REGIONE EMILIA-ROMAGNA - GIUNTA REGIONALE

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE 8 maggio 1998, n. 170

Ricorso di Nicoletti Luciano, legale rappresentante della "Luciano Nicoletti & C. Sas", avverso il diniego di iscrizione di Nicoletti Giovanni al Registro esercenti il commercio per l'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande, tenuto presso la CCIAA di Bologna

IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE                                            
Visto il ricorso presentato da Nicoletti Luciano nella qualita' di              
legale rappresentante della "Luciano Nicoletti & C. Sas" nato a                 
Bologna (omissis) e residente in Molinella (BO) (omissis);                      
dato atto che il ricorso de quo, e' proposto ai sensi e per effetto             
dell'art. 8 della Legge 426/71 "Disciplina del commercio" avverso la            
determinazione della Camera di Commercio di Bologna espressa con                
missiva prot. n. 19/320/REC/AA/11 del 17 febbraio 1998, con la quale            
si dispone:                                                                     
- il diniego di iscrizione di Nicoletti Giovanni, in qualita' di                
delegato della societa' "Luciano Nicoletti & C. Sas", al REC per                
l'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto                
l'interessato e' privo dei requisiti morali stabiliti dall'art. 2,              
comma 4, lett. c), Legge 25 agosto 1991, n. 287 "Aggiornamento della            
normativa sull'insediamento e sull'attivita' dei pubblici esercizi";            
dato atto che il provvedimento, ut supra, e' stato notificato in data           
18 febbraio 1998 mediante r.r., ed il ricorso de quo porta la data              
del 18 marzo 1998, cosi' come risulta dal timbro datario del                    
protocollo di Presidenza di Giunta, pertanto nei termini statuiti               
dall'art. 8 citato;                                                             
preso atto delle controdeduzioni fornite dalla Camera di Commercio              
rese con missiva prot. n. 19/582/REC/FDV/aa del 2 aprile 1998,                  
pervenute a questa autorita' giudicante in data 3 aprile 1998, cosi'            
come risulta dal timbro datario del protocollo generale, nonche'                
degli atti istruttori contestualmente esibiti;                                  
preso atto che il provvedimento camerale di reiezione, si e'                    
determinato in quanto nei confronti di Nicoletti Giovanni e' stata              
emessa sentenza GIP Pretura di Bologna ex artt. 444 e 445 c.p.p., che           
porta la data del 23 gennaio 1997 passata in giudicato il 24 febbraio           
1997, per esercizio di giochi d'azzardo reato di cui all'art. 718 e             
seguenti del codice penale (c.f.r. Certificato generale del                     
Casellario giudiziale, Procura della Repubblica presso il Tribunale             
di Bologna);                                                                    
preso atto dei motivi di gravame dedotti dal ricorrente nell'atto               
d'introduzione del giudizio, a sostegno dell'infondatezza del                   
provvedimento impugnato;                                                        
rilevato che in materia di patteggiamento la giurisprudenza non e'              
univoca ma ondivaga: da una parte c'e' chi considera la condanna                
riportata a seguito di patteggiamento una sentenza di condanna tout             
court (c.f.r. per tutte decisione della sesta Sezione del Consiglio             
di Stato 1498/97 depositata il 17 ottobre) - la tesi trova conforto             
in quanto gia' la Corte Costituzionale, investita da questione                  
relativa all'art. 444 c.p.p. per supposta violazione dell'art. 24               
della Costituzione (sentenza 2 luglio 1990, n. 313) ha espresso: la             
procedura di patteggiamento sottintende una sostanziale ammissione di           
responsabilita' da parte dell'imputato, in quanto "l'imputato quando            
chiede l'applicazione di una pena lo fa soltanto per ridurre al                 
minimo quel maggior sacrificio della sua liberta', che egli prevede             
dall'esito del giudizio ordinario ... In altri termini chi chiede               
l'applicazione di una pena vuol dire che rinuncia ad avvalersi della            
facolta' di contestare l'accusa", l'indirizzo e' poi stato ribadito             
dal palazzo della Consulta nella successiva sentenza 443/1990 -                 
dall'altra chi sottolinea il fatto che l'applicazione della pena su             
richiesta delle parti "non importa un riconoscimento di colpevolezza,           
trattandosi di una scelta processuale riconducibile non gia' a una              
presunzione di colpevolezza giuridicalmente rilevante, bensi' ad                
esigenze alleggerimento degli oneri processuali nella fase                      
dibattimentale e, per quanto riguarda l'imputato, anche a possibili             
considerazioni di incertezza degli esiti del giudizio" (c.f.r.                  
decisione della sesta Sezione del Consiglio di Stato 681/96).                   
Il Giudice di legittimita' con sentenza 3038/96 ha affermato che nel            
patteggiamento, se e' vero che l'imputato non nega la propria                   
responsabilita' e' altrettanto vero che l'accusa e' esonerata                   
dall'onere della prova contribuendo cosi' alla sollecita definizione            
del caso.                                                                       
E' quindi la concorde volonta' delle parti che diviene contenuto                
della sentenza oggetto della determinazione da parte del Giudice.               
Quindi, sempre secondo la linea interpretativa sostenuta dalla                  
Suprema Corte nella precitata sentenza, la differenza che                       
intercorrerebbe tra patteggiamento e condanna con sentenza passata in           
giudicato, sta nel fatto che questa deve contenere l'esposizione dei            
motivi di fatto e l'enunciazione dei motivi di diritto, nonche'                 
l'indicazione delle prove: elementi che possono anche non figurare in           
una pronuncia emessa in seguito a patteggiamento, invero in tale sede           
il Giudice, nel decidere se applicare o meno il patteggiamento, deve            
solo verificare se non sussistono condizioni per l'assoluzione                  
dell'imputato o l'indagato e se la qualificazione giuridica del fatto           
contestato sia corretta.                                                        
Quanto affermato nella sentenza 681/96 e nella sentenza 3038/96 si              
pongono nell'ottica di chi ritiene che la pena patteggiata pur                  
rappresentando una rinuncia da parte dell'imputato ad avvalersi della           
facolta' di contestare l'accusa, non realizzerebbe affatto un                   
capovolgimento del principio della presunzione d'innocenza che,                 
invece, continua a svolgere la sua funzione cardine in sede                     
processuale, poiche' il patteggiamento, quale negozio processuale               
unilaterale non revocabile, rappresenterebbe unicamente una forma di            
responsabilita' per facta concludentia, che viene ad esonerare                  
l'accusa dell'onere della prova (Cass. pen. I sez. 22 marzo 1993).              
Sempre secondo costoro la stessa lettura dell'art. 445 c.p.p. primo             
comma ultimo periodo "sentenza equiparata a una pronuncia di                    
condanna" ha fatto ritenere che la sentenza emessa all'esito della              
procedura di applicazione della pena su richiesta delle parti, si               
sostanzi in una pronuncia sui generis, del tutto atipica, che di per            
se' non sia qualificabile come sentenza di condanna pleno iure, cui             
e' pero' rapportabile quoad effectum (Cass. pen. 21 marzo 1991).                
Il MICA, con circolare n. 3334 dell'aprile 1994 al punto n. 18 ha               
espressamente disposto: "Anche la sentenza applicativa del cosiddetto           
patteggiamento (art. 444, comma 2 c.p.p.) e' da considerarsi ostativa           
all'iscrizione negli albi, registri elenchi suddetti, quando si                 
riferisce a reati indicati come ostativi dalle leggi istitutive degli           
albi, registri ed elenchi suindicati (questo alla stregua delle                 
considerazioni esposte dal Ministero di Grazia e Giustizia nella nota           
16 agosto 1992 n. 4035/12/7, inviata a questo Ministero in risposta             
ad un quesito)".                                                                
Il quesito posto dal MICA concerneva l'applicazione dell'art. 2,                
commi 4 e 5, della Legge 287/91 relativo all'iscrizione e alla                  
cancellazione dal REC nei casi di condanna penale. Il Guardasigilli             
aveva chiarito - nella nota ut supra - che, poiche' il patteggiamento           
preclude l'applicazione delle pene accessorie ma non gli altri                  
effetti penali della condanna, non c'e' motivo di escludere la                  
cancellazione dal REC fra le conseguenze della pena patteggiata.                
Invero, aveva sostenuto il Ministero della Giustizia nella citata               
nota, la radiazione dal Registro ad quem, equivale ad una "misura               
interdittiva prevista sul piano amministrativo" e cioe' un "effetto             
non penale" della condanna, da cui arguire l'inidoneita' del soggetto           
stesso a svolgere una determinata attivita' o ad essere parte di un             
determinato rapporto e, pertanto, non afferente alle pene accessorie;           
onde per cui andava sicuramente applicata alla sentenza emessa a                
seguito della procedura di applicazione della pena su richiesta delle           
parti.                                                                          
E' intelleggibile che, sul piano sostanziale, quanto sopra delineato            
vale anche per giustificare il diniego d'iscrizione al REC di colui             
che abbia subito una pronuncia ex art. 444 c.p.p..                              
Appare infine doveroso evidenziare che il MICA a seguito della                  
pronuncia emessa dalla Cassazione a sezioni unite nel giugno 1996, in           
ordine alla questione della equiparabilita' della sentenza di                   
applicazione della pena se richiesta dalle parti alla ordinaria                 
sentenza ai fini della iscrizione negli albi professionali, ha                  
formulato al Ministero di Grazia e Giustizia - Direzione generale               
degli Affari civili e delle libere professionali - uno specifico                
quesito sull'applicabilita' dei principi sanciti nella sopra                    
menzionata decisione, nel caso di iscrizione all'Albo professionale             
degli agenti e rappresentanti di commercio.                                     
Il Ministero di Grazia e Giustizia ha risposto con nota del 4 giugno            
1997, n. 7/31005/1754 precisando tra l'altro che:                               
- a norma dell'art. 445 c.p.p., la sentenza prevista dall'art. 444              
c.p.p. non comporta la condanna al pagamento delle spese del                    
procedimento ne' l'applicazione di pene accessorie e di misure di               
sicurezza.                                                                      
Si rende quindi necessario accertare se il diniego o la cancellazione           
da un albo professionale debbono ricondursi ad un mero effetto penale           
della sentenza di condanna ovvero ad una sanzione di carattere                  
accessorio: solo nella prima ipotesi, infatti, le medesime                      
conseguenze possono trovare il proprio presupposto giuridico anche              
nella sentenza emessa a seguito della procedura di patteggiamento.              
- Di ritenere, ai sensi di quanto segnatamente espresso dalle sezioni           
unite nella citata pronuncia, "la sentenza di patteggiamento                    
comporta, comunque, l'applicazione di quei provvedimenti di carattere           
specifico previsti dalle leggi speciali, i quali, stante peraltro la            
loro natura amministrativa ed atipica non postulano un giudizio di              
responsabilita' penale, ma seguono di diritto alla sentenza in esame,           
stante la sua equiparazione, per gli effetti compatibili con la sua             
speciale natura alla sentenza di condanna", convincente l'opinione di           
coloro che individuano in tale categoria di provvedimenti                       
sanzionatori anche quelle misure dirette a punire, con effetti                  
limitatamente incidenti nella sfera dei rapporti con                            
l'Amministrazione, la violazione dei precetti dettati                           
dall'ordinamento giuridico a specifica garanzia di una funzione                 
riconosciuta propria di questa. In altre parole tali sanzioni se pure           
- al pari di quelle penali - di tipo afflittivo, si caratterizzano              
per esprimere - di regola nell'esercizio della potesta' di autotutela           
- la riprovazione nell'ambito dell'ordinamento amministrativo                   
particolare, per la inosservanza di un dovere imposto al privato a              
garanzia del funzionamento dell'ordinamento stesso.                             
Pertanto le sanzioni in discorso non possono considerarsi pene                  
accessorie.                                                                     
- Ulteriore circostanza funzionalmente diretta a distinguere tali               
misure dalle pene accessorie, e' la individuazione dell'autorita'               
tenuta all'applicazione delle medesime: l'attribuzione alla                     
commissione provinciale tenuta presso la CCIAA - nel caso dell'Albo             
degli agenti e i rappresentanti - e alla CCIAA stessa - nel caso del            
Registro esercenti il commercio - di negare l'iscrizione o provvedere           
alla cancellazione per coloro che abbiano riportato una condanna per            
uno dei delitti espressamente previsti dalle disposizioni in materia            
dei requisiti, assurge ad elemento determinante per riconoscere un              
effetto penale della condanna pienamente compatibile con la pronuncia           
patteggiata.                                                                    
- Risulta quindi di palmare evidenza che, se la sanzione in oggetto             
non puo' considerarsi come una pena accessoria, e' evidente che la              
qualificazione della sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. -            
siccome antologicamente diversa da quella di condanna - non vale ad             
impedire l'applicazione della sanzione della cancellazione dal ruolo            
o del rifiuto di iscrizione.                                                    
In conclusione il Ministero di Grazia e Giustizia afferma nella                 
citata risposta che: "sviluppando le premesse del proprio                       
ragionamento il Supremo Collegio ha precisato che soltanto l'addove             
l'applicazione della misura sanzionatoria presuppone l'accertamento             
pieno della colpevolezza, e' escluso che la misura possa discendere             
dalla pronuncia effettuata ai sensi dell'art. 444 c.p.p.. Diverso e',           
tuttavia il caso di tali provvedimenti sanzionatori "di natura                  
amministrativa atipica" (secondo la definizione datane dalle sezioni            
unite della Corte di Cassazione) che trovano il proprio presupposto             
di applicazione non gia' nell'accertamento in concreto della                    
colpevolezza, bensi' nel fatto obiettivo della pronuncia della                  
sentenza di condanna, alla quale e' sicuramente equiparata, in questo           
caso ai sensi dell'art. 445 c.p.p., la decisione adottata dall'esito            
del procedimento di applicazione della pena su richiesta delle                  
parti".                                                                         
Nel fare proprie le argomentazioni espresse dal Ministero di Grazia e           
Giustizia nella nota ut supra, il MICA, ha puntualmente confermato              
quanto espresso nella circolare 3334/94 nel senso che "la sentenza              
emessa all'esito del giudizio di applicazione della pena su richiesta           
delle parti relativa ai reati contemplati nelle dispozioni normative            
vigenti sia ostativa alla iscrizione o alla permanenza nel REC"                 
(c.f.r. risoluzione ministeriale prot. n. 380958 del 22 luglio 1997);           
rilevato che secondo l'opinione maggioritaria espressa dalla                    
giurisprudenza della Suprema Corte, i provvedimenti di iscrizione o             
cancellazione di commercianti dagli elenchi formati a vari fini, sono           
atti amministrativi diretti al riscontro, senza alcun margine di                
valutazione autonoma, dei requisiti di legge; cosicche' la pubblica             
Amministrazione nel negare l'iscrizione o nel proporre la                       
cancellazione e' vincolata sia per quanto concerne l'emanazione del             
provvedimento sia per quanto riguarda il suo contenuto;                         
dato atto che nessuna delle circostanze giuridiche contemplate                  
dall'art. 2, comma 5 della Legge 287/91 citata, si e' realizzata;               
visto l'art. 8 della legge sulla disciplina del commercio;                      
dato atto del parere favorevole espresso dal Direttore generale alle            
Attivita' produttive in merito alla legittimita' del presente atto e            
del parere favorevole del Responsabile del Servizio Programmazione              
della distribuzione commerciale in merito alla regolarita' tecnica,             
ai sensi dell'art. 4, sesto comma, della L.R. 41/92 e della delibera            
di Giunta regionale 2541/95;                                                    
decreta:                                                                        
il ricorso presentato da Nicoletti Luciano non puo', alla stregua dei           
motivi puntualmente ed efficacemente espressi nella parte che                   
precede, trovare accoglimento, pertanto viene rigettato.                        
IL PRESIDENTE                                                                   
ANTONIO LA FORGIA                                                               

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ultima modifica 2023-05-19T22:22:53+02:00

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