un dovere imposto al privato a
garanzia del funzionamento dell'ordinamento stesso.
Pertanto le sanzioni in discorso non possono considerarsi pene
accessorie;
- ulteriore circostanza funzionalmente diretta a distinguere tali
misure dalle pene accessorie, e' la individuazione dell'autorita'
tenuta all'applicazione delle medesime: l'attribuzione alla
commissione provinciale tenuta presso la CCIAA nel caso dell'albo
degli agenti e i rappresentanti e alla CCIAA stessa - nel caso del
registro esercenti il commercio - di negare l'iscrizione o provvedere
alla cancellazione per coloro che abbiano riportato una condanna per
uno dei delitti espressamente previsti dalle disposizioni in materia
di requisiti, assurge ad elemento determinante per riconoscere un
effetto penale della condanna pienamente compatibile con la pronuncia
patteggiata;
- risulta quindi di palmare evidenza che -, se la sanzione in oggetto
non puo' considerarsi come una pena accessoria, e' evidente che la
qualificazione della sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 cpp -
siccome antologicamente diversa da quella di condanna - non vale ad
impedire l'applicazione della sanzione della cancellazione dal ruolo
o del rifiuto di iscrizione.
In conclusione il Ministero di Grazia e Giustizia afferma nella
citata risposta che: "sviluppando le premesse del proprio
ragionamento il Supremo Collegio ha precisato che soltanto l'addove
l'applicazione della misura sanzionatoria presuppone l'accertamento
pieno della colpevolezza, e' escluso che la misura possa discendere
dalla pronuncia effettuata ai sensi dell'art. 444 cpp. Diverso e',
tuttavia, il caso di tali provvedimenti sanzionatori "di natura
amministrativa atipica" (secondo la definizione datane dalle Sezioni
unite della Corte di Cassazione) che trovano il proprio presupposto
di applicazione non gia' nell'accertamento in concreto della
colpevolezza, bensi' nel fatto obiettivo della pronuncia della
sentenza di condanna, alla quale e' sicuramente equiparata, in questo
caso ai sensi dell'art. 445 cpp, la decisione adottata dall'esito del
procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti".
Nel fare proprie le argomentazioni espresse dal Ministero di Grazia e
Giustizia nella nota ut supra, il MICA, ha puntualmente confermato
quanto espresso nella circolare 3334/94 nel senso che "la sentenza
emessa all'esito del giudizio di applicazione della pena su richiesta
delle parti relativa ai reati contemplati nelle disposizioni
normative vigenti sia ostativa alla iscrizione o alla permanenza nel
REC" (cfr risoluzione ministeriale prot. n. 380958 del 22 luglio
1997);
preso atto che il ricorrente risulta essere iscritto al Registro
esercenti il commercio anche per l'attivita' di commercio al minuto
di prodotti alimentari, si rende quindi necessario chiarire che per
tale materia vale la disciplina sanzionatoria dettata dall'art. 7,
comma 1 n. 2 della Legge 426/71 in combinato disposto con l'art. 25
del DM 375/88, conseguentemente risultante questa meno severa del
trattamento sanzionatorio dettato dalla Legge 287/91, l'iscrizione
del signor Ruffilli per l'attivita' di commercio de qua mantiene la
sua validita';
rilevato che le sanzioni inflitte dall'art. 2, comma 4 della legge
precitata sembrano considerate dal legislatore non nel loro contenuto
sostanziale di reiezione alla condotta illecita, ma come indice o
elemento sintomatico dal quale arguire l'inidoneita' di un
determinato soggetto a svolgere una certa attivita' o ad essere parte
di uno specifico rapporto, in ragione della natura giuridica della
iscrizione al Registro esercenti il commercio.
In un tale ambito la determinazione del Presidente della Camera di
Commercio si pone "ad essentiam" come accertamento dell'esistenza dei
requisiti soggettivi e/o oggettivi ai quali l'ordinamento attribuisce
"condicio iuris" per poter legittimamente esercitare, o continuare ad
esercitare l'attivita' di commercio;
rilevato che secondo costante giurisprudenza della Suprema Corte (SU
2 marzo 1981, n. 1204; 17 marzo 1989, n. 1341 e, piu' in generale, in
materia di iscrizione in albi o elenchi SU 7 ottobre 1983, n. 5837:
Id. 5 settembre 1989, n. 3844 e 23 febbraio 1990, n. 1399) i
provvedimenti di non iscrizione o cancellazione dei commercianti
dagli elenchi formati ai vari fini sono atti amministrativi vincolati
- l'attivita' amministrativa deve limitarsi ad accertare tramite un
esame documentale la sussistenza dei requisiti prescritti dalle norme
di diritto positivo senza alcun margine di discrezionalita' che
coinvolga valutazioni d'interesse pubblico - cosicche' la PA nel
negare l'iscrizione o nel proporre la cancellazione non puo' operare
nessuna valutazione autonoma sia per quanto concerne l'emanazione del
provvedimento sia per quanto concerne il suo contenuto;
rilevato che secondo qualificata dottrina sebbene le norme interne
(circolare, istruzione ecc.) non siano leggi in senso sostanziale e
quindi la loro trasgressione non e' violazione di legge, tuttavia per
il fatto che si ritiene che esse abbiano individuato le modalita'
piu' opportune per il conseguimento dell'interesse pubblico il non
adeguarvisi, nei singoli casi, puo' comportare, salvo specifica e
puntuale motivazione un vizio nell'esercizio del potere che fa capo
all'Amministrazione e di cui questa si e' avvalsa e quindi
invalidita' del provvedimento;
dato atto che nessuna delle circostanze giuridiche contemplate
dall'art. 2, comma 5 della Legge 287/91 si e' verificata;
visto l'art. 8 della legge sulla disciplina del commercio;
dato atto del parere favorevole espresso dal Direttore generale alle
Attivita' produttive in merito alla legittimita' del presente atto e
del parere favorevole del Responsabile del Servizio Programmazione
della distribuzione commerciale in merito alla regolarita' tecnica,
ai sensi dell'art. 4, sesto comma, della L.R. 41/92 e della delibera
di Giunta regionale 2541/95;
decreta:
il ricorso presentato dal signor Ruffilli Orville non puo' essere,
alla stregua dei motivi puntualmente ed efficacemente espressi nella
parte che precede, trovare accoglimento, pertanto viene rigettato.
IL PRESIDENTE
ANTONIO LA FORGIA