DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE 10 dicembre 1997, n. 777
Indirizzi per la definizione delle tipologie di intervento sociale a favore dei minori in relazione alle funzioni di carattere socio-assistenziale (proposta della Giunta regionale in data 7 ottobre 1997, n. 1773)
IL CONSIGLIO DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Richiamata la deliberazione progr. n. 1773, in data 7 ottobre 1997,
con cui la Giunta regionale ha assunto l'iniziativa per gli indirizzi
per la definizione delle tipologie di intervento sociale a favore dei
minori in relazione alle funzioni di carattere socio-assistenziale;
preso atto della correzione di errore materiale e dell'emendamento
sostitutivo apportati sulla predetta proposta dalla Commissione
consiliare "Sicurezza sociale" in sede preparatoria e referente al
Consiglio regionale, giuste note prot. n. 412/II.6 del 6 novembre
1997 e prot. n. 479/II.6 del 2 dicembre 1997;
vista la Legge 23 dicembre 1975, n. 698 "Scioglimento e trasferimento
delle funzioni dell'Opera nazionale per la protezione delle
maternita' e dell'infanzia" che trasferisce alle Regioni: le funzioni
amministrative, di programmazione ed indirizzo gia' esercitate
dall'ONMI; i poteri di vigilanza e controllo su tutte le istituzioni
pubbliche e private per la protezione e l'assistenza della maternita'
e dell'infanzia, nonche' la disciplina dell'esercizio delle funzioni
trasferite;
visto il DPR 24 luglio 1977, n. 616 "Attuazione della delega di cui
all'art. 1 della Legge 22 luglio 1975, n. 382", ed in particolare gli
artt. 23 e 25, che trasferiscono ai Comuni, tra le altre, le funzioni
amministrative relative agli interventi in favore di minorenni
soggetti a provvedimenti delle autorita' giudiziarie minorili
nell'ambito della competenza civile ed amministrativa e alle Regioni
il compito di determinare gli ambiti adeguati alla gestione dei
servizi sanitari e sociali, promuovendo forme di cooperazione tra gli
Enti locali, ivi comprese forme di associazione;
vista la Legge 4 maggio 1983, n. 184 "Disciplina dell'adozione e
dell'affidamento dei minori" ed il DPR 22 settembre 1988, n. 448
"Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati minorenni", che contribuiscono a determinare e regolamentare
ulteriori funzioni ed interventi dei servizi territoriali in materia
di tutela dell'infanzia, dell'eta' evolutiva e delle relazioni
familiari;
vista la Legge 8 giugno 1990, n. 142 "Ordinamento delle autonomie
locali" che conferma la centralita' di Comuni e Province nella
elaborazione delle politiche sociali e nella gestione dei servizi
socio-assistenziali, responsabilizzando fortemente enti e servizi ad
assumere un ruolo nuovo di sviluppo e di promozione delle risorse
presenti a livello territoriale e di positiva e costante interazione
tra pubblica Amministrazione, realta' sociale e cittadini;
vista la Legge 27 maggio 1991, n. 176 "Ratifica ed esecuzione della
convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20
novembre 1989" che individua i diritti fondamentali ed irrinunciabili
dei cittadini in eta' minore ed impegna lo Stato ad attivarsi nelle
forme e nei modi necessari per dare concretezza a tali diritti;
visto il DLgs 30 dicembre 1992, n. 502 modificato dal DLgs 7 dicembre
1993, n. 517 "Riordino della disciplina in materia sanitaria" che
valorizza ulteriormente il ruolo dei Servizi sociali nel contesto
sanitario e la capacita' dei vari soggetti pubblici di individuare
forme di coordinamento e di integrazione nella gestione degli
interventi;
vista la Legge 18 marzo 1993, n. 67 "Conversione in legge, con
modificazioni, del DL 18 gennaio 1993, n. 9 recante disposizioni
urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale" che, all'art. 5,
recita: "le funzioni assistenziali, gia' di competenza della
Provincia alla data di entrata in vigore della Legge 8 giugno 1990,
n. 142 sono restituite alla competenza delle Province che le
esercitano, direttamente o in regime di convenzione con i Comuni,
secondo quanto previsto dalle leggi regionali di settore";
vista la Legge 28 agosto 1997, n. 285 "Disposizioni per la promozione
di diritti e di opportunita' per l'infanzia e l'adolescenza"
finalizzata alla realizzazione di interventi per favorire la
promozione dei diritti, la qualita' della vita, lo sviluppo, la
realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e
dell'adolescenza con particolare riguardo all'art. 4 "Servizi di
sostegno alla relazione genitori-figli, di contrasto della poverta' e
della violenza, nonche' misure alternative al ricovero dei minori in
istituti educativo-assistenziali";
vista la deliberazione della Giunta regionale n. 1980 del 28 giugno
1977 "Direttiva per l'esercizio delle funzioni amministrative di
vigilanza e controllo sulle istituzioni pubbliche e private per
l'assistenza e la protezione della maternita', dell'infanzia e dei
minori";
vista la deliberazione della Giunta regionale n. 3819 del 7 dicembre
1977 "Orientamenti organizzativi ai Comuni per l'esercizio delle
funzioni di cui all'art. 23 del DPR 616/77";
vista la L.R. 12 gennaio 1985, n. 2 "Riordino e programmazione delle
funzioni di assistenza sociale" che detta, tra l'altro, norme per:
- la gestione associata delle funzioni concernenti l'assistenza
sociale alla maternita', infanzia, eta' evolutiva e alla famiglia
(art. 22);
- le finalita' degli interventi di assistenza sociale alla famiglia,
alla maternita', infanzia ed eta' evolutiva (art. 33);
- la vigilanza sul funzionamento delle strutture e dei servizi,
pubblici e privati, di assistenza sociale (art. 36, lett. b);
vista la L.R. 12 maggio 1994, n. 19 "Norme per il riordino del
Servizio sanitario regionale ai sensi del DLgs 30 dicembre 1992, n.
502, modificato dal DLgs 7 dicembre 1993, n. 517" che, da un lato, si
propone come strumento per realizzare il riordino sanitario mediante
un sistema articolato di accordi tra Regione, Enti locali, Aziende
Unita' sanitarie locali e comunita' locale, valorizzando
ulteriormente il ruolo dei Servizi sociali nel contesto sanitario,
mentre dall'altro abroga alcune disposizioni della legge di riordino
socio-assistenziale (Titoli III, IV e V; comma 1 dell'art. 37 - salvo
quanto disposto dal comma 3 dell'art. 22, e art. 45);
visto l'accordo stipulato tra l'ANCI (Associazione nazionale Comuni
d'Italia) e la Regione Emilia-Romagna in data 13 luglio 1994 "per
l'identificazione degli interventi socio-assistenziali a carico del
bilancio sociale e degli interventi sociali a rilievo sanitario a
carico del Fondo sanitario regionale";
vista la deliberazione della Giunta regionale n. 1637 del 17 luglio
1996 "Direttiva regionale per l'identificazione degli interventi
socio-assistenziali a carico del bilancio sociale e degli interventi
sociali a rilievo sanitario a carico del Fondo sanitario regionale"
che individua quali interventi socio-assistenziali quelli
"finalizzati al raggiungimento di obiettivi di natura sociale,
educativa ed assistenziale non collegati a condizioni patologiche o
pre-patologiche a rischio o di alterazione permanente sia fisica che
psichica";
rilevata l'opportunita' di avviare una riflessione sull'insieme degli
interventi regionali e locali rivolti ai minori, assumendo con
maggiore incisivita' i temi relativi alle politiche, ai servizi e
agli strumenti di promozione e protezione dei diritti dell'infanzia e
dell'adolescenza, favorendo nel contempo, anche sul piano
amministrativo, la costruzione di un sistema integrato di risposte
differenziate e quanto piu' possibile personalizzate, a fronte di
nuovi bisogni sociali emergenti, che veda inoltre interagire
produttivamente soggetti e risorse pubbliche, del privato sociale,
del volontariato e dell'associazionismo;
ritenuto pertanto importante assumere contestualmente un atto di
indirizzo, finalizzato a ridefinire con maggiore organicita' e
sistematicita' le tipologie di intervento sociale rivolte ai minori,
in rapporto alle funzioni previste dalla normativa vigente in
materia, precisando per ciascuna di esse gli ambiti di lavoro, le
competenze e i riferimenti normativi, quale strumento utile per
individuare orientamenti e basi di lavoro comuni a livello
territoriale;
visto l'art. 10, punto 6) della L.R. 12 gennaio 1985, n. 2 che
prevede l'emanazione di "Indirizzi e direttive per l'attuazione della
presente legge";
previa votazione palese, a maggioranza dei presenti,
delibera:
per i motivi indicati in premessa, di approvare e fare proprio
l'allegato atto di indirizzo, che fa parte sostanziale ed integrante
della presente deliberazione, contenente "Indirizzi per la
definizione delle tipologie di intervento sociale rivolte ai minori
in relazione alle funzioni in materia socio-assistenziale".
INDIRIZZI PER LA DEFINIZIONE DELLE TIPOLOGIE DI INTERVENTO SOCIALE A
FAVORE DEI MINORI IN RELAZIONE ALLE FUNZIONI IN MATERIA
SOCIO-ASSISTENZIALE
1) Premessa
La Carta costituzionale, la Carta internazionale sui diritti umani,
la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, contribuiscono ad
individuare e affermare, sul piano legislativo, quali siano i diritti
sociali delle persone in eta' minore, riconducendo alla sfera del
diritto alcuni bisogni fondamentali della persona, quali la
socializzazione, la salute e il benessere psico-fisico, l'istruzione,
la famiglia, il lavoro, lo sviluppo della personalita'.
La maturazione istituzionale della consapevolezza di questi diritti e
della necessita' di riconoscerli e affermarli non si e'
immediatamente accompagnata alla concreta traduzione di queste
affermazioni di principio in quotidiani comportamenti amministrativi.
L'impegno delle Amministrazioni locali consiste nel dare concretezza,
visibilita' e diffusione alla realizzazione di questi concetti, gia'
parte sostanziale della nostra dimensione giuridica.
La pubblica Amministrazione, anche nelle sue articolazioni piu'
vicine al cittadino e di piu' immediato accesso, e' di fronte ad una
grande scommessa: l'assunzione dell'impegno di fare dei diritti dei
minori elementi strutturali delle politiche pubbliche, traducendo
questi principi nell'agire quotidiano, fin nella piu' minuta azione
di tutta la struttura, decentrata e centrale.
Questi indirizzi vogliono essere uno degli strumenti anche per dare
traduzione alle carte dei diritti e consentire ad utenti ed operatori
di avere un quadro chiaro di riferimento delle responsabilita'
amministrative del settore.
L'attuale quadro istituzionale ed organizzativo in cui si trovano ad
operare i Servizi sociali che intervengono in favore dei minori e'
fortemente connotato dalla crisi che attraversa lo Stato sociale ed
e' caratterizzato, ancora una volta, dalla frammentarieta' della
normativa di riferimento, problemi che si auspica possano essere
superati nell'ambito del disegno di riforma dell'assistenza
attualmente all'esame del Governo nazionale e delle forze politiche.
Se da un lato, infatti, le leggi degli anni '90, di riordino delle
Autonomie locali (Legge 142/90) e del Servizio sanitario nazionale
(Legge 502/92), confermano la centralita' degli Enti locali nella
elaborazione delle politiche sociali e nella gestione dei servizi
socio-assistenziali e valorizzano ulteriormente il ruolo dei servizi
sociali nel contesto sanitario, dall'altro la forte riduzione delle
risorse economiche destinate al sistema di sicurezza sociale,
unitamente alla crisi di efficacia dei servizi socio-sanitari,
impongono, al fine di tutelare il diritti delle fasce sociali piu'
deboli, un'importante e delicata operazione di razionalizzazione e
riorganizzazione degli interventi, accanto a soluzioni innovative
capaci di combinare compatibilita' economiche e qualita' delle
risposte.
con la recentissima legge per la promozione di diritti e di
opportunita' per l'infanzia e l'adolescenza (Legge 285/97),
costitutiva del relativo Fondo nazionale, che viene riconosciuta la
necessita' di "uscire da una logica emergenziale nell'approccio alle
politiche per l'infanzia e l'adolescenza, agendo contestualmente sul
piano dei servizi socio-educativi, assistenziali e sanitari, di
sostegno del reddito oltreche' dei servizi ricreativi, culturali e
ambientali", sostenendo una "progressiva transizione dalle politiche
assistenziali a politiche di contrasto dell'esclusione sociale e a
favore dello sviluppo delle persone". (*)
"L'intero impianto della legge si struttura attorno alla
valorizzazione delle risorse del territorio e del ruolo propulsivo
affidato agli Enti locali con la collaborazione di tutti gli altri
soggetti competenti (Provveditorati agli Studi, Aziende sanitarie
locali, organizzazioni non lucrative di utilita' sociale, Centri per
la giustizia minorile)". (**)
"E' in questa fase di passaggio che occorre valorizzare
ulteriormente la funzione socio-assistenziale per concorrere
efficacemente alla qualificazione del sistema; a tal fine e'
fondamentale riconoscere l'identita' specifica che gli interventi
socio-assistenziali hanno assunto in relazione sia all'esperienza
consolidata nei servizi sia alle piu' recenti normative di politica
sociale)". (***)
Il percorso avviato in questa direzione dalla Regione Emilia-Romagna
ha posto al centro alcuni obiettivi generali e alcune opzioni
fondamentali che potrebbero essere sintetizzate nel modo seguente:
- la necessita' di assumere le politiche dei servizi in un quadro di
politiche dei diritti di cittadinanza dei bambini e degli
adolescenti, finalizzate alla loro crescita, al loro benessere, alla
promozione delle loro potenzialita' e al loro protagonismo sociale,
nonche' alla prevenzione dei fenomeni di disagio;
- la realizzazione di azioni e interventi specifici a sostegno di
bambini e adolescenti in difficolta' all'interno di politiche capaci
di combinare "normalita'" e "marginalita'", facendo leva sull'insieme
dei soggetti, delle opportunita', delle competenze e di esperienze
presenti a livello territoriale, in una logica di politiche di
comunita' e di sistema integrato degli interventi;
- un ruolo delle istituzioni pubbliche di governo chiamato a svolgere
con piu' incisivita' funzioni di programmazione, di indirizzo,
coordinamento e controllo, all'interno di un sistema di regole nel
quale siano esplicitati gli obiettivi, gli standards organizzativi,
gli indicatori di qualita' e i sistemi di valutazione della stessa
qualita';
- il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo fondamentale
esercitato dai diversi soggetti presenti all'interno della societa' e
in modo particolare del privato sociale, dell'associazionismo e del
volontariato;
- il miglioramento delle relazioni e delle comunicazioni tra i vari
attori sociali, anche attraverso l'adozione di sistemi informativi
condivisi e integrati, nonche' la trasparenza e la semplificazione
delle procedure;
- la promozione, internamente ed esternamente, di un concetto di
integrazione che metta il/la cittadino/a al centro di ogni progetto
di lavoro, aggregando intorno a lui/lei i servizi, le risorse, gli
attori che debbono concorrere alla costruzione dell'intervento.
2) Gli obiettivi
Il primo obiettivo del presente atto e' quello di fare il punto sulla
complessita' del sistema degli interventi regionali e locali per i
minori, assumendo con maggiore incisivita' i temi relativi alle
politiche, ai servizi e agli strumenti di promozione e protezione dei
diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
A livello istituzionale e sociale si va affermando una concezione per
la quale, nell'attuazione degli interventi a favore di minori, la
funzione pubblica di garante dei diritti dei bambini e degli
adolescenti va strettamente correlata con la costruzione di un
sistema diversificato e personalizzato di risposte, alla costruzione
delle quali concorrono in modo determinante le risorse del privato
sociale, del volontariato e dell'associazionismo.Definendo meglio il
ruolo e le responsabilita' del sistema pubblico, si configurano
meglio anche il ruolo e le funzioni degli altri attori che
costituiscono risorsa preziosa ed insostituibile della rete dei
servizi per i minori.
Il secondo obiettivo, che deriva operativamente dal primo, e' quindi
la rideterminazione delle tipologie di intervento sociale in
relazione alle funzioni in materia socio-assistenziale per i minori,
all'interno di un quadro complessivo di precisazione degli ambiti di
lavoro, delle competenze, dei riferimenti normativi.
Cio' allo scopo di:
- fornire uno strumento di lavoro omogeneo per chi, in realta'
diverse, opera nel settore;
- offrire un quadro piu' chiaro e condiviso degli interventi in un
linguaggio comune, da parte di tutti i soggetti interessati;
- impostare strumenti di rilevazione reciprocamente funzionali;
- individuare standards e requisiti di funzionalita' dei servizi e
qualificare l'esercizio della vigilanza;
- porre le basi per un riassetto delle funzioni e per forme
concordate di gestione degli interventi e delle prestazioni.
Si e' quindi proceduto a definire:
a) la funzione di vigilanza (punto 6.);
b) 7 tipologie di intervento (punto 7. e seguenti) cosi' come
sottoindicate, ciascuna articolata in base alle proprie
caratteristiche, finalita', destinatari e modalita' di realizzazione:
- interventi socio-educativi territoriali - assistenza domiciliare -
affido familiare - comunita' residenziali - adozione - interventi
relativi a procedure ed accertamenti delle autorita' giudiziarie
minorile ed ordinaria - assistenza economica.
3) Il metodo di lavoro
L'Assessorato regionale alle Politiche sociali e familiari, Scuola,
Qualita' urbana, tramite il Servizio Politiche familiari, infanzia,
adolescenza e Sviluppo del sistema scolastico, ha promosso a questo
scopo un confronto operativo con rappresentanti dei Servizi
territoriali che, in base alle norme regionali in materia di riordino
socio-assistenziale, operano in campo minorile.
Trattandosi di competenze tradizionalmente delle Unita' sanitarie
locali, la Conferenza permanente dei coordinatori sociali delle
Aziende Unita' sanitarie locali ha costituito il riferimento
privilegiato per questo lavoro di puntualizzazione in ragione sia
dell'esperienza, ormai ventennale, della gestione associata degli
interventi per i minori prevista dalla L.R. 2/85, sia nelle
prospettive delle riforme istituzionali degli ultimi anni che hanno
chiamato in causa Enti locali ed Aziende Unita' sanitarie locali a
condividere responsabilita' verso i cittadini per garantire loro
interventi integrati, globalita' di approccio e tutela reale dei loro
diritti.
Tale tipo di confronto si e' quindi aperto anche a coloro che nei
Comuni hanno responsabilita' in particolare nei settori delle
politiche familiari, per l'infanzia, l'adolescenza e il diritto allo
studio, in una logica di approccio coerente a questi temi e di
maggior efficacia degli interventi, capace di combinare "normalita'"
e "marginalita'", attenzione e modalita' di sostegno mirato e
specifico ai soggetti piu' in difficolta' o a rischio, in un quadro
tuttavia di politiche di comunita' rivolte a tutti i soggetti.
4) Gli ambiti di intervento, le competenze
Va innanzitutto specificato che gli ambiti di intervento sono quelli
legati a funzioni e competenze di tipo socio-assistenziale a favore
della popolazione minorile, finalizzati alla prevenzione, al
trattamento e al superamento delle situazioni a rischio di
emarginazione e delle condizioni di disagio, di disadattamento, di
devianza.
La Direttiva regionale n. 1637 del 17 settembre 1996 specifica che
"sono interventi socio-assistenziali quelli finalizzati al
raggiungimento di obiettivi di natura sociale, educativa ed
assistenziale non collegati a condizioni patologiche o
pre-patologiche a rischio o di alterazione permanente sia fisica che
psichica".
Tale direttiva, nell'area di intervento 2) "famiglia, infanzia ed
eta' evolutiva" e nell'area di intervento 3) "handicap", al punto
3.a) "disabili minori", elenca le attivita' sociali a completo carico
degli Enti locali che si riferiscono alla popolazione minorile.
Mentre la direttiva citata ha come obiettivo l'individuazione di
tutti gli interventi sociali e sociali a rilievo sanitario allo scopo
di agevolare la soluzione di dubbi e conflitti in materia
finanziaria, questo documento si propone invece di delineare un
quadro complessivo di interventi sociali rivolti all'infanzia e
all'adolescenza che maggiormente vive situazioni di disagio e di
rischio di emarginazione, allo scopo di agevolare l'individuazione di
percorsi e opportunita' specifiche per le situazioni problematiche,
all'interno tuttavia di politiche rivolte alla generalita' del mondo
infantile ed adolescenziale.
L'ambito e' quindi quello degli interventi di competenza dei Comuni
che, dal 1977, tramite i Consorzi socio-sanitari prima e le Unita'
sanitarie locali poi, sono stati gestiti in forma obbligatoriamente
associata, in particolare dopo la L.R. 2/85 di riordino
socio-assistenziale, fino all'entrata in vigore della L.R. 19/94 di
riordino del Servizio sanitario regionale e di aziendalizzazione
delle Unita' sanitarie locali.
I destinatari degli interventi qui delineati sono tutti i minori che
vivono in situazioni di disagio sociale che possono essere supportate
o risolte tramite le opportunita' indicate, ivi compresi i minori
portatori di handicap.
5) Il quadro normativo di riferimento e l'assetto attuale delle
funzioni
5.1 Il quadro normativo di riferimento
Le leggi ed i decreti di decentramento amministrativo degli anni '70
(Legge 698/75 e DPR 616/77) hanno ridefinito l'assetto dei poteri tra
Stato centrale e sistema delle Autonomie locali, attribuendo a
Regioni, Province e Comuni le funzioni di tutela e di intervento a
protezione del minore, comunque presente nel territorio
indipendentemente dalla sua residenza o cittadinanza, con l'obiettivo
di "assicurarne una piu' completa e penetrante realizzazione"
(sentenza della Corte Costituzionale 287/87), costruendo un rapporto
diverso tra servizi pubblici e risorse della societa' civile.
Le successive disposizioni legislative (Legge 184/83 - DPR 448/88 -
Legge 64/94) hanno ancor piu' saldamente ancorato il processo di
riconoscimento dei diritti dei cittadini in eta' minore, e le
conseguenti azioni per una risposta positiva a tali diritti, al
complesso delle funzioni di politica sociale che debbono essere
esercitate dall'Ente locale.
Il limite di questa riforma e' stato quello di aver determinato di
fatto un semplice spostamento di funzioni (e non tutte) dal centro
alla periferia, operato in tempi e con norme diverse, in assenza di
un quadro unitario di riferimento e di una strategia volta a
costruire un sistema nuovo del governo dei servizi per i minori.
Le Autonomie locali si sono quindi trovate nelle condizioni di
rincorrere le varie funzioni di volta in volta loro attribuite, con
uno sforzo organizzativo e di implementazione di obiettivi e
politiche per i minori (vedi la L.R. 2/85), non supportate da un pari
impegno e ne' da un disegno complessivo a livello centrale.
A cio' vanno aggiunti elementi di carattere piu' generale, che
spiegano le molteplici carenze e/o l'inefficacia di azioni assunte
nel settore: limiti nell'azione di governo e di gestione degli
interventi da parte di Regioni e Enti locali, la tradizionale
conflittualita' nei rapporti tra Stato, Regioni ed Autonomie locali,
una forte richiesta di sicurezza e di controllo rispetto ai fenomeni
di disagio sociale e di devianza, nuove spinte "adultocentriche";
elementi che hanno determinato l'introduzione di proposte e di norme,
come ad esempio la Legge 216/91, di segno neo-centralista e, ancora
una volta, settoriale.
Si tratta di ambivalenze non ancora risolte, ne' col recente
provvedimento "Linee di indirizzo in materia di interventi urgenti a
favore della popolazione minorile" adottata nell'agosto 1995 dalla
Conferenza Stato/Regioni, ne' con la Legge 142/90 di riforma delle
Autonomie locali che, pur offrendo strumenti per rilanciare uno
sviluppo piu' integrato e programmato delle politiche sociali, ha
perpetuato confusione sulla titolarita' e sulla gestione delle
funzioni in materia minorile tra Comuni e Province (Legge 67/93).
Inoltre, a fronte di una mancata riforma complessiva dei servizi
sociali, l'istituzione del Servizio sanitario nazionale e le recenti
riforme sanitarie stanno isolando e rendendo sempre piu' complicata
la gestione integrata e l'efficacia delle funzioni di tutela dei
minori di cui sono titolari Comuni e Province, soprattutto nelle
regioni, come la nostra, che avevano individuato nella gestione
obbligatoriamente associata di tutte le funzioni in materia di
assistenza ai minori presso le Unita' sanitarie locali lo strumento
di una piu' completa ed incisiva risposta ai bisogni di bambini ed
adolescenti in difficolta'.
con il provvedimento nazionale "Disposizioni per la promozione di
diritti e di opportunita' per l'infanzia e l'adolescenza" (Legge
285/97) che si registra un orientamento nuovo dello Stato centrale di
"ricostruire una politica dei bambini/e, degli adolescenti e dei
giovani, non segmentata e parcellizzata, ma ricondotta ad unita' a
partire dalla considerazione della vita come un "unicum", scandito
dalle varie fasi evolutive della crescita e della formazione
personale. Dell'infanzia e dell'adolescenza occorre valorizzare la
presenza, l'autonomia, il senso critico e la capacita' creativa".
(****)
La Regione Emilia-Romagna ha normato il settore tramite:
- la deliberazione della Giunta regionale n. 1980 del 28 giugno 1977
"Direttiva per l'esercizio delle funzioni amministrative di vigilanza
e controllo sulle istituzioni pubbliche e private per l'assistenza e
la protezione della maternita', dell'infanzia e dei minori";
- la deliberazione della Giunta regionale n. 3819 del 7 dicembre 1977
"Orientamenti organizzativi ai Comuni per l'esercizio delle funzioni
di cui all'art. 23 del DPR 616/77";
- la L.R. 12 gennaio 1985, n. 2 "Riordino e programmazione delle
funzioni di assistenza sociale";
- la L.R. 14 agosto 1989, n. 27 "Norme concernenti la realizzazione
di politiche di sostegno alle scelte di procreazione ed agli impegni
di cura verso i figli";
- la L.R. 12 maggio 1994, n. 19 "Norme per il riordino del Servizio
sanitario regionale ai sensi del DLgs 30 dicembre 1992, n. 502,
modificato dal DLgs 7 dicembre 1993, n. 517";
- la deliberazione della Giunta regionale n. 1637 del 17 luglio 1996
"Direttiva regionale per l'identificazione degli interventi
socio-assistenziali a carico del bilancio sociale e degli interventi
sociali a rilievo sanitario a carico del Fondo sanitario nazionale".
5.2 L'assetto delle funzioni
L'attuale assetto delle funzioni vede oggi:
- la Regione titolare delle funzioni legislative, di programmazione,
indirizzo, vigilanza e di organizzazione dei servizi locali,
disciplinando l'esercizio delle funzioni trasferite e determinando
gli ambiti piu' adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari
in relazione ai compiti di legge;
- i Comuni titolari delle funzioni relative agli asili nido, sia
quelle gia' di competenza dell'ex ONMI (Legge 698/75), sia quelle
previste dalla Legge 1044/71; agli interventi in materia di
immigrazione, compresi ovviamente quelli a protezione dei minori
immigrati, anche in forza di norme internazionali; ai Centri per le
famiglie (L.R. 27/89). Gli interventi a favore dei minorenni soggetti
ai provvedimenti dell'autorita' giudiziaria in sede civile e
amministrativa (DPR 616/77, Legge 184/83) e, piu' recentemente,
penale (DPR 448/88), gestiti in forma obbligatoriamente associata
tramite l'Unita' sanitaria locale (L.R. 2/85) fino all'entrata in
vigore della Legge 142/90 e della L.R. 19/94, sono oggi invece
soggetti a conferma o ritiro di delega da parte del Comune stesso;
- le Province titolari di compiti di programmazione e coordinamento
dei piani di sviluppo locali, di competenze in materia di raccolta,
analisi ed elaborazione dati (Legge 142/90) nonche' di funzioni
relative ai minori non riconosciuti dai genitori e soggetti
all'abbandono ed alle gestanti e madri in difficolta' (Legge 67/93,
che ha restituito alla stesse Province le competenze prima tolte con
la Legge 142/90 o in essa non citate);
- le Aziende Unita' sanitarie locali, cosi' come riformate dalla L.R.
19/94, titolari, in questo come negli altri settori, degli interventi
sanitari e a rilievo sanitario; l'esercizio degli interventi sociali
e socio-assistenziali e' invece, com'e' noto, soggetto alla conferma
o disconferma delle deleghe da parte dei Comuni ed agli accordi di
programma tra enti.
6) La vigilanza
Tra le funzioni proprie della pubblica Amministrazione in materia di
tutela e di promozione dei diritti e di adeguata risposta ai bisogni
dell'infanzia e dell'adolescenza, la funzione di vigilanza assume la
rilevanza propria dello strumento di garanzia nell'attuazione di
quanto enunciato nella legge.
6.1 Definizione
La vigilanza e' la funzione trasferita dallo Stato alle Regioni in
base alla Legge 698/75 e al DPR 616/77 diretta ad esercitare le
dovute attivita' di controllo su interventi e strutture per minori,
al fine di promuovere e perseguire migliori livelli
quali-quantitativi di assistenza, rimuovere le cause delle situazioni
di emergenza e di crisi, in un sistema di garanzie reali e formali di
tutela dei diritti dei minori e di soddisfacimento dei bisogni di
sviluppo in eta' evolutiva.
Essa riguarda:
a) l'applicazione della legislazione diretta alla protezione della
maternita' e dell'infanzia;
b) il funzionamento e gli standards funzionali e strutturali delle
istituzioni pubbliche e private che ospitano minori.
La Regione Emilia-Romagna, con la L.R. 2/85 (art. 37, primo comma),
ha disposto la gestione della funzione in forma obbligatoriamente
associata tramite le Unita' sanitarie locali con l'obiettivo di una
forte connessione con le funzioni di promozione e di programmazione
dei servizi, nonche' per determinare un'integrazione tra area
socio-assistenziale e area sanitaria.
La successiva Legge 142/90 sull'ordinamento delle Autonomie locali ha
peraltro identificato nel Comune il diretto titolare di tutte le
funzioni amministrative del settore dei servizi sociali, senza piu'
possibilita' di vincolo da parte della Regione alla forma associata.
La L.R. 19/94 di riordino del Servizio sanitario regionale, abrogando
il Titolo III della L.R. 2/85, ha portato la funzione di vigilanza in
capo ai Comuni, disponendo come le funzioni socio-assistenziali
possano essere gestite in continuita' col regime precedente solo
attraverso delega espressa da parte dei Comuni stessi.
6.2 Finalita'
La funzione di vigilanza ha in se' una prima finalita' preventiva:
concorrere ad un sistema di sicurezza sociale, di qualificazione dei
servizi e degli interventi per i minori, di rimozione delle cause di
emarginazione e di cronicita' assistenziale, che dia valore
all'infanzia e all'adolescenza.
Ha una finalita' programmatoria: e' momento di rilevazione dei
bisogni sociali anche mediante indagini e controlli al fine della
realizzazione o del miglioramento di servizi ed interventi per le
famiglie sul territorio.
E' momento di coordinamento delle attivita' e delle iniziative degli
Enti pubblici e privati nell'ambito dei programmi territoriali, che
orienta la libera iniziativa in base alla rilevanza pubblica del
servizio svolto e, soprattutto, in base alla priorita' che la tutela
dell'assistito, soprattutto se minore, riveste rispetto alla liberta'
d'iniziativa stessa.
Ha finalita' di tutela: esercitando tutela giuridica e vigilanza
sulle condizioni materiali e sociali di tutti i minori residenti nel
territorio o ivi ospitati, in collegamento con il Giudice tutelare ed
il Tribunale minorenni, si concretizza la possibilita' di modificare
la inadeguatezza dei servizi a sostegno della permanenza dei minori
in famiglia.
6.3 Destinatari
L'accessibilita' e l'esigibilita' del diritto alla famiglia,
costituisce terreno specifico di intervento per i servizi sociali che
si occupano di minori: sono quindi i bambini e gli adolescenti i
beneficiari dell'intervento di vigilanza.
Ne sono destinatari nello specifico i servizi, le istituzioni, le
situazioni che assolvono temporaneamente compiti integrativi delle
famiglie e gli interventi che prevedono forme di protezione e tutela
dell'interesse del minore.
6.4 Modalita' di realizzazione
Gli interventi di vigilanza consistono:
- nel monitoraggio, presso i servizi che operano con i minori e
presso quelli che li ospitano, delle situazioni che presentano
elementi di rischio di marginalita', di abbandono, e di
problematicita' familiari, per una presa in carico precoce;
- nella costruzione di percorsi operativi integrati con le altre
Amministrazioni dello Stato, ed in particolare con la giustizia
minorile, che concorrono alla protezione dei diritti dei minori;
- nella costruzione di percorsi operativi integrati tra servizi,
finalizzati ad affrontare, elaborare e ricercare le risposte piu'
adeguate alle difficolta' personali e familiari e a restituire alla
famiglia autonomia e responsabilita' nei confronti dei figli;
- in verifiche periodiche sulla gestione e sul possesso dei requisiti
richiesti dalle direttive regionali per l'autorizzazione, al
funzionamento delle comunita' socio-assistenziali che ospitano
minori.
Le attivita' di vigilanza si concretizzano nelle seguenti azioni:
- il dovere di segnalazione, da parte di qualunque soggetto pubblico
o privato individui situazioni di abbandono o abuso nei confronti di
minori, verso:
a) l'autorita' giudiziaria minorile delle situazioni in cui possono
configurarsi stati di abbandono e di incapacita' educativa;
b) il servizio sociale da parte degli altri attori sociali, pubblici
e privati che, per i loro interventi, vengano a conoscenza o a
contratto con situazioni di minori in cui si configurano situazioni
di rischio;
- l'esercizio della tutela, sia essa esercitata direttamente
dall'Ente locale o attribuita a persone o istituzioni che ospitano
minori;
- l'autorizzazione ed il monitoraggio sul funzionamento delle
comunita' socio-assistenziali per minori.
Sono strumenti per l'esercizio della vigilanza:
- il sistema informativo socio-assistenziale degli interventi per i
minori;
- l'anagrafe dei minori che vivono fuori dalla famiglia d'origine;
- l'anagrafe delle comunita' residenziali;
- la scheda semestrale per il Giudice tutelare degli ospiti delle
comunita' residenziali;
- le segnalazioni di ingresso e di movimento dei minori ospiti di
comunita';
- le convenzioni per la gestione degli interventi socio-educativi;
- i provvedimenti di autorizzazione al funzionamento delle comunita'
che ospitano minori;
- i protocolli d'intesa con gli altri soggetti, istituzionali e non,
che operano con i bambini e gli adolescenti (Provveditorati agli
Studi, associazioni, ...) per la lettura e la presa in carico precoce
di situazioni a rischio;
- gli accordi di programma tra enti e servizi ed i regolamenti locali
per l'attuazione degli interventi.
7) Le tipologie di intervento
7.1 Interventi socio-educativi territoriali
7.1.1 Definizione
Gli interventi socio-educativi territoriali consistono nell'attivare
servizi ed azioni mirate ad incidere sui meccanismi di marginalita',
disagio e devianza, attraverso cambiamenti nelle relazioni
ambiente/persona e processi di mediazione tra individuo in
difficolta' e agenzie, istituzioni e organizzazioni sociali, in modo
da favorire la crescita personale e l'avvicinamento alle opportunita'
presenti nel contesto territoriale, secondo una logica per la quale
lo stesso territorio, con una progettualita' adeguata, puo' divenire
agente di prevenzione e di promozione sociale.
Tali interventi risultano efficaci ed efficienti quanto piu' sono
collocati in contesti che prevedano azioni rivolte alla generalita'
della popolazione minorile, tramite effettive forme di integrazione
sociale, qualificando e potenziando la rete delle attivita',
istituzionali e non, rivolte a tutti.
Si tratta di interventi caratterizzati da forti e rapide evoluzioni,
da esigenze di duttilita' e di limitata codificazione e dalla
possibilita' di fare cio' che e' meglio verso individui, famiglie e
territorio.
7.1.2 Finalita'
Sono finalizzati ad incidere sui fattori di rischio e sui danni
prodotti da situazioni di marginalita', creando le condizioni per
produrre cambiamenti utili ad un miglioramento dei rapporti e delle
relazioni tra individuo e ambiente (famiglia, scuola, lavoro, tempo
libero) in una logica di prevenzione sostanziale e di riparazione del
danno.
Fanno leva sul riconoscimento delle potenzialita' positive dei
soggetti e delle diverse agenzie, mirando a restituire a ciascuno di
essi le proprie competenze per la risoluzione dei problemi.
7.1.3 Destinatari
Minori, adolescenti, e rispettivi sistemi parentali, che vivono
situazioni di rischio e/o danno, tali da favorire l'instaurarsi di
problematiche relazionali, l'emarginazione e la devianza.
7.1.4 Modalita' di realizzazione
Gli interventi socio-educativi territoriali si collocano nell'ambito
degli interventi propri dei servizi sociali degli Enti locali,
comunque gestiti.
Vanno programmati in stretta connessione ai bisogni espressi dal
territorio al quale fanno riferimento; richiedono una forte
integrazione tra professionalita', servizi e risorse pubbliche e
private presenti.
Determinante per la realizzabilita' e l'efficacia di tutti gli
interventi afferenti a questa tipologia e' l'elaborazione di un
progetto, preciso, che determini con chiarezza:
- il tipo di bisogno sociale al quale si vuol dare risposta;
- l'obiettivo che ci si prefigge;
- le modalita' di attuazione con caratteristiche di forte
flessibilita' e duttilita'; capacita' di ascolto ed accoglienza della
persona;
- le forme di coordinamento del progetto;
- i ruoli, le funzioni e le responsabilita' reciproche dei
partecipanti al progetto;
- una previsione dei tempi di realizzazione del progetto stesso
congrui con gli obiettivi:
- le modalita' di verifica;
- la disponibilita' di competenze professionali adeguate sul piano
qualitativo e quantitativo;
- proposte formative adeguate alle esigenze poste dalla realizzazione
del progetto sia per i soggetti pubblici che per i soggetti privati.
Gli "interventi socio-educativi territoriali" prevedono varie forme
di attuazione:
a) interventi socio-educativi individuali;
b) all'interno di centri di aggregazione;
c) interventi con gruppi formali ed informali;
d) attraverso il lavoro di comunita'.
a) Interventi socio-educativi individuali
Fanno leva sull'organizzazione dei ritmi e delle abitudini di vita
quotidiana, sugli impegni previsti e le opportunita' offerte
all'interno degli spazi di attivita' scolastica e parascolastica.
Prevedono un'offerta di occasioni e forme di sollecitazione e colgono
possibilita' di aggancio agli interessi del minore per arricchirne
l'acquisizione di migliori competenze relazionali e di aggregazione
sociale.
Tendono a valorizzare le capacita' educative e il senso di iniziative
delle famiglie e il loro livello di consapevolezza per i bisogni e le
esigenze educative del minore.
Sostengono gli interventi di avvio e di educazione al lavoro e
supportano gli inserimenti lavorativi.
b) Centri di aggregazione
Si configurano come strutture e spazi destinati prevalentemente a
preadolescenti e adolescenti, che privilegiano in particolare la
dimensione di gruppo e lo sviluppo della comunicazione
interpersonale; tendono a promuovere adeguati livelli di autonomia in
collaborazione con le agenzie educative e attraverso l'integrazione
dei principali contesti dell'ambiente di vita del minore.
Si contraddistinguono per l'attenzione al disagio e la prevenzione
del disadattamento e della devianza; per la promozione
dell'integrazione e della socializzazione in gruppo, intesa come
sviluppo di esperienze che favoriscono l'incontro, lo scambio, la
crescita di competenze sociali, la dimensione collettiva dell'aiuto.
Nelle situazioni maggiormente caratterizzate da carenza o difficolta'
della famiglia sul piano educativo-assistenziale, i centri integrano
l'azione della famiglia stessa fornendo spazi ed opportunita' di
socializzazione ed accoglienza diurna mirati ad una piu'
soddisfacente qualita' di inserimento del minore nel suo contesto.
Garantiscono stabilita' di relazioni educative e cura delle relazioni
familiari e sociali. Consentono un monitoraggio continuo delle
situazioni familiari piu' a rischio.
c) Interventi con gruppi formali ed informali
Si tratta di interventi socio-educativi che si collocano nei luoghi
di aggregazione spontanea dei ragazzi.
Si configurano come forma d'aiuto che si realizza tramite la
conduzione di esperienze all'interno del contesto sociale,
utilizzando le risorse, le opportunita' e le occasioni in esso
presenti, nell'intento di costruire relazioni con chi vive ai margini
della comunita', la' dove i comportamenti impropri rischiano di
cronicizzarsi in devianza.
Agiscono sul "territorio reale", non su quello istituzionale,
coinvolgendo operatori formali ed informali, attivando reti
individuali e sociali, sensibilizzando la comunita' sui problemi del
mondo adolescenziale.
d) Lavoro di comunita'
I progetti che fanno leva sul lavoro di comunita' si configurano come
interventi che, a partire dai bisogni dell'eta' evolutiva, operano in
una logica di promozione delle risorse presenti all'interno del
tessuto sociale, favorendo processi di conoscenza, di attivazione di
risorse di mutuo-aiuto, di stimolo e di mediazione tra fasce soggette
a rischio di marginalita' ed ambiente sociale di appartenenza.
Sono interventi caratterizzati da obiettivi precisi, in ambiti
territoriali definiti e che prevedono una forte partecipazione e
collaborazione di tutte le risorse del territorio, nella logica del
lavoro di rete.
7.2 Assistenza domiciliare
7.2.1 Definizione
L'assistenza domiciliare consiste in una opportunita' piu' complessa
rispetto agli aiuti economici e materiali, sia di sostegno domestico
che piu' in generale alla persona, che si inserisce nello spazio
privato della famiglia, a favore di nuclei familiari con bambini, che
per motivi di pesante carico familiare, sanitari, educativi, hanno
difficolta' nell'assolvere gli impegni connessi alla vita quotidiana.
7.2.2 Finalita'
L'assistenza domiciliare si propone di alleviare situazioni di stress
fisico ed emotivo, favorire intermediazioni culturali sulle modalita'
di allevamento dei figli, evitare rotture e brusche separazioni
relazionali tra genitori e bambini, sostenere una migliore capacita'
gestionale dei problemi, proprio a partire dalle necessita' di cura.
7.2.3 Destinatari
Gli interventi di assistenza domiciliare sono diretti a nuclei
familiari con minori in situazione di disagio o di non autosufficenza
che non sono in grado, anche temporaneamente, di garantire il
soddisfacimento delle esigenze personali, domestiche e relazionali,
con lo scopo di salvaguardare l'autonomia delle persone e la
permanenza del minore nel proprio nucleo familiare.
7.2.4 Modalita' di realizzazione
L'assistenza domiciliare consiste in prestazioni di aiuto, da parte
di personale in possesso dei requisiti professionali adeguati, per
l'organizzazione e il governo della casa e per il soddisfacimento dei
bisogni essenziali della persona e, ove necessario, per consentire
l'accesso ai servizi territoriali, nonche' per il supporto o
l'integrazione nel nucleo familiare delle persone in difficolta'.
Anche questo intervento deve prevedere tempi definiti per il
raggiungimento degli obiettivi e deve collocarsi all'interno di una
valutazione e progettazione contrattuale che il servizio sociale
sviluppa con gli interessati ed eventualmente in collaborazione con
altri servizi.
7.3 Affido familiare
7.3.1 Definizione
L'affido familiare e' una risposta educativo-assistenziale a
situazioni di disagio di minori "temporaneamente privi di un ambiente
familiare idoneo" tramite l'affidamento "ad un'altra famiglia,
possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una
comunita' di tipo familiare" (art. 2, Legge 184/83).
Consiste nell'inserimento di un minore in un ambiente familiare
diverso dal proprio che lo accoglie e gli "assicura mantenimento,
educazione ed istruzione" per un periodo determinato e nella
prospettiva del suo rientro in famiglia.
7.3.2 Finalita'
Tramite l'affido si intende offrire al minore, il cui nucleo
familiare sia temporaneamente impedito o impossibilitato ad
esercitare un adeguato ruolo genitoriale, la possibilita' di
sperimentare relazioni di convivenza diverse, in un ambiente
familiare piu' confacente ai suoi bisogni, assicurando nel contempo
alla famiglia d'origine tutti gli interventi assistenziali e
terapeutici che possano riequilibrare la situazione in crisi e
consentire al minore stesso il rientro nel suo nucleo d'origine.
Vi possono essere, tuttavia, situazioni in cui l'obiettivo diventa
l'autonomia del giovane, soprattutto se affidato in adolescenza.
7.3.3 Destinatari
Destinatari di tali interventi sono i minori che necessitano di
accudimento sul piano materiale, educativo ed affettivo, a causa di
un temporaneo impedimento o impossibilita' all'esercizio del ruolo
genitoriale da parte del proprio nucleo familiare.
Appare determinante, per un corretto utilizzo dello strumento
"affido" e delle sue potenzialita', mantenere alto il livello della
consensualita' della famiglia d'origine e del minore all'intervento,
evitando di proporre l'affido solo e prevalentemente quando la
prognosi esplicita o implicita per la famiglia d'origine e' negativa,
procrastinando nel tempo decisioni difficili da assumere.
7.3.4 Modalita' di realizzazione
L'affido e' un intervento di alta complessita' educativa e
psico-sociale: richiede elevate competenze professionali, una forte
collaborazione interdisciplinare attraverso il coinvolgimento e
l'integrazione di diversi servizi, con particolare riferimento a
quelli educativi, sociali e sanitari.
Richiede un progetto individuale, articolato, capace di coordinare le
esigenze del minore, della famiglia d'origine, della famiglia
affidataria e di preparare le condizioni per il rientro del bambino.
Preliminare allo specifico intervento "affido" e' la fase
dell'istruttoria delle famiglie affidatarie, attraverso cui si
conoscono, si preparano e si selezionano le famiglie disponibili
all'affido.
possibile gradualizzare e diversificare l'intervento di affido
familiare con forme e funzionalita' diverse in relazione alle
esigenze del minore in:
a) affido familiare a tempo pieno;
b) affido a parenti;
c) affido familiare a tempo parziale.
a) Affido familiare a tempo pieno
l'intervento con cui un minore viene inserito in un'altra famiglia
con carattere di continuita' e di residenzialita' per il tempo
previsto dal progetto di intervento quale necessario al superamento
del suo personale disagio e della situazione di difficolta' del suo
nucleo d'origine.
b) Affido a parenti
l'intervento attraverso il quale un minore, il cui nucleo d'origine
sia in temporanea difficolta' e nei casi in cui vi siano particolari
situazioni di conflittualita' o di disagio che richiedono
l'intervento del Servizio sociale, viene affidato stabilmente a
parenti per un periodo superiore a sei mesi.
In questi due casi, caratterizzati dalla continuita' e dalla
residenzialita', il provvedimento viene assunto:
- dal Servizio sociale, in presenza del consenso dei genitori o del
tutore; in tal caso deve essere reso esecutivo dal Giudice tutelare
con decreto;
- dal Tribunale per i minorenni, laddove manchi l'assenso dei
genitori o del tutore.
c) Affido familiare a tempo parziale
l'intervento con cui viene dato sostegno ad un minore tramite
l'inserimento in altra famiglia per alcuni giorni la settimana o per
alcune ore tutti i giorni o per alcuni periodi a tempo breve e
determinato.
In questo caso l'intervento ricade tra quelli attuabili direttamente
dal Servizio sociale che vengono adottati nell'interesse del minore,
in regime di consensualita' dei genitori.
Eventuale provvedimento dell'autorita' giudiziaria e' necessario solo
qualora manchi la consensualita'; in tal caso l'intervento si
configura come prescrizione alla famiglia.
Collegati all'affido familiare e strettamente connessi alla sua
efficacia sono gli interventi di:
- promozione della cultura dell'accoglienza e della disponibilita'
dell'affido;
- formazione e sostegno a gruppi di famiglie affidatarie;
- sostegno alla singola famiglia e vigilanza sull'intervento.
Modalita' gestionali dell'intervento, di tenuta della documentazione
e di collaborazione tra i soggetti interessati, di sostegno
economico, saranno oggetto di regolamenti locali.
Per quanto riguarda l'art. 80 della Legge 184/83: "le Regioni
determineranno le condizioni e modalita' di sostegno alle famiglie
..... che hanno minori in affidamento affinche' questo si possa
fondare sulla disponibilita' e l'idoneita' all'accoglienza
indipendentemente dalle condizioni economiche", a proposito
dell'entita' del contributo alle famiglie affidatarie si vuole
precisare che:
- la soglia minima mensile di contributo a sostegno dell'affido
familiare a tempo pieno (art. 4, Legge 184/83) deve essere almeno
pari al minimo vitale definito annualmente dall'ISTAT. I regolamenti
locali possono disporre ritocchi dell'importo mensile solo in
aumento, in relazione a valutazioni di opportunita' e di adeguatezza
di questa soglia a sostenere un importante lavoro di cura familiare;
- vanno previste possibili variazioni in aumento in relazione a
bisogni o situazioni particolari (handicap, disagio, affidi
plurimi.....);
- vanno previste integrazioni per il raggiungimento di particolari
obiettivi.
7.4 Comunita' per l'accoglienza residenziale e semiresidenziale
7.4.1 Definizione
Sono strutture di ospitalita' che integrano o sostituiscono
temporaneamente la casa e la famiglia, offrendo al bambino e
all'adolescente uno spazio di vita in cui elaborare o riprendere ad
elaborare un progetto per il futuro, con il supporto di figure adulte
professionalizzate, capaci di sviluppare rapporti significativi sul
piano relazionale ed educativo e di cooperare con le persone
dell'ambiente di vita del minore e con gli altri servizi del
territorio.
7.4.2 Finalita'
I servizi residenziali e semiresidenziali hanno una funzione molto
specifica nella rete dei servizi per i minori: intervenire per
integrare o sostituire temporaneamente le funzioni familiari
compromesse con azione di cura e di recupero di stati di crisi e di
abbandono temporaneo.
Devono correlarsi al sistema locale dei servizi per l'infanzia e
l'adolescenza per evitare e superare logiche di emarginazione.
Infatti, solo in un contesto articolato di servizi per l'infanzia il
ricorso all'affidamento alla comunita', in particolare se
residenziale, risultera' funzionale a tutelare i diritti dei minori,
cosi' come previsto anche nella legislazione vigente (nuovo diritto
di famiglia, Legge 184/83, DPR 448/88), in quanto tappa, intervento
specifico, e per certi versi "specializzato", di un piu' ampio
progetto di intervento per una situazione esistenziale difficile.
7.4.3 Destinatari
Sono destinatari di tali interventi:
- i minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo, per
i quali non e' proponibile o praticabile un affido familiare;
- i minori la cui collocazione extra-familiare sia prescritta con
provvedimento dell'autorita' giudiziaria minorile in sede di
competenza civile, amministrativa e penale;
- i minori provenienti da famiglie che, pur offrendo rapporti
affettivi validi, non siano in grado, per problematiche di diversa
natura, di garantire convenienti ed adeguate risposte alle loro
esigenze formative, educative e psicologiche.
Possono essere accolti nelle comunita' residenziali e
semiresidenziali tutti i minori presenti o transitanti nel territorio
regionale o i minori provenienti da altri territori soggetti a
provvedimento di allontanamento dell'autorita' giudiziaria minorile.
In caso di minori ospitati in regime residenziale continuativo in
comunita' per adulti, ove la finalita' della struttura sia diversa o
piu' ampia dell'intervento sul minore (casa-famiglia, comunita' per
tossicodipendenti, .....) siano essi con genitori, fratelli o da
soli, il loro inserimento va chiaramente motivato e deve essere loro
garantito un progetto finalizzato individuale, un sostegno educativo
personalizzato, uno spazio ed un ambiente di vita che ne tuteli i
diritti ed i bisogni relazionali, di crescita e di identita', ivi
compreso il ricorso ai servizi esterni.
7.4.4 Modalita' di realizzazione
Nell'intento di cogliere la varieta' e la ricchezza delle esperienze
che si sono sviluppate nel tempo, e gli elementi che caratterizzano
le varie tipologie di intervento, possiamo suddividere le comunita'
di accoglienza in:
a) comunita' di pronta accoglienza;
b) comunita' di tipo familiare;
c) comunita' educativa;
d) centro diurno.
a) Comunita' di pronta accoglienza
Si intende una struttura educativa residenziale destinata ad
accogliere minori in situazioni caratterizzate da un bisogno urgente
e temporaneo di ospitalita', mantenimento, protezione, accudimento,
in attesa di una collocazione stabile o di un rientro in famiglia.
Sono comprese in questa voce sia le comunita' di pura emergenza - con
scopi di accoglienza e accudimento per tempi estremamente ristretti
di permanenza, di solito per adolescenti fermati dalle autorita' di
pubblica sicurezza, in fuga o in transito, o comunque in condizioni
di forte disagio personale - sia le comunita' di pronta accoglienza,
dove i tempi di permanenza, pur brevi, sono determinati dalla
temporaneita' del bisogno del bambino e dalla prospettiva di
eventuale soluzione definitiva rapida e dove l'ospitalita' contiene
anche connotati di protezione e di progettualita' educativa
finalizzata.
Si differenziano dalle altre tipologie per il notevole "turn over"
dei minori ospitati ed il tempo breve di permanenza.
L'attivita' di pronto intervento puo' essere altresi' collocata
presso comunita' di tipo familiare e comunita' educative
convenzionate per uno/due posti per l'emergenza.
b) Comunita' di tipo familiare
Si intende una struttura educativa residenziale che si caratterizza
per la convivenza continuativa e stabile di un piccolo gruppo di
minori con due o piu' adulti che assumono le funzioni genitoriali,
offrono un rapporto di tipo familiare e per i quali la struttura
costituisce residenza abituale.
Le figure educative di riferimento possono essere affiancate ed
integrate da altro personale dipendente o convenzionato, volontario o
obiettore, secondo le esigenze e le presenze del gruppo degli ospiti.
c) Comunita' educativa
Si intende una struttura educativa residenziale in cui l'azione
educativa viene svolta da educatori professionali, pubblici o
privati, dipendenti o in convenzione, laici o religiosi, che
esercitano in quel contesto la loro specifica professione in forma di
attivita' lavorativa.
Si caratterizza per un numero piu' elevato di ospiti (comunque entro
i 12), per l'articolazione in piccoli gruppi od unita' d'offerta
autonome, in caso di capacita' ricettiva superiore, per
l'articolazione in turni della presenza del personale educativo.
Connessa alla gestione delle comunita' residenziali e' l'attivita' di
vigilanza sul possesso ed il mantenimento dei requisiti funzionali e
strutturali delle singole unita' d'offerta.
c) Centro diurno
Si intende una struttura di ospitalita' che svolge accoglienza in
regime semiresidenziale, con caratteristiche di costanza e di
continuita' nel tempo, che prevede il rientro quotidiano dei minori
in famiglia, evitando l'allontanamento del minore dal contesto
sociale.
Copre l'orario extra-scolastico e, nei giorni di vacanze scolastiche
ed estive, copre l'intero arco della giornata; vi vengono svolte
attivita' educative, ricreative e di sostegno allo studio.
Opera tramite figure educative stabili e qualificate, con un rapporto
educatore/minore fortemente personalizzato.
Ha la finalita' di integrare l'azione della famiglia, qualora la
stessa presenti carenze e difficolta' sul piano
educativo-assistenziale, a fronte tuttavia del permanere di un legame
affettivo ed emotivo positivo.
Ha come obiettivi specifici:
- un monitoraggio continuo delle situazioni familiari a rischio
rappresentando, cosi' come il centro di aggregazione di cui al punto
7.1.4, un importante punto di osservazione dei fenomeni di disagio
sociale;
- la permanenza dei minori nel contesto socio-familiare di
appartenenza e la collaborazione con il nucleo d'origine per una
positiva ricaduta dell'azione educativa nell'ambito familiare;
- la collaborazione con la scuola e con gli insegnanti finalizzata
all'integrazione di ciascun minore;
- l'organizzazione di attivita' educative e sportive adeguate ai
ragazzi e la partecipazione alle iniziative presenti sul territorio;
- la formazione di un progetto individualizzato, periodicamente
verificato e sufficientemente duttile per conformarsi all'evolversi
della singola situazione e delle relazioni familiari.Debbono essere
elementi comuni a tutti i servizi residenziali e semiresidenziali:
- l'ubicazione in una zona dotata di una rete di servizi generali,
sociali, sanitari ed educativi accessibili;
- le caratteristiche degli ambienti propri delle case di civile
abitazione;
- un'organizzazione di vita quanto piu' possibile simile a quella
familiare per tempi, modi, opportunita' e rapporti interpersonali;
- il rispetto delle esigenze di personalizzazione e privacy
dell'ospite, delle compatibilita' tra esigenze dei diversi ospiti e
delle convivenze;
- il progetto educativo generale;
- i progetti educativi individuali;
- la competenza e la formazione del personale educativo;
- la cartella individuale che registra il percorso educativo del
minore e le informazioni necessarie anche a scopo statistico;
- l'autorizzazione al funzionamento.
7.5 Adozione
7.5.1 Definizione
L'adozione consiste nel dare ad un bambino che si trovi "in
situazione di abbandono morale e materiale", considerato
irreversibile e non attribuibile a causa di forza maggiore, "da parte
dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi" (art. 8, Legge
184/83), un'altra famiglia, sostitutiva del nucleo familiare
d'origine, che lo accolga e che diventi a tutti gli effetti la sua
vera famiglia.
7.5.2 Finalita'
Tramite l'adozione si intende offrire ad un bambino che ha
sperimentato abbandono, distorsioni relazionali patogene, squilibri e
carenze familiari irreversibili, la famiglia che non ha piu' o che
non ha mai avuto.
7.5.3 Destinatari
L'adozione e' consentita a favore di minori italiani dichiarati
adottabili dal Tribunale per i minorenni perche' si trovano in
situazione di abbandono morale e materiale (artt. 7 e 8, Legge
184/83), quando:
- risultano deceduti i genitori del minore e non risultano esistenti
parenti entro il quarto grado, salvo che esistano istanze di adozione
per casi particolari (artt. 11 e 44, Legge 184/83);
- non risulti l'esistenza di genitori naturali che abbiano
riconosciuto il minore o la cui paternita' o maternita' sia stata
dichiarata giudizialmente (art. 11, Legge 184/83);
- constatata l'esistenza dei genitori o dei parenti entro il quarto
grado, a conclusione delle indagini, degli accertamenti e degli
interventi previsti, risulti confermata la situazione di abbandono in
quanto i genitori o i parenti non si sono presentati alle
convocazioni, o hanno dimostrato il persistere della mancanza di
assistenza e la non disponibilita' ad ovviarvi, o non abbiano
adempiuto, per responsabilita' personale, alle prescrizioni impartite
dal Tribunale per i minorenni (artt. 12, 13 e 15, Legge 184/83).
L'adozione in favore di minori stranieri al di sotto dei 14 anni da
parte di cittadini italiani e' consentita:
- quando vi sia un provvedimento di adozione o affido preadottivo del
minore, o altro provvedimento di tutela, emanato dall'autorita'
competente dello Stato d'origine del minore stesso (art. 31, primo
comma, Legge 184/83);
- quando vi sia nulla osta all'ingresso in Italia del minore a scopo
di adozione, emesso dal Ministero degli Affari Esteri d'intesa con
quello dell'Interno (art. 31, secondo comma, Legge 184/83);
- quando il Tribunale per i minorenni abbia dichiarato l'efficacia
nello Stato italiano di questi provvedimenti (art. 32, Legge 184/83).
7.5.4 Modalita' di realizzazione
All'adozione si arriva tramite la capacita' di prognosticare la
situazione di abbandono in tempo per offrire condizioni normali di
vita e di crescita ad un bambino altrimenti destinato ad esperienze
di esclusione, di sofferenza e di marginalita'.Ricade tra i compiti
del Servizio sociale; richiede modalita' di lavoro interprofessionale
e prevede:
- la segnalazione, da parte dello stesso Servizio sociale, al
Tribunale per i minorenni dello stato di abbandono per le situazioni
direttamente conosciute;
- l'accertamento delle condizioni di fatto del minore, sull'ambiente
di vita e sulla sussistenza dello stato di abbandono, su richiesta
diretta del Tribunale per i minorenni;
- l'assunzione e la gestione della tutela del minore soggetto ad
accertamento dello stato di adottabilita';
- il supporto e la vigilanza sull'affidamento preadottivo, sia dei
minori italiani che di quelli stranieri, ed il parere sull'esito
dello stesso.
Prevede inoltre che venga effettuata l'istruttoria delle famiglie che
hanno presentato domanda di adozione, in particolare per quanto
riguarda "l'attitudine ad educare il minore, la situazione personale
ed economica, la salute, l'ambiente familiare degli adottanti, i
motivi per i quali desiderano adottare il minore" (art. 22, Legge
184/83).
A seguito dell'attivita' istruttoria, il parere del Servizio sociale
contribuira' a determinare l'idoneita' all'adozione delle famiglie da
parte del Tribunale per i minorenni.
7.6 Interventi relativi a procedure ed accertamenti dell'autorita'
giudiziaria minorile ed ordinaria
7.6.1 Definizione
Consistono in interventi che vengono attivati su richiesta delle
autorita' giudiziarie, minorili od ordinarie, che richiedono
attivita' di tipo peritale finalizzate a fornire elementi utili di
conoscenza della situazione per l'adozione di provvedimenti di
protezione e tutela del minore.
Richiedono un preciso lavoro valutativo e progettuale per la
formulazione di possibili proposte di intervento, complementari
all'attivita' giudiziaria, e la presa in carico della situazione, ove
necessario, oltre l'espletamento del compito istruttorio.
L'intervento delle autorita' giudiziarie puo' essere sollecitato
dallo stesso Servizio sociale, in presenza di situazioni che esigono,
per essere tutelate, un provvedimento giudiziario.
7.6.2 Finalita'
La finalita' specifica di tali interventi e' quella di fornire una
lettura psico-sociale ed ambientale della situazione dei singoli
minori oggetto di procedure e provvedimenti delle autorita'
giudiziarie, capace di orientare la decisione giudiziaria.
La finalita' piu' qualificante, ove la risposta non sia esauribile
con la sola attivita' istruttoria, e' quella di non circoscrivere o
ritenere esaurito l'intervento nell'attivita' informativa, ma di
considerare quest'ultima espressione della capacita' di lettura
dell'eventuale bisogno da parte del Servizio sociale, della presa in
carico della situazione complessiva e di un progetto di intervento
sulla situazione.
7.6.3 Destinatari
Sono destinatari di questi interventi:
- le giovanissime che affrontano la maternita' senza reti familiari e
parentali di appoggio e l'interruzione volontaria di gravidanza senza
l'autorizzazione dei genitori (provvedimenti di competenza del
Giudice tutelare);
- i figli contesi in situazione di separazione o divorzio
(provvedimenti di competenza del Tribunale ordinario);
- i minori degli anni 18 che richiedono l'autorizzazione al
matrimonio (provvedimenti di competenza del Tribunale per i
minorenni);
- i minori soggetti a provvedimenti dell'autorita' giudiziaria
minorile in materia civile, amministrativa e penale (provvedimenti di
competenza del Tribunale per i minorenni e della Procura della
Repubblica presso il Tribunale minorenni);
- i minori immigrati, clandestini, senza fissa dimora e senza reti
parentali di appoggio in grado di gestire funzioni tutorie (di
competenza del Giudice tutelare, o del Tribunale minorenni o della
Procura minorenni, in relazione alla situazione individuale del
minore; della Prefettura e della Questura per la permanenza, il
rimpatrio e i permessi di vario tipo).
7.6.4 Modalita' di realizzazione
Questi interventi vengono attivati:
- da una richiesta formale dell'autorita' giudiziaria: Tribunale per
i minorenni, Procura della Repubblica presso il Tribunale per i
minorenni, Giudice tutelare, Giudice della separazione;
- su segnalazione degli stessi Servizi ove la conflittualita' e la
condizione di rischio per il minore sia tale da richiedere
provvedimenti impositivi per poter effettuare gli interventi in
favore del minore.
Hanno caratteristiche di obbligatorieta': l'informativa e' dovuta; il
provvedimento che ne consegue deve essere eseguito.
Richiedono un'attivita' di valutazione della situazione complessiva
del minore in tutte le sue dimensioni: sociale, relazionale,
psicologica, sanitaria,..., di responsabilita' del Servizio e non del
singolo operatore, con il contributo delle professionalita' e di
altri servizi significativi per definire la situazione ed orientare
quindi la decisione giudiziaria in relazione ad un progetto concreto.
I Servizi sociali devono periodicamente rendere conto all'autorita'
competente dell'andamento della situazione e proporre eventuali
modifiche del provvedimento in relazione all'evolversi della
situazione del minore.
7.7 Intervento di aiuto economico
7.7.1 Definizione
L'intervento economico costituisce una delle modalita' per
fronteggiare situazioni non di autonomia temporanea, soprattutto in
famiglie, pluri o monogenitoriali, con figli.
Consiste in aiuti economici e materiali a sostegno di nuclei
familiari e singoli minori in condizioni economiche tali da non
consentire il soddisfacimento dei bisogni fondamentali di vita,
oppure in stato di bisogno straordinario, al fine di promuoverne
l'autonomia e la responsabilizzazione e di prevenire il rischio di
allontanamento dei figli dal nucleo familiare.
Comporta un attento lavoro di valutazione e di consulenza
professionale in ordine sia all'uso che viene fatto di tale sostegno
che agli obiettivi di diverso apprendimento comportamentale che si
prefigge.
7.7.2 Finalita'
L'intervento economico e' finalizzato a sostenere percorsi di
riappropriazione delle competenze e delle risorse familiari ed
individuali e l'acquisizione di strumenti adeguati per determinare i
propri percorsi di vita.
Va disposto nel rispetto delle opzioni personali, senza intenti di
omologazione a modelli predeterminati e con particolare attenzione ad
evitare rischi di cronicizzazione delle situazioni; di dipendenza dai
servizi, di emarginazione dai contesti sociali e di
istituzionalizzazione dei minori.
La richiesta di aiuto economico e' spesso un elemento di
avvicinamento al Servizio; puo' costituire un primo terreno di
richiesta di aiuto altrimenti non formulabile.
7.7.3 Destinatari
Sono destinatari dell'intervento i singoli minori o loro nuclei
familiari, residenti o comunque presenti nel territorio, in
situazioni di emergenza economica o di bisogno straordinario che
impediscono il soddisfacimento dei bisogni fondamentali di vita e la
conquista o il recupero dell'autonomia.
Il contributo economico, finalizzato a sostenere o risolvere problemi
e bisogni di minori, verra' erogato a chi, genitore, curatore o
tutore, gestisce la potesta' parentale nei confronti del minore
destinatario.
7.7.4 Modalita' di realizzazione
Qualsiasi intervento di natura economica, nei confronti di un singolo
minore o del suo nucleo familiare, a prescindere dalla sua
consistenza, richiede la formulazione di uno specifico progetto di
intervento.
Sia che i progetti come intervento di per se' sufficiente a
rispondere al bisogno espresso, sia che si collochi come parte di un
progetto piu' complessivo ed organico, esso deve indicare gli
obiettivi che si propone, i tempi e le modalita' di realizzazione e
di valutazione dei risultati, nella prospettiva di una tempestiva
riappropriazione della gestione della propria autonomia da parte
del/della cittadino/a assistito/a.
La condizione di assistibilita' e' determinata dall'esistenza,
verificabile, dello stato di bisogno, valutata sulla base dei
regolamenti locali sul "minimo vitale" e in rapporto alla
determinazione della soglia di reddito per l'accesso all'assistenza.
Gli interventi di natura economica su suddividono in:
a) intervento economico continuativo;
b) intervento economico straordinario.
a) Intervento economico continuativo
Consiste in un sussidio mensile da erogare a favore di minori e dei
loro nuclei familiari che non possono soddisfare autonomamente il
bisogno primario di sostentamento ed emancipazione.
L'intervento e' limitato al periodo previsto nel progetto come
necessario al reperimento di adeguate risorse economiche da parte dei
soggetti interessati o al raggiungimento dell'obiettivo esplicitato
nel progetto stesso.
b) Intervento economico straordinario
un intervento economico "una tantum" rivolto a minori o nuclei
familiari che si trovino a dover fronteggiare un'improvvisa e
straordinaria condizione di disagio economico derivante da
avvenimenti che mettono momentaneamente in crisi la capacita' di
reddito ed il me'nage familiare.
Entrambi possono prevedere sia un contributo economico diretto che
l'esonero nel pagamento dei servizi.