REGIONE EMILIA-ROMAGNA - GIUNTA REGIONALE

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE 10 agosto 1998, n. 335

Ricorso del signor Gian Luca Guizzardi avverso il provvedimento di cancellazione dal Registro degli esercenti il commercio tenuto presso la Camera di Commercio di Bologna

Visto il ricorso presentato dal signor Gian Luca Guizzardi legale               
rappresentante della societa' Petulia Sas, (omissis), legalmente                
domiciliato per il presente ricorso presso lo studio dell'avv. Marzio           
Bonfigliolo, Via Arienti n. 37, Bologna;                                        
dato atto che il ricorso, de quo, e' proposto ai sensi e per effetto            
dell'art. 8 della Legge 426/71 "Disciplina del commercio" avverso la            
determinazione camerale espressa con missiva prot. n. 19/808/REC/AA             
del 13 maggio 1998 con la quale si dispone:                                     
- la cancellazione del signor Guizzardi dal Registro esercenti il               
commercio (posizione n. 76820), iscritto quale rappresentante per               
l'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande per la societa'           
Petulia Sas, in quanto sono venuti meno i requisiti morali prescritti           
dall'art. 2, comma 4, lett. c), Legge 25 agosto 1991, n. 287                    
"Aggiornamento della normativa sull'insediamento e sull'attivita' dei           
pubblici esercizi";                                                             
preso atto che il provvedimento camerale anzidetto, si e' determinato           
in quanto nei confronti del ricorrente e' stata pronunciata in data             
23 gennaio 1997 sentenza del GIP presso la Pretura di Bologna passata           
in giudicato l'1 marzo 1997 (ex art. 444 e 445 c.p.p.) per violazione           
delle norme sulla disciplina igienica della produzione e vendita                
delle sostanze alimentari e delle bevande ex art. 5 della Legge 30              
aprile 1962, n. 283;                                                            
dato atto che il provvedimento di cancellazione e' stato notificato             
al ricorrente in data 18 maggio 1998 mediante r.r., ed il ricorso de            
quo porta la data dell'8 giugno 1998, cosi' come risulta dal timbro             
datario del protocollo di Giunta regionale, pertanto nei termini                
statuiti dall'art. 8 citato;                                                    
preso atto delle controdeduzioni fornite dalla Camera di Commercio              
interessata con missiva prot. n. 19/1008-REC/FDV/aa del 24 giugno               
1998, pervenute a questa Regione in data 9 luglio 1998, cosi' come              
risulta dal timbro datario del protocollo dell'Assessorato regionale            
delle Attivita' produttive;                                                     
preso atto dei motivi di gravame dedotti dal ricorrente nell'atto               
d'introduzione del giudizio, a sostegno della infondatezza del                  
provvedimento impugnato;                                                        
rilevato che in materia di patteggiamento la giurisprudenza non e'              
univoca ma ondivaga: da una parte c'e' chi considera la condanna                
riportata a seguito di patteggiamento una sentenza di condanna tout             
court (cfr per tutte decisione della sesta Sezione del Consiglio di             
Stato 1498/97 depositata il 17 ottobre) - la tesi trova conforto in             
quanto gia' la Corte Costituzionale, investita da questione relativa            
all'art. 444 c.p.p. per supposta violazione dell'art. 24 della                  
Costituzione (sentenza 2 luglio 1990, n. 313) ha espresso: la                   
procedura di patteggiamento sottintende una sostanziale ammissione di           
responsabilita' da parte dell'imputato, in quanto "l'imputato quando            
chiede l'applicazione di una pena lo fa soltanto per ridurre al                 
minimo quel maggior sacrificio della sua liberta', che egli prevede             
dall'esito del giudizio ordinario... . In altri termini chi chiede              
l'applicazione di una pena vuol dire che rinuncia ad avvalersi della            
facolta' di contestare l'accusa", l'indirizzo e' poi stato ribadito             
dal Palazzo della Consulta nella successiva sentenza 443/90 -                   
dall'altra chi sottolinea il fatto che l'applicazione della pena su             
richiesta delle parti non importa un riconoscimento di colpevolezza,            
trattandosi di una scelta processuale riconducibile non gia' a una              
presunzione di colpevolezza giuridicalmente rilevante, bensi' ad                
esigenze di alleggerimento degli oneri processuali nella fase                   
dibattimentale e, per quanto riguarda l'imputato, anche a possibili             
considerazioni di incertezza degli esiti del giudizio (cfr decisione            
della sesta Sezione del Consiglio di Stato 681/96).                             
Il giudice di legittimita' con sentenza 3038/96 ha affermato che nel            
patteggiamento, se e' vero che l'imputato non nega la propria                   
responsabilita' e' altrettanto vero che l'accusa e' esonerata                   
dall'onere della prova contribuendo cosi' alla sollecita definizione            
del caso.                                                                       
quindi la concorde volonta' delle parti che diviene contenuto della             
sentenza oggetto della determinazione da parte del giudice.                     
Quindi, sempre secondo la linea interpretativa sostenuta dalla                  
Suprema Corte nella precitata sentenza, la differenza che                       
intercorrerebbe tra patteggiamento e condanna con sentenza passata in           
giudicato, sta nel fatto che questa deve contenere l'esposizione dei            
motivi di fatto e l'enunciazione dei motivi di diritto, nonche'                 
l'indicazione delle prove: elementi che possono anche non figurare in           
una pronuncia emessa in seguito a patteggiamento, invero in tale sede           
il giudice, nel decidere se applicare o meno il patteggiamento, deve            
solo verificare se non sussistono condizioni per l'assoluzione                  
dell'imputato o l'indagato e se la qualificazione giuridica del fatto           
contestato sia corretta.                                                        
Quanto affermato nella sentenza 681/96 e nella sentenza 3038/96 si              
pongono nell'ottica di chi ritiene che la pena patteggiata pur                  
rappresentando una rinuncia da parte dell'imputato ad avvalersi della           
facolta' di contestare l'accusa, non realizzerebbe affatto un                   
capovolgimento del principio della presunzione d'innocenza che,                 
invece, continua a svolgere la sua funzione cardine in sede                     
processuale, poiche' il patteggiamento, quale negozio processuale               
unilaterale non revocabile, rappresenterebbe unicamente una forma di            
responsabilita' per facta concludentia, che viene ad esonerare                  
l'accusa dell'onere della prova (Cass. pen. I Sez., 22 marzo 1993).             
Sempre secondo costoro la stessa lettura dell'art. 445 c.p.p. primo             
comma ultimo periodo "sentenza equiparata a una pronuncia di                    
condanna" ha fatto ritenere che la sentenza emessa all'esito della              
procedura di applicazione della pena su richiesta delle parti, si               
sostanzi in una pronuncia sui generis, del tutto atipica, che di per            
se non sia qualificabile come sentenza di condanna pleno iure, cui e'           
pero' rapportabile quoad effectum (Cass. pen. 21 marzo 1991).                   
Il MICA, con circolare n. 3334 dell'aprile 1994 al punto  n.18 ha               
espressamente disposto: "Anche la sentenza applicativa del cosiddetto           
patteggiamento (art. 444, comma 2, c.p.p.) e' da considerarsi                   
ostativa all'iscrizione negli albi, registri elenchi suddetti, quando           
si riferisce a reati indicati come ostativi dalle leggi istitutive              
degli albi, registri ed elenchi suindicati (questo alla stregua delle           
considerazioni esposte dal Ministero di Grazia e Giustizia nella nota           
16 agosto 1992, n. 4035/12/7, inviata a questo Ministero in risposta            
ad un quesito)".                                                                
Il quesito posto dal MICA concerneva l'applicazione dell'art. 2,                
commi 4 e 5, della Legge 287/91 relativo all'iscrizione e alla                  
cancellazione dal REC nei casi di condanna penale. Il Guardasigilli             
aveva chiarito - nella nota ut supra - che, poiche' il patteggiamento           
preclude l'applicazione delle pene accessorie ma non gli altri                  
effetti penali della condanna, non c'e' motivo di escludere la                  
cancellazione dal REC fra le conseguenze della pena patteggiata.                
Invero, aveva sostenuto il Ministero della Giustizia nella citata               
nota, la radiazione dal registro ad quem, equivale ad una "misura               
interdittiva prevista sul piano amministrativo" e cioe' un "effetto             
non penale" della condanna, da cui arguire l'inidoneita' del soggetto           
stesso a svolgere una determinata attivita' o ad essere parte di un             
determinato rapporto e, pertanto, non afferente alle pene accessorie;           
onde per cui andava sicuramente applicata alla sentenza emessa a                
seguito della procedura di applicazione della pena su richiesta delle           
parti.                                                                          
intelliggibile che, sul piano sostanziale, quanto sopra delineato               
vale anche per giustificare il diniego d'iscrizione al REC di colui             
che abbia subito una pronuncia ex art. 444 c.p.p.                               
Appare infine doveroso evidenziare che il MICA a seguito della                  
pronuncia emessa dalla Cassazione a Sezioni unite nel giugno 1996, in           
ordine alla questione della equiparabilita' della sentenza di                   
applicazione della pena se richiesta dalle parti alla ordinaria                 
sentenza ai fini della iscrizione negli albi professionali, ha                  
formulato al Ministero di Grazia e Giustizia - Direzione generale               
degli Affari civili e delle Libere professioni - uno specifico                  
quesito sull'applicabilita' dei principi sanciti nella sopra                    
menzionata decisione, nel caso di iscrizione all'albo professionale             
degli agenti e rappresentanti di commercio.                                     
Il Ministero di Grazia e Giustizia ha risposto con nota del 4 giugno            
1997, n. 7/31005/1754 precisando tra l'altro che:                               
- a norma dell'art. 445 c.p.p., la sentenza prevista dall'art. 444              
c.p.p. non comporta la condanna al pagamento delle spese del                    
procedimento ne' l'applicazione di pene accessorie e di misure di               
sicurezza.                                                                      
Si rende quindi necessario accertare se il diniego o la cancellazione           
da un albo professionale debbono ricondursi ad un mero effetto penale           
della sentenza di condanna ovvero ad una sanzione di carattere                  
accessorio: solo nella prima ipotesi, infatti, le medesime                      
conseguenze possono trovare il proprio presupposto giuridico anche              
nella sentenza emessa a seguito della procedura di patteggiamento;              
- di ritenere, ai sensi di quanto segnatamente espresso dalle Sezioni           
unite nella citata pronuncia, "la sentenza di patteggiamento                    
comporta, comunque, l'applicazione di quei provvedimenti di carattere           
specifico previsti dalle leggi speciali, i quali, stante peraltro la            
loro natura amministrativa ed atipica non postulano un giudizio di              
responsabilita' penale, ma seguono di diritto alla sentenza in esame,           
stante la sua equiparazione, per gli effetti compatibili con la sua             
speciale natura alla sentenza di condanna", convincente l'opinione di           
coloro che individuano in tale categoria di provvedimenti                       
sanzionatori anche quelle misure dirette a punire, con effetti                  
limitatamente incidenti nella sfera dei rapporti con                            
l'Amministrazione, la violazione dei precetti dettati                           
dall'ordinamento giuridico a specifica garanzia di una funzione                 
riconosciuta propria di questa. In altre parole tali sanzioni se pure           
- al pari di quelle penali - di tipo afflittivo, si caratterizzano              
per esprimere - di regola nell'esercizio della potesta' di autotutela           
- la riprovazione nell'ambito dell'ordinamento amministrativo                   
particolare, per la inosservanza di un dovere imposto al privato a              
garanzia del funzionamento dell'ordinamento stesso.                             
Pertanto le sanzioni in discorso non possono considerarsi pene                  
accessorie;                                                                     
- ulteriore circostanza funzionalmente diretta a distinguere tali               
misure dalle pene accessorie, e' la individuazione dell'autorita'               
tenuta all'applicazione delle medesime: l'attribuzione alla                     
commissione provinciale tenuta presso la CCIAA - nel caso dell'albo             
degli agenti e i rappresentanti - e alla CCIAA stessa - nel caso del            
Registro esercenti il commercio - di negare l'iscrizione o provvedere           
alla cancellazione per coloro che abbiano riportato una condanna per            
uno dei delitti espressamente previsti dalle disposizioni in materia            
di requisiti, assurge ad elemento determinante per riconoscere un               
effetto penale della condanna pienamente compatibile con la pronuncia           
patteggiata;                                                                    
- risulta quindi di palmare evidenza che, se la sanzione in oggetto             
non puo' considerarsi come una pena accessoria, e' evidente che la              
qualificazione della sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. -            
siccome ontologicamente diversa da quella di condanna - non vale ad             
impedire l'applicazione della sanzione della cancellazione dal ruolo            
o del rifiuto di iscrizione.                                                    
In conclusione il Ministero di Grazia e Giustizia afferma nella                 
citata risposta che: "sviluppando le premesse del proprio                       
ragionamento il Supremo Collegio ha precisato che soltanto laddove              
l'applicazione della misura sanzionatoria presuppone l'accertamento             
pieno della colpevolezza, e' escluso che la misura possa discendere             
dalla pronuncia effettuata ai sensi dell'art. 444 c.p.p.. Diverso e',           
tuttavia, il caso di tali provvedimenti sanzionatori ôdi natura                 
amministrativa atipica' (secondo la definizione datane dalle Sezioni            
unite della Corte di Cassazione) che trovano il proprio presupposto             
di applicazione non gia' nell'accertamento in concreto della                    
colpevolezza, bensi' nel fatto obiettivo della pronuncia della                  
sentenza di condanna, alla quale e' sicuramente equiparata, in questo           
caso ai sensi dell'art. 445 c.p.p., la decisione adottata dall'esito            
del procedimento di applicazione della pena su richiesta delle                  
parti".                                                                         
Nel fare proprie le argomentazioni espresse dal Ministero di Grazia e           
Giustizia nella nota ut supra, il MICA, ha puntualmente confermato              
quanto espresso nella circolare n. 3334/94 nel senso che "la sentenza           
emessa all'esito del giudizio di applicazione della pena su richiesta           
delle parti relativa ai reati contemplati nelle disposizioni                    
normative vigenti sia ostativa alla iscrizione o alla permanenza nel            
REC" (cfr risoluzione ministeriale prot. n. 380958 del 22 luglio                
1997);                                                                          
rilevato che le sanzioni inflitte dall'art. 2, comma 4 della legge              
precitata sembrano considerate dal legislatore non nel loro contenuto           
sostanziale di reiezione alla condotta illecita, ma come indice o               
elemento sintomatico dal quale arguire l'inidoneita' di un                      
determinato soggetto a svolgere una certa attivita' o ad essere parte           
di uno specifico rapporto, in ragione della natura giuridica della              
iscrizione al Registro esercenti il commercio. In un tale ambito la             
determinazione del Presidente della Camera di Commercio si pone "ad             
essentiam" come accertamento dell'esistenza dei requisiti soggettivi            
e/o oggettivi ai quali l'ordinamento attribuisce "condicio iuris" per           
poter legittimamente esercitare, o continuare ad esercitare                     
l'attivita' di commercio;                                                       
rilevato che secondo costante giurisprudenza della Suprema Corte (SU            
2 marzo 1981, n. 1204; 17 marzo 1989, n. 1341 e, piu' in generale, in           
materia di iscrizione in albi o elenchi SU 7 ottobre 1983, n. 5837:             
Id. 5 settembre 1989, n. 3844 e 23 febbraio 1990, n. 1399) i                    
provvedimenti di non iscrizione o cancellazione dei commercianti                
dagli elenchi formati ai vari fini sono atti amministrativi vincolati           
- l'attivita' amministrativa deve limitarsi ad accertare tramite un             
esame documentale la sussistenza dei requisiti prescritti dalle norme           
di diritto positivo senza alcun margine di discrezionalita' che                 
coinvolga valutazioni d'interesse pubblico - cosicche' la PA nel                
negare l'iscrizione o nel proporre la cancellazione non puo' operare            
nessuna valutazione autonoma sia per quanto concerne l'emanazione del           
provvedimento sia per quanto concerne il suo contenuto;                         
rilevato, secondo qualificata dottrina, che il ricorso amministrativo           
di cui trattasi si pone come un presupposto processuale per                     
l'esercizio dell'azione giudiziaria ordinaria e cio' al fine di                 
consentire alla pubblica Amministrazione il riesame del provvedimento           
per correggere eventuali errori ed evitare cosi' il ricorso                     
dell'accertamento giurisdizionale. Si tratta in sostanza di una                 
ipotesi di quella giurisdizione cosidetta condizionata.                         
In un tale ambito il Presidente della Giunta puo' o respingere il               
ricorso - conferma il provvedimento impugnato - facultizzando cosi'             
l'interessato ad adire l'autorita' giurisdizionale competente, ovvero           
accoglierlo, in questo caso riforma il provvedimento impugnato e                
dispone l'iscrizione negata dal presidente della Camera di Commercio            
o la revoca della cancellazione, tertium non datur.                             
L'effetto sospensivo del provvedimento deriva, pleno iuris, solo                
dalla presentazione del ricorso e unicamente nell'ipotesi di                    
cancellazione dal registro - non si verifica invece nel caso di                 
provvedimento di diniego di iscrizione dato il carattere negativo di            
quest'ultimo - pertanto non potra' mai scaturire da espressa                    
manifestazione di volonta' dell'autorita' individuata dalla legge a             
pronunciarsi sul gravame;                                                       
dato atto che nessuna delle circostanze giuridiche contemplate                  
dall'art. 2, comma 5 della Legge 287/91 si e' verificata;                       
visto l'art. 8 della legge sulla disciplina del commercio;                      
dato atto del parere favorevole espresso dal Direttore generale alle            
Attivita' produttive in merito alla legittimita' del presente atto e            
del parere favorevole espresso dal Dirigente regionale signor Luciano           
Peppi, in sostituzione del Responsabile del Servizio Programmazione             
della distribuzione commerciale con atto n. 7604 del 31 luglio 1998,            
in merito alla regolarita' tecnica, ai sensi dell'art. 4, sesto                 
comma, della L.R. 19 novembre 1992,  n.41 e della delibera di Giunta            
regionale 2541/95;                                                              
decreta:                                                                        
il ricorso presentato dal signor Gian Luca Guizzardi non puo', alla             
stregua dei motivi puntualmente ed efficacemente espressi nella parte           
che precede, trovare accoglimento, pertanto viene rigettato.                    
IL VICEPRESIDENTE                                                               
Emilio Sabattini                                                                

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ultima modifica 2023-05-19T22:22:53+02:00

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