SUPPLEMENTO SPECIALE N.228 DEL 11.12.2013

Relazione

Con la legge 381 del 1991 la cooperativa sociale entrava a pieno titolo fra le forme imprenditoriali riconosciute dal diritto civile e commerciale, contraddistinguendosi per le finalità tese al perseguimento dell’interesse generale della comunità. Si trattava, come spesso succede, della legittimazione di un processo sociale ed imprenditoriale avviato ormai 30 anni prima, con la nascita delle prime cooperative “moderne” all’inizio degli anni ‘60.

Forme imprenditoriali che, nell’Italia dello sviluppo, permettevano di perseguire con la forza del gruppo obiettivi che individualmente non si sarebbero potuti raggiungere. Forme che, va detto, per molto tempo restarono marginali al sistema economico, votate al sociale prima che all’economia, chiamate ad occupare provvisoriamente spazi che l’economia capitalistica avrebbe gradualmente avocato a sé stessa.

La storia del movimento cooperativo in Italia ha evidentemente smentito queste previsioni e la cooperazione è divenuta una voce dominante dell’economia italiana e, soprattutto, di quella emiliano-romagnola, la prima regione italiana quanto a presenza di cooperative, con un’incidenza doppia della media italiana pari al 14% sul totale delle imprese ed il 16,5% di tutti i lavoratori delle cooperative italiane.

Non solo, ma in questi anni di crisi il mondo cooperativo è stato quello che meglio ha retto e, all’interno di esso, le cooperative sociali hanno segnato le performance migliori fra le varie tipologie di imprese.

Il numero di occupati nelle cooperative fra 2007 e 2011 è salito dell’8% e, nelle cooperative sociali, addirittura del 17,3%, segnando una lieve flessione solo a partire dal 2012: numeri importanti, soprattutto se comparati col calo del -2,3% dell’occupazione nelle imprese.

Questo successo si deve anche al fatto che, mediamente, la struttura dimensionale è più ampia rispetto a quella delle altre tipologie di impresa, con un rapporto di 17,3 addetti per le cooperative sociali contro 3,5 delle altre tipologie.

Oggi da noi operano 920 cooperative sociali con 2.530 unità locali e 37.646 dipendenti, con una crescita di +16,2% nel quinquennio 2007-2012.

Non solo, ma significativo è che più del 77% degli addetti sia assunto con contratto a tempo indeterminato e che quasi il 76% di tutti gli addetti sia costituito da donne, mentre l’8% dei dipendenti appartiene a categorie svantaggiate, con una punta del 20% nella Provincia di Forlì-Cesena.

Nello specifico, delle 824 cooperative sociali che hanno sede in regione (le altre 96 hanno sede fuori) risultano 485 cooperative di tipo A con 27.000 addetti, 188 di tipo B con 3900 addetti, 114 A+B con 6255 addetti e 37 consorzi con 444 addetti.

Nelle cooperative di Tipo B il numero di lavoratori svantaggiati arriva al 40% del totale (3000 su 8000), ben al di sopra della soglia del 30% stabilita dalla legge 381, senza contare le categorie di debolezza sociale che non rientrano nella definizione di svantaggio (ad es. donne, immigrati, ecc..) e che qui, più che nelle altre tipologie di imprese, trovano collocazione.

Il 77% di queste cooperative ha convenzioni con Enti locali o Istituzioni pubbliche e da queste deriva l’88% delle loro entrate.

Sono risultati che si devono a fattori connaturati alla natura mutualistica stessa, che fa della solidarietà un valore imprenditoriale: forte legame col territorio, rapporto fiduciario con il cliente, attenzione alla qualità del lavoro ed al benessere del lavoratore.

Tuttavia questo successo non sarebbe stato possibile se nei decenni il mondo cooperativo non avesse saputo innovarsi, aggregando per raggiungere dimensioni competitive, consorziando per avere più voce nella programmazione, lavorando con i nuovi network per espandere il proprio mercato, diventando interlocutore privilegiato della Pubblica Amministrazione nell’affidamento dei servizi grazie alla capacità di coniugare competitività dell’offerta e perseguimento delle finalità sociali.

Il risultato è che oggi le cooperative sociali sono soggetti imprenditoriali a tutti gli effetti, uguali nei valori fondanti a quelle di un tempo, ma profondamente diverse nelle loro relazioni col territorio, nel rapporto con la Pubblica Amministrazione, nella capacità di fare impresa portando benefici tanto a se stesse quanto alla collettività.

Sono cambiati gli ambiti di intervento, passando dall’agricoltura e dall’edilizia all’erogazione di servizi sociali, socio-sanitari ed educativi, oltre che ambientali.

Sono cambiate, e profondamente, le leggi che le regolano. Con la Riforma del Titolo V della Costituzione le Regioni hanno ottenuto amplissimi spazi di manovra entro cui regolamentare il mondo cooperativo; il nuovo diritto societario nel 2003 ha esteso le potenzialità imprenditoriali delle imprese cooperative, senza con ciò intaccarne il carattere mutualistico; il Codice degli appalti del 2006 ha dettato nuove regole per la partecipazione delle cooperative sociali agli affidamenti delle Pubbliche Amministrazioni.

Di fronte a queste radicali trasformazioni la legge 381 mostra i segni del tempo ed altrettanto fa la nostra normativa regionale.

Già nel 2006 siamo intervenuti in modifica della legge regionale 22 del 1990 per rafforzare il valore mutualistico delle cooperative regionali, valore nel frattempo assunto dallo Statuto regionale fra quelli fondanti della nostra società.

In quell’occasione abbiamo previsto una maggiore organicità programmatica attraverso il rinnovato ruolo affidato alle centrali cooperative nel rapporto con la Regione, abbiamo istituito nuovi strumenti di finanziamento e supportato la capitalizzazione dell’impresa cooperativa.

Oggi proponiamo invece di intervenire in modifica della legge regionale 7 del 1994, che attua in Emilia-Romagna le previsioni della legge 381.

La premessa fondamentale delle modifiche proposte è la valorizzazione del nuovo rapporto che esiste fra le Pubbliche Amministrazioni e le imprese sociali, con particolare riguardo alle cooperative sociali.

Se è vero infatti che la crisi economica ha assunto per le Pubbliche Amministrazione i connotati dei tagli di bilancio e che il Welfare State come lo abbiamo conosciuto nei decenni passati non ha più le risorse per reggersi, è anche vero che le risposte a questa situazione possono essere molteplici e, spesso, antitetiche: esternalizzare i servizi, rinunciando di fatto al ruolo del Pubblico, ovvero mantenerne in capo alla PA la programmazione ed il controllo e riscrivere, attraverso l’accreditamento, le relazioni con gli erogatori finali per renderli parte del sistema stesso.

È questa seconda strada quella scelta in Emilia-Romagna, che fa delle cooperative sociali un interlocutore indispensabile delle Istituzioni, tanto che il Piano Sociale e Sanitario 2008-10 ha ritagliato per esse un ruolo portante a sostegno del nuovo welfare di comunità.

Col sistema di accreditamento le cooperative sono già entrate a pieno titolo nella gestione dei servizi pubblici socio-sanitari, sanitari ed educativi, mentre la legislazione sulla disabilità trova compiutezza nella parte relativa all’inserimento lavorativo grazie soprattutto all’opera delle cooperative di tipo B. Questo significa che, ferma restando la titolarità della programmazione in capo alle Istituzioni pubbliche, diventa imprescindibile il coinvolgimento del sociale no-profit alla fase di definizione dei contenuti e delle linee di sviluppo del sistema socio-sanitario regionale.

Si tratta in sostanza di reinterpretare il principio costituzionale di sussidiarietà in chiave circolare, per cui dell’erogazione dei servizi si fanno carico tanto l’ente pubblico, quanto il mondo delle imprese e quello della società civile, ognuno portando il proprio bagaglio di informazioni, conoscenze e risorse nel rispetto dei ruoli di ciascuno, in un Welfare di Comunità che dalla comunità è fruito ed orientato.

Con la revisione che proponiamo della legge 7/94, vogliamo quindi che la legislazione regionale prenda atto di un processo ormai consolidato, già riconosciuto ed avvallato dagli atti amministrativi degli ultimi anni.

Intorno a questo principio cardine ruotano le modifiche più significative che proponiamo e che possono riassumersi nei seguenti punti.

- In primo luogo occorre riconoscere l’esistenza di una fascia di debolezza e fragilità sociale ed economica, non puntualmente definita dalla normativa statale come invece avviene per le persone svantaggiate, ma ugualmente da tutelare e supportare e che dunque può e deve diventare oggetto di intervento della cooperazione sociale.

- Poi si dovrà prendere atto, nella definizione stessa di Cooperativa di tipo A, che i servizi gestiti si sono ampliati notevolmente rispetto a quelli previsti dalla 381, andando a toccare gli ambiti sanitari ed educativi. Non solo, ma il pdl formalizza il ruolo delle cooperative di tipo A nella gestione dei servizi alla persona, riconoscendone l’indispensabile contributo alla realizzazione degli obiettivi posti dalla programmazione socio-sanitaria regionale.

- Va anche detto che le modifiche sull’affidamento dei servizi introdotte dall’accreditamento hanno significativamente cambiato le regole di partecipazione ed i rapporti con la Pubblica Amministrazione affidataria ed è dunque necessario un adeguamento delle previsioni.

- Come già accennato, si amplia il raggio di partecipazione delle cooperative sociali alle diverse fasi di strutturazione del sistema integrato di interventi e servizi alla persona.

- Radicalmente rivisitata è la normativa degli affidamenti diretti e degli appalti, con una netta distinzione fra i casi in cui la legge consente di affidare direttamente il servizio alle cooperative sociali di tipo B per l’inserimento di soggetti svantaggiati e quelli in cui invece è necessaria la gara, che dovrà essere caratterizzata dalla presenza di clausole sociali per la Regione e gli Enti ed Aziende da essa dipendenti e potrà esserlo per tutte le altre Amministrazioni regionali. In tal senso si ampliano gli spazi di affidamento diretto alle cooperative di tipo B poiché ne viene riconosciuta la capacità di generare inclusione sociale, anche per in virtù del forte legame col territorio.

- Infine interveniamo sugli strumenti incentivanti, prevedendo il finanziamento del Fondo rischi consortile, sostenendo economicamente la transizione dei soggetti svantaggiati dal lavoro protetto al libero mercato, affidando immobili o beni strumentali pubblici per l’espletamento dell’attività cooperativa, consentendo alle cooperative di avvalersi dei servizi della Struttura regionale di acquisto.

Venendo ad un puntuale esame dell’articolato, il PdL in oggetto si compone di 26 articoli suddivisi in 6 Titoli.

L’art.1, nel riconoscere il ruolo e la funzione pubblica esercitata dalle cooperative sociali, si sofferma sulle finalità della legge, che così possono riassumersi: l’istituzione dell’Albo regionale delle cooperative sociali; la determinazione delle forme di partecipazione della cooperazione sociale alla programmazione, progettazione, gestione, realizzazione e valutazione dei risultati del sistema integrato di interventi e servizi alla persona; l’individuazione dei criteri di affidamento e conferimento dei servizi; le misure di promozione, sostegno e sviluppo della cooperazione sociale.

L’art.2 definisce le cooperative sociali di tipo A e B partendo dalla definizione data dalla legge 381. In particolare la gamma dei servizi gestiti dalle cooperative di tipo A si amplia e spazia da quelli sociali ai socio-assistenziali, dai socio-educativi ai socio-sanitari, educativi e sanitari, nonché a quelli di formazione professionale e permanente.

Si specifica inoltre che sono cooperative sociali anche quelle che erogano attività di terapia occupazionale, tirocini formativi, lavoro protetto per persone svantaggiate difficilmente occupabili.

L’articolo introduce anche il nuovo concetto di “cooperative di comunità”, ovvero di quelle cooperative sociali che si prefiggono di mantenere vive e a valorizzare le comunità locali a rischio di spopolamento o di estinzione attraverso l’attività data dai soci, membri essi stessi della comunità.

Con l’art.3 viene data la definizione di persone deboli e svantaggiate. Mentre per queste ultime la definizione resta quella mutuata dalla 381, le persone deboli sono quelle che vivono in condizioni di fragilità sociale e/o economica e la definizione viene mutata dalla normativa comunitaria.

Entrambe le categorie sono destinatarie degli interventi delle cooperative sociali, con la precisazione però che, per il mantenimento dello status di cooperativa sociale di tipo B, vale solo il conteggio delle persone svantaggiate come indicato dalla norma statale.

L’art.4 tratta dell’iscrizione all’Albo regionale delle cooperative sociali. Non ci sono modifiche sostanziali rispetto alla legge 7 se non che tutte le cooperative sociali possono essere iscritte contemporaneamente alle sezioni A e B dell’Albo.

L’articolo specifica che le cooperative sociali extraregionali per concorrere all’affidamento dei servizi devono comunque avere le stesse caratteristiche richieste per l’iscrizione all’Albo, mentre la parte delle convenzioni con la PA è riservata esclusivamente alle cooperative regionali.

Il Titolo II si occupa del raccordo con l’attività dei servizi socio-assistenziali, sanitari, educativi, didattici, di formazione professionale e permanente e di sviluppo dell’occupazione.

In particolare l’art.5 regolamenta la stipula dei contratti di servizio attraverso cui le cooperative sociali gestiscono i servizi affidati dalle PA e l’art.6 riconosce il ruolo della cooperazione sociale nell’attuazione delle politiche attive per il lavoro anche in qualità di imprese di transizione.

L’art.7 afferma che le cooperative sociali e i loro consorzi possono partecipare alla realizzazione di interventi formativi, rivolti ai loro dipendenti e alle persone svantaggiate e deboli, previsti nell’ambito della programmazione regionale del Fondo sociale europeo e dei programmi di iniziativa comunitaria. Le cooperative possono inoltre realizzare autonome attività di formazione dei propri operatori.

Lo stesso articolo assegna alla Regione la possibilità di individuare nuovi profili professionali nell’ambito delle attività di inserimento lavorativo di persone svantaggiate e riconoscere esperienze e profili professionali innovativi già esistenti nei servizi alla persona ovvero funzionali a questi.

L’art.8 prevede inoltre per le cooperative sociali la realizzazione di interventi formativi rivolti agli adulti.

Il Titolo III tratta l’aspetto della partecipazione delle cooperative sociali ad affidamenti e gare pubblici.

L’art.9 detta disposizioni comuni, che si applicano alla Regione, agli Enti, alle Agenzie da essa dipendenti, alle società partecipate, nonché alle Aziende del SSR e possono volontariamente essere adottate dagli Enti locali emiliano-romagnoli.

In particolare l’articolo si sofferma ad elencare i requisiti che devono essere comunque presenti nell’affidamento e nell’esecuzione del servizio, fra cui ricordiamo: il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione comparata costi/qualità, la qualificazione professionale degli operatori, la tutela delle piccole e medie imprese, il radicamento della cooperativa nel territorio ed il legame con la comunità locale, la partecipazione alla cooperativa dei vari portatori locali di interessi, la previsione puntuale nello statuto della categoria di servizio oggetto dell’affidamento o del conferimento, la solidità di bilancio dell’impresa e l’adeguata esperienza imprenditoriale, il rispetto dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative.

All’art.10 si tratta dell’affidamento dei servizi sociali e sanitari, che seguono le modalità dettate dalla normativa sull’accreditamento e, in caso di gara, possono prevedere l’inserimento di una clausola sociale per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e soggetti deboli.

Nell’art.11 si disciplina invece l’affidamento dei servizi di importo inferiore alla soglia comunitaria per finalità di inserimento lavorativo, specificando che a tale finalità è destinato almeno il 5% dell’importo complessivo dell’approvvigionamento di servizi e che dette procedure di affidamento devono garantire il perseguimento delle seguenti finalità e considerare i seguenti elementi:

a) numero delle persone svantaggiate assunte;

b) tipologia dello svantaggio in relazione alla prestazione lavorativa richiesta;

c) ruolo e profilo professionale di riferimento;

d) presenza di piani individualizzati contenenti obiettivi a medio e lungo termine;

e) numero e qualifica delle eventuali figure di sostegno;

f) rendicontazione sociale e monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi di inserimento lavorativo;

g) semplificazione degli oneri amministrativi.

L’art.12 descrive le modalità di scelta del contraente per gli appalti di valore inferiore alla soglia comunitaria, che avviene attraverso la stipula di convenzioni come disciplinato dalla legge 381/91, garantendo comunque un adeguato confronto concorrenziale tra gli operatori e valutando l’esperienza nel settore.

Per tali affidamenti le amministrazioni possono ricorrere all’istituzione di un apposito Elenco speciale aperto al quale possono iscriversi le cooperative sociali ed i consorzi di inserimento lavorativo, oppure alla pubblicazione di un Avviso pubblico per eventuali manifestazioni di interesse.

Quando gli appalti superano di valore la soglia comunitaria, l’art.13 decreta che nei bandi di gara e nei capitolati d’oneri le amministrazioni aggiudicatrici possano inserire, fra le condizioni di esecuzione, l’obbligo di eseguire il contratto con l’impiego delle persone svantaggiate e deboli.

Ai sensi dell’art.14, spetta all’ufficio committente la verifica dell’adempimento degli obblighi relativi agli inserimenti lavorativi.

I 5 articoli del Titolo successivo si soffermano sulle forme di promozione ed incentivazione delle cooperative sociali.

In particolare l’art.15 recita che la Regione eroga contributi al Consorzio fidi regionale tra imprese cooperative istituito dalla l.r.22/90 e s.m.v. per l’abbattimento dei tassi di interesse, agevolare l’accesso al credito, prestare garanzie su depositi cauzionali e fideiussioni bancarie o assicurative, l’attivazione di strumenti anche sperimentali ed innovativi di finanza sociale interattiva, destinati alla partecipazione diretta o indiretta del Consorzio fidi al capitale di rischio delle cooperative sociali o dei loro consorzi, favorire e valorizzare processi di aggregazione, fusione e incorporazione tra cooperative sociali.

L’art.16, nel trattare del sostegno all’inserimento dei lavoratori svantaggiati e disabili nel mercato del lavoro, stabilisce che la Regione possa concedere per non più di 2 anni, ai datori che assumano dette persone, un contributo fino al trenta per cento del costo effettivo della retribuzione.

Laddove il soggetto da assumere sia un ex degente psichiatrico o disabile con invalidità superiore ai due terzi il contributo si eleva al 70%.

All’art.17 troviamo esplicitato che mantengono la connotazione mutualistica le attività edilizie svolte dalle cooperative sociali sugli immobili funzionali allo svolgimento delle attività proprie delle cooperative di tipo A e B. L’articolo inoltre prevede incentivi regionali per l’efficienza energetica di detti edifici. Infine le cooperative sociali potranno fruire di beni immobili o strumentali pubblici in concessione gratuita o onerosa per la realizzazione di progetti volti al perseguimento del loro scopo sociale.

L’art.18 prevede che nell’affidamento di beni e servizi alle cooperative sociali si applichi il contratto collettivo nazionale siglato dalle organizzazioni maggiormente rappresentative delle cooperative sociali. Inoltre le amministrazioni pubbliche appaltanti dovranno fissare il calendario massimo dei pagamenti alle cooperative sociali per la fornitura di beni e servizi e versare a queste gli interessi di legge in caso di ritardo.

Infine l’art.19 ammette le cooperative sociali alla fruizione dei servizi erogati dalla Struttura regionale di acquisto, con evidente vantaggio economico per le cooperative stesse.

Gli articoli 21 e 22 del Titolo V istituiscono presso la Presidenza di Giunta e regolamentano la Commissione consultiva sulla cooperazione sociale, che resta in carica quanto la Giunta stessa ed ha lo scopo di favorire il raccordo tra le politiche regionali e il ruolo svolto dalla cooperazione sociale attraverso un’azione di proposta e consulenza.

Essa è presieduta dal Presidente della Giunta, o suo delegato, e composta da tre rappresentanti effettivi e tre supplenti designati dalle associazioni delle cooperative più rappresentative a livello regionale, da tre rappresentanti designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in ambito regionale, da un rappresentante designato dall’ANCI ed uno dell’UPI, nonché da tre membri eletti dall’Assemblea Legislativa.

L’ultimo Titolo si compone di 5 articoli.

L’art.22 dice che i finanziamenti di cui alla presente legge sono erogati nel rispetto della norma comunitaria sugli aiuti di stato; l’art.23 istituisce come di consueto un capitolo nel bilancio regionale per il finanziamento della presente legge; l’art.24 contiene una clausola valutativa che prevede che ogni 3 anni l’Assemblea sia informata, attraverso la commissione competente, dei risultati della presente legge e delle criticità rilevate.

Infine gli articoli 25 e 26 abrogano la l.r.7/94 e la normativa sulla Commissione consultiva e fanno salve le iscrizioni all’Albo delle cooperative sociali oggi esistente e le richieste di nuove iscrizione già inoltrate.

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